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Autore: alwaysabelieber    23/01/2012    2 recensioni
Grazie ad un'iniziativa scolastica, una tredicenne Italiana avrà la possibilità di ospitare, in casa sua, un coetaneo Americano. Un miscuglio di nazioni, cultura, e modi di fare. Il racconto di una grande amicizia destinata a diventare storia di un grande amore. Tutto deve, però, svolgersi in un solo mese. Quanti sogni possono realizzarsi in 31 giorni? E soprattutto, ne saranno davvero 31, o i due otterranno altre possibilità?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Allora, squilla? - chiesi impaziente.
- No, è occupato - fu la risposta di mio padre, la stessa che mi aveva dato almeno un'abbondante decina di minuti fa. 
- Ma con chi parla? E' un'ora che proviamo! - dissi, i pugni serrati e i denti stretti.
- Possiamo sempre riprovare più tardi - tentò mio padre, cercando di placare la mia impazienza mista di rabbia, - e poi - aggiunse - non mi hai ancora detto il motivo di tanta fretta. - incalzò, aggrottando le sopracciglia.
- Vorrei spiegarti, papà, ma ora devo proprio andare - esordì, indietreggiando di un passo ad ogni parola.
- Non voglio costringerti a dirmelo adesso, ma non ti nego che se lo farai, faciliteremo molto le cose - disse, con tono quasi supplichevole.
Mi arresi al suono della sua voce, e cercai di articolare perfettamente il mio discorso, per non rischiare di doverlo ripetere una seconda volta.
- Justin possiede doti per la musica, ha una bella voce e sa suonare vari strumenti, pensavo che lo zio potesse aiutarci, sai, il dirett…- iniziai, ma prima ancora che potessi finire la sua voce sovrastò la mia.
Esitò un momento prima di parlare, ma poi si decise: - Ma è fantastico! Sapevo che quel ragazzino era speciale, l'avevo detto, io! Provo a chiamare finché non risponde, anche all'infinito se è necessario, tu vai, andate, ci penso io! - esclamò.
Mi girai per prendere la giacca dalla sedia, e mentre lo stupore di quelle parole iniziava a farsi vivo dentro me, immaginai il viso di mio padre contorsi in un grosso sorriso. 
Mi invase una sensazione di assurda felicità, un'eccitazione mai provata prima, mi sentivo ridicolmente forte con l'appoggio di mio padre, sentivo di riuscire a concludere qualunque cosa mi capitasse tra le mani, adesso.
Feci mente locale e dopo pochi attimi ricordai che Justin era a casa di Francesco, con Ryan. 

- Goal! Sei a zero per me, ti basta o continuo ad umiliarti? - esclamò Justin rivolto a Ryan, con il joystick in una sola mano ed un'espressione di assurda fierezza.
- Solita fortuna dei principianti - rispose Ryan di rimando, cercando in tutti i modi di far trasparire il suo nervosismo, ma con evidenti scarsi risultati.
- Manca poco dai, non puoi recuperare, molla, tocca a me! - si intromise Francesco, allungando il palmo della mano verso Ryan.
- Smettetela! - li zittì io con fermezza.
Si fermarono di botto, e Justin prese iniziativa spegnendo l'x-box, ignorando poi l'espressione contrariata di Francesco.
Justin fece un passo verso di me e afferrò la mia mano, si trascinò verso il divano e si stese, allargò meccanicamente le gambe, lasciandomi lo spazio per sedermi. 
Afferrò il mio viso e fece sì che il suo petto mi facesse da cuscino, e prese ad accarezzarmi dolcemente i capelli. 
Incoraggiata da quella piacevole scena, decisi di rompere il silenzio.
- Papà è contentissimo della mia idea, la appoggia a pieno, e a quest'ora dovrebbe già aver parlato con lo zio! - incalzai.
Sentì che il cuore di Justin a momenti potesse lacerargli il petto e fuori uscire da quella gabbia, batteva forte e percepì la sua tensione. L'espressione di Ryan si trasformò, era eccitato almeno quanto me. 
- Ho sempre cantato per… voglio dire, sempre e solo per divertimento. Non credo di essere all'altezza, nessuno si metterebbe in gioco a tal punto da farmi firmare un contratto. - disse Justin, intimorito.
Mi girai di scatto per guardarlo, i miei occhi azzurri incrociarono per un lungo istante i suoi color nocciola, limpidi, vivi, pieni di emozioni.
- Tu sei all'altezza. - mi limitai a dire.
Strinse la mia mano ed io feci lo stesso, vivendo a pieno quel momento, pensando che tra soli sette giorni non avremmo più respirato la stessa aria, che tra una settimana mentre lui mangiava, io ero a letto a dormire, e magari a sognare di noi.
Dovette percepire la mia paura, perché si alzò di scatto costringendomi a seguirlo, dopo pochi attimi eravamo in una stanza piccola e illuminata dalla sola fioca luce del sole.
Mi prese le mani ed io non esitai un momento a cingerle attorno al suo collo, lui appoggiò le sue lungo i miei fianchi ben delineati, mi guardò intensamente, ed io sostenni il suo sguardo.
- Me ne andrò, ma non ci lasceremo davvero. Lo sai questo, vero? - disse in un sussurro.
Sentì una lacrima minacciare di scendere, e subito abbassai lo sguardo, posandolo su un punto impreciso del pavimento.
Poi il tocco della sua morbida mano sul viso, il suo respiro quasi sulle labbra fecero sì che quella lacrima vincesse quella battaglia che da quando eravamo entrati in quello stanzino, stavo lottando senza dare a vedere.
Scese senza esitazioni, senza vergogna, l'asciugai con la manica della felpa e sentì Justin tirare su col naso. Non avevo il coraggio di parlare.
- Non mi sono mai sentito così, prima d'ora, così.. bene, dico. Siamo come Bonny e… -
- e Clyde - continuai io per lui, sentendomi improvvisamente meglio.
- Esatto, nessuno può fermarci, o almeno non una cosa stupida come la distanza. Se ci vogliamo bene, lo faremo anche a migliaia di chilometri. - disse, tutto d'un fiato.
Qualcosa dentro di me mi disse che tutto ciò di cui avevo bisogno era un suo abbraccio, così lo strinsi forte e guardai per quelli che mi apparvero anni, il mondo tra le sue braccia.
I nostri cuori battevano all'unisono, forte, e mi apparve quasi una ribellione, come se anche loro avessero bisogno di stringersi, di unirsi per completarsi l'uno con l'altro. 

Quando ci staccammo le lacrime erano cessate, ora lui mi sorrideva ed io non potendone fare a meno ricambiavo.
Justin fece per aprire la porta, ma io fui pronta a bloccare il suo movimento.

- Non dimenticarmi, quando diventerai famoso. - dissi.
Questa volta fui io ad andarmene, lasciandolo fantasticare su quelle ultime parole, pronunciate con la convinzione di chi raccomanda un qualcosa che accadrà per certo.
Mi accorsi che il cellulare aveva vibrato perché sentì un fastidioso formicolio percorrere il mio corpo in tutta la sua lunghezza. Lo tirai fuori dalla tasca e lessi il messaggio di mio padre.
"Dopo insistenti tentativi di chiamate, mi ha risposto una voce femminile, che ho scoperto essere quella della sua segretaria. Mi ha dato l'indirizzo dello studio discografico a Londra, ed un eventuale numero di telefono in caso non dovessimo trovarlo. Partiremo questa notte alle quattro. Ricorda che i sogni non cercano le persone, ma sono queste ultime ad inseguirli, dillo a Justin. A dopo."
Londra, questa notte, alle quattro, che cos'era, uno scherzo poco divertente o un sogno che si realizzava?
Corsi immediatamente in salotto, e li trovai li, seduti sul divano a giocare. Piombai davanti a loro, ostacolandogli la visuale dello schermo.
- Qualcuno mi dia un pizzico, ora! - dissi, non curante delle loro espressioni incerte.
- Un pizz… cosa? - chiese Ryan, perplesso.
- Tu fallo! - 
- Hai la febbre? - mi domandò Justin, con la faccia di uno che stava faticando parecchio, per non scoppiare a ridere.
- Lascia stare! - mi pizzicai la guancia provocandomi un dolore che mi fece capire che quello che stavo vivendo era tutto tranne che un sogno.
Osservai le loro tre facce per un minuto prima di farli sobbalzare col suono della mia voce squillante.
- Le valige non si prepareranno da sole! - ammiccai, rivolta verso Justin. 
Al suo sguardo, se possibile ancora più perplesso di prima, pensai che non c'era dimostrazione migliore di mostrargli il cellulare col messaggio di mio padre sotto il naso.
Fu esattamente quello che feci e quando terminò la sua lettura, alzò lo sguardo verso di me, ed intercettai i suoi occhi, increduli di ciò che avevano appena avuto il piacere di leggere. 
- Londra? - urlò. - Ciao, ciao fratelli - disse, rivolto verso i suoi amici, che annuirono senza capire.
Non ebbi neanche il tempo di salutarli, perché Justin afferrò il mio braccio e mi trascinò verso la porta, una volta fuori riuscì a percepire l'aria gelida invadermi i polmoni.
Justin strinse la mia mano e prese a correre verso il vialetto di casa mia, che sembrava ormai conoscere a memoria, sentivo il fruscio del vento nelle orecchie, osservavo le foglie scivolare lungo i marciapiedi quasi fossero impaurite, percepivo il vento battere forte contro il mio viso, scompigliarmi i capelli, ma con la mia mano in quella di Justin, sentivo che nessuno avrebbe potuto fermarci, non ora. 


 

Salve mie care lettrici! 
Scusate se vi ho fatto aspettare tanto per quest'ottavo capitolo che, modestia a parte, secondo me non è neanche un granché, perciò vi chiedo nuovamente scusa per questo. 
Ci tenevo a ringraziare coloro che hanno recensito questa storia, invogliandomi a continuare a scrivere, e poi per ultime, ma di certo non per importanza a coloro che hanno messo questa storia tra le preferite, seguite e quant'altro. 
Grazie! 
Per questo capitolo mi farebbe un immenso piacere ricevere più recensioni, positive, negative o neutre che siano, ma non pretendo nulla, perciò fatelo soltanto se vi va e ve ne sarò grata. 
Ps. se lo farete vi prometto che sarò più frequente nel scriverli e postarli. 
Grazie! :D
Ale.

  
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