Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Eliandrah    15/01/2012    0 recensioni
In Paradiso tutto sembra pronto per l'ultima battaglia contro il Maligno. Tutto, o quasi... Due angeli si troveranno a dover espiare i propri presunti peccati sulla Terra, privati d'ogni ricordo, ma sopra ogni cosa della propria Grazia. Un racconto ambientato nell'America del passato, nell'America dell'intolleranza e dell'odio nei confronti dei popoli nativi. Ispirato liberamente a fatti realmente accaduti, è intessuto costantemente di riferimenti espliciti o meno al soprannaturale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando il soldato gli chiese dove fosse la sua famiglia, Christian avrebbe voluto replicare senza esitare “Hartford”, la città che dovette abbandonare dopo la morte di sua madre. Di lui s’era preso cura il vecchio Samuel Colt; l’aveva trattato come un figlio piuttosto che come un nipote, dopo averlo condotto in quella piccola città sperduta ai confini del Texas a molte, troppe miglia dal Maine. Esther e suo padre lo avevano accolto come uno di famiglia, e lo era a tutti gli effetti. Dopotutto era pur sempre il figlio unigenito della sorella deceduta di Nathaniel Colt. 
«Red River» rispose quindi, «la mia famiglia è a Red River City, ad un paio d’ore dall’accampamento Cheyenne.»
L’uomo incaricato di porre fine alla sua vita ma che per qualche arcano motivo l’aveva risparmiato, sembrava ora volerlo portare al salvo, a casa. Casa. No, non senza Esther! Con quale coraggio avrebbe guardato in faccia Nathaniel per dirgli che sua figlia era rimasta vittima della loro stessa imprudenza?
Avrebbe voluto dimenarsi e scappare, Christian, ma i soldati l’avevano conciato davvero per le feste, già il solo fatto che riuscisse a stare in piedi con le proprie gambe era un miracolo.
«Prego Dio affinché non abbia alcuna pietà per voi e per Custer.» disse al limite tra l’ira e la disperazione, senza curarsi di una eventuale reazione violenta da parte del suo carceriere e salvatore. 
Ma la fuga proseguì nel silenzio più totale. 
Nessuno dei due, avrebbe mai lontanamente immaginato che di lì a poco la preghiera di Christian sarebbe stata esaudita.

***

«Padre!»
La figura eterea di Pentola Nera stava di spalle, sembrava rimirare la riva del fiume Washita, a pochi passi da lui. Chaschunka lo raggiunse ma non osò avvicinarglisi. Non era reale tutto ciò, lo sapeva bene. Aveva imparato a distinguere la realtà dalle visioni sin da piccolo, quando suo padre lo accompagnava nella propria tenda ad assistere alle sedute per evocare ed entrare in contatto con gli spiriti del Vento.
«Il nostro popolo non avrà mai pace, Chaschunka. Avevi ragione.» 
L’indiano volse lo sguardo vacuo per incontrare quello del giovane, quindi alzò un braccio ed indicò un punto alle spalle di suo figlio. L’accampamento Cheyenne raso al suolo, uomini sgozzati e deturpati, donne incinte dal ventre squarciato. La neve aveva assunto il colore del sangue. Chas chiuse per un attimo gli occhi, disgustato, senza tuttavia allontanare dalla propria mente quello scenario di morte e distruzione.
«Avevi ragione tu…» ripeté Pentola Nera, ora a pochissimi passi dall’uomo. Quasi fluttuasse nell’aria gli si avvicinò ulteriormente, quel poco che bastava per sussurrargli all’orecchio le stesse parole che aveva sussurrato esalando l’ultimo respiro. 

“Grande Spirito Nero del Nord,
di nere nubi è il Tuo corpo immenso.
Ed è per questo, Grande Spirito Nero,
che io Ti invoco e dono a Te
il mio ultimo soffio di Vita.
Grande Spirito Nero, restituisci Pace
alle Anime dei tuoi figli in pena.
Grande Spirito Nero del Nord,
estingui il Nemico.”

Nessuno meglio di uno Sciamano, avrebbe potuto lanciare una maledizione potente come quella. E Pentola Nera tra le popolazioni indiane meridionali, era il Cacciatore di Spiriti più influente e temuto. Un grido di terrore squarciò il silenzio dello studio Gravestone. A quel suo stesso grido Chaschunka spalancò gli occhi, terrorizzato.

***

«Se mi permetteste solo di passare più tempo con voi...»
George sciorinava un mucchio di belle parole, ma Elizabeth non ne stava ascoltando neppure una. Sorseggiava dalla sua tazzina del tè, seduta composta sull'elegante divano scarlatto del salone principale poco distante dallo studio del dottor Gravestone. Nemmeno si sforzò di spostare il suo sguardo sul ragazzo che in maniera spassionata e ridicola stava confessandole i suoi sentimenti. Elizabeth sapeva bene che in realtà l'affetto di George era tutto rivolto al suo denaro. Amina sostava dietro di lei in silenzio, quasi fosse una statua di cera che faceva parte del mobilio. La domestica sapeva a cosa stava pensando la ragazza in quel preciso momento: da suo padre Elizabeth era riuscita a farsi rivelare ogni particolare dell'accaduto e la giovane era a conoscenza di quello che era avvenuto a Esther e all'accampamento degli indiani Cheyenne. Sapeva che Esther era stata violata barbaramente e che gli indiani erano stati tutti sterminati, eccetto una giovane indigena e un uomo bianco, cresciuto con quella popolazione.
«Voi cosa ne pensate di quello che è accaduto stamane?» domandò, costringendo George a zittirsi all'istante.
Amina roteò gli occhi al cielo ma non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito. Il caratterino della ragazza a volte poteva apparire insopportabile, ma lei sapeva che la sua padroncina aveva in realtà un cuore grande e pietoso. Fu lei a insistere perché suo figlio non venisse venduto e allontanato dalla tenuta dei Gravestone, ma anzi venisse assunto come garzone. Amina gliene sarebbe stata grata per l'eternità.
George parve spiazzato da quella domanda.
«Come? Cosa ne penso? Sicuramente quella era una popolazione ostile alla civiltà e al progresso, quindi è da ritenersi certamente sottosviluppata. Il generale Custer avrà avuto i suoi validi motivi per ordinare un'azione simile. Ora saremo più al sicuro.»
Il giovane pronunciò quelle parole con assoluta noncuranza, come se stesse parlando delle condizioni del tempo o di un fatto quotidiano assolutamente naturale. Elizabeth lo fissò per una manciata di secondi, si piegò per riporre lentamente la tazzina nel piattino davanti a sé e tornò a guardare il damerino infiocchettato. Le ci volle tutto il coraggio possibile per non afferrare la teiera e sbattergliela violentemente in testa. Sarebbe stato un enorme spreco per la collezione di ceramiche di sua madre.
«Non potete di certo ritenere i membri di una popolazione sottosviluppata solo perché non si fanno il bagno nell'acqua di colonia esattamente come fate voi, non lo credete?»
George non capì l'acume di quella battuta e non rispose. Elizabeth fece allora per riaprire bocca ma un grido spezzò la quiete e le fece gelare il sangue nelle vene. George balzò in piedi imitato subito da Elizabeth.
«State calma, mia cara. Sarà stato quel selvaggio che...»
La ragazza senza neppure dargli ascolto lasciò il salone a lunghi passi. Amina la seguì come fosse la sua ombra. George provò a richiamarla indietro ma lei non lo ascoltò. Quando Elizabeth raggiunse lo studio di suo padre, Thomas Gravestone era chino sul corpo dell'uomo riportato ferito dall'accampamento Cheyenne.
«Padre!»
Il dottor Gravestone le fece cenno di allontanarsi ma Elizabeth non gli ubbidì. S'avvicinò al moribondo e lo scrutò oltre le spalle di suo padre. Lo sentì dire parole in una lingua che lei non aveva mai udita.
«Padre cosa sta dicendo?» domandò.
Poi si voltò a dire ad Amina:
«Va' a chiamare mia sorella!»
Amina si congedò all'istante. Elizabeth tornò a guardare il moribondo e s'avvicinò ancora, così tanto che lui allungò una mano per afferrarle un polso. La ragazza lanciò un grido di stupore in seguito al quale l'uomo mollò subito la presa.
«Stai lontana!» la sgridò suo padre levandola da una parte.
Prima di fare qualche passo indietro incrociò gli occhi chiari e glaciali dello sconosciuto per un istante, ed ebbe un brivido che le percorse tutte le membra. Suo padre tentò di somministrargli altro laudano per farlo calmare ma lui s'oppose blaterando nella lingua dei musi gialli. Thomas Gravestone dovette capire qualcosa perché rinunciò a quel proposito e ordinò a sua figlia di versare dell'acqua in un bicchiere. Elizabeth ubbidì muovendosi svelta e celando bene il suo nervosismo. Quelli erano davvero i più begli occhi che avesse mai visto, così colmi di tristezza, dolore e assieme bellezza.
Esther intanto dormiva ancora profondamente nel suo letto. Chissà come doveva aver sofferto lei, violata da un uomo senza avere la possibilità di difendersi o scappare. Rabbrividì a quel pensiero. E giurò che semmai avesse avuto occasione di incrociare anche solo per un istante quel barbaro lo avrebbe picchiato e ingiuriato con tutta la poca forza che aveva in corpo.
Anne entrò nella stanza assieme ad Amina. Elizabeth passò il bicchiere a suo padre, che provvide subito ad abbeverare il ferito, e s'accostò a sua sorella afferrandole le mani.
«Devi chiedergli il suo nome e cosa gli è successo» le sussurrò a voce bassa «Non appena papà lascerà la stanza devi farlo, per me.»
Elizabeth riuscì a strappare a sua sorella quella promessa. Pochi occhi come quelli erano riusciti a turbarla in quel modo. Amina intuì cosa la sua padrona stava provando e scosse la testa. Grossi guai stavano per piombare in casa Gravestone, uno scossone di una tale portata che nessuno sarebbe mai riuscito a prevederne gli effetti.

***

Nella stanza era tornato il silenzio più assoluto, dopo che Chaschunka si era riaddormentato e Thomas aveva ordinato alla figlia maggiore di uscire per tornare dal fidanzato assieme ad Amina.
Anne si trovò sola, seduta tra i due lettini. Un rosario stretto nella mano destra, lo stesso che sua madre le aveva dato quella mattina. “Prega per queste povere anime dannate”, aveva tagliato corto Agnes, la quale aveva blaterato qualcosa sul peccato di cui si era macchiata Esther, giacendo con uno sconosciuto, e sull’esistenza ignobile dello straniero senza Dio né fede. Ma cosa ne sapeva lei di Dio e della fede, o della sofferenza che provava e che forse avrebbe provato per il resto dei suoi giorni Esther? Quella donna era l’unica persona al mondo in grado di disgustarla. Quella donna, che non era affatto sua madre… Né l’avrebbe mai e poi mai reputata tale.
«Sanuye...»
La voce tetra e roca di Chaschunka richiamò l’attenzione di Anne, che si alzò immediatamente per avvicinarsi al letto dell’uomo semicosciente e afferrargli una mano. Sanuye. 
Il ragazzo l’aveva chiamata in quel modo più d’una volta, durante le visite mediche con suo padre all’accampamento Cheyenne. E quando Anne gli aveva chiesto cosa significasse, Chaschunka le aveva sfiorato i boccoli impeccabili che scendevano armoniosi sulle spalle, indicando poi le nuvole all’orizzonte. Rosse, come i suoi capelli.
«Dove mi trovo? Pentola Nera?» chiese nella sua lingua indigena, consapevole che Anne riuscisse a capirlo.
«Siete a casa mia. Pentola Nera, la vostra gente… Non c’è più.» rispose Anne molto lentamente, utilizzando lo stesso linguaggio dell’amico.
Chaschunka chiuse gli occhi e rimase immobile sotto la coperta, nonostante Anne avesse creduto per un istante che a quella rivelazione avrebbe potuto agitarsi o persino tentare di fuggire.
«Cosa è successo?»
«L’esercito ci ha colti nel sonno. E’ stato un massacro…»
La voce del ragazzo era rotta dalla disperazione e dal dolore che iniziava a provare, a causa del trauma cranico e qualche costola rotta. Rivisse in un attimo i momenti peggiori di quell’assedio; i suoi stessi fratelli cadere disarmati ai colpi mortali del nemico, altri combattere eroicamente ma inutilmente. Fiumi di sangue, feti strappati dal ventre delle loro madri… Chaschunka non si curò di nascondere le proprie lacrime che ora scendevano copiose ad inumidire il cuscino. 
Anne dal canto suo non aggiunse altro, né abbandonò la mano del ragazzo. E promise a se stessa che avrebbe fatto tutto quel che era in suo potere per preservare la vita di Chaschunka. Così le aveva insegnato Thomas Gravestone, l’uomo che aveva dedicato interamente la sua vita a salvare quelle degli altri, nonché quella di Anne stessa.
«E’ un peccato. La pioggia scioglierà la neve…»
Anne si voltò, felice di sentire la voce, sebbene estremamente debole, di Esther, ma subito nel suo volto si dipinse un’espressione di sgomento. La ragazza dai capelli biondi aveva lo sguardo malinconico fisso sulla finestra.
Un’immensa nube oscura si stava avvicinando da Nord ad una velocità inusuale. Un temporale di tale portata, sempre se di temporale si fosse trattato, non s’era mai visto in quel periodo dell’anno.
«Sta giungendo!» l’esclamazione di Chaschunka indusse Anne a spostare nuovamente l'attenzione su di lui. Un ghigno soddisfatto aveva distorto il bel viso del ragazzo dagli occhi blu.

***

Sentì e accolse la preghiera dell'anima moribonda ferita e mutilata del Cacciatore di Spiriti. Vendetta, una orribile vendetta stava per pendere sulle teste degli uomini che si erano macchiati di crimini indicibili. Il Grande Spirito Nero del Nord assunse forma umana e camminò sulla terra, tra quei mortali per i quali la fine era molto vicina.

   
 
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