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Autore: Sylence Hill    14/01/2012    1 recensioni
Londra, 1835
Rachel Williams è un topo di biblioteca, sempre china con il naso infilato tra i libri. Ragazza di buona famiglia, con un padre fatto da sé e una madre che insiste sul matrimonio, ha un cuore buono e gentile, che ama incondizionatamente.
Ma è anche caparbia e testarda, che vuole affermare a quel mondo che tiene conto solo le apparenze che una donna può essere più che una semplice decorazione per la casa del futuro marito.
Non ha fatto i conti, però, con quello che il destino - al quale non crede - ha deciso per lei. 
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Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sy Hill: LEGGETE E RECENSITE.
Baci,

Sy Hill <3<3<3<3


P.S.:DEDICATO A RACHY WILLIAMS.
Inoltre voglio ringraziare Cino Nero, Clitemnestra_Natalja, Myllyje, OnceUponADreams, Prettyvitto per star seguendo questa FF. Grazie a tutti



Immobile, davanti alla porta dell’atelier, sotto i fiocchi di neve, osservavo con il fiato sospeso, l’uomo dagli occhi di diamante.
Non se era accora accorto di me e questo mi diede la possibilità di osservarlo indisturbata.
Come quella mattina, era avvolto da mantello d’ermellino e vestito con classe, in più aveva aggiunto un cilindro al suo abbigliamento, che gli nascondeva i capelli indomabili. Era troppo alto per essere un inglese, un vero inglese non avrebbe mai raggiunto quell’altezza.
Guardandosi intorno, incrociò il mio sguardo.
Mi tormentavo le mani, nervosa per quella palese osservazione: i suoi occhi diamantini sembravano sfiorare ogni parte del mio corpo che guardassero.
Non avrebbe dovuto farlo e io non avrei dovuto permetterglielo.
Dandomi contegno, mi girai verso la porta del negozio, ma non mossi un passo.
Corpo traditore.
Seguitai a guardarlo tanto quanto lui guardava me, facendomi arrossire dall’imbarazzo.
In quel momento, sentii la voce di mia madre chiamarmi dalla sartoria. Mi voltai a guardarla dalla vetrina mentre mi faceva segno di entrare.
« Vieni dentro. Che fai là fuori? »
Un’ultima volta prima di entrare, mi voltai verso il gentiluomo e, desolata, constatai che era sparito. Scrutai la strada, ma di lui non c’era traccia.
Sospirai e rientrai, pregando per un aiuto in quella che sarebbe stata l’ora più stressante della giornata.

* * *

Quella sera, rientrati a casa, trovammo papà nell’atrio intento a togliersi la giacca.
« Papà! » esclamò Julian, lanciandosi nelle sue braccia spalancate.
« Ah, come sta il mio comandate? » chiese, la voce da baritono capace di raccontare favole fantastiche.
« I venti sono contro di noi, capitano. » rispose Julian, ingrossando la voce.
« Corpo di mille balene! » esclamò l’altro, in una tipica frase marinaresca. « Dobbiamo aspettare, prima di poter issare le vele. » gli rispose papà, fingendosi serio.
Julian rise. « Papà, abbiamo preso la nave! »
« Allora, alla prima occasione, la faremo navigare in vere acque. »
Io e la mamma ridemmo sotto i baffi a quella scena, mentre Marnie e Caterina ci aiutavano a toglierci i pesanti mantelli.
Papà posò Julian a terra che corse subito da Terence, un valletto, per farsi recuperare la nave dalla carrozza.
« Ah, Julius. Ti vizi troppo tuo figlio. » disse mia madre, dolcemente, mentre gli sistemava la giacca e riceveva, come premio, un bacio altrettanto dolce.
« Mai come ho viziato e vizio ancora te, mia cara. »
Persi nel loro mondo fatto d’amore e di coccole, mi allontanai discretamente e risalii in camera, dove quella povera di Marnie era intenta a mettere apposto i vestiti ritirati e lasciar fuori solo quello che avrei messo quella sera.
Poiché ero una debuttante, la gamma dei colori disponibili era molto ristretta: la scelta era tra il bianco – ovvio –, il rosa pallido e l’azzurrino. Tutti colori che non mi donavano.
Quello che avrei indossato per la serata alla festa era bianco, con le maniche lunghe e strette, velate da un ricamo di fiori e lo scollo pudico e rotondo orlato di pizzo. Il corpetto era semplice, di raso, una fascia azzurrina, anch’essa di raso, girava intorno alla vita e l’orlo della gonna aveva ricamati dei piccoli fiori dello stesso azzurro della fascia. A completare il tutto, le scarpine di raso bianche e con un fiore cucito sopra, chissà di che colore?
Sospirai. Quel giorno non avevo fatto altro.
« Marnie, fai preparare un bagno. » ordinai.
La cameriera chinò il capo e uscì dalla stanza.
Quello che più mi dava da pensare non era il ballo a cui avrei partecipato, non era l’irritazione che saliva alla prospettiva di passare un’intera serata come bersaglio mobile delle sue Gemelle Odiose.
No.
Quello che mi occupava la mente da quando ero uscita dall’atelier era quello sguardo diamantino, così seducente e misterioso. Ogni volta che mi era capitato di incrociarli, dei brividi caldi avevano attraversato la mia schiena e il cuore aveva palpitato, pericolosamente vicino ad un infarto.
Mezz’ora dopo, ero a mollo nella vasca da bagno, riempita con oli profumati alla bella di notte, un fiore tipicamente italiano – altro regalo di papà – tentando, in ogni modo, di schiarirmi le idee e prepararmi mentalmente alla battaglia a cui avrei partecipato.

* * *

Alle otto di quella sera, ero pronta per andare al ballo delle Gemelle Odiose.
Mernie diede un ultimo tocco all’acconciatura: aveva raccolto i capelli in cima alle testa in un intreccio, mantenuto da fermagli abbelliti da perle, e aveva lasciato delle ciocche naturalmente ondulate ai lati delle tempie, sfioranti le guance.
Stavo bene, qualsiasi cosa, pur nascondere la natura selvaggia dei miei capelli, cosa alquanto fuori moda a detta di Madame Rosette.
Qualcuno bussò alla porta.
« Avanti. »
Julius Williams, mio padre, fece ingresso nella stanza, vestito elegantemente di nero, con una cravatta di seta grigio perla e un panciotto ricamato dello stesso colore. La camicia bianca metteva in risalta la sua pelle abbronzata, segno dei viaggi che aveva compiuto oltremare, stando a bordo di una nave.
Si tirò indietro una ciocca di capelli castano-dorati (i miei) e sistemò il nodo della cravatta.
« Sei uno splendore, tesoro. » disse, facendomi fare una piroette.
« Oh, anche tu stai bene, papà. » gli sorrisi. « La mamma è pronta? »
Aggrottò le sopracciglia. « Miracolosamente sì, è già pronta. »
« Mhm, credo che stia tramando qualcosa. » m’insospettii.
Mio padre annuì con me. « Lo credo anche io e non è mai un bene. » Poi mi scrutò, con i suoi occhi verdi simili ai miei. « Sei nervosa? So che non vai molto d’accordo con le figlie di Lord Crafter. »
Scrollai le spalle, scuotendo la testa. « No, non sono nervosa. È solo che… »
« Avresti preferito rimanere a casa, a leggere un buon libro, magari. »
Sospirando, annuii. « Non mi piacciono i balli. Tutti spettegolano su tutti, non puoi parlare con nessuno senza destare qualche chiacchiera maligna e se non sei considerata adatta come moglie, vieni messa in un angolo, seduta con le matrone e le accompagnatrici delle debuttanti. »
Papà mi sorrise, trasmettendomi dispiacere e tenerezza.
« Lo so, tesoro. Se potessi, ti chiuderei in casa dove nessun uomo ti possa portare via da me o farti del male. Ma purtroppo, con un tipino come tua madre non credo che sia fattibile. Lei vuoi le tu sia felice come noi, che trovi lo stesso amore che proviamo l’una per l’altro. » Mi accarezzò una guancia e vi depose una bacio. « Ti voglio bene, figlia mia. »
« Anche io ti voglio bene, papà »
Mi avvolse in un abbraccio forte e rassicurante, che aveva il calore del suo amore paterno.
« Su, » disse, sciogliendo l’abbraccio. « Scendiamo, prima che tua madre abbia una crisi isterica. »
Ridacchiando insieme a lui, uscimmo dalla stanza e scendemmo nell’atrio.
Mamma era splendente con il suo abito di velluto color ghiaccio, dal corpino ricamato e le maniche strette. La gonna era un unione tra pizzo e tulle. In più, il colore faceva risaltare quello degli occhi e la collana con una perla a goccia sottolineava la linea flessuosa del collo di cigno.
« Oh, buon Dio, quanto tempo ci vuole per scendere? » esclamò appena arrivati.
« Perdonaci, cara, ma, ammirando la bellezza di nostra figlia ci siamo attardati. » disse lui affabile, accarezzando il braccio della mamma.
Lei spostò lo sguardo su di me e mi scrutò con occhio critico.
Un sorriso luminoso le curvò le labbra. « Sei splendida, tesoro. » constatò, venendo ad abbracciarmi. « Stasera, metterai in ombra tutte le ragazze della sala, anche Wilhelmina Oscombt. »
« Preferirei di no. Wilhelmina è la migliore amica delle Gemelle Odios… delle figlie di Lord Crafter. » mi corressi, sotto lo sguardo rimproverante di maman. « Sarebbe controproducente farmela nemica. »
« Oh, non dovresti pensare a cose del genere, sei troppo giovane. »
« Milady, » si intromise Caterina, mentre mi lanciava uno sguardo commosso. « La carrozza è pronta. »
  
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