Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Ramiza    19/01/2012    1 recensioni
Vi apro uno squarcio nel cielo di carta: vi mostro un angolo di vita universitaria. Guardate e tremate. Horror, sovrannaturale, tragedia si intrecciano in questa storia che, ahimé, non ha proprio niente di inventato (e qui risiede il vero dramma). Non so se la storia si concluderà così o se scriverò ancora, ma tant'é: ecco a voi l'università di Favalandia.
Genere: Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dedicato a tutti quelli che ci credono. Ma più ancora a tutti quelli che ci hanno creduto.

 

 

PREMESSA SEMI-SERIA

 

Esimi Professori, Gentili Professoresse,

 

chi vi scrive si sta accingendo a preparare le valige e a salutare l'Università italiana, in questi anni con più o meno affetto – ma quasi sempre meno – e per ragioni che non necessitano di essere qui elencate, denominata Favalandia.

 

Chi vi scrive si appresta ad andarsene mettendo in valigia un po' di delusione e qualche soddisfazione, entrambe guadagnate in questi tre anni di dottorato, e ripeterebbe senza esitazione questo percorso, giudicando le soddisfazioni comunque più importanti delle delusioni se non per quantità almeno per qualità, e non vi accusa pertanto di averla trascinata in un percorso senza via d'uscita che, se tale probabilmente è, è stato sempre e solo frutto di scelte personali, magari azzardate, magari venate da un filo di inconsapevolezza e incoscienza, ma comunque personali.

 

Chi vi scrive, tuttavia, come molti che non vi stanno scrivendo, non può non constatare con malinconia e dispiacere, di trovarsi di fronte a un bivio: rimanere in Italia e rinunciare a ciò per cui e su cui ha studiato, speso energie, sudato, gioito, riso e pianto, prendendo un'altra strada, scegliendo un altro lavoro – tanto ormai ci hanno insegnato che la stabilità è solo una prigione da cui rifuggire e che nella precarietà, al contrario, risiede il segreto della giovinezza eterna – oppure andarsene e tentare almeno di proseguire in quel breve cammino già tracciato.

La scelta, come si diceva, è già fatta e tuttavia i dubbi rimangono. Più ancora dei dubbi, tuttavia, logora la rabbia inespressa che anni di situazioni imbarazzanti, al limite del paradossale – tanto da poter apparire divertenti -, hanno trasformato in ironia e cinismo.

 

Chi vi scrive vorrebbe poterle narrare tutte.

Vorrebbe avere il tempo e lo spazio – e la memoria, non da ultimo – per descrivere i dipartimenti semi deserti, dove professori strapagati fluttuano come ectoplasmi nell'Ultima Thule della loro noia, vorrebbe raccontare di quei professori che gestiscono quei dipartimenti come se fossero feudi e degli usi e degli abusi di potere a cui ha assistito, ma, ahimé, è consapevole che niente di tutto questo desterebbe il minimo interesse in un eventuale lettore.

Questo perché di tali ineptiae si è già troppo a lungo parlato – il fatto che siano ineptiae è inconfutabilmente dimostrato da ciò stesso che, per quanto se ne sia a lungo parlato, nessuno abbia mai sentito la benché minima esigenza di intervenire in alcun modo, relegandole al ruolo di inevitabili incidenti di percorso.

Dunque chi vi scrive non vi parlerà di questo.

Vi racconterà invece alcune semplici storie aventi come protagonisti persone più o meno simili a lei, per età e per posizione accademica, dottorandi o dottorati, cultori della materia, tutor didattici e chi più ne ha più ne metta.

Voi, esimi Professori e gentili Professoresse, vi comparirete talvolta e talaltra resterete in ombra – se vi cercherete bene potrete sempre trovarvi, lì da qualche parte –, ma non ne sarete mai i protagonisti.

Tuttavia non disperate.

Con vivida certezza sappiamo tutti che siete comunque voi a portarne il merito.

 

Chi vi scrive non intende addossare su di voi la colpa della rovina dell'Università italiana. Sono troppi e troppo confusi, diluiti nel tempo, nelle scelte sbagliate, tanto nell'immobilità politica quanto nella deficienza culturale, i fattori che l'hanno condotta a questa triste sorte.

Vostra è tuttavia è stata, in tempi forse non troppo lontani, la scelta di distruggere il merito, o meglio di piegarlo ai vostri giochi, ai vostri scopi e alla vostra vanità, lasciandoci in balia di un sistema di potere deficitario e poco chiaro, in cui tuttavia qualcosa si delinea con chiarezza: la serie di appartenenza.

Per questo oggi chi vi scrive può definire se stessa, senza falsa modestia né vittimismo, ma solo con una facile obiettività, dottorata di serie B.

Chi vi scrive è – e rimarrà - in serie B non perché le sue pubblicazioni non siano all'altezza della promozione, né perché la sua tesi dottorale valga meno di quelle altrui, ma semplicemente perché chi l'ha seguita in questi anni – con rigore scientifico e calore umano – non possiede la grinta necessaria per permetterle il salto di qualità .

Non solo.

Il dramma di chi vi scrive – e di altri che non vi hanno scritto e tuttavia ne condividono la sorte – è quello di non essere stati sfruttati abbastanza.

 

Dopo aver vinto poco più che casualmente un concorso di dottorato, trovandosi semplicemente al posto giusto nel momento giusto (cosa facilitata, tra l'altro, dall'iscrizione a decine di concorsi sparsi per l'Italia), noi abbiamo infatti, ahinoi, potuto dedicarci alla nostra ricerca.

Non siamo mai stati chiamati a svolgere esami, di conseguenza non siamo mai stati nominati cultori di un bel niente, fatto salvo delle verdure che crescono nel nostro orto, non abbiamo mai dovuto assumerci l'onere o l'onore della didattica, non ci è stato affidato alcun laboratorio, non siamo mai diventati tutor di alcunchi, potendolo essere a fatica di noi stessi, non abbiamo fatto gli autisti né i fattorini, né i portaborse di nessuna borsa che non fosse nostra.

Di questo oggi paghiamo le conseguenze, relegati – non senza tuttavia, ammettiamolo, un velo d'orgoglio - in serie B.

 

Cordialmente,

 

Una dottorata di serie B

 

DI TALENT SCOUT, CULTORI DELLA MATERIA E SANATORIE

 

Ogni storia ha il suo inizio. A quella che narra il declino dell'università italiana noi, decisamente troppo giovani, non sapremmo trovarne uno.

Certo, sentiamo spesso dire in giro che la causa di tutto è stato il '68, nella versione rimaneggiata del '69 italiano.

Secondo altri il vero danno è stato quello provocato dall'approvazione della legge 382/1980, una sanatoria con cui in modo quasi automatico si sono trasformati assistenti in ricercatori e in professori grazie a una valanga di concorsi ad personam, provocando quella che Salvatore Settis definisce “un'onda anomala”.

Il professor Come-me-nessuno-mai, aggirandosi per le aule del dipartimento che diserta ormai da anni, in virtù di un succulento contratto come direttore di un CNR (ma il posto all'università, naturalmente, gli è garantito al suo ritorno), dopo aver risposto con stile a chi gli domandava perché non si proponesse alla direzione del suddetto dipartimento

«Io dirigo solo il mio uccello» (sì, disse proprio così, SOLO-IL-MIO-UCCELLO, forse che l'esimio si riferiva a uno sparuto passerotto trovato in giardino e misericordiosamente adottato?)

non mancò di tuonare a gran voce contro il pietoso stato dell'Università

«Ma che ci resto a fare qua dentro? È tutto un grandissimo puttanaio» (sì, disse proprio così, PUTTANAIO, e noi ad ascoltare devoti e grati per tanto sapere trasmesso).

Ora, con rispetto parlando, vorremmo far notare al professore Come-me-nessuno-mai che i puttanai, ovvero i bordelli, esistono solo in virtù del fatto che qualcuno li frequenta.

Ci sono clienti, l'articolo tira sul mercato e dunque i bordelli funzionano.

Premesso ciò, vale a dire

  • che i bordelli funzionano mentre l'università no

e che

  • i bordelli fanno girare un sacco di soldi mentre l'università non vede una lira da anni, salvo per pagare i contratti dei professori ordinari e associati (i ricercatori stanno cercando di mandarli in pensione a 60 anni, mentre i professori possono attardarsi fino ai 75, e poi ricevere numerosi incarichi di consulenza)

vorremmo, con rispetto parlando, suggerire al professor Come-me-nessuno-mai di controllare il suo curriculum vitae, di cui non forse non si ricorda a causa di una temporanea amnesia. Se così facesse si accorgerebbe infatti che nessuno di noi (studenti o poco più che tali) era presente mentre l'università si apprestava a cominciare il folle volo.

Pare invece, da voci maligne, che lui, illustre quasi 60enne con animale al seguito (ma non un UCCELLO) e sigaro toscano, si trovasse là.

Le solite voci maligne insinuano anche che la sua promozione a professore associato sia avvenuta, casualmente, nei critici anni ottanta di qui sopra.

Ma tant'è, il professore esterna la sua indignazione e se ne va senza aggiungere altro.

Non gli interessa protestare né, tanto meno, fare qualcosa affinché la situazione cambi.

Dopo aver spremuto all'università ciò che poteva spremere, se ne va altrove, in attesa forse di un pronto ritorno a pochi anni dalla pensione.

 

Com'è come non è, abbiamo divagato ancora.

Dicevamo, non è l'inizio del declino quello che ci interessa in questo momento, bensì quella della nostra piccola presa di coscienza.

È il momento in cui nasce Favalandia, o meglio, quello in cui la vediamo per la prima volta.

Favalandia, ovviamente, è sempre stata lì, e noi ci siamo passati davanti mille volte senza accorgercene davvero.

La scopriamo nel giorno in cui troviamo quel ragazzo moro, tanto carino e laureato da qualche mese, dietro la cattedra di un'aula intento ad interrogare. Apprendiamo così che il tale è stato nominato cultore della materia.

 

Il titolo di Cultore della materia viene assegnato, all'interno delle Università, dal Consiglio di Facoltà, solitamente su segnalazione di un docente, a laureati e agli studiosi che abbiano mostrato un forte impegno e una conoscenza approfondita, accompagnati da studi e pubblicazioni specifiche anche in campo internazionale, su una certa materia.

Così ci dicono wikipedia e i regolamenti delle università italiane, che specificano che la richiesta deve essere motivata da un curriculum vitae del candidato, da una lista delle sue pubblicazioni etc. etc. etc.

 

Il tale di prima lo chiameremo Leonardo Fava, e cominceremo citando a memoria ma con scrupolo filologico di fedeltà la frase che pronunciò alla fine di quell'esame.

«Ma sai, spesso faccio domande di cui non conosco la risposta esatta. In quei casi vedo come mi rispondono, se vanno spediti vuol dire che la sanno, se invece tentennano dico “eh no, non ci siamo”».

Naturalmente il criterio di giudizio è ineccepibile.

Prima tuttavia di tuonare a gran voce contro il suddetto L. F., vogliamo scoprire chi è il professore che lo ha proposto per il titolo di cultore della materia, posizionandolo lì a svolgere quel rocambolesco colloquio attitudinale che è diventato il suo esame.

Il professore in questione si chiama Giovane-e-bello ed è un talent scout naturalmente portato.

Com'è come non è i suoi assistenti sono sempre belli (e svenevolmente ruffiani, ma non interessa, in questa sede). Giovani fanciulle e fanciulli pendenti dalle bocche d'un novello Socrate.

Oh quanta sapienza. Ne siamo inondati e ci lasciamo bagnare dalle sue generose acque.

Ora, questo Leonardo Fava e, naturalmente, amico di Cazzio.

O meglio, Cazzio lo odia ma lui non lo ha ancora capito e lo ammira per essere riuscito là dove lui ha miseramente fallito:farsi regalare un dottorato, con tanto di titolo, e ascendere così nell'Olimpo di veri privilegiati.



  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Ramiza