Tipo di Contenuto: Special
Collocazione: Natale~ Considerate che la storia principale ha inizio in
Agosto, quindi potete farvi da soli un’idea di quanto tempo sia passato. (Okay,
smetto di essere pigra e buzzurra: sono passati circa quattro mesi. Quattro mesi
di convivenza con N… oddio, questa cosa è inquietante.)
Note dell’autrice: C’è solo una parola per definire questo
capitolo: fanservice, fanservice, fanservice. Non tanto fanservice per voi
(pfpt, voi chi sareste? e_e), quanto per me. Auto-fanservice FTW~ Se nella
storia principale riesco a limitarlo, concentrandomi sul filo degli eventi,
negli extra purtroppo non c’è stato modo di trattenermi. Perdonatemi, è che
l’atmosfera natalizia mi rende tanto euforica e in vena di romanticherie e
robaccia varia y__y
Beh, fanservice a
parte, questo special sarebbe dovuto arrivare precisamente per il giorno di
Natale, ma ci sono stati vari problemi, tra cui: 1) La mia buzzurrità; 2) La
buzzurrità di mia sorella, che a un certo punto ha visto bene di cancellarmi il
file; 3) La mia buzzurrità.
Volevo che fosse un
regalo per voi, che tanto fedelmente e stupidamente mi seguite, ma non
ho fatto in tempo ç___ç
In compenso, a
riconferma del fatto che so scrivere solo idiozie, questo capitolo è venuto
fuori lungo come l’Eneide, quindi spero che vi faccia piacere.
E… niente. Ah, sì, una
cosa sola: sono pienamente consapevole che nel mondo dei Pokémon molto
probabilmente (sicuramente?) il Natale non esiste, ma mi sono presa una licenza
poetica, dato che sono l’autrice e voi no, gnè gnè. Insomma, perché sì e perché
è fantasi (?) – chi ha da intendere intenda.
A Very Unruly Christmas
…wishing for a happy, Nardo-less
year!
Kim girò in
fretta la chiave nella toppa, saltellando da un piede all'altro per
riscaldarsi.
C'era aria
di neve. Sì, quest'anno doveva essere per forza quello buono.
«Sbrigati
ad aprire, mi sto trasformando in un ghiacciolo!» la esortò Lee, che,
nonostante la sciarpa e la giacca a vento, stava tremando di freddo già da
diversi minuti.
«Sì, sì...»
sospirò Kim con un sorriso, e girò la maniglia.
Fu come
aver aperto una porta sul Paese di Babbo Natale.
La prima
cosa che saltava all'occhio era l'enorme, altissimo - saranno stati almeno due
metri e mezzo - e coloratissimo albero di Natale che in qualche modo era stato
incastrato nel ridotto spazio tra il divano e la finestra del soggiorno. Era
qualcosa di... semplicemente magnifico. Kim faceva l'albero ogni anno, per
tradizione, ma all'improvviso le sembrò di non averne mai visto uno. C'erano
appese palline di ogni colore e dimensione, sistemate con cura millimetrica; le
più grandi in basso, le più piccole in alto, distanziate equamente l'una
dall'altra, ma con quel pizzico d'imprecisione che donava all'insieme una sorta
di calore e familiarità. Ad esaltare il tutto, un filo di lucine colorate
intermittenti, che tingevano le pareti del soggiorno di un colore diverso ogni
secondo.
Quando,
dopo diversi istanti di ammirata contemplazione, Kim riuscì a distogliere lo
sguardo da quella meraviglia, si accorse che anche il resto della stanza era
addobbato a festa: c'era agrifoglio appeso più o meno ovunque, neve spray su
ogni superficie su cui era stato possibile spruzzarla, piccoli Babbo Natale di
peluche che si arrampicavano su mobili e pareti e...
«Oddio,
quello è un trenino?» chiese Lee, stupefatto, indicando la pista di binari che
girava per il pavimento e la locomotiva elettrica che la percorreva, sbuffando
nuvolette grigie dal fumaiolo.
A quel
punto, Kim pensò di essere arrivata al limite dello stato di sbalordimento in
cui un essere umano potesse trovarsi, ma si ricredette quando vide N uscire
dalla cucina, accogliendoli con un deliziato: «Oh, bentornati! Avete fatto un
po' tardi, iniziavo a preoccuparmi.»
«A...
abbiamo... stavamo...» balbettò Lee, riuscendo a malapena a muovere le labbra
in una posizione che non fosse quella di una "o" perfetta.
«Santo.
Arceus.» lo interruppe Kim, gli occhi sbarrati in un'espressione che stava
precisamente a metà tra stupore e puro terrore. «N... sei un albero!»
Il ragazzo
sorrise e sbatté le palpebre un paio di volte, come se non capisse quale
problema ci fosse.
Kim,
invece, lo capiva benissimo: coperto fino ai piedi da una tuta marrone aderente
- oddio, ma c'era davvero bisogno che fosse così aderente? - e con
un'enorme stella dorata in testa, N era diventato in tutto e per tutto un
albero di Natale antropomorfo.
Kim sentì
le labbra allargarsi e strinse i denti per cercare di trattenersi, ma nel giro
di due secondi aveva già affondato il viso nella spalla di Lee ed era scoppiata
a ridere.
«Non ce la
faccio... muoio...» disse a fatica, la voce e le risate soffocate nel cappotto
dell'amico. Anche lui stava ridacchiando sommessamente, facendole sobbalzare la
testa.
«Non ci
guardare così… è che sei… beh… un albero!»
Kim gettò
un occhio alle sue spalle e notò che, effettivamente, N li stava guardando come
se fosse stato indeciso se chiamare dei semplici paramedici o degli specialisti
del reparto di neuropsichiatria.
Non ce la
fece comunque a smettere di ridere, presa com’era da quello che stava iniziando
a considerare il momento più esilarante della sua vita. Riuscì a distrarsi solo
quando sentì qualcosa di caldo e morbido strofinarlesi sulla caviglia,
facendole il solletico. «Oh, Porchetta.» sospirò, soffocando una risatina. Il
suo Tepig la stava guardando dal basso, e aveva un adorabile cappellino da
Babbo Natale in testa. Kim lo prese in braccio, deliziata. «Cerchi ancora di
intenerirmi per non farti cucinare?»
Porchetta
grugnì, risentito.
«Ho pensato
che gli avrebbe donato.» sorrise N, soddisfatto della sua opera. «Anche se ho
dovuto corrergli dietro parecchio, per metterglielo.»
Kim gli
rivolse un sorriso perfino più candido del suo. «Se scopro che gli hai fatto
male, ti uccido.»
«Kiiim…»
cantilenò Lee, togliendosi la giacca. «Cos’avevamo detto a proposito della
violenza sotto Natale?»
«Non ho
detto che l’avrei ucciso oggi. Posso farlo domani.»
«Uhm, mi
sembra legittimo.»
«Ma neanche
un po’!» esclamò N, allarmato.
Kim sorrise
e fece un passetto indietro. «Ah!» esclamò, portandosi una mano al viso. «Mi…
mi è entrato qualcosa nell’occhio… Lee…»
Il ragazzo
sospirò e fece per avvicinarsi a lei, ma si bloccò a metà strada. «Kim…»
l’apostrofò, incrociando le braccia.
«Che c’è?
Sbrigati, finirò per diventare orba!» si lamentò lei, strofinandosi l’occhio
sinistro con forza. «E se dovesse succedere, poi tu dovresti accompagnarmi in
ospedale per i controlli, aiutarmi con la riabilitazione e sopportarmi per ore
e ore mentre mi lamento di quanto fosse bello vederci da entrambi i lati, e…»
«Pensi davvero
di riuscire a fregarmi? Non impari mai.»
Kim si
morse la lingua. Accidenti, l’aveva beccata. Lasciò cadere il braccio lungo il
fianco e sbuffò. «Non è giusto, non puoi accorgertene sempre!»
«Certo che
posso.» ribatté Lee, con appena un filo di boria. «Ma devo ammettere che sei
davvero persistente. Per non dire “fastidiosamente testarda”.»
N li guardò
entrambi con aria sperduta. «Eh? Di che state parlando?»
Lee indicò
il soffitto. «Vischio.» disse, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
«Sono anni che Kim ci tenta.»
«È… è una
lunga storia.» bofonchiò lei, arrossendo.
N arricciò
le labbra e inclinò il capo, facendo dondolare un poco la stella dorata che
aveva in testa. «Che tipo di lunga storia?» chiese, sospettoso.
Kim alzò
gli occhi al cielo, incrociando quello che ormai era sicura essere uno sguardo
beffardo da parte del vischio appeso al soffitto. Non poteva dire che si
trattasse esattamente della sua ossessione natalizia, ma ci andava molto
vicino. «È iniziato tutto cinque anni fa.» sbuffò, risentita, spostando lo
sguardo dall’odiosa pianticella ad N. «Il giorno di Natale.»
Un
paio di scarpette rosse, come quelle di Dorothy.
Solo
che quelle erano inutili. Quante volte aveva battuto i tacchi, quella sera,
nella speranza di venire trasportata magicamente da un’altra parte, qualsiasi
altra parte? Eppure lei era ancora lì, la musica natalizia ancora troppo forte,
gli invitati ancora troppo rumorosi e la sua bibita ancora troppo analcolica.
Sentirsi
fuori posto in casa propria non era una novità, per Kim, ma quella serata si
stava rivelando tra le peggiori e più soffocanti che avesse mai vissuto.
«Perché
non vai a salutare Komor? È appena arrivato, insieme a i suoi genitori.»
La
voce di sua madre la fece sobbalzare. Credeva di averla persa mezz’ora prima al
tavolo degli antipasti, immersa in un’inutile conversazione sul colore del
vestito di Serena Borghese; e invece eccola lì, con la sua perfetta crocchia di
capelli biondi e il suo sguardo indagatore. Una qualsiasi altra madre sarebbe
stata lì per assicurarsi che sua figlia si stesse divertendo, ma non lei:
Melissa Stewart era lì unicamente per controllare che non venissero trascurati
gli onori di casa.
«Te
l’ho detto almeno un milione di volte, mamma.» borbottò Kim, lo sguardo fisso
sul suo bicchiere di aranciata. «Komor è uno sfigato e io non ci parlo. Suo
padre è amico tuo, non mio.»
Parole
sbagliate, decisamente sbagliate. La donna la guardò come se fosse stata una
mosca spiaccicata sul parabrezza della sua auto nuova. Non era un bello sguardo.
«Io invece credo che tu abbia molta voglia di andare a salutarlo. Più o
meno quanta ne hai di andare ad Austropoli, la settimana prossima.»
Per
la prima volta dall’inizio di quella conversazione, Kim alzò lo sguardo,
sbigottita. «Ma me l’avevi promesso!» esclamò, in un pericoloso acuto che
rimbombò nelle sue stesse orecchie.
«Non
alzare la voce, Kimberly.»
«Ma
l’avevi detto! Non puoi tirare indietro una promessa!»
«E
tu hai promesso a me di comportarti per bene stasera.» ribatté sua madre, con
fredda gentilezza. «O sbaglio?»
Kim
batté piano i tacchi delle scarpe uno contro l’altro, tre volte. Portatemi
via, li implorò silenziosamente. Fatemi sparire, tiratemi fuori di qui. «Con
Komor non ci voglio parlare. Non è mio amico.» insisté, testarda. Sentì gli
occhi cominciare a pizzicarle.
«Allora
diventa sua amica.» sibilò la donna, prendendole il mento tra le dita per
costringerla a guardarla negli occhi. «Non farmi perdere la pazienza, Kimberly.
Va’ a fare il tuo dovere, se non vuoi pagarne le conseguenze.»
Kim
conosceva bene quel tono. Non c’era scampo: poteva rifiutarsi e scalciare anche
per ore, ma sarebbe servito soltanto a peggiorare le cose. Batté nuovamente i
tacchi delle scarpe, ma non successe nulla.
«E
va bene, e va bene, ci vado. Ma anche ad Austropoli.»
Il
sorriso di sua madre si rilassò. «Ecco, brava. Sapevo che avresti capito.»
«Ah…
per caso hai visto Lee, in giro?» chiese Kim, incerta. Il suo amico le aveva
promesso che sarebbe venuto, per aiutarla a sopportare l’ennesima tortura, ma
non si era ancora fatto vivo.
La
donna ci pensò per un attimo. «Chi, Leeroy? No, non credo che sia arrivato. In
ogni caso, io devo tornare dagli ospiti, tu fai quello che devi.» Si voltò e
fece per andarsene, ma all’ultimo parve ripensarci. «Ah, e piantala di dondolarti
sui piedi in quel modo, sembri stupida. Schiena dritta e portamento elegante,
non scordarlo.» la rimbeccò un’ultima volta, prima di sparire definitivamente
nella distesa di invitati.
Kim
tirò su col naso. Odiava il modo in cui sua madre finiva sempre per averla
vinta. Anzi, odiava sua madre e basta.
Si
fece strada tra la gente, cercando il luccichio sinistro degli occhiali a
fondo-di-bottiglia di Komor in mezzo a quel mare di luci colorate. Spintonò e
sgusciò tra volti più o meno noti, cercando di proseguire in linea retta verso
l’altro lato della stanza. Quando trovo quel dannato quattrocchi, prima lo
saluto, e poi lo pesto. pensò, scocciata. Non poteva restarsene a casa?
Anzi, non poteva farlo anche tutta questa gente?
Odiava
la gente, e le folle in particolare. E che c’era di male, in fondo? Non tutti
erano nati per integrarsi perfettamente nella società, come sua madre. Alcuni
preferivano rimanere a farsi gli affari loro e uscire di casa ogni tanto,
quando i viveri iniziavano a scarseggiare.
Dopo
quelle che le parvero ore a nuotare nel mare di ospiti per spostarsi, Kim
giunse finalmente a un piccolo spazio “aperto”, al di là del quale avvistò il
suo obiettivo. Con la sua solita aria da “io so tutto e voi siete solo dei
plebei ignoranti”, Komor stava intrattenendo una conversazione che pareva
mortalmente tediosa con degli adulti che sembravano essere stati tirati fuori
dal Museo dei Fossili per l’occasione.
Kim
sospirò e si affrettò verso di lui, sperando di riuscire a liquidarlo il più in
fretta possibile – ed evitare di prenderlo a pugni nel frattempo.
Fu
allora che accadde il danno.
Qualcuno
arrivò senza preavviso dalla sua destra e le finì addosso, rischiando di farla
cadere, salvo poi afferrarla per la spalla all’ultimo secondo.
Disorientata,
Kim ci mise un attimo a capire di chi si trattava. «…Lee?»
«Oh.
Ciao, Kim.» rispose il ragazzo, sorpreso a sua volta.
«Ti stavo giusto cercando.» Mezza bugia, ma non sarebbe stato male farlo sentire un po’ in colpa per essere arrivato tardi. «Ci hai messo secoli ad arrivare. Stavo iniziando a…» Kim s’interruppe, rendendosi conto solo in quel momento che attorno a loro era calato il silenzio. L’unico suono udibile era “We Wish You a Merry Christmas” allo stereo.
«Perché ci stanno fissando tutti?» sussurrò Lee, preoccupato.
Kim si guardò intorno, cercando di capire. Le si era strappato il
vestito? No, non le sembrava. Forse aveva calpestato i piedi a qualcuno di
importante? Eppure era stata attenta… Alzò gli occhi al cielo, nervosa, e
finalmente capì. Quello non era un silenzio cupo, né di disapprovazione; era
carico di aspettativa.
«Vischio.» disse a fior di labbra, sentendosi arrossire fino alle
orecchie. «È qui che mamma ha appeso il vischio, quest’anno.»
Sentì il cuore iniziare a batterle all’impazzata. Uno dei motivi
per cui aveva sempre preferito starsene in disparte, durante l’annuale festa
natalizia di casa Stewart, era proprio quello: il dannatissimo ramoscello di
vischio che finiva sempre, inevitabilmente, per fregare qualche coppia di
sfortunati, ogni 25 Dicembre.
Batté i tacchi delle scarpe tre volte, ma la loro inutilità era
ormai stata provata.
Beh… forse non era andata così male. In fondo, si trattava di Lee.
Lui… insomma, lui non avrebbe frainteso, no? Era solo una stupida tradizione,
un bacio e via. Certo, sarebbe stato strano, ma sicuramente poi si sarebbero
ritrovati a riderne, magari sull’autobus per Austropoli. Sì, se si trattava di
lui, forse… forse poteva farlo. E, solo per una volta, non deludere le
aspettative di tutti.
Alzò gli occhi sui suoi, cercandoci una qualunque rassicurazione,
un invito, un consiglio. Invece, ci trovò una risata.
«Dai, Kim, non ti bacerei mai sotto il vischio! Piuttosto, sai
dov’è il tavolo delle bibite?»
N la stava
guardando con gli occhi lucidi, completamente preso dal racconto. «Ma è stata
una cosa orribile!» commentò.
«Oh, adesso
non ti ci mettere anche tu.» sbuffò Lee, contrariato. «Avevamo dodici anni! E,
Kim, penso di averti detto almeno un milione di volte che volevo solo evitare
di metterti in imbarazzo.»
Lei s’imbronciò
e strinse Porchetta al petto. «C’erano tutta Soffiolieve, mezza Quattroventi e
tre cugini di Ponentopoli là dentro, Lee.» disse, risentita. «E tutta quella
gente ti ha sentito dire chiaro e tondo che non avevi intenzione di baciarmi,
nemmeno sotto l’obbligo del vischio. Avrò. La mia. Vendetta.»
Lee roteò
gli occhi e si lasciò cadere sul divano. «Come vuoi, come vuoi. Tanto io a
quell’affare non mi avvicino.»
«Questo è
ancora da vedere.»
«Aspetta e
spera.»
«Non potrai
avere la guardia alzata per sempre.»
«Mi
sottovaluti.»
«O forse
sei tu a sottovalutare me.»
Kim strinse
gli occhi, stizzita. Poteva darsi che fosse stato stupido intestardirsi per una
cosa del genere, ma lei era sempre stata il tipo di persona che quando si
legava al dito qualcosa… era per sempre.
«Ehm…» fece
N, forse cercando di placare le acque. «Non vi va di mangiare la torta?»
«Torta?»
chiesero Lee e Kim, con lo stesso bagliore negli occhi.
N sorrise.
«Torta.»
Oh, in
fondo a chi importava qualcosa di quello schifo di vischio?
*******
N appoggiò
una guancia sulla mano, osservando intenerito le persone più importanti della
sua vita.
«Accidenti!»
stava dicendo Lee, con lo stupore negli occhi. «Perché Nardo non ha segnato
nella sua lista “Prepara dei Tronchetti di Natale stupendi”? A saperlo prima…»
«A dire il
vero, c’era scritto.» lo informò Kim, che si stava servendo la terza fetta con
assoluta nonchalance. «Era il punto… 87, credo. E mi pare che ce ne
fosse anche uno sui bignè.»
«Cannoncini.» la corresse N, quasi in automatico. «Voglio dire, so fare anche i bignè, ma sono i cannoncini le mie paste migliori. Per questo Nardo li ha messi nella lista.»
Notò Kim
rabbrividire visibilmente.
«Freddo?»
le chiese Lee, con un velo di preoccupazione. Era da dieci minuti buoni che la
stava tenendo d’occhio, probabilmente temendo che le venisse una crisi
glicemica o qualcosa su quelle righe.
Lei scosse
la testa. «No, ma ho appena provato l’impulso di chiedere a N di sposarmi.»
rispose, allucinata. «Follia momentanea.»
N sentì
immediatamente il sangue affluirgli al viso, così fece finta di non aver
sentito e non disse nulla. A volte Kim era così… carina, con quelle sue
uscite a sproposito, fiato dato alla bocca senza essere passato per il
cervello. In particolare, quando l’argomento era lui e nella frase non erano
presenti insulti.
«Tu per i
dolci faresti proprio di tutto, eh?» la prese in giro Lee.
«Di più.»
confermò Kim. «Scalerei montagne, ripopolerei deserti, sopporterei Nardo per
due ore e mezza di seguito…»
«“Sposeresti
maniaci verdi”…»
«Ehi! È
stato un momento di debolezza, d’accordo? Non parliamone più.»
«Parlare di
cosa?» s’intromise N, innocentemente, quando fu abbastanza sicuro che il
rossore fosse svanito dal suo volto.
«Nulla!» si
affrettò a rispondere Kim. «Piuttosto, non sarà ora di aprire i regali?»
N batté le
mani, eccitato. «Oh, sì! Secondo quanto mi è stato riferito, è la parte più
emozionante del Natale!»
Capì quasi
immediatamente di aver scelto la cosa sbagliata da dire: Lee e Kim si
scambiarono un’occhiata delle loro, quelle che sottintendevano un discorso
intero in cinque secondi e mezzo. Rimase a guardarli fino al punto in cui Kim
corrugò appena le sopracciglia, in un inconfondibile “Smettila di fare il
baccalà e dammi una mano!”, prima di precisare: «Ah, non è che non abbia mai
ricevuto dei regali. Anthea e Concordia hanno sempre provveduto a farmi
ricevere qualcosa, in determinate occasioni speciali. Solo… non ho mai potuto
sperimentare un vero e proprio “scambio di doni”, tutto qui.»
Kim
sogghignò. «Ma senti come parli!» disse, evidentemente divertita, mentre si
alzava in piedi per fare il giro del piccolo tavolo. «Sembra quasi che tu stia
cercando di capire cos’è il Natale attraverso dati e riferimenti, calcolandolo
come faresti con un’equazione.»
Beh, non
proprio… forse. Credo. N
le rivolse un’occhiata incerta. «E non si può?»
«Ma certo
che non si può!» rise Kim. L’atmosfera festosa doveva averla addolcita, perché
non c’era traccia di scherno nelle sue parole. «Il Natale è fatto
principalmente di emozioni, di pensieri, di calore… non si può spiegare né
analizzare, solo… provare.» concluse, appoggiandosi al bordo del tavolo, con
l’aria soddisfatta di chi pensa di aver appena dispensato una piccola pillola
di saggezza.
«Provare…»
ripeté N tra sé. C’erano un sacco di cose al mondo che aveva sempre voluto provare.
Nonostante durante la sua vita al Castello gli fosse stato dato praticamente
tutto ciò che si potesse desiderare, una cosa che gli era sempre mancata era
l’esperienza. Non conosceva l’emozione di fare un regalo a una persona cara, né
l’aspettativa e l’eccitazione nello scuotere piano un pacchetto per indovinarne
il contenuto, né ancora l’irritazione nel dover fingere che l’orribile
soprammobile della prozia Clarissa sia il dono più bello mai ricevuto. Non
conosceva fin troppe cose, e spesso il desiderio di provarle, provarle tutte
e subito, minacciava di fargli scoppiare il cuore.
Gli
capitava spesso, in particolare, quando si fermava a guardare Kim.
Nel suo
sorriso, o più spesso nel suo broncio capriccioso, c’erano un mondo di emozioni
mai provate ed esperienze non vissute, una più preziosa dell’altra, per belle o
tristi che fossero. Nell’angolo destro della sua bocca, ad esempio, spesso si
nascondeva l’ombra dei mille sorrisi tirati che aveva rivolto a sua madre nel
corso degli anni, mentre tra le ciglia non mancava mai il ricordo delle tante
lacrime versate per rabbia, frustrazione, rancore, e più raramente tristezza o
dolore.
E i suoi
occhi, volevamo parlarne? Lì dentro c’era di tutto, dalle risate a crepapelle,
ai litigi, alle delusioni, alle fughe nel mezzo della notte, fino alle gioie
più folli, in una miscela esplosiva e colorata che riusciva a togliergli il
fiato solo a pensarci.
«Terra
chiama N… uscire dalla modalità standby e attivare protocolli di dialogo tra tre…
due… uno…»
E nelle sue
guance rosse, ora che si era accorta di essere osservata, brillava ogni momento
che aveva passato a pensare a lui.
Avrebbe
fatto qualunque cosa, qualunque, per mettere le mani su quel condensato di
esperienze.
«È inutile,
Kim, l’abbiamo perso. Hai detto troppe banalità tutte insieme, non è riuscito a
processarle.»
«Secondo te
se gli do una botta in testa si riprende?»
«Non so,
prova.»
N si
riscosse. «Non erano banalità.» disse, a scoppio ritardato. «Nessuno aveva mai
provato a spiegarmelo in questo modo.»
«Naturale,
nessuno spiega le cose come le spiego io.» gongolò Kim, anche se N avrebbe
potuto giurare che fosse un po’ più rossa in viso rispetto a poco prima. «Ma
bando alle ciance, tira fuori il mio regalo.»
«Kim!» la
rimproverò Lee. «Ma ti sembra il modo?»
«Che c’è? È
Natale, voglio i regali. Semplice.»
N sorrise.
Kim poteva anche avere il mondo negli occhi, ma fuori rimaneva sempre la solita
testarda, capricciosa, a tratti irritante Kim. Prese il sacchetto colorato che
aveva sotto la sedia e ne tirò fuori due pacchetti. Porse a Kim quello più
piccolo, incartato di rosa, e lei lo fisso dubbiosa per qualche secondo, prima
di accettarlo.
«È più
piccolo di quello di Lee.» disse, rigirandoselo tra le mani.
«Sì.»
confermò N, con un sorriso. «Ma guarda cosa c’è dentro, prima di giudicare.»
Kim non se
lo fece ripetere. Con estrema crudeltà nei confronti di questa, strappò la
carta e ne tirò fuori la scatolina che conteneva. Quando la aprì, i suoi occhi
si illuminarono, e N sentì qualcosa nel petto, come un senso di liberazione, ma
anche di gioia, e una punta di stupore; insomma, qualcosa di così strano che
mai l’aveva neanche immaginato.
«Sono
stupende!» disse Kim, tirando fuori dalla scatolina due mollette per capelli. N
ricordava ancora perfettamente l’espressione sbigottita della commessa dei
Magazzini Nove, quando le aveva chiesto “qualcosa con dei Pachirisu”. Ma ne era
valsa la pena.
«Non sono
stupende?» ripeté Kim, quasi infilzando Lee negli occhi per mostrargli il suo
regalo.
«Davvero
pensi di andare in giro con delle cose del genere in testa?» la prese in giro
lui, facendosi indietro per evitare di perdere la vista. «Sembrano uscite dal
reparto bambini di una cartoleria.»
Il che non
era completamente falso, confessò N tra sé.
«Certo che
le indosserò!» disse Kim, con convinzione. «Cioè, ci sono sopra dei Pachirisu.
Pa-chi-ri-su.»
«Ho
afferrato il concetto, grazie.» rise Lee.
Con l’aria
di una che aveva appena ricevuto un qualche Oscar, Kim si voltò verso N e gli
sorrise. «Visto?» gli disse, sporgendosi in avanti per toccargli il petto con
l’indice. «Sta tutto qui. Non si può spiegare a parole.»
Il suo
cuore perse un battito. «No.» disse a bassa voce, prendendole la mano. «Non si
può.»
In tre
secondi esatti, le guance di Kim divennero rosso carminio. La ragazza ritirò la
mano e la strinse al petto, come se qualcosa l’avesse bruciata.
«A-abbiamo
un regalo anche noi.» incespicò, allontanandosi dal tavolo per prendere un
pacchetto dal bancone della cucina. Era sottile, di classica forma rettangolare,
e Kim glielo porse portando il braccio alla sua massima estensione, per evitare
di avvicinarsi.
N sorrise.
Se c’era una cosa che aveva imparato perfettamente, in quell’ultimo anno, era
che una Kim imbarazzata era una Kim discretamente felice.
Prese il
pacchetto e ne tastò delicatamente i bordi, che sembravano più in rilievo
rispetto al centro.
«Non è
niente di che.» lo avvertì Kim, appoggiandosi al bancone.
Non ne era
così convinto. Il solo avere in mano quel pacchetto gli aveva messo addosso una
sorta di ansia mista a eccitazione, e quello decisamente non era “niente di
che”.
Staccò
piano lo scotch da un bordo e sentì chiari gli sguardi di Lee e Kim su di lui,
mentre infilava le dita sotto la carta e tirava fuori il regalo.
Era una
fotografia.
N sentì le
mani tremargli debolmente.
Dall’interno
della semplice cornice di legno, Lee, Kim e lui stesso gli sorridevano, stretti
l’uno all’altro. Si trattava di un semplice mezzo busto di tutti e tre,
scattato il giorno dell’ “appuntamento”, probabilmente da uno dei giornalisti
presenti all’evento. Osservandola con attenzione, non è che fosse una gran
foto: Lee aveva il viso imperlato di sudore e il sorriso di Kim conservava un
alone del sarcasmo che l’aveva posseduto per tutta la durata dell’intervista.
No, non era bella. Eppure era così… vera.
La strinse
al petto, con una gran voglia di piangere.
«Grazie.»
disse soltanto, a mezza voce. Nient’altro.
«È stata
un’idea di Kim.» lo informò Lee, con una punta d’ironia.
«Non è
vero!» obiettò lei. «È stata di Lee!»
«Hai detto
tu la prima sillaba!»
«Ma tu hai
aperto per primo la bocca!»
«Sicuramente
sei stata tu la prima a pensarlo!»
«Beh, non
hai modo di provarlo.»
N sorrise.
«Grazie…» ripeté, asciugandosi con una manica l’occhio destro, da cui una
lacrima aveva minacciato di scendere. «È stata davvero una bellissima idea.
Io…» s’interruppe di nuovo, sentendo gli occhi bruciargli. Che cos’aveva fatto
di giusto, nella sua vita, di talmente giusto e buono da meritarsi di
incontrarli? Due persone stupende, che forse non lo dimostravano spesso, ma che
gli volevano bene abbastanza da riuscire a scegliere il regalo perfetto. Era…
qual era la parola giusta? Ecco, sì, era commosso.
«Su, non
volevamo mica metterti in crisi!» scherzò Lee. «Stai pure tranquillo, da domani
riprenderemo a trattarti male come al solito. Giusto, Kim?»
«Giustissimo.
Questa è solo bontà natalizia.»
N ricacciò
indietro le lacrime e allungò a Lee il pacchetto blu. «C’è ancora il tuo.»
Il ragazzo
lo prese in mano e iniziò a scartarlo con una certa diffidenza, come se si
fosse aspettato di trovarci dentro una bomba, ma N non se ne preoccupò. Se
riguardo al regalo per Kim aveva avuto qualche dubbio, con quello per Lee era
certo di aver fatto centro. Dopo tutto, aveva letto che i regali migliori erano
quelli che suppliscono a una reale necessità del destinatario.
«B-boxer?»
disse Lee, con voce strozzata.
Kim gli
fece eco con una risata. «Sul serio? Boxer?»
N sorrise,
contento che l’effetto sorpresa fosse riuscito, anche se non si era aspettato
un tale sbigottimento generale. «Qualche settimana fa ti ho sentito lamentarti
con Kim di aver perso i tuoi preferiti. E così…»
«Sì, è
successo, però…» Lee, pallido come un fantasma, stava fissando il suo regalo
come se avesse potuto saltargli addosso da un momento all’altro e sbranarlo. O,
peggio, violentarlo. «Kim, di’ qualcosa!»
La ragazza
se la stava ridendo di gusto. «Non credevo… che foste già arrivati… a quel
punto…» disse a fatica, tra uno sghignazzo e l’altro.
«Sono
verdi.» disse N, che iniziava a sentirsi un po’ confuso. «Ti piace il verde.»
Kim emise
un verso strozzato, e N per un attimo temette che la crisi glicemica fosse
arrivata.
«Sì, ma…»
Lee non sembrava in grado di concludere una frase di senso compiuto. «Non
potevi semplicemente regalarmi una penna?»
«Volevi una
penna?» chiese N, stupito.
Contro ogni
aspettativa, Lee diede una testata al tavolo. «Uccidetemi…» mugugnò,
rassegnato.
A quel
punto, N poté considerarsi davvero confuso. Si voltò verso Kim, in cerca di
aiuto.
Lei
sembrava sulla via del soffocamento, ma dopo qualche secondo riuscì a
ristabilire qualcosa di simile a una normale respirazione. «Lee crede… pensa…»
tentò di spiegare, facendosi aria con una mano. «…che il tuo sia un modo… non
proprio velato… di dirgli che vuoi dormire con lui.»
Non del
tutto falso anche questo,
considerò N, senza trovare nulla da controbattere.
«Kim!
Potresti almeno evitare di ridere?» esclamò Lee, che ormai era diventato di un
vivace color porpora.
«Ma non
posso, mi sto divertendo troppo!»
«Beh, abbi
pietà e trattieniti!»
«Mai.»
dichiarò lei, con giusto una punta di sadismo.
N inclinò la testa di lato, ancora non del tutto certo di ciò a cui stava assistendo. «Credo che manchino solo i vostri regali.» tentò, sperando di migliorare la situazione.
Invece, calò un silenzio funereo.
Kim smise di ridere e il suo sguardo cadde sul pavimento. Il volto di Lee sembrò sfumare la rosso al bluastro tutto d’un colpo.
Se avessero continuato con quelle reazioni totalmente illogiche, N ne sarebbe uscito con un gran mal di testa.
«Che cosa…?»
«Quest’anno, » lo interruppe Kim, con una tale depressione nella voce da poter far appassire all’istante tutto l’agrifoglio appeso nella stanza. «…io e Lee abbiamo deciso di non farci regali.»
«E perché mai?» azzardò N, incerto se fosse il caso o meno di porre quella domanda.
«L’affitto.» risposero i due, all’unisono.
Probabilmente non c’era davvero altro da aggiungere.
Vista la brutta piega che stava prendendo la serata, N decise che era arrivato il momento di un cambio d’ambiente.
«Credo che sia quasi ora del PokéConcerto di Natale alla TV!» trillò, alzandosi in piedi. Prese Kim per mano, girò attorno al tavolo e fece lo stesso con Lee, per condurli entrambi alla porta. «Ho sentito che ci saranno dei Clefairy, dei Jigglypuff e un sacco di altri pokémon particolari, dovrebbe essere divertente!» li informò, incoraggiante.
Solo allora i due parvero riacquistare coscienza di se stessi – lo confermò il fatto che lasciarono bruscamente le sue mani.
«I Clefairy… hanno una voce carina.» disse Kim, ancora un po’ stralunata.
«Hmm.» fece Lee, in conferma. «E di solito lo spettacolo è grazioso, con i giochi d’acqua e tutto il resto…»
«E poi le luci…»
«La musica…»
«Gli allenatori che inciampano…»
«Te la ricordi ancora? Quella Melinda, qualche anno fa, aveva fatto un volo che…!»
«E perché, Annachiara e Fiorenzo, che se la tiravano tanto? Dritti nella vasca dei Lapras, splash!»
N sospirò e non si diede pena di nascondere un sorriso. Erano assurdi, tutti e due. Fino a un momento prima erano così giù di morale che non sarebbe sembrato strano vederli saltare giù da un balcone, mentre ora se la stavano ridendo allegramente, dimentichi sia dell’affitto che di qualunque altra cosa potesse nuocere al loro umore. Più tentava di capirli, più, semplicemente… si ritrovava a cadere.
«Allora, andiamo?» propose dopo alcuni minuti, non avendo cuore di interrompere la rievocazione del Noctowl che aveva ipnotizzato metà dei cameraman e mandato la regia nel panico.
Kim annuì. «Iniziate ad accendere la TV, io prendo una fetta di tronchetto e arrivo.»
«Un’altra?» la rimproverò Lee. «Finirai per morire di diabete.»
«Ho un’alta sopportazione degli zuccheri.»
«Beh, ti andrà comunque tutta sui fianchi.»
«A me piacciono i suoi fianchi.» obiettò N, in tono ragionevole.
Kim strinse le labbra, indecisa. «Nemmeno le minacce di N mi terranno lontana dal mio tronchetto.» capitolò.
«Ma non era una minaccia…»
«Da quando è diventato il tuo tronchetto?»
«Da quando più del suo 57% è finito nel mio stomaco.»
Rassegnato, Lee alzò gli occhi al cielo e uscì dalla cucina, seguito a ruota dal N.
«Quella ragazza ci rimetterà la pelle, un giorno o l’altro. Lo so, io.» borbottò, sedendosi sul divano.
«Forse sottovaluti il suo stomaco.»
«O forse sei tu a non conoscerlo abbastanza.» ribatté Lee, storcendo il naso. «Fidati, domani sarà piegata in due e si lagnerà tutto il giorno: “Lee, perché non mi hai impedito di mangiare quell’ultima fetta?”»
«E tu perché non lo fai?»
«Non so, forse spero ancora che col dolore impari qualcosa?»
«Non molto carino, da parte tua.» ridacchiò N.
Lee sbuffò,
evidentemente contrariato. «Fammi un favore: va’ a controllare che si stia
prendendo davvero una sola fetta, prima che me la ritrovi sulla
coscienza.»
«Agli
ordini.» Divertito, N si girò nuovamente verso la cucina, solo per rischiare di
prendere una violenta portata in faccia.
«Ops.
Scusa.» disse Kim, con aria tutt’altro che dispiaciuta.
N riprese
fiato, lieto di aver scansato la porta appena in tempo. «Dovresti stare più
attenta.»
«E tu non
dovresti stare davanti alle porte.»
«Vi
dispiace se aggiungo che dovreste entrambi guardare sopra le vostre teste?»
fece Lee, in tono divertito.
N non
dovette neppure seguire il suo consiglio: bastarono gli occhi spalancati di Kim
e il suo «Ah!» sconcertato per fargli capire all’istante che cos’era successo.
«Vischio.»
sussurrò, sorpreso lui stesso. Sorrise.
Osservò Kim
cambiare colore ed espressione diverse volte in pochi secondi: dal panico più
disperato alla confusione, passando per un secondo di sdegno, per arrivare a
un’imbarazzata rassegnazione.
Era
adorabile.
«Senti, non
è…» borbottò la ragazza, a mezza voce. «È solo una tradizione. E non potrei mai
vendicarmi di Lee se… se non…»
Adorabile,
tanto da volerla baciare, mordere, toccare, fino ad esaurirne l’esistenza.
Le prese
una mano, mentre con l’altra andava delicatamente a carezzarle la nuca. Lei
s’irrigidì, abbassò lo sguardo, ma non si ritrasse. Era coraggiosa e testarda,
la sua Kim.
«Capita a
proposito.» disse piano, mentre l’avvicinava un poco a sé, movimento che lei
assecondò. Attraverso il contatto con il suo polso, le sentiva chiaramente il
cuore battere all’impazzata. «Stavo giusto pensando…»
S’interruppe,
solo per il gusto di vedere la curiosità dipingersi sul suo viso.
«Che cosa?»
chiese Kim, alzando lo sguardo. Era arrossita, come sempre. Se esisteva una più
bella gradazione di rosso al mondo, lui non ne era al corrente.
«A quanto
sei carina con quella briciola di cioccolato sulla guancia.»
Kim
farfugliò qualcosa di confuso e fece per portarsi una mano al volto, ma quella
che non reggeva la torta era intrappolata tra le dita di N, rendendole
impossibile il movimento.
Vischio o
non vischio, che cosa lo trattenesse dal baciarla lì e in quell’istante era un
mistero perfino per lui.
Conosceva
ogni sua debolezza, dal punto del collo su cui fermarsi ad accarezzarla fino
alle parole giuste per farle chiudere gli occhi; se avesse voluto, avrebbe
potuto rubarle un bacio in qualsiasi momento.
Le si
avvicinò piano, fino a sentire il suo respiro lieve sul collo.
Assaporò
quella vicinanza, acuendo i sensi per trarne il più possibile: il suono del suo
cuore che batteva, il calore della sua pelle, quell’incantevole tonalità di
rosso, il profumo di cioccolato. Sollevò la mano che teneva nella sua, le posò
un bacio sulle nocche.
E la lasciò
andare.
Kim
barcollò per un istante, colta alla sprovvista, ma capì subito. Quella
comprensione le brillò negli occhi, mista a rabbia e disappunto – e a una buona
dose di déjà vu, probabilmente: non aveva avuto intenzione
di baciarla fin dall’inizio.
«Pezzo di… idiota!» gli urlò in faccia, per poi tirargli un furioso
calcio negli stinchi e infine darsi alla fuga, fuori dalla porta di casa.
N sospirò. Se l’era aspettato.
Ignorando il dolore alla gamba, zoppicò verso il divano, dal quale Lee
lo stava ancora osservando. Era leggermente rosso in viso.
«Cosa c’è?» gli chiese, perplesso.
«Niente.» rispose lui, voltandosi in fretta verso la TV. «Ho appena
assistito a uno strano spettacolo.»
N si sedette accanto a lui e prese in mano il telecomando. Non era da
molto che aveva preso familiarità con quel dispositivo, ma la sua logica di
funzionamento era piuttosto semplice, perciò ormai poteva dirsi fiero d’essere
in grado di fare zapping tra Unima 3 e FreakTV senza problemi.
«Strano?» chiese, cercando di ricordare su quale canale fosse
programmato il PokéConcerto.
Lee annuì. «È stato… non lo so, intenso. Per un momento mi sono sentito
decisamente di troppo.»
Probabilmente lo davano su PTI. Era uno show seguito da tutte le
regioni, in fondo.
«Però… perché non l’hai baciata?» continuò Lee. «Ci è rimasta male…»
N mise giù il telecomando. Si voltò a guardare Lee, che si trasse
indietro di qualche centimetro. «Per Kim…» disse, facendo una certa fatica a
trovare le parole corrette. «…un bacio è un gesto importante. Molto più che per
me, per te e probabilmente per gran parte del resto del mondo. Rubargliene uno
in quel modo non sarebbe stato… giusto.» Si concesse un breve sospiro,
chiedendosi se anche le occasioni perdute facessero parte di quelle esperienze
che valeva la pena vivere. «Ma lo sai benissimo anche tu, no, signor “Dov’è il
tavolo delle bibite”?» aggiunse, dandogli di gomito.
Lui sbuffò. «Ma sta’ un po’ zitto. Perché non vai fuori a cercarla,
piuttosto? Non ho voglia di doverlo fare io, più tardi.»
«Ooooh, ostilità, ostilità.» ridacchiò N, appoggiandogli un braccio
sulla spalla. «A cosa sarà mai dovuta?»
«Alla tua testa di cavolo.»
«Seeempre più ostile.» gli sibilò in un orecchio, ottenendo in risposta
il suo tentativo di allontanarsi. Come se avesse avuto intenzione di lasciarglielo
fare. «Ti chiedo scusa. Lo so che ti infastidisce che parli così di Kim.»
disse, sinceramente pentito. «Non era certo mia intenzione farti ingelosire. Lo
sai che non faccio preferenze tra voi due, vero?»
«Preferirei proprio che le facessi.»
«Ma cosa dici! Per quanto ti sia affezionato, non potrei mai mettere
Kim da parte…»
«Non era quello che intendevo.»
N arricciò le labbra. «Su, su.» disse, punzecchiandogli la guancia con
un dito. «Non c’è bisogno di fare così, davvero. Forse si nota meno, ma ti
assicuro che ti apprezzo esattamente quanto apprezzo Kim. Solo… in modo
diverso.»
Si stupì lui stesso di quanto quelle parole fossero vere. Se Kim era
l’ignoto e l’imprevedibile, un essere fragile come la carta nascosto da una
corazza di cartone, Lee era il luogo sicuro dove andare a rifugiarsi, il
sorriso da cercare nei momenti bui e la ragione a cui dare ascolto.
Erano due esistenze così complementari da poter sembrare identiche, se
poste abbastanza vicine tra loro. Era semplicemente impossibile non desiderarle
entrambe.
«E io ti assicuro che-»
«Sai, pensavo…» lo interruppe, sovrappensiero. «Per Kim un bacio è
qualcosa di molto vicino a una promessa eterna… ma per te no, giusto?»
Lee ci mise un secondo a capire cosa intendeva. Un secondo di troppo,
perché a quel punto N lo aveva già spinto a schiena in giù sul divano,
bloccandogli la fuga con un braccio e avvicinandosi al suo viso molto più di
quanto non gli fosse normalmente concesso.
Negli occhi di Lee c’era il puro panico. E il Cielo sapeva quanto gli piaceva
vederlo nel panico. Era una cosa rara, speciale, che gli faceva venire voglia
di trascinarlo ancora di più fuori dalla normalità, per dipingergli in volto
espressioni che non aveva mai visto, fargli-
Qualcosa di morbido gli sbatté con violenza contro la faccia, e subito
dopo il corpo di Lee sfuggì al suo controllo, lasciandolo con l’amaro in bocca
e nient’altro che il divano sotto di sé.
Si tolse il cuscino dal viso, in totale disappunto. Faticava sempre a
ricordare che, se con Kim poteva divertirsi a tergiversare, quando si trattava
di Lee era necessario cogliere l’attimo.
«Sei orribile.» si lamentò, stringendosi il cuscino al petto con un
braccio e sfregandosi il naso con l’altra mano. «Mi hai fatto male!»
«Era un cuscino, N.» sbuffò Lee, dal pavimento, su cui si era
rifugiato.
«Beh, hai ferito profondamente i miei sentimenti.»
«Guardami in faccia e indovina quanto me ne importa.»
«Sei
orribile.»
«L’hai già
detto.»
«È Natale!»
«E che
c’entra?»
«Dovrebbe
esserci amore nell’aria.»
«Ma pensa
un po’.»
*******
Lee spense
la TV e rimase a fissare lo schermo per qualche secondo, assonnato.
N si era
addormentato sulla sua spalla già mezz’ora prima, come un bambino. Facendo del
suo meglio per non svegliarlo – Dio solo sapeva cos’altro avrebbe potuto inventarsi,
una volta riaperti gli occhi – si alzò in piedi e andò in cucina, a preparare
una tazza di cioccolata.
Era stata
una lunga serata. Sarebbe potuta essere più movimentata solo se Nardo fosse
entrato dal camino urlando: «OH OH OH!», e cara grazia che non l’avesse fatto.
Però, da un
certo punto di vista… era stata divertente. Le luci, le chiacchiere, i regali –
beh, no, meglio lasciar perdere la parte dei regali –, il vischio… era da tanto
che non passava un Natale così.
Prese la
cioccolata e ripassò dal soggiorno, per tirare su anche una coperta. Era il
momento di recuperare la figliola prodiga.
Fuori
faceva freddo, decisamente troppo per i suoi gusti, ma strinse forte tra le
mani la tazza bollente e decise di sopportare.
Kim era
seduta sulla panchina di pietra che costituiva l’unico elemento d’arredo del
giardino, la testa rivolta verso il cielo e delle piccole nuvolette di condensa
che le uscivano dalla bocca a ogni respiro.
«Che fai,
impiastro?» le chiese, lanciandole in testa la coperta. «Cerchi di prenderti un
accidente?»
Kim ebbe
qualche difficoltà a liberarsi del plaid che l’aveva aggredita, ma dopo
alcuni istanti riuscì a tirar fuori la testa. «Non dire scemenze.» rispose,
piccata. «Sto aspettando la neve.»
«E una
broncopolmonite.»
«Neve.»
Lee sospirò,
scavalcò la panchina per sedersi accanto a lei e le porse la tazza di
cioccolata. «Non nevicherà almeno fino a domani, è inutile che aspetti.»
«Nevicherà,
ti dico.» ribatté Kim, convinta. «E prima di mezzanotte. Quest’anno avrò il mio
Bianco Natale.»
«Oh, se lo
dici tu…» fece Lee, scettico, e gettò un’occhiata all’orologio. Beh, non
mancava molto alla mezzanotte, poteva assecondarla fino ad allora. «Su, almeno
prendi la cioccolata, prima che si ghiacci anche quella.»
La ragazza
ubbidì. Non che ci fosse mai voluto molto, a farle accettare qualcosa che fosse
fatto di cioccolato. In cambio, gli allungò un angolo di coperta – non tanto
per gentilezza, ma perché così poté appoggiargli la testa sulla spalla e stare
decisamente più comoda.
Rimasero lì
per un po’, in silenzio, a guardare il cielo. In fondo non era male godersi
qualche attimo di tranquillità, ogni tanto, specie da quando la routine era
diventata una continua lotta contro il tempo, i creditori e gli idiotici
Campioni della Lega Pokémon.
«So che sembra
strano, detto da me…» disse, un po’ sovrappensiero. «Però, una volta fatta
l’abitudine, non è così orribile essere in tre.»
Kim si
voltò verso di lui e alzò le sopracciglia, stranita. «“Tre” in cui il terzo
elemento sarebbe l’abete sempreverde che ha piantato radici in casa nostra?»
«Quello che
si è addormentato sul divano dopo aver visto appena dieci minuti del
PokéConcerto di Natale, sì.» ridacchiò Lee.
«Tu sei pazzo. Averlo in casa è stata forse
la peggiore disgrazia che ci è capitata negli ultimi… sette anni.»
«Compresa
la pioggia di canditi in terza media?»
Kim ci
pensò su un secondo. «…no, d’accordo, quella è stata peggio. Quasi una piaga,
in effetti.» ammise, sconfitta. «Però quel tipo… non lo so, mi scombussola.»
Lee
sorrise. «Ed è una brutta cosa?»
Kim
spalancò gli occhi, incredula. «È… se è brutta?» chiese, con un tono che
oscillava tra l’incerto e lo scandalizzato. «Lo è! Lo è, nel momento in cui io…
voglio dire…» Tornò ad abbassare lo sguardo. «No, lascia perdere. Non lo so
nemmeno io.»
«È bello
vederti così sicura di te, devo dire.» rise Lee, mettendo da parte il pensiero
che non l’avesse mai vista entrare tanto in confusione al solo sentir nominare
una persona.
«Non
prendermi in giro! È tardi, ok? Non riesco a pensare.» si lamentò Kim.
«Perché, di
solito ci riesci?» la prese in giro.
Lei gonfiò
le guance, offesa, e ritirò la coperta verso di sé. «Oh, scusa, signor “in
questa casa l’unico capace di pensare sono io”.»
«Scema.»
Lee le diede un buffetto sulla guancia. Era calda, nonostante il freddo
pungente che permeava l’aria. Istintivamente, lasciò le dita indugiare sulla
sua pelle, riscaldandosi. «Lo so che anche tu hai un cervello… da qualche
parte.»
«Fammi un
favore: strozzati con un bignè.»
Doveva
essere la quinta volta che Kim gli porgeva quell’invito, solo nelle ultime due
settimane.
«Prima o
dopo averti detto che scherzavo, che sei decisamente meglio di me in molte
altre cose e che in ogni caso ti voglio bene per come sei?»
Kim strinse
le labbra, imbarazzata e combattuta. Non c’era una volta che le lusinghe non
sortissero su di lei l’effetto desiderato. «Sei sleale.» gli borbottò contro.
«Lo so.» si
compiacque lui. «Ma anche patologicamente incapace di mentire.»
Kim lo
guardò sottecchi, come se avesse avuto i suoi dubbi in proposito. Proprio in
quel momento, però, qualcosa di piccolo e bianco le cadde sul naso, facendola
sobbalzare. Lei si alzò in fretta, facendo cadere per terra la coperta, e si
fece scappare un breve strillo sorpreso.
Lee diede
un’occhiata all’orologio e spalancò gli occhi, incredulo. «Tu proprio non sei
normale.» disse, quasi tra sé.
«Nevica!»
stava urlando intanto Kim, mentre saltellava da una parte all’altra, cercando
di afferrare i pochi fiocchi di neve che avevano incominciato a scendere. «Hai
visto, Lee? Ne-vi-ca!»
«Certo che
lo vedo.» disse il ragazzo, ancora leggermente sotto shock. «Ce li ho anch’io
gli occhi.»
«Che ore
sono?»
«Undici e
cinquantotto. Sei un mostro, non riesco a capacitarmi di come sia possibile.»
«Sono
semplicemente miss Centro dell’Universo, è normale che il mondo giri come pare
a me.» rise Kim, tornando di fronte a lui con una giravolta che per poco non le
fece perdere l’equilibrio. «Buon Natale, Lee.»
Lui
sorrise. «Sì. Buon Natale.»