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Autore: _diana87    15/01/2012    5 recensioni
[Possibile alzamento di rating per i temi trattati]
"Qualcuno dice che la guerra più grande da combattere è quella interiore, contro noi stessi."
Un pacco bomba esplode al 12esimo distretto. Un caso o un attentato? Fatto sta che quello stesso giorno Castle viene inviato dalla sua casa editrice in Israele per scrivere qualcosa di diverso, un racconto-reportage sulla primavera araba in corso; nel frattempo Beckett, Ryan ed Esposito vengono scelti per addestrarsi insieme ai marines in Iran. Separati dalla guerra che irrompe all'esterno, Castle e Beckett riusciranno a ritrovarsi? Ma sopratutto la battaglia più grande per Beckett sarà quella interiore: combattere contro i suoi demoni che le riportano alla mente quando rischiò di morire.
Storia narrata dal punto di vista di Kate Beckett.
Storia classificata all'11° Turno dei CSA al 1° posto nella categoria "Sad".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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Tra pochi giorni ho l'esame ma non temete... l'aggiornamento non può mancare!!
Buona lettura e ancora grazie a chi legge e segue questa storia :)



Quando la magia finisce, subentra la fede.

 
 
 
"E' stata un'offensiva, agente... lei lo sa, il governo lo sa, non possiamo non dare l'allarme..."
"Sei pazzo? Così richiameremo l'attenzione della stampa internazionale! I giornalisti verranno qui, noi dovremmo fare una conferenza stampa... e avremmo altre vite a cui guardare! Agente McNeil, non lo ascolti..."
"Sai che ho ragione, Tacker... non possiamo starcene zitti... altrimenti il governo non ci invierà gli aiuti!"
"Chiudi il becco, Douglas! Il governo sa che siamo nei guai, ci penseranno loro!"
Rispettivamente Wallace Tacker e l'agente speciale Mike Douglas discutono animatamente intorno ai marines e tutti noi, rivolgendo le loro attenzioni a Samuel McNeil, il quale, inerme, continua a fissare il vuoto davanti a lui.
Stiamo dietro di un tavolo, dove McNeil è al centro tra i due agenti-soldati. Braccia allungate verso i due lati del tavolo, tamburellando con le dita sul legno... cercando un segno dal cielo... o in questo caso, la manna dal cielo.
Noi poliziotti "improvvisati marines" e il resto dei soldati guardiamo questo scambio di pareri da una parte all'altra, muovendo la testa da Douglas e Tacker, come se stessimo guardando insieme la stessa partita di tennis.
"Basta!! Mi avete stancato!!" McNeil ferma il match sbattendo le mani sul tavolo.
I due agenti colpevoli si zittiscono immediatamente e portano le mani dietro la schiena, mettendosi in posizione di attenti.
"Sisignorsì signore."
Samuel li osserva accigliato e passeggia per quel piccolo quadrante osservandoci. Ho quasi paura del suo sguardo così impenetrabile. Non riuscirei neanche ad immaginare quali siano i suoi pensieri. Del resto ha ragione, la situazione è veramente grave.
"La verità è che... nessuno ci aveva preparato a questo che dovrà avvenire."
Le sue parole rimbombano nelle nostre teste come tamburi e poi vanno a svanire lentamente come un eco in lontananza.
Loro dicono di non sapere cosa ci aspetta, ma il Governo sono sicura ne sa qualcosa. Altrimenti non ci avrebbero portati qui.
Come se mi avesse letto nel pensiero, Samuel inizia a spiegare la sua teoria alla sua troupe.
"Il Governo sa qualcosa. Ma mandare qui giornalisti e reporter sarebbe pericoloso. Sappiamo che ogni giorni ciascuno degli inviati rischia la propria vita in questo 
territorio e qualcuno di essi muore. La verità è che gli iraniani si aspettavano un nostro arrivo e il Governo sapeva dell'offensiva. Del perchè non ci abbia 
avvisato... non lo so neanche io." conclude amareggiato e rivolge lo sguardo verso di me.
A quanto pare, ho ottenuto la risposta che cercavo.
Siamo davvero in guerra.
Quanto vorrei che Castle fosse qui con me... lui saprebbe come tendermi la mano e attraversare una strada buia verso una luce fioca e distante... ma ho 
promesso a me stessa che ce l'avrei fatta... ho promesso che avrei abbattuto mano a mano il mio muro... e ho promesso alla mia amica Lanie e a mio padre che 
sarei tornata sana e salva a casa.
Posso farcela.
"Siamo in guerra, signori. Stanotte dormite caldi e premoniti perché l'indomani cercheremo prima di avere un incontro diplomatico col presidente iraniano. In 
caso contrario, se ci venisse respinto... beh... sapete come andrà a finire. Buona notte."
McNeil ci congeda e in file scomposte ci riposiamo nel nostro accampamento. Quante volte dall'inizio di questa missione avremo cambiato letto? Non ricordo 
neanche più che giorno è.
 
Come al solito, io, Laura e Bridget stiamo riposando nella stessa tenda. Cerco di fare dei calcoli mentalmente, cercando di ripercorrere ogni giornata passata fuori 
casa, ma è inutile. Quindi prendo il mio cellulare, vado nell'applicazione dell'agenda elettronica, e inizio a contare i giorni.
"Cosa stai mormorando?" mi chiede Bridget mentre spazzola i suoi folti capelli biondi.
Quando la chiamavo "Barbie" non avevo tutti i torti. A occhio e croce ha dei capelli lunghi quanto i miei e quasi più mossi. Come farà a mantenerli così con tutto 
questo cambiamento di temperatura è un mistero.
"Ah ciao Bridget.. sto contando i giorni, cercando di capire da quanto tempo è che siamo fuori casa."
La bionda detective si accovaccia insieme a me sulla mia brandina.
"Facile. Sono passati 21 giorni dall'inizio della missione. Incredibile, vero?"
La guardo sbalordita.
"Incredibile è come fai a ricordarlo! A me sembra sia volato..."
"Perchè passavi più tempo con lo scrittore che con noi ad addestrarti." mi dice facendo l'occhiolino.
Arrossisco leggermente. Faccio per dire qualcosa ma lei mi blocca.
“Volevi sapere perché stringevo tra le mani quella catenina col crocefisso?”
Boccheggio, incerta su cosa rispondere. Sarebbe una curiosità da scoprire, perché non si finisce mai di capire una persona.
“Bridget, non devi, davvero---“
Ma lei mi risponde tutt’altro, iniziando a fare un discorso che io neanche so che fine avrà.
“Questo posto è incantato. Adoravo Aladdin da piccola... mi ricorda il mondo delle favole. Poi improvvisamente si è colpiti da un attentato. Le persone piangono, altre muoiono. Ed è proprio nel momento in cui finisce la magia che subentra la fede.” Prende il crocefisso che ha dentro la maglia, si toglie la catenina e me la offre.
“Dovresti pregare anche tu qualche volta. Ora come mai, è l’unica certezza che ci resta.”
Prendo la catenina. È un bel crocefisso. Sicuro è argento. Lo noto da alcune perline che luccicano ai lati della croce. Ora che ci penso, credo che mia madre non ne abbia mai avuta una.
“E’ molto bella, ma... io tento a credere nel razionale.” Gliela restituisco con cura e lei se la riprende manco fosse una reliquia.
“Se dovesse servirti, fammelo sapere.”
Ci congediamo pensando alla notte che passeremo, mezze sveglie o in dormiveglia. Colpa dei soliti fuochi ed esplosioni che ci saranno durante la notte.
 
“Piccola Kate, un’azione diplomatica è quando due paesi tentano di parlare prima di passare alle armi.”
“Perché dovrebbero passare alle armi, mamma?”
“Perché i loro messaggi non sono stati compresi, oppure non intendono accettare la pace.”
“Uhm non capisco.”
“Sono discorsi difficili per una bambina di 8 anni, Kate. Adesso andiamo a dormire, okay?”
 
Questa era più o meno la spiegazione che mi dava mia madre. Ed è più o meno quello che sta succedendo ora. Noi cerchiamo di immaginare la dinamica, ma siamo solo poliziotti, non soldati. Il massimo per noi quando si parla di diplomazia è negoziare col nemico. Si negoziano gli ostaggi, le informazioni. Noi diamo ad un delinquente ciò che vuole, e in cambio vogliamo che lasci in vita delle persone.
McNeil e Douglas tornano sfiniti dal loro meeting virtuale col Presidente iraniano, seguiti da un traduttore. Hanno esaurito le loro forze. Hanno le fronti sudate e sui loro occhi traspare niente se non che hanno lavorato duramente per concludere la trattativa.
Chiedevano all’Iran di fermarsi con i loro test nucleari e di non danneggiare l’America perché noi americani veniamo in pace. Ma gli iraniani non si fidano di noi perché siamo alleati di Israele, ed Israele è loro nemico. Se noi difendiamo Israele, l’Iran ci attacca. Concetti basilari di storia che in un momento come questo diventano utili.
Mentre Douglas prosegue avanti, McNeil si sofferma su un gruppetto formato da me, Esposito e Ryan. Ci guarda e scuote la testa da sinistra a destra. Si avvicina a me e posa la sua mano sulla spalla destra. È pesante, è affaticato. Cerca un appiglio, perché non sa come gestire la situazione. È affranto, pensava di risolvere un conflitto con le parole. Ma in un mondo come questo, le parole servono a poco. Ha il viso corrugato che lo fanno apparire più vecchio di quanto non lo sia. Si allontana a passo lento. Sta perdendo le forze. Resto imbambolata a pensare, se non fosse per i miei due colleghi che mi riportano alla realtà.
“Beckett?... Becks?” sento dire in lontananza... ma Esposito e Ryan sono qui vicino a me. Mi volto e sono uno a fianco all’altro. Uno alla mia sinistra e l’altro alla mia destra. Come due angeli custodi.
Nervosamente mi gratto la testa, cercando le parole per dire qualcosa... qualcosa che evidentemente anche loro hanno capito. Finalmente li fronteggio, cercando di apparire più alta, più composta.
“Siamo ufficialmente entrati in guerra con l’Iran.”
 
I giorni che ne seguiranno saranno difficili. Ci armiamo, ci mettiamo le tute militari, prendiamo anche l’elmetto dei soldati, e a gruppi di cinque persone saliamo sui nostri pick-up militari, mimetici anche questi, come il nostro abbigliamento.
Ryan ha salutato Jenny tramite skype, dicendole tutto ciò che sta accadendo. Comunque, in un modo o nell’altro, sarebbe venuta a saperlo tramite il telegiornale. E poi loro due hanno un rapporto di assoluta fiducia e di amore reciproco. Jenny è scoppiata a piangere allo schermo e Kevin ha fatto lo stesso. Ci è voluto l’aiuto mio e di Esposito per far chiudere la conversazione. È dura, lo sappiamo, ma non abbiamo altra scelta. Javier ha fatto lo stesso chiamando Lanie e finalmente le ha detto quello che prova. Dice che dopo il matrimonio di Kevin e Jenny ha capito di amarla. Io non posso far altro che sorridere, sono contenta per loro. Tuttavia, non ho voluto chiamare Rick. Non adesso. Lui ha altro a cui pensare. Mi bastano le sue parole piene di coraggio per farmi andare avanti. Adesso la Beckett che è in me, la parte forte, deve lasciare la piccola Kate alla spalle. Deve farcela da sola.
Il territorio è ostile; c’è un misto di emozioni tra la paura e l’eccitazione. Ad essere contenti sono soprattutto i giovani marines che si sono arruolati per conoscere la guerra, per far parte di un mondo del tutto nuovo. Ora come ora, non vedo cosa ci sia di eccitante nell’uccidere un'altra persona in battaglia. Nel nostro pick-up siamo io, due soldati che non conosco e c’è anche quel giovane soldato che all’inizio della nostra missione, mentre ci addestravamo, ci raccontava i suoi sogni e le sue speranze. È il soldato del blitz a Bin Laden.
“Gliela faremo vedere noi a questi iraniani di merda... Dio benedica l’America!” urla, alzando il mitra verso il cielo.
Tacker, alla guida del pick-up, ferma all’improvviso, poi lo fa sedere, strattonandolo.
“Sei rincoglionito o cosa, soldato?! Vuoi morire qui invece che in battaglia?!”
“N-nosignore… io…”
“Tu cosa??” lo prende per il colletto e vedo la rabbia nei suoi occhi, diventati rossi come il sangue. Sta quasi per strozzarlo.
Cerco di fermare la furia del Mastino.
“Basta, sergente! Non vede che lo sta uccidendo??” con forza mi metto tra i due e Tacker si ritira. Mi guarda da capo a piedi.
“Agente Beckett... ne vedrà di gente morire...”
Le sue parole sono dure e mettono paura. Torna al volante del veicolo e io aiuto il giovane soldato a rimettersi seduto.
“Grazie agente.”
“Di nulla.” Gli sorrido lievemente e torno al mio posto.
 
Ci addentriamo verso la città che è un tumulto di genti e di grida. Le persone sono allarmate mentre indicano il fumo provenire dalla centrale di Bushehr. Quei bastardi hanno continuato ad attivare i loro sistemi, e ora tutto il nucleare si sta lievemente espandendo per la città. Corriamo con i nostri pick-up ma veniamo sorpresi da un gruppo di soldati iraniani che ci bloccano. Hanno puntato i loro mitra contro di noi. Siamo circondati da altri uomini a piedi, che ci puntano con altri fucili. Tacker resta fermo, come il resto di noi. I due soldati più anziani non muovono un muscolo, ma li vedo che cercano di prendere le loro pistole dal fodero, nascosto per bene nei pantaloni. L’iraniano a capo del suo veicolo urla qualcosa ed ecco che gli uomini a piedi azionano le armi e...
Bang bang!
Due colpi secchi al cuore ai due soldati.
Non urlo. Cerco di aprire bocca ma è come se le parole non mi uscissero. Sangue. C’è tanto sangue. La testa di uno di loro è zompata dall’abitacolo. Mi giro all’indietro e poso la testa come se fosse morta. Poi chiudo gli occhi. Non voglio vedere altro orrore. Il giovane soldato fa qualcosa di stupido. Si alza, grida e poi si prepara a sparare, ma viene seccato prima che possa farlo.
Una decina di colpi che gli trafiggono il corpo...è quello che riesco a pensare perché non sto guardando. Il mio corpo è inerme. Non riesco neanche a piangere. Sono del tutto bloccata e Dio solo sa perché.
Il capo dei soldati iraniani se la ride e parla di nuovo in farsi ai suoi uomini.
Uno di loro è vicino a me... sento il freddo del metallo dell’arma posizionata vicino alla mia tempia destra...
Poi, con uno scatto, Tacker aziona il suo super mitra che ha sotto i pedali e fa fuoco. Spari dietro e davanti. Sangue, pallottole. Di nuovo urla. Tacker è agguerrito. Quando sento che non c’è più pericolo, salto fuori dal pick-up.
Tacker fa lo stesso.
“Corra agente, corra! Non si guardi indietro!”
Continua a ripetere di correre, mentre continuo a fare quella che sembra una maratona. In lontananza, lui continua a sparare. Spara a più non posso.
Ho il fiatone, e devo anche essermi slogata una caviglia. Ma continuo a correre. E prego Dio come Bridget mi aveva detto di fare.
   
 
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