L'intervista
Nella stanza
ci fu il silenzio. Karen dapprima aprì bocca,
come per parlare, poi abbassò la testa, fissando il
pavimento.
Mille cose le balenavano in testa, mille dubbi e domande che avrebbe
voluto fare in quel frangente. Poi, debolmente, schiuse le labbra.
«Lei sperava... che divenissi io il proprietario,
vero?»
La domanda sembrò perdersi nel vuoto, come se fosse inutile
oppure, retorica.
«E' così... Aspettava
solo il momento opportuno per dirmelo. Non essendo stata convinta dal
sindaco, ci ha pensato lei a farlo.» disse ancora, alzando
leggermente il tono di voce.
«Mi dispiace per... il malinteso
allora» rispose Halberg «Evidentemente le mie speranze per
la fabbrica sono state riposte nella persona sbagliata...»
«Non posso esaudire il suo
desiderio, signor Halberg.» Karen scosse la testa «Non posso prendere in mano una fabbrica come
se nulla fosse. Non... sono in grado, non sono la persona
più adatta per farlo... Ero venuta qui per farle delle
domande, per un'intervista... Questo era il motivo del mio arrivo qui,
a Madeilene. Sono una giornalista, non una proprietaria di
fabbriche.»
«Anch'io... prima di diventare
proprietario... sono stato giovane, come lei... Ambizioso, tenace...
proprio come lei... Non avrei
mai immaginato che la mia forza mi avrebbe portato fin qua... Ma dopo
tutti questi anni, ormai non sono più in grado di portare
avanti la fabbrica. Non è caduta in disuso, non è
inagibile come molti hanno detto o pensato... Quello che mantiene in
vita questi robot, è la vita di chi li ha creati. Vivono per
la gioia e la passione di chi li comanda...Tommy... è
l'ultimo robot della fabbrica ad essere ancora funzionante... Si sta
prendendo cura di me, ma quando io... io non ci sarò
più, anche lui si spegnerà, come tutti...»
«Lei... lei è malato
signor Halberg, vero?» azzardò Karen.
«Si, ma questo è poco
importante...» rispose Halberg, come per voler cambiare
argomento «Ormai non c'è
più nulla da fare, signora Karen. Lei è venuta
qui per l'intervista, e mi pare scortese rifiutarla dopo tutto il
viaggio che ha fatto fin qui... Deve però, promettermi che
farà una cosa, alla fine di questa intervista...»
«Se posso...» rispose la
giornalista, sporgendosi leggermente in avanti verso il proprietario,
come per ascoltare meglio.
«Deve promettermi che... si
prenderà cura di Tommy. Tommy è un robot fedele,
uno dei pochi ad essermi stato accanto sempre. Uno dei motivi che mi ha
spinto a rimanere per tutti questi anni nella fabbrica...»
«Ma io..»
«E' il mio ultimo
desiderio prima di morire, la prego...» la sua mano si
alzò leggermente dalla coperta su cui era appoggiata, come
un segno ad indicare qualcosa, o qualcuno.
Karen guardò Tommy, che rimase silenzioso, anche lui
sembrava spegnersi debolmente, le piccole luci sugli occhi erano ormai
fioche, deboli fiammelle di una candela ormai quasi priva d'ossigeno.
«Va bene.» risposi, annuendo debolmente.
«La... ringrazio...» bofonchiò, poi
tossì debolmente «Sono pronto...»
«Bene... Allora, cominciamo,
signor Halberg...» disse Karen, mentre premette il
pulsante sul registratore, appoggiandolo sulla cartellina che reggeva
tutti i suoi appunti. Su un altro foglio invece, le domande che aveva
preparato, e che sognava da tempo di fare al proprietario.
Dal diario di Karen Spall. Pagina trentanove.
"...Ha iniziato
a parlare di quando ha iniziato a lavorare nella fabbrica,
che prima era soltanto composta da pochi robot e decisamente poco
disciplinati. Lui era responsabile della sicurezza, ma viste le sue
abilità a farsi ascoltare, è stato subito
promosso. Prima la fabbrica era diretta da un certo signor
Göttemberg, un uomo decisamente che pensava molto ai soldi e
poco ai giocattoli. I clienti, i bambini, lo vedevano come un piccolo
mostro, una persona cattiva, che maltrattava i robot e faceva di tutto
pur di guadagnare. Accortosi che la fabbrica non riusciva a dargli i
soldi sperati, Göttemberg prese tutti quelli che erano rimasti e fuggì,
lasciando la fabbrica al suo destino. E' lì che Halberg
decise di fare qualcosa: aiutato solo dalla sua passione per i
giocattoli, iniziò a cercare un modo per
rimettere la fabbrica in carreggiata... Dopo qualche anno di silenzio
totale, i frutti iniziarono a vedersi: molti bambini erano tornati
nella fabbrica, spinti dai nuovi giocattoli, decisamente più
spartani, ma che sembravano contenere qualcosa al loro "interno": una
magia speciale, una vita che li rendeva forti e duraturi. Giocattoli
fatti con cura nei componenti, assistenza garantita per i giocattoli
che si rompevano. Al centro dell'attenzione c'erano i bambini, e i
giocattoli, che
venivano visti come compagni di vita, non soltanto oggetti
dell'infanzia...
Alla mia domanda su quel famoso incidente sulla fabbrica, ha
tergiversato. Ha detto che gli incidenti capitano, e non è
di quello che bisogna parlare quando si giudica una fabbrica.
Poi, ha continuato a parlare delle soddisfazioni avute nel prendersi
cura dei giocattoli, del fatto che a seguito dei profitti ottenuti
riuscì ad ampliarla ed estenderla su due piani. Venne
persino a trovarlo il signor Göttemberg, che
in quel periodo era diventato un importante imprenditore, e che gli
aveva offerto una cifra esorbitante per acquistare la fabbrica: Halberg
aveva rifiutato, dicendo che mai e poi mai avrebbe dato la fabbrica ad
una persona che non sapeva amare i giocattoli e i bambini.
Poi però, con
la comparsa di quella malattia, le sue energie iniziarono a spegnersi,
e sebbene gli fu chiesto più e più volte di farsi
ricoverare in una clinica specializzata, rispose che preferiva rimanere
nella sua fabbrica, con i suoi giocattoli, la sua unica fonte di vita.
Nonostante ciò però, non riuscendo a seguire
più con costanza gli affari della fabbrica, la stessa
iniziò a crollare sotto il peso della concorrenza, delle
male dicerie, e della stessa inefficienza dei robot che giorno dopo
giorno sembravano misteriosamente spegnersi e diventare
inutilizzabili.
Poi, il signor Halberg ha iniziato a tossire sempre di più,
ed è stato evidente che l'intervista non poteva
più andare avanti. Mi ha detto che il giorno seguente
avremmo potuto continuare, ma che ora aveva bisogno di riposare.
Ovviamente non insistei: tornai al mio albergo, e attesi il giorno
seguente, per la conclusione dell'intervista”