15.Epilogo
Sometimes it comes to an end
Forse non avrebbe dovuto finire in quel modo. Forse avrebbe dovuto continuare, perché dieci, cento, mille parole non l'avrebbero di certo uccisa.
Neanche
i mille rimproveri di Oliver l'avrebbero fatta desistere.
Però al contrario, il tempo, maligno, le aveva tolto ogni
falcoltà di scelta. Era rimasta intrappolata nella ragnatela
degli eventi. Perché qualche volta tutti sbagliano, e piano
piano i nostri errori diventano sempre più grandi,
così come le numerose sviste del suo medico. Si
aggiustò la casetta del suo scoiattolino sulla testa rasa.
Era
così dolorosamente difficile mettere la parola fine a quel
romanzo.
Forse
perché reputava fosse stato il suo migliore, fino a quel
momento, e probabilmente anche il suo ultimo. Mentre sorrideva con le
guance cadenti e gli occhi stanchi, Misako scriveva, digitando
velocemente i tasti del suo computer giallo. O forse perché
la protagonista di quel suo libro, quello squarcio di sogno, era la
più bella cosa che era capitata nella sua vita, e in quella
di Hayama. Sana stava tra quelle pagine, scritte in bianco su nero.
Aveva
scritto parole leggere sul punto della caduta, perché non
voleva chiamarla con un altro nome più adatto e altisonante.
Sarebbe stata una caduta libera, contro la vita, contro tutto e tutti,
contro sé stessa. Una sfida a superarsi, a terminare il suo
ultimo lavoro prima della vera fine.
Qualcuno
le aveva detto che, quando si comincia, bisogna sempre terminare
ciò che si è iniziato. Poi le aveva sorriso e
aveva stretto forte la mano di Hayama facendo
tintinnare i loro anellini d'argento. Qualche giorno dopo sua
figlia era sdraiata sul lettino del ginecologo con del gel
freddo sulla pancia, e lei non poteva che esserne più
felice, al contrario di Hayama che guardava scettico Sana; ma erano
leciti i suoi dubbi non poi così tanto oscuri, che gli
indurivano i lineamenti del volto ormai da uomo, dopo tutto
quello che aveva passato.
Quindi
ora, mentre aggiungeva quelle che sembravano le parole più
difficili e belle di tutta la sua attività di scrittrice a
quello scrigno d'amore che era il suo nuovo (e segretamente ultimo)
romanzo, guardava Sana che rideva cristallina e rumorosa come non mai,
con la pancia sproporzionata rispetto al corpo, ma non al cuore.
Natsumi che alzava la sua nuova macchina fotografica, mentre in un
angolo Aya e Tsuyoshi si tenevano la mano parlottando piano, Fuka, Gomi
e Mami, spulciavano vecchie fotografie.
-Dite
cheese!- fece la mora.
-Cheeseee!-
Sana rispose facendo una faccia idiota e pizzicando Akito che non aveva
la benché minima intenzione di sorridere -Dì,
cheese!-
-Cheese-
fece lui, senza cambiare espressione.
-Cheeeeeeseeeeee!-
esclamò l'altra ampliando ancora di più il suo
sorriso a trentadue denti.
Misako
batteva veloce sui tasti, scandendo gli ultimi giorni della sua
esperienza come mamma, scrittrice e donna, poi non sarebbe stata che
cenere.
Natsumi
non sapeva quando scattare e continuava a distrarsi perché
Fuka le mostrava sempre vecchie foto sbiadite di loro da adolescenti.
Poi
quando la mora ne tirò fuori una con un piccolo pupazzo di
neve, per metà sciolto, chiedendo cosa diavolo fosse
perché era proprio di cattivo gusto, Sana rise sotto i baffi
e Akito voltò il viso dall'altra parte.
Forse
non avrebbe dovuto finire in quel modo, senza nessun seguito, senza che
lei potesse vedere una piccola Sana girare per casa di nuovo, senza che
potesse conoscere sua nipote. Senza poter abbracciare sua figlia, per
quello era quello che era, mai più.
Sana
si era appoggiata al petto di Akito, poi si era girata e aveva
sorriso solo come lei sapeva fare all'obbiettivo, mentre loro
mani s'intrecciavano sulla trama sottile del loro
piccolo futuro e del suo ingombrante ventre. Akito accigliato, Sana che
sorrideva.
Li
avrebbe sempre ricordati così: in quello sprazzo di paradiso
che era stata la loro relazione per entrambi. Con le dita intrecciate e
ben salde sul futuro, guardando sempre in avanti, sempre dritto
nell'obbiettivo. Quello era ciò che si era prefissata di
fare, e ci stava riuscendo. Alla fine ci era riuscita, l'aveva
scritto: F i n e. Fine. Sorrise: sapeva di aver lasciato Sana in buone
mani.
Spazio
Autrice:
Ebbene
sì. La prima long finita a distanza di anni. Anni.
Tre anni. Precisamente. Non so neanche se spendere due parole in
più su quello che per me ha significato Cohabit, su quello
che continua a significare. Non so quali parole spendere.
Perché la crescita che è avvenuta in me in questa
fanfiction è ben celata dalla trama divertente, ma
c'è. Per me Cohabit è la mia opera, 'il mio
tesssssoro'. Senza più scherzi, veramente non l'avrei mai
voluta far finire in questo modo. Ma è successo. Influenzata
da quel piccolo diavolo cospiratore dell'angst anche Cohabit
è finita, come tutte le cose finiscono, decisamente non in
modo spensierato. D'altra parte, ora, non vedo un altro finale
migliore. Perché devo dire che la fine di
Cohabit, la morte di Misako, parla un po' della mia
fine di scrittrice su efp; infatti non so se continuerò a
scrivere - di sicuro non mi dedicherò a storie nuove - sul
web. Spero che la buona volontà e il vostro affetto mi
spronino a finire almeno Immobile, ma mi sembra un po' utopistico.
Sappiate
in ogni caso, che se dovessi anche diventare molto, ma molto
silenziosa, io ci sarò sempre, come voi ci siete sempre
state con me. Siete state un modello, un appoggio, un aiuto,
perché tre anni fa senza di voi sarebbe stato come
senz'aria. Vi ringrazio. Forse voi siete l'unico mio rimpianto; non
credo che il finale sia all'altezza delle vostre aspettative,
né tantomeno dell'appoggio che mi avete sempre dimostrato.
Siete splendide. Non dimenticatelo mai. Ed è per questo che
mi fa tanto male abbandonare Cohabit, lasciarla sprofondare
nell'archivio di cose già dette, di storie finite, concluse:
perché abbandonare Cohabit è un po' come
abbandonare voi. E mi sento uno schifo totale.
Mi
mancherà, mi mancherete, mi mancheranno Sana e Akito,
dovrò cercare altre ancore a cui aggrapparmi, altri porti da
esplorare, ma non credete: è solo grazie al vostro affetto e
sostegno che sono riuscita a crescere, a malincuore, perché
prima o poi lo si deve fare. Vi lascio con un Sayonara,
perché non so se sarà un arrivederci o un addio.
Vi voglio un bene che non potete neanche immaginare.
E
con questo ho finito il mio discorso strappalacrime.
Marghepepe.