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Autore: Talesteller    18/01/2012    1 recensioni
Questa cosa è andata ben oltre dove speravo andasse.
E questo ci ha portati alla catastrofe.
Ma la gente deve sapere perché ora sono qui, in questa cella, ad attendere la fucilazione.
Ciò che ho fatto non deve morire con me e con i miei.
Questi sono i miei diari.
Queste sono le origini del più grande movimento anarchico della Galassia.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sirio II, Sirio, distretto residenziale nord-orientale
Data e ora locale, 26 gennaio 15027, 23.30
 
Conto le ore.
Si, mi sono ridotto a contare le ore.
Le valigie sono pronte a lato della porta, per casa non c’è più niente, scrivo dal portatile.
L’agenzia di trasloco ha preso tutto tranne il letto, e io ho raccolto il mio guardaroba esiguo.
Calma, dovrei prima dire perché sono qui, cosa diavolo è successo e perché mancano esattamente diciannove ore e trentaquattro primi alla mia partenza.
Tutti i fottuti giorni da quando la Censura mi ha tolto l’accesso alla Rete, non mi riesce di passare più neanche un giorno intero tra queste mura fredde.
Ed ogni dannato giorno, incontro lei, quasi sempre nello stesso posto, nella piazza chiusa dalla saracinesca.
Quel muro non significa più nulla per me.
Non c’è più niente al di là, o niente che mi interessi.
La Censura ha annientato me i miei post, e lo capisco.
Deve fermare chiunque non si sia piegato, chiunque sia diverso dalla massa, o in un paio di generazioni rischierà una rivolta planetaria.
E con la guerra dietro l’angolo, è l’ultima cosa che vogliono.
Insomma, non posso più combattere, non in un modo che possa avere un’efficacia su una scala più o meno vasta.
Sirio si è svegliato?
No.
Non mi interessa più.
Forse ho sbagliato a credere che eravamo ancora in tempo per alzarci, forse non ho lottato con abbastanza intensità.
Non abbastanza da ridare vita a queste lingue morte di cemento.
Io e lei, continuiamo a battere queste strade solo io e lei.
Ma non per molto.
Solo per altre diciannove ore e venticinque primi.
In tutto questo tempo in cui non mi sono degnato di scrivere nemmeno una dannata pagina le cose sono cambiate abbastanza nettamente.
Dicevo che ero stanco di lasciare che lei passasse oltre, di godere per pochi istanti del calore di un altro umanoide che fosse vivo.
Evidentemente lo era anche lei.
Due giorni fa.
Il segmento della lampada al neon nel mio corridoio continua a non funzionare ed è terribilmente buio nelle ore tarde, specie in queste fredde giornate d’inverno.
Dove sono andato lo sapete. A sud fino alla rampa e a nord fino al bar distrutto.
Ho recentemente scoperto che progettano di abbatterlo.
Ci piazzeranno un altro di quegli enormi palazzi a cui si accede da sotto e che svettano per centinaia di metri sopra la nube.
Raggiunta la rampa non l’ho presa.
Avevo quasi intenzione di scendere al livello inferiore.
Quell’isolato mi era diventato terribilmente stretto, e laggiù c’ero stato si e no una decina di volte in vent’anni o qualcosa di simile.
Ma, davanti a quell’oscurità e a quel labirinto di strade morte ogni proposito è crollato.
È uno spettacolo troppo desolante perfino per me.
Mi sono voltato indietro e ho ripreso verso la piazza del bar.
La incrociai verso la metà strada.
Per quanto mi sia abituato alla sua presenza, questo cuore corrotto dalla nube continua ad accelerare ogni volta che la incontro.
Arrivammo fianco a fianco.
Era tempo di finire questa cosa, dovevo voltarmi.
Stavo per farlo.
L’avrei fatto.
O forse no.
No, probabilmente non l’avrei fatto, non avrei avuto questo minimo di coraggio.
Lei evidentemente lo aveva.
-È la decima volta che ci incontriamo. Non pensi che forse dovremmo almeno salutarci?-
Dèi di tutti i tempi, ricorderò queste parole finché non sarò disperso in cenere per lo spazio.
Mi voltai.
Aveva la tesa del cappello alzata e la sciarpa avvolta intorno al collo e non tirata sul naso.
Fui assalito, in modo del tutto identico, dalle stesse emozioni a caso che avevo percepito la prima volta che l’avevo incontrata.
Non voglio descrivere quel volto, le mie parole non potrebbero mai rendervene un’idea fedele.
Ricordo ogni parola.
Non credo che un ricordo simile potrà mai lasciare la mia testa.
-Potremmo. Non dovresti sentirti obbligata a farlo, soprattutto perché dopo averti salutata non avrei nulla da dirti-
-Allora siamo in due… Talesteller- Talesteller.
Il nome con cui avevo scritto i miei innumerevoli post di rivolta.
Soppesai accuratamente ogni parola, sembrò trascorrere un’eternità prima che riuscissi ad elaborare una risposta.
Perché ora che questa cosa era cominciata, non avrei sopportato che se ne andasse.
-Quel nome l’ho usato finché ho potuto scrivere sulla Rete-
-Ora cos’è cambiato?-
-Conoshci l’Ufficio Governativo di Shicure…- Mi tolsi il depuratore dalla faccia –L’Ufficio Governativo di Sicurezza informatica-
-È uno dei motivi per cui sono su Sirio-
-Quindi… non sei di qui?-
-No, e mi ritengo fortunata. Ho letto molti dei tuoi post sulla Rete prima che l’Ufficio li Cancellasse-
-Censura-
-Come?-
-La Censura. Quell’ufficio non garantisce nessuna sicurezza, elimina dalla Rete contenuti scomodi per l’Imperatore-
-Avevo immaginato qualcosa di simile, ma immaginavo fossero i proprietari dei blog a cancellare i tuoi post. Li ho letti quasi tutti- Io ho passato la vita nella convinzione che nessuno avesse mai letto i miei post e lei li aveva letti tutti e centotrenta –E capisco che questo pianeta non è altro che lo schifo che dici. O almeno la sua popolazione-
-Quale popolazione?- Chiesi urlando all’aria.
Quando terminò l’eco, rimase solo il silenzio.
Lei rise.
Non posso ne’ voglio descrivervi il suo sorriso.
-Sembra impossibile che un pianeta così ricco sia in questo stato. Queste strade dovrebbero essere popolate di Siriani, e questa…-
-La nube- Indicava il muro arancione sulle nostre teste –Gas pesanti che l’atmosfera schiaccia a questo livello. È lì da vent’anni, forse di più-
-Questo pianeta è per gran parte il più desolante che abbia mai visto e per una minima parte il più caotico. Sembra impossibile che con così tanti posti occupati dalle macchine la disoccupazione sia una delle più basse della Galassia-
-La Rete è la risposta. Più macchine venivano costruite, più aumentavano le possibilità di lavoro sulla Rete. Adesso come adesso, non c’è quasi più nulla che non possa essere fatto da dietro un computer. In gran parte dei cantieri non opera nemmeno un Siriano. Tutti robot- Feci una pausa. Una domanda mi sorse spontanea nella testa –Tu invece no. Tu… devo chiedertelo, perché percorri questa strada deserta tutti i dannati giorni?- Sorrise.
-Non sarei mai uscita dal mio appartamento se non fossi incappata in uno dei tuoi blog. E non sai quanto hai ragione. Queste strade sono morte, ma non possiamo diventare schiavi delle macchine. Forse lo hanno fatto perché la gente per le strade è un rischio. Attraverso lo schermo dei computer non si conosce la gente, si conosce ciò che la gente vuole far credere di essere-
-Non hai idea di quanto mi faccia piacere sapere che non sono l’unico in tutta la Galassia a pensarla così-
-Credimi, nemmeno io e te siamo gli unici. Da qualche parte ci deve essere qualcuno che sia nato al di sopra della massa. Altrimenti non potremmo essere arrivati a questo punto, altrimenti-
-La questione è se riusciremo a trovarlo prima che lo rinchiudano in una clinica neuronale o che si uccida credendo di essere solo nell’universo. Credo che avrei fatto qualcosa di simile se non avessi incontrato te-
-Devo dire che è la prima volta che mi sento dire una cosa simile- Sorrise.
Non mi ero fatto illusioni per le ultime settimane.
Era realmente la persona che pensavo fosse.
Avrei voluto protrarre quella conversazione per l’eternità.
No, questa frase è stupida, l’eternità non esiste.
E probabilmente lei si sarebbe scocciata ben prima di arrivare a qualcosa di simile.
Non volevo annoiarla.
Dovevo far andare quella conversazione in una direzione, qualsiasi.
-Non mi sorprende. Non capita spesso di incontrare depressi del mio livello-
-Talesteller… No, aspetta, voglio sapere il tuo nome- Glielo dissi senza neanche pensarci.
Non le chiesi il suo.
Non so esattamente il perché, non certo perché non mi interessasse.
Ma non glielo chiesi –Se fossi depresso ti guarderesti bene dal scendere per le strade e gridare “They will not control us” a questi chilometri di finestre chiuse- Rimasi quasi scioccato.
Non immaginavo che mi avrebbe sentito qualcuno.
Tanto meno, qualcuno che conosceva il terrestre.
Non so esattamente perché lo facevo, ma non ci facevo quasi più caso.
-Aspetta un attimo, sai il terrestre?-
-Sto lavorando ad un progetto di migliaia di pagine su tutti i sistemi di governo della Galassia… quindi si, so il terrestre e una decina di altre lingue-
-Se stai studiando il sistema di governo di Sirio, temo che resterai molto delusa-
-In effetti, ho appena finito. Tra qualche giorno dovrei tornare al mio pianeta-
Congelai.
Stava per andarsene.
-E… quale sarebbe, il pianeta che ha l’onore di ospitarti?-
-Thelaar terzo- Un sistema neutrale.
Il più ricco dei sistemi neutrali.
Ricoperto di città, ma non come questo schifo.
-Immagino sia molto meglio di qui-
-In effetti si, o almeno per quello che ho visto-
-Come… ci torni?-
-Una grossa AIC diretta lì parte tra quattro giorni, quando qui dovrebbe essere tarda notte-
Non aspettavo altra occasione.
Avrei finalmente potuto lasciare il pianeta avendo un posto dove andare e senza dover lasciare lei.
Sempre ammesso che avrebbe accettato di ospitarmi.
Ad ogni modo, ci parlavamo per la prima volta, non mi sembrava ancora il caso di tirare fuori l’argomento.
-Siamo in due, a voler lasciare questo pianeta-
-Ti fa proprio schifo eh?-
-Ne ho la nausea. C’è ancora posto su quella nave?-
-Ha quasi undicimila posti, è piena per poco più di metà- Fece una pausa e ci guardammo –Nemmeno ci conosciamo e tu sei pronto a seguirmi dall’altra parte della galassia-
-Sei la prima- Avevo parlato senza neanche rendermi conto di dov’era finita la conversazione. Lei mi guardò storto. Feci una pausa –Sei la prima ad essere diversa. Non solo perché scendi in strada quando potresti vivere una giornata appagante senza alzarti da una sedia, ma perché sei viva. Ti guardi intorno, cerchi, trovi e giudichi, non come questi nove miliardi di persone in questi palazzi, che prendono ciò che gli arriva e lo accettano…-
-Tutto questo lo devo a te-
-Se fossi stata come tutti gli altri, non avresti cercato il mio blog, o mi avresti ritenuto pazzo. Tu sei diversa da tutto e tutti. E non voglio perderti-
-Hai realizzato che è la prima volta che ci parliamo e tu stai già flirtando?- Sorrise.
In effetti, non mi ero quasi reso conto di tutto ciò che avevo detto.
I miei pensieri si erano collegati direttamente ai miei muscoli senza il tramite del cervello.
-Flirtando? No. Non potrei trovare una cosa che odio più di questa parola. Ciò che ho detto è ciò che penso. Non voglio perderti. Non ho mai detto di volerti costringere a dividere la tua vita con me. Non so nemmeno se sei fidanzata. A vederti mi sembra impossibile che tu non lo sia, ma non lo so. E poi, non sarei mai capace di condividere la mia vita con un’altra persona, senza danneggiarla, o ferirla. Tu meriti di meglio. Ed il giorno in cui lo troverai, tutto ciò che voglio è non perderti. Non ci siamo mai parlati fino ad ora, ma… tu hai rivoltato la mia vita. Non credo tu possa capire, ma… sei troppo importante per me. Anche se è la prima volta che ci parliamo. Non potrei accettare di perderti- Lei sorrise e abbassò lo sguardo.
Avevo esternato pensieri a caso.
Tutto ciò che pensavo, senza riflettere sul come e sui possibili effetti.
Sono stato un idiota.
Era la prima volta che parlavamo.
Doveva essere la prima volta nella sua vita che aveva a che fare con discorsi simili.
-La nave partirà il 20 alle 23, si chiama Discovery. Vedi di esserci o ti verrò a cercare, tre giorni sono lunghi da passare rinchiusi in una camera- Mi sorrise, si voltò e proseguì.
La guardai allontanarsi.
Non mi ero sbagliato.
Quella giacca scolorita, quei pantaloni stretti sbiaditi ed il cappello che non si vedeva da secoli volevano dire qualcosa.
Ho passato il resto della notte a cercare sulla Rete i biglietti per quella nave e li ho trovati.
Non credevo fosse possibile una conversazione simile.
Se n’era andata dandomi… no, non userò appuntamento, non era un appuntamento. O forse si, ma mi piace credere di essere diverso anche in questo dal resto della gente.
Siamo ancora dominati dall’istinto.
Avere una compagna, avere con lei una relazione stabile e, possibilmente, dei discendenti.
Io spero di non essere guidato dalla stessa cosa.
Io non voglio lei.
Voglio che lei sia felice, sia viva.
Voglio starle vicino.
Forse è il mio cervello che funziona male, forse mi sbaglio su tutto, ma ho bisogno di alcune certezze, anche a costo di crearmele dove non sono.
-Non sono fidanzata e non lo sono mai stata per più di cinque primi-
La sua voce mi raggiunse dalla nebbia arancione quando ormai non la vedevo più.
  
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