DELIRIOUS
19. –Happy Birthday,
D.-
But a room is not a house
and a house is not a home
when the two of us are far apart
and one of us has a broken heart
Già due settimane.
Erano già passati quattordici lunghissimi giorni, e Blaine
sentiva ancora il cuore far male, e si chiedeva se Kurt sentisse lo stesso, se
Kurt adesso volesse ancora saperne di lui, si chiedeva come stava, se almeno
lui un po’ felice lo era.
Si era maledetto un’infinità di volte, in quei quattordici giorni, e poi altrettante
volte per tutta la durata della sua doppia vita. E si era anche odiato, oh altrochè, si era dato dell’incapace e del buono a nulla,
del codardo e del debole.
Aveva pianto lacrime amare in quei quattordici giorni, ma non solo. Sperò che
Kurt pensasse alla possibilità che quella faccenda fosse stata una continua
lotta anche per lui. Sperò che Kurt capisse quanto avesse sofferto anche lui.
Che sì, poteva essere stato egoista fino al midollo, e poteva essersi lasciato
andare più di una volta, ma le lotte interiori, Dio, quelle lotte senza capo né
coda, quelle che lo spingevano a tirarsi i capelli fino a strapparli, quelle
che lo tenevano fuori fino a tardi perché gli si gonfiavano gli occhi dal
pianto, quelle che gli mettevano in testa domande come ‘Ma vale la pena vivere
in questo modo?’
Quando s’era innamorato dell’uomo con cui faceva sesso occasionalmente, quasi
per uno sfizio, dannato sfizio, dannato desiderio carnale, Dio, perché ci hai
dato il desiderio carnale?! Quando sapeva di essersene innamorato, e mai e poi
mai l’avrebbe ammesso a qualcuno, men che meno a se
stesso. Si diceva che no, il suo posto non era quello, non ci doveva stare tra
le braccia di Josh, o meglio Sebastian, doveva
mollarlo, e tornare dritto accanto a Kurt, coi sensi di colpa che gli mangiavano
il cervello come i tarli con il legno.
Non la voleva una vita così. Aveva sognato grandi cose per lui e Kurt.
Perché non aveva perseguito quel desiderio?
Perchè?
Now and then I call your name
and suddenly your face appears
but it’s just a crazy game
and when it ends, it ends
in tears
Ed era già da due settimane, forse un po’ meno, che Kurt se n’era andato, e
che Blaine talvolta si ritrovava a sussurrare il suo
nome e a ritrovarselo davanti, per poi scoppiare in pianti e singulti che non
facevano che aumentargli la costante emicrania degli ultimi giorni.
Kurt aveva stipato tutta la sua roba –ed era parecchia- in valigie e scatoloni,
tutto in una notte, mentre Blaine lo guardava seduto
sul letto, in silenzio, incapace di emettere un suono che non fosse il respiro
pesante e il rumore umido della lingua che passava sulle labbra secche.
-Non posso più stare qui, capisci? So che mi capisci…-
gli aveva detto Kurt mentre chiudeva le valigie e prendeva lo scotch da imballo
per chiudere gli scatoloni. -Non voglio che tu lo consideri come un abbandono
da parte mia. Non lo sarà mai. Io voglio che tu sappia…che
non rinuncerò a te. Alla tua presenza nella mia vita. Ma per il momento sarebbe
impossibile per me continuare a stare qui a portare avanti questa farsa. Sono
sinceramente stufo delle farse, capisci? So che mi capisci, Blaine…-
gli aveva detto ancora, e Blaine si era sentito come
un bambino che ascolta parlare il genitore e che non può far altro che dargli
ragione.
E Kurt aveva ragione. Sapeva che la ragione era sua.
E che lui era stato il primo a sbagliare, ad aver rovinato tutto.
Salì le scale che conducevano alla porta di casa sua e di Kurt –e non avrebbe
smesso di pensare come alla loro
casa- con le chiavi che penzolavano dalla mano, e l’improvvisa voglia di
sentire nuovamente Kurt vicino, di sentirlo ridere quando infilava la chiave
nella toppa e non riusciva a girarla perché un po’ arrugginita, e di quando si
davano del pappamolle a vicenda.
Sperò di trovarlo ancora lì a ridere, sperava di trovarlo in casa ad
accoglierlo con un bacio, ed era consapevole che nulla di tutto ciò sarebbe
potuto accadere. Perché siamo egoisti e vogliamo sempre quello che perdiamo, perché
ci accorgiamo del valore delle persone quando ormai ci sono sfuggite dalle
mani, perché tradiamo, perché ci lasciamo sopraffare così facilmente.
Perché la sua vita continuava a svoltare in strade ripide e impervie.
Perché?
So darling, have a heart
don’t let one mistake keep us apart
well, I’m not meant to live alone
turn this house into a home
when I climb the stairs and turn the key
oh, please be there, still in love with me.
-Hai mal di stomaco?-
Sebastian. Ma certo.
-Vuoi continuare a lamentarti per
molto?- la voce di Sebastian entrò in casa di Blaine,
e quando quello si voltò lo vide mentre chiudeva la porta dietro di sé, con la
sua faccia da strafottente.
-Lasciami in pace.- mormorò Blaine
dopo aver smesso di cantare con un colpo di tosse. Si ritrovava spesso a
canticchiare tra sé e sé, e a dirla tutta un po’ si vergognava se qualcuno
entrava nella stanza nel momento in cui faceva il suo acuto e sgambettava qua e
là per la stanza. Ma quello non era proprio il momento di vergognarsi, non
certo per l’improvvisazione di una canzone.
-Cos’è, tesoro? Ti sei improvvisamente accorto che
non puoi vivere da solo?- Sebastian inclinò il capo di lato e si infilò le mani
in tasca, aprì il piede sinistro e di nuovo fece uno dei suoi sorrisi che, Dio,
Blaine avrebbe voluto allungarsi, prendere quel
diavolo di scotch da imballo abbandonato sul tavolo, e tappargli quella
boccaccia, farlo smettere di ridere, di parlare, di sghignazzare, di respirare.
-Eppure credevo che ti fossi preparato a un’eventualità del genere.- aggiunse,
e inclinò lentamente il capo dall’altro lato, divertito dalla faccia da zombie
dell’ex Usignolo.
-Potresti…potresti uscire?- fece quello parlando a
scatti, con lo sguardo già più duro e che prevedeva una reazione poco carina da
parte sua. Come quello sguardo che adottava ogni volta che prendeva a pugni il
sacco da boxe.
-Lacrime di coccodrillo.- disse il biondo, le braccia ora conserte e lo sguardo
da furbo.
-Vattene!- urlò Blaine a voce roca, e già la si
vedeva, quella scintilla di rabbia così rara nei suoi occhi scuri.
-Blaine.- disse Sebastian adesso piuttosto
seriamente, e si avvicinò all’altro, senza mai toccarlo, perché la sentiva la
tensione nell’aria, era dannatamente tangibile. –Sto solo cercando di farti capire che è
inutile piangere sul latte versato.- continuò poi, le braccia ancora conserte.
-Non mi incanterai con una frase fatta.- ribattè
l’altro, che ancora non aveva alzato lo sguardo in quello del biondo.
-Può essere una frase fatta, ma è così che stanno le cose.-
fece quello, sicuro di sé come solo Sebastian Smythe
poteva esserlo, e aspettò una risposta, che sembrava non arrivare. Blaine se ne stava semplicemente lì, con gli occhi rivolti
al pavimento, i pugni che si serravano, le nocche diventare bianche e i denti
digrignare piano. -Non sei fatto per vivere da solo?- disse poi riprendendo la
canzone che l’ex Warbler stava cantando. -Benissimo,
avevo proprio bisogno di una casa nuova.- aggiunse allora, stavolta con
leggerezza, quasi per vedere fino a che livello potesse arrivare la rabbia di Blaine.
-Che hai intenzione di fare?- chiese quello infatti a denti stretti.
-Pensavo fosse chiaro.- replicò Sebastian, e accennò uno dei suoi sorrisi,
mentre Blaine, che aveva ben capito che quello aveva
intenzione di trasferirsi a casa sua, alzava lo sguardo al soffitto e metteva i
mani sui fianchi tentando di reprimere le urla che lottavano per liberarsi
nell’aria.
-Tu…tu non ti sposterai a casa mia. Io non li faccio
entrare i tuoi clienti, qua dentro.- disse allora, e finalmente guardò
Sebastian.
-Non devi preoccuparti di quello, mi sono rotto.-
-Rotto di cosa?-
-Di fare il ‘prostituto’, come dice il tuo maritino
faccia da checca.- disse Sebastian adesso piuttosto serio, e Blaine tornò a digrignare i denti.
-Piantala di chiamarlo così.- disse, in uno slancio
improvviso di protezione verso suo marito, ora che lo sentiva particolarmente
lontano.
-Andiamo, che mentre ce ne stavamo a letto ti divertiva il fatto che lo
chiamassi checca.-
-Beh, non è più divertente.-
-Cazzo, Blaine, ma rilassati. Cristo, c’è gente che
muore di fame e tu mi piagnucoli per una checca che è scappata col tipo che
proprio non puoi vedere? Ma cosa aspetti, che vengano entrambi qui a farti le
loro scuse quando il primo a cercare compagnia sotto le lenzuola sei stato
proprio tu, Blaine Warbler?-
gli sputò in faccia Sebastian, che pure iniziava a perdere la pazienza. Le
persone che si piangevano addosso per azioni compiute consapevolmente gli
facevano pena, lo infastidivano. -La colpa è tua, ammettilo a te stesso,
fattene una ragione, e sappi che adesso il tuo Kurt riceve le attenzioni che si
merita.- continuò, perché sapeva che per quanto Dave
fosse burbero, era inconfutabilmente pazzo di quella fatina, e probabilmente avrebbe
fatto qualunque cosa per renderlo felice. -Tu hai fallito, come marito e come uomo. E
adesso che te lo sei sentito dire da qualcun altro, piantala di frignare.- e
sull’ultima parola, un rumore come un ‘ciaff!’ ma
molto più rumoroso riempì la stanza. Sebastian adesso se ne stava col capo
rivolto a destra, la guancia arrossata dallo schiaffo di Blaine,
mentre guardava in aria innervosito.
Calò per poco il silenzio, lì nel salotto, Blaine col
respiro frequente e veloce e il labbro inferiore che tremava e le sopracciglia
aggrottate, Sebastian che si leccava le labbra, senza reagire e senza neanche
muoversi più di tanto.
-Scusa.- disse Blaine in un
soffio quando ritirò la mano. Era stato uno dei suoi colpi più potenti, e
Sebastian non aveva emesso un gemito di dolore. Se n’era stato zitto e si era
morso l’interno della guancia con disappunto. –Scusa.-
ripetè, ora lo sguardo mortificato e la mano che si
apriva e chiudeva, perché il colpo aveva fatto male anche a lui. –Scusa.- ed era già la terza volta. Aveva già il volto
contratto in una smorfia che lasciava intendere che di lì a poco avrebbe
ripreso a piangere, e si mise l’indice e il pollice sulla radice del naso, li da
dove partiva il mal di testa, e si sentiva quasi impazzire. Era stato
disperato, poi triste, poi arrabbiato e furioso, poi pentito, tutto in pochi
minuti, e adesso era nuovamente affranto, e guardava Sebastian sperando che
almeno lui capisse quello che stava passando, che nonostante fosse stata la
causa di tutti i suoi problemi, potesse anche essere la soluzione. Se potesse
aiutarlo, se potesse alleviare quel delirio di passioni incontrollate.
Blaine si avvicinò al ragazzo e gli passò una mano
sulla guancia arrossata nella speranza di alleviare il dolore, poi incrociò il
suo sguardo, lo trovò pronto, lo trovò comprensivo, e la bocca di Sebastian era
già socchiusa quando Blaine si aggrappò al suo collo
spingendolo contro il muro e iniziò a baciarlo sulle labbra con un misto di
rabbia, disperazione e speranza. Speranza che quell’errore, quella macchia che
era stata Sebastian sin dai tempi del liceo non lo abbandonasse proprio adesso,
o che non lo abbandonasse mai.
Il biondo gli baciò più volte le labbra umide tenendo gli occhi aperti a metà,
poi gli posò un bacio sulla fronte spaziosa.
-Adesso ricominciamo, eh?- mormorò mentre faceva scorrere il naso tra i
riccioli scuri di Blaine. Spostò il capo sul suo
collo e lo riempì di leggeri e veloci baci fino a raggiungere il lobo
dell’orecchio destro. –Tu ed io. Ce ne fottiamo degli altri e andiamo avanti a
testa alta.- disse ancora, e circondò i fianchi di Blaine
con le sue braccia lunghe per poi farli aderire ai propri, e stringerlo in un
abbraccio stretto e soffocante.
Blaine rispose con un bacio caotico, intrecciando le
dita nei capelli dell’altro e facendo coincidere nasi e fronti.
-Sei un bastardo.- disse dopo un po’, mentre una lacrima e basta scendeva lungo
il mento. –La colpa non è mia, sei tu la causa di tutto. Mi fai impazzire, io
deliro come un malato quando sto insieme a te. E questo vuol dire che…-
-Sarai innamorato di me?- lo anticipò Sebastian con un sorriso furbo mentre
rimanevano con le fronti a contatto. -Io lo sono da un po’, pensavo di avertelo
già detto.-
-E io non ti crederò mai e poi mai, lo sai questo?-
Il biondo alzò le spalle.
-Poco mi importa. Io sto con la coscienza a posto, perché so che mi piaci e che
non è una frottola.- disse con leggerezza, perché non era mica la prima volta
che glielo diceva. Gliel’aveva ripetuto fino alla nausea, e Blaine
ogni volta si metteva le mani nei capelli, mormorava un ‘non posso, non posso!’
caotico, e la maggior parte delle volte se ne andava di corsa, per paura di
gettarsi nuovamente tra le braccia di Sebastian, senza alcun senso di colpa. Ma
quella volta guardò in basso verso le proprie scarpe, poi di nuovo nelle iridi
verdi di Sebastian e si sciolse in un sorriso a labbra distese.
-E tutti quei messaggi in cui ci provavi con Karofsky,
e anche con Adam e Simon…?-
chiese, riportando alla mente tutti quei messaggi espliciti che l’avevano fatto
bruciare nelle fiamme della gelosia.
-Mi piace corteggiare, tutto qua. E mi piace vederti geloso.- disse l’altro con
naturalezza, e Blaine immaginava che avrebbe risposto
in questo modo.
-Ma se vuoi stare seriamente con me, dovrai…-
-Seriamente? E chi l’ha detto?- lo interruppe subito Sebastian per poi fargli
l’occhiolino. Si staccò da lui dopo avergli stretto per un po’ la mano. -Vado a
prendere la mia roba. Tanto ne ho poca. E da stanotte dormiamo insieme fino al
mattino.- aggiunse, e sembrava abbastanza contento quando lasciò un bacio
frettoloso sulle labbra di Blaine e poi se ne andò
svelto verso la porta.
E dopo che Sebastian uscì di casa, Kurt chiamò Blaine
al cellulare, e quello rispose dopo solo il primo squillo, ansioso com’era di
sentirlo.
Kurt fu cordiale, ma non parlava col tono che si usa quando ci si rivolge a uno
sconosciuto. Era tranquillo, Blaine quasi lo vedeva
mentre sorrideva con dolcezza.
Gli chiese se andava tutto bene, gli disse che voleva sentirlo, e Blaine accennò un sorriso lieto mentre si sedeva piano sul
divano e ammetteva a Kurt che gli mancava, ma che non aveva più intenzione di
piangersi addosso. Kurt gli disse che gli mancava anche lui, e che
probabilmente tentare di ricominciare era la cosa migliore da fare. Si
permisero di fare un paio di battute, di sorridere, poi di ridere un po’, e si
diedero appuntamento per la sera dopo: sarebbero andati a mangiare qualcosa
fuori. Solo loro due, per parlare ancora un po’. Blaine
chiese se poteva portare Sebastian. Kurt disse, allora io porto Dave. Concordarono entrambi, e anche se faceva strano, Blaine lo trovava giusto, e mise giù, e il cuore più
leggero non gli fece versare lacrime per il resto della giornata, e anche di
quella successiva.
*
-Ripetetemi il motivo per il quale siete qui?- fece Finn,
che intanto aveva cacciato la lingua di fuori e muoveva il joystick alla sua
estrema destra andando a dare una gomitata nello stomaco di quello che aveva di
fianco.
-Cristo, Hudson, fa attenzione con quei due chilometri di braccia!- esclamò
l’altro che, quasi a fargli dispetto, anzi no, proprio per fargli dispetto, si
allungò su di lui col joystick e di conseguenza fece andare a scontrare la
propria autovettura contro quella di Finn.
-Lasciami in pace Carl!- sbottò quello, per poi tirare nuovamente fuori la
lingua e appiccicare ulteriormente lo sguardo allo schermo.
-Ma non c’è nulla di più divertente da fare qui dentro?- si lamentò Sebastian
seduto su un bracciolo del divano, le gambe volutamente penzoloni.
-Vuoi una soda?- chiese Finn, che manco sapeva chi
fosse quel tizio. Cioè, aveva la vaga idea di chi potesse essere, o almeno
l’aveva già visto di sicuro, magari anni prima. Ma quello si era presentato
come Josh, e lui non ricordava nessun Josh, per cui aveva lasciato perdere.
-Una bella coscia soda mi andrebbe.- rispose quello voltandosi sorridente verso
Finn, che non cambiò affatto espressione.
-E io dovrei stare in casa il sabato sera con due gay?- si lamentò ma senza
cambiare tono di voce, e aveva ormai accettato il fatto che pure Karofsky –che diavolo, lo credeva del tutto etero, era così
grosso e maschio e amava il football e cazzo, stava giocando con lui a GTA: San
Andreas!- fosse dell’altra sponda, dal momento che a
quanto pareva s’era caricato Kurt in casa.
-Due gay e una pertica.- fece Sebastian di sottecchi.
-Due coglioni e una pertica.- corresse Dave
inclinando la testa.
-Cioè…un cazzo!- esclamò Sebastian quandò si fu figurato in testa il disegnino. A quella
frase, Finn fece una faccia infastidita, e Dave approfittò della distrazione per andargli addosso con
la vettura e farlo finire fuori strada.
-Ehi, ma che diav-…Ma non avete dei fidanzati a cui
rompere le palle?!- sbottò Finn, che se l’era presa
per essere stato superato.
-In teoria dovevamo fare una felice uscita a quattro stasera,- iniziò Dave, e cacciò anche lui fuori la lingua perché Finn era tornato alla riscossa. –Ma mi sarei sentito a
disagio, e mi sono rifiutato.- concluse e imprecò perché Hudson l’aveva
sorpassato.
-Io in realtà sarei stato volentieri a rompere le palle, ma questo energumeno-
fece Sebastian, e indicò Dave. –mi ha portato via con
la forza e mi ha mollato qui davanti a te che, perdonami, ma non ho idea di chi
tu sia.- disse poi rivolto a Finn.
-Solo una cosa devi sapere di me: sono etero e felicemente fidanzato.- disse
quello lanciando un’occhiata velocissima all’estraneo in casa sua.
-Se quello si chiama essere fidanzato o essere preso in ostaggio…-
borbottò Dave con un sorrisetto sulle labbra pensando
alla Berry.
-Guarda che quello messo peggio sei tu. Ancora non conosci il Kurt isterico.-
lo mise in guardia l’altro, che premeva un po’ a caso i pulsanti sul joystick,
ma riusciva comunque ad avere la meglio. –A proposito di Kurt…-
disse poi anticipando qualunque roba stesse per dire Dave.
–Ieri stavo ripulendo camera sua…-
-Perché, tu fai le pulizie in casa?!- fece Dave
shockato.
-Mi costringe mia madre, almeno una volta al mese.- ribattè subito l’altro annoiato. –E comunque, ho trovato
una roba che magari si è dimenticato l’ultima volta che è stato qui. Non so,
magari gli serve.-
-E allora?-
-E allora riportagliela, per cortesia!- esclamò Finn.
–Sta sul tavolo.- aggiunse poi, e da quel momento si zittì, preso dal
videogioco. Dave chiamò con un fischio Sebastian, e
quando questo gli fu accanto, gli rifilò il joystick dicendogli di continuare
la gara, ‘che lui non aveva più voglia. Sebastian, suo malgrado, provò a
capirci qualcosa di quell’oggetto infernale che aveva tra le mani, mentre l’amico
gli dava una pacca sulla spalla e si dirigeva verso il tavolo.
Una volta lì, trovò al centro una cassetta, simile alle altre nove che aveva
conservato dal tempo del liceo. Su di essa svettava un’etichetta sbiadita con
su scritto: ’10. Happy Birthday, D.’, ed era chiaro come il sole che quella
cassetta fosse indirizzata a lui. Il cuore gli prese a battere come non so
cosa, e si sentiva quasi come un ragazzino che ha guardato un cartone animato
per tutta la durata della sua infanzia ma non ha mai avuto la possibilità di
vedere l’ultima puntata, e adesso ce l’ha lì, a portata di mano.
Prese la cassetta con le dita che tremavano quasi, e già si immaginava il
momento in cui l’avrebbe ascoltata, nel suo vecchio mangianastri.
‘Happy Birthday’, diceva. Forse avrebbe dovuto
aspettare sino al suo compleanno, sarebbe stato più d’effetto. E mancavano tipo
due mesi al giorno della verità.
Decise di aspettare, e di non dire a Kurt di aver trovato la cassetta.
Ringraziò mentalmente quella pertica di Finn, e
lasciò scivolare la cassetta nella tasca della felpa.
§
Penultimo capitolo *-*
Ma sono triste. La storia mi piace, mi spiacerebbe finirla e metterla così da
parte XD
E spero che qualcuno se ne ricorderà *-* Spero abbia lasciato un segno, anche
piccolo :)
Angolo delle curiosità: -Ho ripreso la canzone ‘A house is not a home’ perché credo sia
perfetta per la mia storia ** O almeno per quel momento in particolare :)
-Quando Sebastian chiede a Blaine se ha mal di
stomaco, è la stessa domanda che mi fa mia madre quando mi sorprende a cantare
a squarciagola. Perché in effetti sembra che mi stia lamentando.
-Carl è il personaggio principale di GTA: San Andreas.
Bueno, alla prossima, con l’ultimo capitolo *-*
Mirokia