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Autore: Talesteller    19/01/2012    0 recensioni
Questa cosa è andata ben oltre dove speravo andasse.
E questo ci ha portati alla catastrofe.
Ma la gente deve sapere perché ora sono qui, in questa cella, ad attendere la fucilazione.
Ciò che ho fatto non deve morire con me e con i miei.
Questi sono i miei diari.
Queste sono le origini del più grande movimento anarchico della Galassia.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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16 dicembre 15026, Sirio.
Post dal blog “Awake”, ora locale 22.13
Post rimosso per incitazione alla rivolta.
Blog sospeso per n° 34 giorni locali.
Provenienza: IP 356.089.664


La luce pallida dei fari rischiara le strade ed i veicoli di passaggio, un centinaio di metri qui sotto.
Chi è abbastanza ricco da permettersi un velivolo non vola certo nei bassifondi, rischiando ancora di finire contro un tubo dell’aerazione o, peggio, del gas. Gli unici che passano sono i caccia della Pattuglia Cittadina e i contrabbandieri, talvolta i primi all’inseguimento dei secondi.
I palazzi svettano per non meno di ottocento metri sopra le strade. Da lassù non ci vedono neanche qui, la pressione atmosferica schiaccia a duecento metri d’altezza la polvere e i gas di scarico.
Io sono qualche decina di metri sotto la nube, di un grigio tendente all’arancio.
Mentre scrivo questa roba mi viene da chiedermi se sono in una prigione o cosa. Davanti alla mia finestra non ci sono tubi, solo una decina di metri di vuoto, prima della finestra dell’appartamento opposto, che è chiusa da anni. In alto, non si può andare. Il console di Sirio al Consiglio Imperiale ha annunciato pubblicamente alcuni mesi fa che la nube è altamente tossica, come se non ce ne fossimo già accorti da soli. Gli appartamenti a quell’altezza sono quasi tutti vuoti, gli occupanti sono finiti dritti all’Unità di Soccorso Sanitario o sono morti prima di poterci arrivare, e questo da anni prima dell’annuncio. Quei pochi che ci sono rimasti faranno la stessa fine tra poco.
Le strade sono ben poco sicure. Qui sulle ultime sopraelevate prima della nube c’è abbastanza sorveglianza e ogni tanto qualcuno viene anche a pulire, ma la qualità dell’aria è talmente pessima che è meglio evitare di andare in giro, soprattutto di giorno.
Le strade a terra non sono neanche da considerare.
Non per me, almeno.
Sono costantemente coperte da uno strato neanche tanto sottile di quello che viene da sopra. Fogli, detriti vari, ogni tanto si trova anche qualche computer da tasca funzionante, ma sono per la maggior parte polveri pesanti, sacchi di scorie varie e ammassi di componenti elettronici quasi fusi insieme dal tempo. In più il traffico veicolare è quasi costante. I ricchi abitano in centro e hanno i loro bei caccia o le piccole aeronavi, noi qui dobbiamo aggiustarci con i veicoli.
No cioè, loro, non io.
Io non ho un accidente di mezzo motorizzato.
Potrei comprarmelo, non è un problema di soldi.
Di fatto qui nessuno ha problemi di soldi.
Ma non mi va, l’idea di andare in giro con un veicolo.
Per quel poco che vado in giro io.
Insomma, le strade sono sempre piene di veicoli, con i loro scarichi e quant’altro.
E non mi sogno neanche di scendere laggiù.
Per le rare volte in cui esco ho una bombola d’azoto e un piccolo depuratore d’aria, il congegno che mi ha fatto guadagnare il diploma di tecnico avanzato in chimica inorganica, e uso le sopraelevate sul mio livello.
In giro non c’è mai nessuno.
Questa società è progettata perché tutti possano avere tutto senza muoversi da casa. Ed è lo stesso che faccio io, più o meno.
Lavoro da casa, il cibo lo compro dal Corriere Alimentare Automatizzato, quasi tutto il resto lo acquisto via Rete.
Ma qualche volta sento ancora il desiderio di lasciare queste mura.
A parte la casa, l’unica eredità che mi ha lasciato mio padre è un dispositivo mobile per ascoltare la musica, estremamente comodo anche se lo uso da talmente tanto tempo che è quasi consumato.
Ascolto prevalentemente musica terrestre. Non lo schifo di adesso, quella è musica fatta per ottenere profitto, facendo colpo su vari tipi di pubblico. Quella musica non trasmette niente, è piatta, uniforme.
Uniforme come le menti della gente che non vedo ma in mezzo a cui vivo.
Io ascolto le perle antecedenti all’Apocalisse, la musica conservata dai Pionieri, quella suonata per scuotere gli animi, non per ottenere crediti. Musica forte, i terrestri la definivano “roccia” prima della loro Apocalisse.
La vera forza di questa musica sono però in pochi a capirla.
Non potrebbe importarmene di meno.
Sono cresciuto in modo tale che ora avere il consenso e la compagnia della gente mi è completamente superfluo.
Ho passato l’infanzia a costruire versioni semplicistiche di quello che ho poi costruito all’Accademia Superiore per Tecnici ed Ingegneri.
I miei compagni dell’Istituto per l’Educazione Primaria infantile andavano a giocare nei parchi, allora ancora agibili senza maschere d’ossigeno, mentre io disegnavo e costruivo le navi da guerra che vedevo solcare i cieli. All’Istituto avanzato speravo di poter inserirmi così, di botto, tra gli altri, ma sono stato un’idiota per tutti e tre gli anni.
Non capivo che io non avevo niente a che fare con quella gente, e ascoltavo la loro musica, i loro discorsi, e tentavo di inserirmi tra di loro. Riuscii solo a stringere amicizia con alcune delle ragazze ed uno dei miei compagni. Tutto ciò non andò da nessuna parte. Avere amici comportava volerli mantenere, e io forse non lo ritenevo necessario. O comunque nel caos che regnava nella mia testa non mi rendevo conto che passando le giornate in casa credendo di divertirmi non sarei riuscito a mantenere quelle amicizie. Persi quasi tutti i contatti con una delle ragazze poco dopo aver iniziato l’Istituto per la Formazione Avanzata Giovanile, per alcuni mesi ebbi una cosa simile ad una relazione con una di loro, ma probabilmente, se vi raccontassi in cosa consisteva, mi direste che non era nient’altro che un’amicizia. Persi i contatti anche con lei, e con l’unico maschio che frequentavo. Si perse anche lui nella massa delle coscienze piatte.
Poi, a metà del primo anno all’ IFAG qualcosa cambiò in me.
Non credo nell’amore o cose varie, ma il solo incontrare una persona cambiò qualcosa, anzi, tutto, in me. Nel caos si delineò un corridoio e vi entrai. Lei mi fece finalmente capire chi ero, da quando realizzai che era il primo essere a non essermi completamente estraneo che incontravo. Il primo anno mi comportai però da idiota.
E bastò questo a rovinare gli anni seguenti, in cui mi comportai come si addice verso una persona con cui vuoi a tutti i costi mantenere i contatti.
Quando, alla fine dell’ultimo anno, le dissi chiaro e tondo ciò che provavo, la risposta fu il silenzio.
Poi vennero gli anni del grande caos, i primi anni della Seconda Guerra Galattica. Cambiai una decina di lavori in cinque anni, suscitando una preoccupazione di cui non avete idea nei miei.
Subito dopo il diploma all’IFAG, cercai di riprendere i contatti con l’essere a cui dovevo ciò che ero.
Scoprii che era morta in seguito ad una malattia rara contratta dal fratello.
Mi viene da chiedermi come sia possibile che nel sedicesimo millennio ci siano ancora malattie considerate rare.
Ma non sono qui per parlarvi della mia fottuta vita, l’ho fatto solo per farvi capire come sia possibile che sono arrivato a questo punto.
A trovarmi bene nella mia solitudine.
Non posso parlare della solitudine in generale, non sono un sociologo o psicologo o quello che è, quindi non posso fare un trattato sulla solitudine. Tutto ciò di cui posso parlarvi è la mia solitudine, ossia tutto ciò che conosco.
Secondo voi e i vostri criteri di valutazione sarei probabilmente un fallito. Non ho una compagna, figli, niente di simile ad un amico, salvo una mia parente che vive dall’altra parte della città.
Pensate ciò che volete.
Non ho bisogno di niente di tutto ciò.
La musica è probabilmente ciò che mi permette di sopravvivere e convivere con questo niente con cui convivo, con il silenzio assordante che regna in casa mia e per le strade.
Credo che questo sia perché alcuni testi potrei averli scritti io, tanto sono vicini a ciò che sento e credo. Nella musica ho trovato ciò che non ho trovato nella gente. Qualcosa che mi assomigliasse, in cui mi riconoscessi. Negli autori, qualcuno che credeva in qualcosa in cui credevo anch’io, cose che ho trovato in sole due persone.
Una è morta di una dannata malattia rara, l’altra ha chiuso l’IFAG e l’ASTI con quasi il massimo della valutazione ed ora progetta i sistemi della prossima generazione di navi da guerra dell’Impero, le nuove navi che in teoria dovranno essere completamente automatiche.
La mia solitudine è una scelta. Una scelta di vivere nell’unico modo che conosco, ossia senza costrizioni, libero da qualsiasi vincolo imposto dalla famiglia, dagli amici, dalla società. Essere soli permette di percepire chi siamo e non chi vogliamo far sembrare di essere, percezione che si completa scrivendo un diario. Uno spazio privo di influenze, riservato alla concatenazione dei nostri pensieri. Per quanto la compagnia del gruppo dei pari possa aiutare a plasmarla, la coscienza di ciascuno di noi si forma quando è costretta a fare i conti con se stessa, solo quando non ci sono forze che ci plasmano possiamo decidere quale forma assumere.
Mi capita talvolta di pensare ai miei vecchi compagni, ai loro gruppi, alle loro innumerevoli fidanzate. Mi chiedo cosa possano pensare di me.
Mi rispondo che non m’interessa.
Vivo benissimo così, ho anche imparato a cucinare, essendo costretto a mangiare ciò che cucinavo. E da allora ho iniziato a mangiare anche bene. Sarei abbastanza “ricco” da potermi permettere un caccia, ma non potrei mai mantenerlo, e comunque non ho il brevetto di volo e non ho nessuna intenzione di prenderlo. Non mi serve e non ho nessuno a cui esibirlo come status symbol.
Non ho nessuno a cui dovermi adeguare, nessuno per cui preoccuparmi, nessun impegno da rispettare. Sono me stesso come non potrei mai esserlo vivendo con qualcuno o vedendomi costantemente con uno stormo di amici.
Ed è ciò che dovrebbe fare chiunque di voi. Non adeguarsi a ciò che pensano gli altri, ragionare su ciò in cui vi imbattete, non accettarlo perché tanti altri l’hanno accettato. Maturate una coscienza.
Questa società è come è ora perché fino adesso il denaro ci ha drogati tutti. L’indice di povertà è a zero a Sirio e nei sistemi limitrofi. Bene.
Ora l’Impero spera che avendo i crediti non ci ribelleremo.
Ma si sbaglia, o almeno spero. Una buona parte del popolo Siriano non ha mai sentito parlare di musica, nessuno si è mai chiesto se è giusto che chi vive sotto la nube sia costretto a non superarla mai, nessuno va contro ciò che l’Impero ci vuole far credere per mantenersi alla guida di cento miliardi di Siriani.
Mi hanno già chiuso un centinaio di blog per post simili a questo, ma non mi stancherò mai di combattere.
Se la solitudine è l’unico modo per rendervi conto che ciò che siete stati fino ad ora non è ciò che volete essere, allora accantonate i vostri milleseicento amici che vedete ogni sera al bar di lusso di turno. Rendetevi conto che l’Impero ci sta schiacciando, non i corpi, ma le menti.
Svegliatevi, se non c’è altro modo, trovate la forza per farlo da soli.
Alzatevi e riprendetevi il potere, è tempo di farlo.
  
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