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Autore: almeisan_    23/01/2012    0 recensioni
Il rapporto tra Klaus e Rebekah nel passato, quando erano entrambi bambini, e nel presente, quando Klaus capisce di non volerla perdere per sempre anche se conosce la verità sulla morte della loro madre. Il passato si interseca con il presente nella mente di Klaus nella
visione della famiglia degli Originali, della maledizione dell’ibrido e del ruolo della prima Petrova.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Klaus, Rebekah, Mikaelson
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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mmmm Autrice: moonlight_ fu FW e almeisan_ su EFP
Titolo: It’us against the world
Rating: Giallo
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo, Sentimentale
Avvertimenti: One-shot (6271 parole), Spoiler 3x10, leggero What if.
Personaggi: Klaus, Rebekah. Mikael, Esther, Elijah, Finn, Kol, Charlotte Petrova, Gudmund, Stefan Salvatore, solo nominati.
Contesto: Tra la 3x10 e la 3x11
Disclaimer: I personaggi, a eccezione di Gudmund, e i luoghi presenti in questa storia appartengono a Lisa Smith, Julia Plec, Kevin Williamson e a chi ne detiene i diritti. La storia non è stata scritta a scopo di lucro, non è perciò intesa alcuna violazione di copyright.
Introduzione: Il rapporto tra Klaus e Rebekah nel passato, quando erano entrambi bambini, e nel presente, quando Klaus capisce di non volerla perdere per sempre anche se conosce la verità. Il passato si interseca con il presente nella mente di Klaus nella
visione della famiglia degli Originali, della maledizione dell’ibrido e del ruolo della prima Petrova.

It’us against the world

Milioni di stelle rifulgevano nel cielo terso, coronando la purificatrice e candida Luna calante che si specchiava nelle acque limpide di un laghetto immerso nella più fitta foresta di un località ancora inesplorata, di un Nuovo Mondo ancora da scoprire. Un piccolo sasso scuro e levigato colpì la superficie, facendo risuonare un tenue eco e creando cerchi concentrici prima di scomparire al suo interno. Un bambino dai corti riccioli di un chiaro biondo miele, seduto sulla riva del lago, schiuse le labbra carnose e rosate, lasciandosi sfuggire uno sbuffo irato. Gli occhi azzurri si erano incupiti e abbassati sulla piccola mano ancora tesa verso lo specchio d’acqua dinanzi a lui. La abbassò lentamente e la poggiò sulla ruvida terra bagnata piena di ciottoli levigati. Le fronde degli alti pini di quella che oramai considerava la sua foresta furono mosse da una folata di vento gelido che lo fece stringere nelle spalle strette. Percepì dei passi leggeri farsi sempre più vicini a lui, ma non si voltò e attese che una piccola mano delicata e calda si posasse sulla sua. Il bambino alzò lo sguardo fino a immergersi negli occhi limpidi, così tanto simili ai suoi e insieme così diversi, della piccola creatura che gli si era appena seduta accanto. Il volto rotondo incorniciato da lunghe ciocche bionde lasciate sciolte era illuminato da un timido sorriso accogliente a cui il bambino rispose subito, dimentico dell’ira che l’aveva scosso solo pochi istanti prima.
« Nik, la mamma ha detto che la cena è pronta,» mormorò dolcemente. La felicità sul volto del bambino si spense e i suoi occhi tornarono ad abbassarsi.
« Non voglio,» protestò prima di scuotere il capo con forza.
« Non è colpa della mamma,» affermò dispiaciuta in un soffio così basso che Nik faticò a udirlo per davvero. Il suo sguardo si velò di lacrime trattenute a stento, ma non pianse, non davanti a lei, alla sua Bekah.
« Lui troverà una scusa per farmi del male. Lo so. Mi odia.» La bambina sobbalzò e la mano tremò appena sulla sua. Un esile singhiozzo sfuggì al suo controllo e in un attimo Nik si ritrovò a tremare, stretto nelle fragili braccia della sorella. La sua carezza dolce sul capo gli donò quella serenità che gli impedì di piangere ancora una volta, l’ennesima.
« La mamma ha pianto,» gli confessò addolorata, asciugandosi una lacrima con la manica della lunga veste, turchese come i suoi occhi, che indossava.
« È cattivo,» esclamò con tutta la sincerità che possedeva. Bekah abbassò lo sguardo e annuì, sospirando leggermente.
« Dobbiamo andare. Ci sgriderà e questa volta Elijah non riuscirà a fermarlo.» Scostò la mano dalla sua, si alzò e gliela porse nuovamente, invitandolo a seguirla. Nik annuì e la strinse prima di lasciarsi condurre tra gli alberi secolari verso il villaggio in cui abitavano ormai da dieci anni. Nessuno più passeggiava e il silenzio era così surreale da intimidirlo appena. Bekah poggiò la mano sulla porta di legno che si schiuse con un cigolio, poi entrarono e Nik la chiuse alle sue spalle. La stanza era illuminata da una luce soffusa di candele e la famiglia era seduta a tavola, attendendoli. Nik abbassò lo sguardo per non incrociare quello del padre accomodato a capotavola e prese posto accanto al fratello maggiore. Bekah fu subito al suo fianco e sfiorò la sua mano per infondergli coraggio.
« Alza lo sguardo, ragazzo,» gli ordinò bruscamente, sbattendo un pugno contro la superficie lignea. Nik chiuse per un attimo gli occhi e non obbedì.
« Mikael, te ne prego,» mormorò la madre. Nel sentire la sua voce dolce rotta in quel modo dalle lacrime che a stento stava frenando, Nik si affrettò ad alzare lo sguardo e puntarlo verso di lei. Era bella, sua madre, probabilmente la donna più pura e dolce del mondo. Vederla soffrire gli stringeva il cuore in una morsa di dolorosa afflizione. L’uomo al suo fianco sembrò non udire la sua richiesta, il suo sguardo duro era ancora fisso su di lui e nessuno dei suoi fratelli osò spezzare quel silenzio che si era creato. Nik tentò di sostenere il suo sguardo pieno di odio e disprezzo, ma dopo poco fu costretto ad abbassarlo nuovamente. Non ricordava che ci fosse mai stato un momento di tenerezza per lui da quando era venuto al mondo. Non vi era mai stato nulla per lui, se non schiaffi, urla e odio.
« Non ti permettere mai più di fuggire come un codardo davanti a me, ragazzo.» Scandì le sillabe con una tale forza che sembrarono echeggiare nella mente del bambino.
« Non sono un codardo,» smentì, guardandolo negli occhi collerici. Si pentì subito di quello sfogo quando sentì sua sorella trattenere il fiato. Nessuno mai avrebbe dovuto contraddire suo padre. Era una regola che tutti avevano sempre rispettato a capo chino, ma Nik era così stanco di essere insultato senza ragione alcuna. Mikael rise piano, ma non vi era allegria, solo disprezzo, e Nik tremò. Bekah sfiorò nuovamente la sua mano per tranquillizzarlo ed Elijah si mosse inquieto sulla sua sedia come per proteggerlo. Kol e Finn rimasero ai loro posti, il primo pregando con lo sguardo la madre per evitare il peggio, il secondo, invece, lo stava osservando insieme ammirato e incredulo.
«Non sei un codardo, Niklaus?» domandò ironico. Il bambino deglutì e scosse il capo con forza. L’odio che provava quando il padre chiamava il suo nome per intero, come se per lui non fosse più di un estraneo, come se per lui non fosse nulla, gli diede un coraggio che non sapeva di possedere.
« Non lo sono, padre,» aggiunse dinanzi alla sua incredulità. Scelse di non intercettare lo sguardo della madre che lo stava implorando di non andare oltre. Scelse di non percepire il calore della mano di Bekah che stringeva la sua in una morsa quasi dolorosa per farlo desistere. Rimase immerso negli occhi di suo padre e attese che parlasse nuovamente. Desiderava davvero che tutto quell’odio scomparisse. Forse, se gli avesse dimostrato di essere all’altezza dei suoi fratelli, l’avrebbe amato, certamente non quanto Finn né, tantomeno, quanto il virtuoso e primogenito Elijah, ma l’avrebbe apprezzato per quello che era. Speranza vana. Gli occhi di Mikael rimasero freddi, pieni di repulsione e distacco. Troppo distanti per essere raggiunti da lui. Non ci sarebbe mai stato posto nel suo cuore. Questa consapevolezza gli fece abbassare lo sguardo sulla cena che oramai era divenuta fredda. L’odore dei legumi era ancora presente nella casa, ma si era notevolmente affievolito da quando lui e Bekah erano entrati.
« Come pensavo, ragazzo. Non sei niente,» affermò lapidario. Nik sussultò, ma non replicò. Chiuse gli occhi e trattenne le lacrime ancora una volta. Il rumore del cucchiaio di legno contro la ciotola segnò l’inizio del pasto. Dopo pochi secondi, i familiari cominciarono a cenare in silenzio. Finn, Kol, Elijah, Bekah. Sua madre. Nik rimase il solo a non aver ancora incominciato. Suo padre batté il cucchiaio sulla tavola e Nik prese un lungo respiro, « Tua madre ha cucinato anche per te, Niklaus.» Il bambino alzò lo sguardo, puntandolo verso il volto afflitto della donna.
« Perdonatemi, madre. Temo di non avere più fame,» si scusò atono. Esther annuì e Nik si affrettò a lasciare la stanza per dirigersi verso quella che condivideva con i fratelli. Seppellì il volto nel cuscino e lasciò che i singhiozzi lo scuotessero. Le parole del padre lo avevano ferito più di uno schiaffo, più di ogni cinghiata che aveva ricevuto in quei sette anni. Avrebbe dovuto rimanere in silenzio, si sarebbe risparmiato l’ennesima umiliazione. Non seppe quantificare il tempo in cui continuò a piangere e singhiozzare, ma si bloccò quando sentì una mano gentile sfiorare il suo capo. Lo sollevò dal cuscino e si sfregò gli occhi con la manica, causandosi un arrossamento ancor più marcato di quello delle lacrime. Riconobbe subito la piccola sagoma della sorella seduta vicino a lui sul suo letto. All’angolo delle labbra era leggermente sporca e Nick ritrovò il sorriso tenero che lo caratterizzava quando era con lei. Aveva finito in fretta di cenare per precipitarsi subito da lui.
« Come stai?» gli domandò a voce bassissima, nonostante avesse chiuso la porta. Nik annuì e abbassò lo sguardo.
« Sto bene,» mentì. Bekah se ne accorse e un broncio piegò le labbra rosee.
« Non c’è bisogno che mi menta, Nik. Non c’è bisogno che faccia il duro davanti a me. Io non so nostro padre. Io ti voglio bene. Così come sei.»

Klaus chiuse gli occhi, non riuscendo a trattenere una lacrima che gli rigò il volto, e puntò il paletto bagnato nella cenere della quercia bianca al cuore dell’amata sorella. Non avrebbe voluto perdere anche lei, non quando aveva finalmente sconfitto Mikael. Solo da quel momento poteva dirsi davvero libero. Felice non lo era ancora, non senza la sua famiglia, non senza la sua Bekah. Non poteva, però, lasciarla vivere. Avrebbe trovato il modo di vendicarsi e non avrebbe mai voluto essere costretto a scontrarsi con lei. Le carezzò dolcemente una guancia, un gesto che lo riportava a momenti di antica felicità. Abbassò il capo, ma attese. Lasciò cadere il pugnale e questo rovinò al suo suolo con un tonfo sordo che sembrò riscuotere la vampira. Rebekah cominciò a tossire e la sua pelle a tornare candida e liscia. Klaus aprì gli occhi e un lieve sorriso dispiegò le sue labbra quando la sentì prendere un lunghissimo respiro mentre incarnava la schiena alla ricerca di ossigeno. Il patto con la doppelganger si era rivelato piuttosto conveniente. Bekah spalancò gli occhi, rivelando il suo sguardo limpido ottenebrato dalla rabbia.
« Insomma, sorellina, ti lascio per un secondo e ti fai impalare alle spalle da una ragazzina di diciotto anni?» le domandò sardonico prima di sorriderle. Bekah lo guardò dopo essersi messa a sedere sul tavolo su cui l’aveva adagiata poco prima. Non sapeva riconoscere ciò che vedeva nei suoi occhi, non sembrava rabbia, ma nemmeno quell’amore fraterno che l’aveva sempre legata a lui. In un attimo scattò e Klaus, sorpreso, si lasciò sbattere al muro. Le sue mani dalle lunghe dita affusolate stavano stringendo il colletto della giacca, sgualcendolo, mentre i canini le si allungavano sino a farle sanguinare il labbro minore. Il sorriso sul volto dell’Originale si spense, ma non l’allontanò da sé e attese che gli parlasse.
« Come hai potuto?» urlò con la voce falsata. Una lacrima rigò il suo bel volto e Klaus alzò la mano, carezzandole la guancia con il palmo. Annuì e abbassò lo sguardo, « Rispondimi, Nik,» lo implorò con il petto scosso da singhiozzi troppo forti. Le gambe stavano per cederle sotto la potenza di quel pianto e tremava così tanto che Klaus tentò di stringerla a sé, ma la sorellina, per la prima volta in mille anni, lo respinse. Qualcosa nel petto dell’Originale si incrinò irreparabilmente e sospirò, riportando lo sguardo nei suoi occhi supplici di una risposta, « Mi hai fatto credere, ci hai fatto credere,» si corresse, alzando notevolmente il tono di voce, « Per mille anni che Mikael l’avesse uccisa. Le avesse strappato il cuore dal petto,» sussurrò, accasciandosi al suolo, in ginocchio davanti a lui. Klaus la seguì subito dopo, stringendola per le spalle. Così vicino a lei, notò che aveva recuperato la collana che le aveva regalato la loro madre tanti secoli prima, in un’epoca troppo lontana, « Invece sei stato tu,» tuonò, dandogli uno schiaffo. La sua potenza gli fece voltare il capo verso l’uscita della casa, ma non reagì. Sapeva bene che, se le avesse parlato in quel momento, non avrebbe ricevuto che odio in risposta.
« Sono certo che il tuo rapporto con Mikael sarebbe stato molto più affettivo,» si lasciò sfuggire in un sibilo basso e minaccioso. Nonostante i buoni propositi, l’impulsività, come sempre, aveva regnato su di lui, ottenebrandogli la mente. Un’altra lacrima rigò il suo volto e Klaus volse lo sguardo oltre le sue spalle, verso il pugnale che giaceva sul pavimento. Rebekah si asciugò le lacrime e per un istante il fratello credette che gli avrebbe dato un altro schiaffo, ma la sorella rimase inerte e Klaus si costrinse a guardarla di nuovo, « Mi hanno riferito che anche tu ti sei schierata contro di me, Bekah. Volevi uccidermi, sorellina? Volevi che lui vivesse? Dopo tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme, desideravi davvero volgermi le spalle?» le domandò irato, con gli occhi assottigliati e i pugni chiusi intorno ai suoi avambracci. Notò una leggero dolore nei suoi occhi e affievolì la presa.
« Dopo tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme, credevo di meritare qualcosa di più delle bugie, Nik,» sussurrò afflitta, chinando appena il capo. Gli ondulati capelli biondi le ricaddero sul petto ancora ansante, celando la collana, e il loro contrasto con il vestito a balconcino di un rosso scarlatto fu troppo evidente. Klaus fece risalire la mano destra fino alla sua guancia e la carezzò con delicatezza infinita, quasi avesse potuto spezzarsi alla minima pressione delle sue dita. Sentì Rebekah abbandonarsi completamente a lui e un piccolo sorriso gli sollevò l’angolo delle labbra. Potevano ancora essere loro due, soli contro il mondo, ma insieme.
« Non avrei voluto mentirti, Bekah, non a te e a Elijah, ma avevo così paura,» aggiunse a voce così flebile che anche la vampira faticò a udire davvero. Alzò lo sguardo e si fece ancora più vicina a lui. Nei suoi occhi, Klaus non riconobbe che quell’innocenza e quella meraviglia che era sempre stata presente quando era bambina.
« Avevi paura?» domandò sorpresa. Klaus si lasciò sfuggire una breve risata e si accomodò meglio sul pavimento, continuando a tenere la mano sulla guancia della sorella.
« Sì, Bekah. Giudicami un codardo, non m’importa, ma avevo una dannata paura di rimanere solo. Per sempre,» rivelò, tentando di non incrociare il suo sguardo.
« Non avrei mai potuto abbandonarti, Nik,» mormorò dolcemente, carezzandogli la guancia, « Non ti avrei mai lasciato da solo. Sei il mio fratellone, Niklaus.» Si girò di scatto e si perse nel guardare le sue labbra distese in un sorriso pieno, dolce, infinitamente caloroso. Seppe che era la verità. Il tono solenne con cui aveva pronunciato il suo nome era una prova più che sufficiente.
« E ora, Bekah? Rimarrai con me?» le chiese, traendola maggiormente verso di sé in un abbraccio leggermente impacciato. Rebekah annuì, ma il sorriso era spento e i suoi occhi erano ricolmi di dolore.
« Non devono più esserci bugie, Nik. Dovrai raccontarmelo,» mormorò decisa. Klaus scosse il capo con forza e si allontanò da lei. Non poteva chiedergli di ricordare, quei pensieri dovevano rimanere lontani da lui mille miglia. Vi era troppo dolore in essi, un’afflizione che non voleva essere costretto a rivivere. Bekah continuò a guardarlo ostinata e sapeva che non si sarebbe arresa prima di aver avuto ciò che desiderava, anche se stava irrimediabilmente soffrendo. Un lungo sospiro sfuggì dalle sue labbra e abbassò lo sguardo, incerto. Non aveva mai negato nulla alla sua sorellina, nonostante tutto ciò gli aveva chiesto in dono durante quei lunghi secoli trascorsi insieme.
« È così importante per te saperlo? Adesso,» aggiunse, come per indurla al buonsenso. Bekah annuì e gli si avvicinò nuovamente, sfiorandogli la mano con la sua.
« Sì, Nik. È l’unico modo. Dobbiamo tornare a essere una famiglia e in una famiglia non ci possono essere eventi taciuti.» Klaus annuì più per convincere se stesso che per mostrarle di averla ascoltata.
« Non è una storia divertente,» affermò sarcastico, « Ma, se davvero lo vuoi, allora sia così,» continuò solenne prima si stringerla in un abbraccio dolce. Seppellì il volto nei suoi capelli che ancora odoravano di gelsomino e vaniglia, un profumo troppo dolce per il carattere forte di Rebekah, ma da cui non si era mai separata. Quella fragranza gli riportava alla mente ricordi di epoche passate, di storie felici, di sorrisi e risate, d’amore. Rebekah, però, voleva che le raccontasse l’unico episodio che ricordava con reale tristezza. Chiuse gli occhi e la mente vagò, allontanandolo dal mondo circostante e da tutto il resto dell’umanità, verso un giorno che non sarebbe mai dovuto sorgere.

 Il ragazzo si chiuse la porta della sua casa alle spalle, lasciando fuori da essa un Sole rosso sangue che stava scomparendo nella foresta, incendiandola con il calore, e mosse un passo verso il tavolo dinanzi a lui. Si lasciò cadere su di sedia, chiuse gli occhi e poggiò la fronte sulla superficie lignea. Un tremito scosse il suo corpo e dischiuse le labbra rosee, ispirando profondamente. Dalla cucina poteva udire dei flebili rumori e comprese che sua madre stava preparando la cena solo per se stessa, come accadeva da pochi giorni. Dopo che si fu accorta di non essere più sola, si affacciò verso l’ingresso e Nik la sentì trattenere il respiro per la preoccupazione.
« Nik,» lo chiamò, avvicinandosi subito a lui e poggiando entrambe le mani sulle sue spalle ricurve. Gli carezzò il capo con dolcezza infinita e il giovane vampiro sentì quel peso sul cuore che lo accompagnava da quella mattina, da quando aveva ucciso la ragazzina, affievolirsi di poco, « Cosa c’è?» sussurrò come se stesse intonando una nenia infantile.
« Non lo so, mamma,» rispose a fatica. A ogni sillaba il corpo era scosso da tremiti che non era in grado di controllare e percepì sua madre sussultare di rimando, « Io… Avevo così fame, mamma. Non volevo. Mi dispiace tanto,» esclamò con la voce rotta dal pianto. Sua madre lo abbracciò, tenendolo stretto e costringendolo ad alzare il capo, e Nik si sentì a casa come mai lo era stato. Esther zittì i suoi singhiozzi con le carezze materne, ma presto quelle piacevoli sensazioni terminarono. Nik sentiva di dover andar via. Non comprendeva la ragione della stranezza dei suoi pensieri, ma sapeva di essere nel giusto. Sarebbe accaduto qualcosa di terribile se fosse restato in quella casa dopo il sorgere della Luna. Si staccò con tutta la delicatezza di cui disponeva e vide gli occhi della madre velarsi di incredulità. Quella convinzione si fece più marcata e un’altra lacrima rigò il volto candido.
« Non posso rimanere qui, mamma. Devo andare,» le comunicò. Senza che potesse replicare, uscì di casa, quasi scontrandosi con Elijah e suo padre che vi stavano facendo ritorno.
« Dove stai andando, Nik?» domandò il fratello maggiore, sorpreso. Nik lo guardò per pochi istanti e sentì anche lo sguardo paterno su di sé. Gli occhi scuri del maggiore erano così simili a quelli della loro madre nella benevolenza delle espressioni che il ragazzo abbassò quasi i suoi prima di scomparire nella foresta. Sapeva con certezza che non l’avrebbero seguito. A suo padre non importava dove fosse ed Elijah aveva troppo rispetto nei confronti del prossimo per intromettersi in questioni che non lo riguardavano. Corse nella foresta, tra i pini che si facevano sempre più fitti, sino ad arrivare nell’area dei licantropi. Era in grado di vedere il fuoco al centro del loro villaggio e sentì i passi di uno di loro avvicinarsi velocemente a lui. Due occhi scuri lo fissavano incuriositi e increduli e Nik fu in grado di riconoscere subito la loro appartenenza. Gudmund, uno dei licantropi più leali che avesse mai conosciuto, il figlio del lupo alfa.
« Niklaus,» mormorò con la sua voce baritonale. Il vampiro tentò un sorriso, anche sapendo che non era più benaccetto da tempo presso il loro branco. Ancora ricordava i bei momenti che aveva condiviso con i giovani licantropi all’insaputa del padre e di Finn che mai avrebbero potuto capire come si sentisse parte di quel gruppo, pur non essendo un lupo mannaro, « Non dovresti essere qui, lo sai.» Nik avrebbe voluto discolparsi, ma non riuscì a emettere fiato e annuì, sentendo che le forze lo stavano abbandonando. Batté le ginocchia sul terreno fangoso e chiuse gli occhi, poggiando il capo sulla corteccia resinosa di un pino. Sentì chiamare il suo nome, ma era flebile e non rispose, lasciando che i muscoli del corpo si irrigidissero. Urlò. Gli spasmi che seguirono nei successivi minuti erano una tortura che sembrava non finire mai. Sentiva di bruciare. Le ossa delle costole si spezzarono e i canini si allungarono. Qualcuno lo stava tenendo fermo, ma non ci sarebbe riuscito ancora per molto. Stava urlando, ma Nik non era più in grado di comprendere le parole. Non era più Niklaus. Era libero. Un ululato squassò l’aria e segnò la fine di ogni pensiero.
Nik aprì gli occhi, sentendo i raggi del Sole su di sé, e si mise a sedere. Guardò il suo corpo e aggrottò le sopracciglia. Era completamente nudo, sudato e sporco di terriccio.
« Ti sei svegliato, allora?» domandò una voce femminile ironica. Nik si voltò verso la direzione da cui proveniva la domanda e, esattamente dietro di sé, seduta su di un tronco, vi era la fanciulla più bella che avesse mai avuto l’onore di incontrare. Charlotte. I lunghi capelli bruni come le cortecce di castagni in fiore le ricadevano sulle spalle fasciate da un abito candido. Pur non essendo una servitrice della Luna, viveva con i licantropi e da loro era stata accolta, dopo essere fuggita da un luogo di cui non gli aveva mai narrato se non per pochi eventi.
« Cosa mi è successo, Charlie?» sussurrò con la voce ancora impastata e arrochita. Le guance le si erano imporporate mentre faticava a guardare solo all’interno del suo sguardo e gli porgeva dei pantaloni che probabilmente appartenevano a Gudmund, il suo fratello adottivo. Nik li indossò in fretta per non turbarla e attese una sua risposta.
« Non lo so. Mio fratello e mio padre ne stanno parlando nella nostra casa. È semplicemente impossibile, Nik,» affermò più rivolta a sé stessa che a lui prima di scuotere il capo con veemenza.
« Cosa è impossibile? Io non ricordo nulla, Charlotte. Ricordo solo di aver sentito il bisogno di allontanarmi da casa e di aver incontrato tuo fratello. Del resto non serbo più memoria.» Lo sguardo dolce della ragazza si spalancò dall’incredulità e schiuse la labbra, ma il fratello, appena apparso al suo fianco, la precedette.
« Hai avuto la tua prima trasformazione in licantropo, Nik, ma non capisco la ragione. Tu non sei proveniente da una famiglia di licantropi.»
« Io… Io credo di dover tornare a casa, ora,» esclamò, annuendo leggermente, scattando in piedi. Indossò la tunica che Gudmund gli stava porgendo, salutò con lo sguardo Charlotte e si diresse verso la foresta, senza accorgersi degli sguardi sbigottiti degli abitanti delle piccole case lignee circostanti. La sua stessa mente gli stava impedendo di ragionare, almeno pensare a quello che era accaduto quella notte. Vi era qualcosa di sbagliato, di impossibile e di totalmente irragionevole in quella situazione. Elijah non si era trasformato. Finn e Kol non erano mutati in lupi. Rebekah era divenuta solamente più incontrollata nei suoi desideri, capricci e nella sua ambizione. Non si spiegava la ragione per la quale proprio lui era cambiato. Non era in grado di comprendere cosa lo differenziasse dai suoi fratelli. Preso da quelle meditazioni, non si era accorto di essere arrivato dinanzi alla porta della sua casa. Si guardò intorno e vide una signora del villaggio portare una cesta di panni al lago. Sembrava che nulla fosse accaduto. La protezione del branco dei licantropi gli aveva permesso di non arrecare danno ad alcuno e questa consapevolezza gli sollevò l’animo. Entrò in casa, ma non riuscì a sentire la presenza di nessuno tra i suoi fratelli. Solo Esther e Mikael stavano conversando in cucina. Captava nella voce materna una preoccupazione troppo forte e in quella del padre un disprezzo che gli fece serrare i pugni.
« Niklaus, vieni immediatamente qui,» gli ordinò l’uomo con voce rude, percependo la sua entrata. Il giovane scelse di obbedire e si avviò verso la cucina, azzerando la distanza con poche falcate. Sua madre venne verso di lui e gli prese il volto tra le dita, osservandolo allarmata.
« Cosa è successo, Nik?»
« Non lo so,» mentì, monocorde. Nel suo cuore una rabbia immensa era contenuta a stento e sapeva che qualcosa era cambiato. Suo padre era troppo irato, tremava dalla collera e sembrava mantenersi dal picchiarlo, proprio come quando era bambino, per la sola presenza della moglie.
« Non mentire a tua madre, ragazzo. Dove sei stato questa notte?»
« Non lo so,» marcò ogni sillaba in un sibilo basso e minaccioso, allontanandosi dalla donna. Non aveva detto una falsità, non ricordava nulla della notte precedente, pur sapendo quanto fosse assurdo. Suo padre doveva essere della stessa opinione, notando lo sguardo che gli rivolse, « Ricordo solo di essermi svegliato nel villaggio dei lupi mannari e Charlotte...»
« Charlotte? Ancora quella ragazza?» lo interruppe sua madre, « Non dovresti frequentarla, Nik. Non è che una svergognata.» Per la prima volta nella sua vita, Nik guardò sua madre con odio. Non corrispondeva al vero. Charlotte aveva avuto un figlio all’infuori del matrimonio, ma non era una svergognata. Nel suo passato un uomo aveva abusato di lei e con le sue gracili forze non era stata in grado di scacciarlo da sé. Avrebbero dovuto proteggerla da quel mostro, non dire di lei malignità.
« Vi sbagliate, madre.»
« Non è di quella ragazza che stiamo discutendo, Esther. Perché eri al campo dei licantropi, Niklaus? Ti avevo proibito di andarci.»
« Non ci sono andato, mi hanno semplicemente portato lì dopo che sono ritornato a essere umano,» smentì. Sentì sua madre prendere un lungo respiro mentre i suoi occhi si spalancavano e le sue mani andavano a coprire le labbra. Mikael non fece nulla. Guardò sua moglie ed Esther arretrò di un passo, « Cosa significa tutto questo? Perché a me? Cos’ho di sbagliato?»
« Cos’hai di sbagliato, ragazzo?» sibilò con ironia mista a disprezzo, « Perché a te? Perché non sei niente, Niklaus, solo un bastardo, un abominio,» gli confessò prima di avanzare verso l’uscita. Le labbra del giovane si schiusero e un suono di diniego sfuggì da esse. Non poteva essere vero. Una lacrima rigò il suo bel volto, ma la mente rifiutò ancora una volta di comprendere davvero le parole che gli erano state riferite. Si riscosse soltanto quando sentì la madre singhiozzare. Era caduta in ginocchio e le mani le celavano il viso.
« Mamma, te ne prego, spiegami. Dimmi che non è vero. Dimmi che stava mentendo,» la implorò, inginocchiandosi dinanzi a lei e poggiandole le mani sulle spalle. Esther scostò le mani dal viso e lo guardò con pena infinita.
« Oh Nik,» esclamò con afflizione, gettandogli le braccia al collo e stringendolo in un abbraccio forte, « Io… Lui non stava mentendo, bambino mio. Mikael non è tuo padre. Tuo padre era un lupo mannaro ed è morto molto tempo fa. Lui,» sussurrò con il respiro tremante contro il suo collo, « Io… Non importa, Nik. Non serve che tu lo sappia. Devi solo sapere questo, figliolo: io ti ho amato sin dal primo istante in cui sei venuto al mondo.» Il ragazzo chiuse gli occhi e si abbandonò completamente al tocco dolce, armonioso, delicato della madre. Era così stanco e confuso, ma oramai era al sicuro, credeva di esserlo, « Ed è per questo che non posso permetterlo, Niklaus. È contro natura. Non puoi essere sia un vampiro che un licantropo,» gli spiegò, scostandosi dalla sua spalla e prendendogli il volto tra le dita. Le labbra del vampiro si schiusero e il capo si scosse automaticamente. Ricordava la libertà che gli aveva donato la licantropia, seppur il dolore della trasformazione fosse stato quasi insopportabile. Si sentiva derubato. Si sentiva tradito. Dalla sua stessa madre. Dalla donna che lo aveva messo al mondo. Dalla donna che aveva taciuto la verità. In fondo al cuore Niklaus aveva sempre saputo che Mikael non era suo padre, ma il pensiero era oltremodo più debole della realtà. Suo padre era morto. Non l’aveva mai conosciuto. Si sentiva vuoto, senza una casa né una famiglia. Era circondato solo da bugie, menzogne. La rabbia, che era stata attenuata dal contatto con sua madre, tornò a irrompere nel suo animo e un suono gutturale, potente, sfuggì dalle sue labbra. Nik scattò in piedi ed Esther subito dopo di lui. La donna sembrava averci pensato a lungo, probabilmente tutta la notte, e qualcosa gli diceva che l’incantesimo fosse già pronto, che l’assenza dei suoi fratelli, l’assenza di Rebekah, non fosse soltanto un caso. L’ennesima bugia. Quando sentì una voce femminile proveniente dall’esterno della sua casa, riconoscendola come quella spaventata di Charlotte, della sua Charlotte, capì di aver ragione.
« La prego, Mikael, mi lasci. Mi riporti dalla mia famiglia,» lo pregò quando erano già arrivati in cucina. Vedere Charlotte con le lacrime agli occhi e la pelle del braccio sbiancata nel punto in cui suo padre, Mikael, la stava strattonando gli fece stringere i pugni.
« Lasciala,» esclamò irato. Charlotte si accorse che vi era anche lui e lo guardò, implorante, come se lui fosse nella situazione di poterla aiutare.
« Credi di potermi dare ordini, ragazzo?» urlò l’uomo che sino a pochi minuti prima aveva considerato essere suo padre. Lo guardò con tutto l’odio di cui disponeva prima di tornare con lo sguardo a Charlotte, osservandola dolcemente per rassicurarla su avvenimenti che nemmeno lui avrebbe potuto controllare.
« Ha ucciso Gudmund,» mormorò con le lacrime agli occhi. Qualcosa nel cuore di Nik si incrinò irrimediabilmente e tentò di fare un passo verso di lei, ma qualcosa, qualcuno, lo fece sbattere contro il muro. Mikael lo sovrastava, come sempre era stato.
« Esther, fa ciò che devi. Ho già fatto la mia parte, il vampiro e il licantropo sono morti,» le comunicò con gli occhi fissi in quelli azzurri del figliastro. Niklaus lo osservava con un odio che poche volte aveva trovato nel suo sguardo. Lui sapeva. Charlotte sarebbe stata la prossima a morire e la maledizione avrebbe comandato sull’ibrido. L’intento di sua moglie era quello di proteggere il ragazzo, il suo quello di distruggerlo, per sempre. Nik percepì completamente quanto tutta l’afflizione che stavano provando non lo toccava minimamente e un’espressione disgustata increspò le sue labbra rosee. Distrattamente sentiva la voce di sua madre mormorare l’incantesimo e con altrettanta noncuranza ascoltava i piagnistei di Charlotte e le sue preghiere. Nik li stava pregando come mai aveva fatto perché l’amava, l’amava davvero. E la stava vedendo morire. Non poteva accadere. Charlie avrebbe dovuto vivere, ma a Mikael non importava. Se non fosse stato così accecato dall’ira, sarebbe riuscito anche a provare pena per lui. Percepì un tonfo sordo e sua madre terminò di suggellare la maledizione. Nello stesso istante Nik cadde a terra in ginocchio dianzi a Mikael, e si portò la mano destra al cuore, chiudendo gli occhi. Le labbra gli si erano serrate in un’espressione di puro dolore e una lacrima rigò il suo volto. Strisciò verso la donna che amava e le sfiorò i boccoli castani sparsi sul pavimento. Un singhiozzo risuonò per la stanza seguito da mille altre lacrime. Non poteva essere possibile. Non poteva essere morta. Non lei. Non la sua Charlotte. La chiamò con tutta la disperazione che un uomo poteva possedere dentro la sua anima, ma Charlotte non rispose. La scosse come se fosse stata addormentata, per farle vedere quanto fosse straordinario il mondo in cui vivevano, ma Charlotte non si scostava se non per la piccola pressione sulle sue braccia. Sentì le braccia di qualcun altro scuoterlo, ma non aveva alcuna importanza se la sua Charlie non era più in un luogo in cui avrebbe potuto raggiungerla. Nulla aveva importanza senza di lei. Sentiva una voce chiamarlo da molto lontano e si riscosse, sentendosi strappare con la forza dal corpo della sua amata. Uno sguardo di un marrone molto scuro e intenso occupò il suo spazio visivo e il ragazzo non poté impedirsi di urlare, inveire contro di esso. Avrebbe dovuto proteggerlo, non uccidere la donna che amava.
« Perché, madre? Perché?»
« L’ho fatto per proteggerti, Nik. Da tutto e da tutti. Lei ti avrebbe fatto del male, non era adatta a te. Io sono tua madre e so cosa è meglio per te, figliolo. Voglio solo che tu sia felice,» mormorò con la lacrime agli occhi, ma a Niklaus non importava. Non le credeva. Era l’ennesima bugia. La rabbia del lupo esplose in tutto il suo fragore e un ringhio riecheggiò basso e minaccioso. Gli occhi di Esther si spalancarono, quasi preannunciando quello che stare per accadere, e il cuore aumentò i battiti come se avesse saputo che quelli sarebbero stati gli ultimi. In un attimo, senza che Nik quasi se ne rendesse davvero conto, la sua mano scattò verso il petto della donna, perforandolo come se non vi fosse la pelle a proteggerlo. Strinse il cuore della madre e la sentì soffiare dal dolore prima che l’organo ricadesse sul pavimento. E fu il silenzio. La fine di ogni bugia.

Klaus, dopo che ebbe finito di raccontare i suoi ricordi, scostò il capo dai profumati capelli di sua sorella. L’Originale aveva pianto, soprattutto quando aveva ricordato la sua dolce Charlotte, ma aveva smesso subito, sapendo che, nonostante avesse accanto sua sorella e non una nemica, fosse sconveniente mostrarsi debole. Rebekah stava singhiozzando, ma non piangendo, e, appena ebbe notato il suo allontanamento, lo attirò nuovamente a sé e soffocò il volto nella sua giacca di pelle per non fargli udire il suo dolore. Il cuore millenario di Klaus batteva troppo velocemente, per un’umanità perduta da tempo smisurato e doveva affrettarsi a calmarlo per poter consolare Rebekah. Le carezzò dolcemente i capelli a lungo, sino a quando i singhiozzi non si furono spenti. Aveva cominciato a tremare e Klaus la strinse con maggiore forza, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla delicatezza di quel momento. Lo impresse bene nella memoria poiché non era certo del suo perdono. Non era nemmeno certo di meritarlo. Aveva agito di impulso e il lupo aveva comandato la sua mente. A distanza di secoli aveva finalmente compreso che sua madre non sarebbe dovuta morire, anche se serbava ancora rancore nei suoi confronti. Per Charlotte. Scosse mentalmente il capo. Non avrebbe dovuto pensare a lei, non in quel momento. Gli avrebbe incrinato irrimediabilmente il cuore e non poteva permetterselo, soprattutto quando sapeva che Stefan poteva essere nei paraggi, pronto a colpire ogni sua debolezza. Pensare al vecchio compagno gli fece ritrovare la lucidità necessaria per tornare al presente. La sua famiglia era in pericolo. Elijah, Finn, Kol e, soprattutto, Charlotte. Rebekah si scostò leggermente dalla sua spalla, quel tanto che bastava per riuscire a guardarlo negli occhi. Era addolorata. Klaus le carezzò la guancia e le posò un bacio sulla fronte in un gesto di dolce fraternità.  
« Mi dispiace,» si scusò e Klaus tornò a guardarla aggrottando le sopracciglia. Sua sorella, la capricciosa e forte Rebekah, si stava scusando con lui, « Avrei voluto essere con te in quel momento, Nik. Forse sarei stata in grado di calmarti e tutto sarebbe stato diverso. Forse sarei stata in grado di mutare la decisione di nostra madre e tu non saresti mai più stato solo. Forse sarei stata capace di avere quel coraggio che ci avrebbe permesso di sconfiggere Mikael tanto tempo fa e non ti saresti sentito più così inadeguato e disprezzato,» mormorò con la voce rotta dal leggero pianto che l’aveva scossa. Klaus le sorrise dolcemente e gli occhi si velarono di malinconia. Rebekah era sempre stata così immensamente dolce con lui, l’aveva consolato nei momenti di sconforto ed era stata una delle poche ragioni per cui si era sempre rialzato. L’amava come si amava il Sole che sorgeva al mattino dopo una notte buia e irta di pericoli, come si amava una brezza fresca in piena estate, come si amavano le cose belle e preziose. L’amava con tutto il sentimento che ancora possedeva dopo tanti secoli.
« Non è mai stata colpa tua, Bekah. In verità, dovrei essere io a scusarmi con te. Ti ho allontanato dalla nostra famiglia,» sussurrò tristemente, continuando a carezzarla. Rebekah sorrise e tutto nella sua anima sembrò ritrovare il suo posto.
« Lo rifarei, Nik. Io sceglierei sempre te,» affermò prima di posare leggermente le labbra sulla sua guancia ispida, lasciandosi sfuggire una breve risata. Klaus la strinse a sé con ancora maggiore forza e il suo cuore batté allo stesso ritmo di quello della sorellina. Era così che tutto sarebbe dovuto essere e finalmente il momento della verità era arrivato, rendendo il suo rapporto estremamente più profondo, « Ora e per sempre,» aggiunse, ricordandogli quelle parole che aveva pronunciato sulla tomba della loro madre. Klaus annuì e prese un lungo respiro per trattenere le lacrime.
« Ora e per sempre,» ripeté solennemente, « Torneremo ad essere una famiglia, Bekah, quella famiglia che avremmo dovuto essere senza la presenza di Mikael. E saremo felici, te lo prometto, Bekah,» affermò con decisione, guardandola negli occhi. Rebekah gli sorrise e annuì, baciandolo un’altra volta.
« Dove siamo, Nik?»
« A casa. Siamo a casa, Bekah.» La vampira si accoccolò contro il suo petto, con l’orecchio all’altezza del suo cuore, e chiuse gli occhi, lasciando che un piccolo sorriso distendesse le sue labbra. Era bella, Rebekah, e Klaus lo sapeva meglio di qualsivoglia altro uomo. Aveva bisogno di protezione, aveva bisogno di sentirsi al sicuro, a casa, in famiglia e Klaus gliel’avrebbe donata nuovamente. Avrebbe sconfitto Stefan e ogni persona si fosse messa sul suo cammino. Nessuno avrebbe potuto distruggerlo, nessuno avrebbe potuto ucciderlo. Perché era invincibile. Perché aveva qualcosa per cui continuare a lottare. Perché era a un passo dalla completezza, dalla felicità e nessuno più avrebbe potuto sottrargliela dalle mani.  

Angolo Autrice:
Buon pomeriggio a voi. Se siete arrivate fino a qui, vuol dire che la lunghezza della storia non vi ha massacrato e me ne rallegro. Questa shot è nata dal mio immenso amore per Klaus e Rebekah, ma soprattutto il primo. Adoravo Klaus già dal primo istante in cui l’ho visto nella seconda stagione, ma la 3x09 e la 3x10 mi hanno fatto davvero comprendere quanto sia in munito di umanità e scrivere questa storia è stata l’immediata conseguenza di questa constatazione. Spero che vi sia potuta piacere almeno un po’.
  
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