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Autore: sleepingwithghosts    17/01/2012    2 recensioni
Avevo voglia di fumare. Non avevo voglia di alzarmi.
Sospirai, e chiudendo gli occhi sentii i passi delicati di mamma avvicinarsi, il suo bacio umido sulla fronte, le sue mani sulle mie costole, il peso del lenzuolo e di una coperta a schiacciarmi sul materasso, la porta chiudersi.
Ero sola, di nuovo, con la mia pelle sottile, una voglia di nicotina indescrivibile e tanto freddo, persino dentro il cervello svuotato dall’alcol. Attorno e dentro me freddo, solo tanto freddo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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We’ll get to shiver.

 

«Dovresti almeno dirmi come ti chiami».

Lo guardai. «Perché dovrei?».

Sorrise. L’aveva fatto spesso da quando ero arrivata e mi ero accorta che sulle guance gli si formavano due fossette. Adorabile era l’aggettivo giusto, per quelle fossette. «Così, quando faremo sesso, potrò chiamarti».

Scoppiai a ridere. Non mi aspettavo quella risposta, proprio no. «Ne sei così convinto?».

«Che faremo sesso? Assolutamente. Io sarò fatto, tu sarai fatta, due più due…».

«Fa quattro, lo so». Cominciai a dimenarmi sullo scalino freddo sul quale ero seduta. «Ci muoviamo?».

«Sei impaziente?». Mi morsi semplicemente un labbro, e lui sorrise, di nuovo. «Non l’hai mai fatto, giusto?».

«Ci stiamo ponendo domande a vicenda da minuti, smettiamola. Insegnami solo come si fa, mh?».

«Come vuoi». Prese il suo braccio destro, legò un laccio di plastica trasparente sulla parte superiore e, dopo aver trovato le vene – mi stupii il fatto che non avesse molti lividi, non doveva farlo da molto – inniettò l’eroina abbassando lo stantuffo della siringa. Chiuse gli occhi, sorrise e li riaprì. «Ecco. Dovresti davvero dirmi il tuo nome, sai, se ti succede qualcosa».

Alzai gli occhi al cielo, e guardai titubante la siringa, il sangue. «Non è che hai qualche pasticca, o altro?».

«Paura degli aghi?».

Scossi la testa. «Figurati, ma ricordo che mia zia mi ha fatto vedere ‘Noi ragazzi dello zoo di Berlino’ e finire a farmi sotto le unghie non è un’idea che mi alletta molto». Non riuscivo a capire se era ancora lucido, avrebbe dovuto avere le allucinazioni, no? Non mi ero mai informata molto sulla droga, non mi sembrava una buona idea. Ora, invece, mi sembrava buonissima. L’unica cosa che mi avrebbe fatto star bene.

Si alzò in piedi e dopo avermi fatto un sorriso strano, sparì dietro ad un muro. Incrociai le braccia ignorando i ragazzi e le ragazze che mi passavano davanti, e mi fissai i piedi fino a quando non ritornò e si sedette proprio di fonte a me. Aprì la mano destra chiusa a pugno, offrendomi due piccole pastiglie bianche. Alzai lo sguardo, lo puntai nei suoi occhi. Lui annuì e io le ingerii.

Sorrisi: non sapevo come stavo, ma accettai la bottiglia di liquido scuro che mi porse e non mi tirai indietro quando prese a baciarmi, quando la mia schiena toccò il pavimento gelato, quando sentii il suo peso sopra di me. Non stavo bene, credo, ma per lo meno ridevo.

«Evie», ansimai dopo un po’. «Evie Mcdonnell».

«Finiresti su un giornale se morissi?», disse lui sul mio collo. Gli morsi la spalla.

«No, non finirei su un giornale se morissi in questo posto schifoso. Nessuno mi cerca».

«Perché?».

«Non sono nessuno».

«Sei Evie Mcdonnell».

«Appunto».

Mi guardò negli occhi. Le sue pupille erano dilatate, e immaginai le mie fossero simili. «Sei bella».

Sorrisi. «Purtroppo lo so».

Aprì la bocca e la richiuse. Non mi sentivo affatto lucida, la mia testa era un casino, ma non riuscivo a pensare, e quello mi sembrava fantastico, tutto quello che avevo cercato.

Mi alzai barcollando – la bottiglia di liquore era finita senza che mi accorgessi – e gli porsi la mano. L’afferrò, portando il suo viso a pochi centimetri dal mio, la lasciò andare, tenendomi incatenata a lui con lo sguardo.

«Ho fame», dissi.

«Seriamente?».

Ero confusa. «Non dovrei?».

«Dovresti vomitare e aver voglia di bere ancora».

Scossi la testa. «Vorrei sapere come ti chiami. Vorrei un cheesburger».

«Vorrei tornare lì sotto a fare quello che stavamo facendo».

Risi, una risata che uscì spontanea. Strana, piacevole, folle. «No».

Alzò le spalle, mi porse una mano. «Seth».

Non l’afferrai, mi avvicinai a lui e gli diedi un bacio sulla guancia liscia. «Portami a mangiare», sussurrai al suo orecchio. I suoi capelli profumavano di cocco.

Mi strinse a lui, cominciò a tremare. Cominciai a tremare.

 


Direi: ecco a voi il quarto capitolo! Grazie a voi che leggete, magari fatemi sapere che ne pensate **

  
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