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Autore: David89    18/01/2012    0 recensioni
Madeilene era una piccola città della Baviera orientale, dipinta tutt'attorno da montagne e boschi, sperduta e difficile da trovare, se non si era del posto. Il cartello della città era ormai scolorito e sbiadito, come un fiore guardato per troppo tempo, e lasciato in balia dell'inverno. Una piccola via portava alla piazza della città: la fabbrica dei giocattoli, maestosa, con muri possenti e cancelli d'ottone, era ormai lasciata al più solitario abbandono. Il cancello d'ingresso, un tempo bianco, era ormai diventato verdognolo dalla ruggine.
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'intervista

L'intervista






Nella stanza ci fu il silenzio. Karen dapprima aprì bocca, come per parlare, poi abbassò la testa, fissando il pavimento.
Mille cose le balenavano in testa, mille dubbi e domande che avrebbe voluto fare in quel frangente. Poi, debolmente, schiuse le labbra.
«Lei sperava... che divenissi io il proprietario, vero?»
La domanda sembrò perdersi nel vuoto, come se fosse inutile oppure, retorica.
«E' così... Aspettava solo il momento opportuno per dirmelo. Non essendo stata convinta dal sindaco, ci ha pensato lei a farlo.» disse ancora, alzando leggermente il tono di voce.
«Mi dispiace per... il malinteso allora» rispose Halberg «Evidentemente le mie speranze per la fabbrica sono state riposte nella persona sbagliata...»
«Non posso esaudire il suo desiderio, signor Halberg.» Karen scosse la testa «Non posso prendere in mano una fabbrica come se nulla fosse. Non... sono in grado, non sono la persona più adatta per farlo... Ero venuta qui per farle delle domande, per un'intervista... Questo era il motivo del mio arrivo qui, a Madeilene. Sono una giornalista, non una proprietaria di fabbriche.»
«Anch'io... prima di diventare proprietario... sono stato giovane, come lei... Ambizioso, tenace... proprio come lei... Non avrei mai immaginato che la mia forza mi avrebbe portato fin qua... Ma dopo tutti questi anni, ormai non sono più in grado di portare avanti la fabbrica. Non è caduta in disuso, non è inagibile come molti hanno detto o pensato... Quello che mantiene in vita questi robot, è la vita di chi li ha creati. Vivono per la gioia e la passione di chi li comanda...Tommy... è l'ultimo robot della fabbrica ad essere ancora funzionante... Si sta prendendo cura di me, ma quando io... io non ci sarò più, anche lui si spegnerà, come tutti...»
«Lei... lei è malato signor Halberg, vero?» azzardò Karen.
«Si, ma questo è poco importante...» rispose Halberg, come per voler cambiare argomento «Ormai non c'è più nulla da fare, signora Karen. Lei è venuta qui per l'intervista, e mi pare scortese rifiutarla dopo tutto il viaggio che ha fatto fin qui... Deve però, promettermi che farà una cosa, alla fine di questa intervista...»
«Se posso...» rispose la giornalista, sporgendosi leggermente in avanti verso il proprietario, come per ascoltare meglio.
«Deve promettermi che... si prenderà cura di Tommy. Tommy è un robot fedele, uno dei pochi ad essermi stato accanto sempre. Uno dei motivi che mi ha spinto a rimanere per tutti questi anni nella fabbrica...»
«Ma io..»
«E' il mio ultimo desiderio prima di morire, la prego...» la sua mano si alzò leggermente dalla coperta su cui era appoggiata, come un segno ad indicare qualcosa, o qualcuno.
Karen guardò Tommy, che rimase silenzioso, anche lui sembrava spegnersi debolmente, le piccole luci sugli occhi erano ormai fioche, deboli fiammelle di una candela ormai quasi priva d'ossigeno.
«Va bene risposi, annuendo debolmente.
«La... ringrazio...» bofonchiò, poi tossì debolmente «Sono pronto...»
«Bene... Allora, cominciamo, signor Halberg...» disse Karen, mentre premette il pulsante sul registratore, appoggiandolo sulla cartellina che reggeva tutti i suoi appunti. Su un altro foglio invece, le domande che aveva preparato, e che sognava da tempo di fare al proprietario.


Dal diario di Karen Spall. Pagina trentanove.

"...Ha iniziato a  parlare di quando ha iniziato a lavorare nella fabbrica, che prima era soltanto composta da pochi robot e decisamente poco disciplinati. Lui era responsabile della sicurezza, ma viste le sue abilità a farsi ascoltare, è stato subito promosso. Prima la fabbrica era diretta da un certo signor Göttemberg, un uomo decisamente che pensava molto ai soldi e poco ai giocattoli. I clienti, i bambini, lo vedevano come un piccolo mostro, una persona cattiva, che maltrattava i robot e faceva di tutto pur di guadagnare. Accortosi che la fabbrica non riusciva a dargli i soldi sperati, Göttemberg prese tutti quelli che erano rimasti e fuggì, lasciando la fabbrica al suo destino. E' lì che Halberg decise di fare qualcosa: aiutato solo dalla sua passione per i giocattoli, iniziò a cercare un modo per rimettere la fabbrica in carreggiata... Dopo qualche anno di silenzio totale, i frutti iniziarono a vedersi: molti bambini erano tornati nella fabbrica, spinti dai nuovi giocattoli, decisamente più spartani, ma che sembravano contenere qualcosa al loro "interno": una magia speciale, una vita che li rendeva forti e duraturi. Giocattoli fatti con cura nei componenti, assistenza garantita per i giocattoli che si rompevano. Al centro dell'attenzione c'erano i bambini, e i giocattoli, che venivano visti come compagni di vita, non soltanto oggetti dell'infanzia...
Alla mia domanda su quel famoso incidente sulla fabbrica, ha tergiversato. Ha detto che gli incidenti capitano, e non è di quello che bisogna parlare quando si giudica una fabbrica. 
Poi, ha continuato a parlare delle soddisfazioni avute nel prendersi cura dei giocattoli, del fatto che a seguito dei profitti ottenuti riuscì ad ampliarla ed estenderla su due piani. Venne persino a trovarlo il signor 
Göttemberg, che in quel periodo era diventato un importante imprenditore, e che gli aveva offerto una cifra esorbitante per acquistare la fabbrica: Halberg aveva rifiutato, dicendo che mai e poi mai avrebbe dato la fabbrica ad una persona che non sapeva amare i giocattoli e i bambini.
Poi però, con la comparsa di quella malattia, le sue energie iniziarono a spegnersi, e sebbene gli fu chiesto più e più volte di farsi ricoverare in una clinica specializzata, rispose che preferiva rimanere nella sua fabbrica, con i suoi giocattoli, la sua unica fonte di vita. Nonostante ciò però, non riuscendo a seguire più con costanza gli affari della fabbrica, la stessa iniziò a crollare sotto il peso della concorrenza, delle male dicerie, e della stessa inefficienza dei robot che giorno dopo giorno sembravano misteriosamente spegnersi e diventare inutilizzabili. 

Poi, il signor Halberg ha iniziato a tossire sempre di più, ed è stato evidente che l'intervista non poteva più andare avanti. Mi ha detto che il giorno seguente avremmo potuto continuare, ma che ora aveva bisogno di riposare. Ovviamente non insistei: tornai al mio albergo, e attesi il giorno seguente, per la conclusione dell'intervista”

  
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