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Autore: IoNarrante    24/01/2012    4 recensioni
SPOILER! Scritta per il compleanno di Dean (24Gennaio1979)
24 Gennaio 2012
L'ennesimo compleanno che Dean non vuole festeggiare, per un motivo o per un altro, ma alla fine riceverà una piccola sorpresa.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Settima stagione
- Questa storia fa parte della serie 'Wings of an angel'
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Happy birthday, Dean


A Dean i compleanni non erano mai piaciuti. Pensava che fossero un modo come un altro per ricordargli quando invecchiava e che il tempo passasse un po’ per tutti, compresi i Winchester. Di solito fingeva di non ricordarsene, almeno si sarebbe risparmiato quei falsi sorrisi e quell’allegria che sapeva essere soltanto momentanea. Un’isola di mondo per evadere da quella realtà di schifo che era la sua vita.
La memoria di elefante di Bobby, però, funzionava ancora alla grande e così si ritrovava la notte del 23 Gennaio con una bella fetta di torta in mano – lui adorava la torta – mentre quei soliti quattro amici ubriaconi del vecchio cacciatore gli cantavano un ‘Tanti Auguri’ da sbronzi. Aspettava giusto la mezzanotte, poi spegneva le candeline che con suo immenso disappunto aumentavano a dismisura.
Ma quest’anno Bobby non ci sarebbe stato.
Quello che Dean odiava di più del suo compleanno, erano i ricordi. L’odore della torta di mele che mamma Mary preparava lo stesso pomeriggio, il pianto di Sammy nella stanza di sopra e l’immancabile bruciatura della crosta a causa delle premure che sua madre aveva per il fratellino. Quella era una festa da passare in famiglia, lo aveva sempre pensato, ma lui una famiglia non ce l’aveva più.
Sam era l’unico che gli era rimasto. Anche se un po’ fuori di testa, rimaneva comunque il suo fratellino e il solo membro della famiglia rimasto in vita.
Quel 23 Gennaio 2012, a poche settimane dalla morte di Bobby, Dean si era preoccupato unicamente di spaparanzarsi sul divano e aggredire una bella fetta di torta con i mirtilli, sparandosi Gli Intoccabili per la milionesima volta e grugnendo contro la TV. Sam aveva ben altri piani in mente e Dean lo capì quando si piazzò davanti alla televisione con il suo corpo massiccio a parargli l’ingresso di Eliot Ness in scena.
«Ehi, spoftafi!» Grugnì linciandolo con lo sguardo e masticando la torta.
«Dean, sai che giorno è domani?» gli ricordò Sam, come se non avesse pensato ad altro nelle ultime ventiquattr’ore.
Lavorò di mandibola e mandò giù quasi un’intera fetta di torta senza strozzarsi. Da Guinnes quasi. «San Patrizio?» Buttò lì, osservando la bottiglia mezza piena della sua Corona.
Sam rivolse gli occhi al cielo. «Smettila di fare il cretino,» lo ammonì. «Quando crescerai?»
Dean allora sbuffò contrariato, mettendosi l’anima in pace e realizzando che di questo passo non avrebbe più visto il film che aveva noleggiato. Afferrò la bottiglia della Corona e si scolò l’intero contenuto in un solo sorso.
«Che vuoi, Sam?» Ringhiò frustrato, finendo anche la torta.
«Che cosa vuoi tu, Dean,» insistette l’altro. «È il tuo compleanno, non il mio.»
Non avrebbe mai pensato che Samantha potesse uscire fuori anche in quelle circostanze, considerato che non aveva nulla da festeggiare in quel periodo. Bobby se n’era andato, i Leviatani preparavano qualcosa di tremendo di cui ancora non sapeva un bel niente e Cass… beh, Cass l’aveva superato ormai. Tutti sembravano sparire attorno a lui, uno dopo l’altro, come pupazzi di neve il giorno di ferragosto. Intorno a Dean c’era terra bruciata e lui aveva una paura fottuta che prima o poi sarebbe giunto anche il momento di Sam.
«Non ho nulla da festeggiare,» borbottò alzandosi dal divano e spegnendo il televisore.
Ecco perché odiava il suo compleanno. Era obbligatorio avere un sorriso stampato sulla faccia anche quando la voglia di ridere era stata calpestata da quei bastardi tinti di nero.
«Ma cosa dici, Dean?» protestò il fratello, cominciando a seguirlo verso la cucinetta, dove l’altro tirò fuori dal frigo l’ennesima Corona. «Trentatré anni vengono una volta sola nella vita e anche se l’essere cacciatori non ci dà mai molto tempo libero, questo non vuol dire che non possiamo sentirci come una famiglia!»
Dean sussultò a quella parola. «Sam, Bobby è morto. MORTO. Lo capisci, vero?» Gli gridò contro, esasperato. Poi si accorse che di essersi comportato come un idiota. «Scusami se non ho voglia di festeggiare.»
Si trovavano in uno dei motel sulla statale che conduceva a St. George, nello Utah, quando la neve li aveva colti impreparati ed erano stati obbligati a fermarsi. Dean s’incamminò verso la finestra e scostò le tendine per guardare fuori. Un manto bianco copriva il parcheggio, tanto che si distinguevano a mala pena le auto parcheggiate.
Fortunatamente avevo il telo per la mia bambina, pensò soddisfatto.
Era stato un po’ brusco con Sam, se ne accorse col senno di poi, ma almeno aveva fatto zittire Samantha per qualche ora.
«Vado a fare quattro passi,» gli comunicò Sam infilandosi il cappotto. Dean nemmeno gli rispose, troppo orgoglioso per ammettere di essere stato un cazzone, come suo solito.
Non appena la porta del 421B si chiuse con un click metallico, Dean si trascinò verso il letto e ci si sbracò sopra fissando il soffitto.
Lui aveva ragione e Sam torto, su questo non si poteva discutere.
L’ultimo membro della famiglia, oltre Sam, che gli era rimasto, se n’era andato via qualche settimana prima e Dean non poteva, non riusciva a farsene una ragione. Era stato addestrato sin da bambino alla vita del cacciatore e l’aveva sempre amata, in un modo o nell’altro, ma da qualche tempo a quella parte si era reso conto che sarebbe rimasto sempre da solo.
Aveva tentato di abbandonare quella vita, con Lisa e Ben, ma era solo un circolo vizioso e ci era ricaduto.
Inoltre, pensò che festeggiare sarebbe stata una cosa inutile visto che gli anni sarebbero aumentati comunque, che lui lo volesse o no. Era solo un modo per ricordargli quanto stesse diventando vecchio.
Sam tornò dopo qualche ora con una busta della spesa in mano e Dean si accigliò.
«Quale parte di ‘non voglio festeggiare’ non hai capito?» Lo ammonì, vedendolo posare il sacchetto sul tavolino vicino al televisore.
Il fratello lo guardò. «Non ho chiamato nessuno, nemmeno lo sceriffo Mills. Saremo solo io e te, come un tempo.»
«Non riuscirò a farti cambiare idea prima della mezzanotte, vero?» S’informò Dean, sapendo già quale fosse la risposta.
Sam scosse la testa e continuò a tirare fuori cibarie dalla busta di carta, sotto lo sguardo assorto dell’altro.
«La torta era finita, ho preso questo,» gli disse Sam, mostrandogli un muffin con le scaglie di cioccolato. «Sarà più che altro simbolico.» E sorrise.
 
La giornata passò identica alle altre, con l’unica differenza che Dean si sentiva di un anno più vecchio. C’era una pista da seguire vicino St. George ma Sam era stato irremovibile e gli aveva chiesto quale film volesse vedere per ingannare il tempo fino alla mezzanotte. Dean ricordava quella specie di tradizione. Da quando Mary era stata uccisa e suo padre John era diventato cacciatore, trascinando i suoi figli in quella vita da nomadi, lui e Sam attendevano la mezzanotte per festeggiare i compleanni, visto che quasi ogni sera dovevano stare di guardia mentre il padre era fuori a caccia.
Dean fissava lo schermo della televisione annoiato, poi lanciò uno sguardo al fratello crollato sulla poltrona del motel. Vide il muffin sul tavolino, con una singola candelina infilzata nel mezzo, e si disse che quello era forse il compleanno più tranquillo che avesse mai trascorso.
Mancavano cinque minuti alla mezzanotte e il suo trentatreesimo compleanno si avvicinava inesorabile. Si alzò dal divano e afferrò il muffin, accendendo la candelina. Guardò Sam, ma non lo svegliò. Erano giorni che viaggiavano ininterrottamente ed era raro che vedesse il fratello dormire così bene e profondamente, senza che il suo cervello sfarfallasse più del dovuto.
Tornò a rivolgere la sua attenzione al muffin e sospirò. Spinse Mute sul telecomando e si apprestò a spegnere le candeline una volta scoccata la mezzanotte.
Guardò l’orologio. «Beh, buon compleanno vecchio mio,» si disse chiudendo gli occhi e soffiando sulla candelina solitaria.
Esprimi un desiderio, Dean, gli ripeteva sempre sua madre Mary ma lui non ci aveva mai creduto veramente fino a quando, quasi senza accorgersene, mentre soffiava, un suo pensiero andò a Cass.
In poco tempo accanto a lui avvertì un fruscio d’ali e quando riaprì gli occhi non c’era soltanto Sam a tenergli compagnia. Si voltò verso l’uomo in giacca e cravatta – stavolta senza trench – che lo fissava.
«Ciao, Dean» gli disse atono e il cacciatore impiegò quasi cinque minuti a rendersi conto che il suo cervello non gli stava giocando un fottuto scherzo. Quello pazzo era Sam, non lui!
Lasciò il muffin sul tavolino e si stropicciò gli occhi. «Uhou!» Esclamò sorpreso e confuso. «Dimmi che sei chi penso io, altrimenti ci metto poco a ficcarti un po’ di detersivo in quella fottuta bocca da leviatano!» lo minacciò.
Più volte aveva pensato che Cass non fosse sparito in quel lago. Si era detto che finché non avesse visto il corpo di Jimmy Novak al telegiornale, ci sarebbe stata ancora una speranza di rivedere il suo angelo. Aveva anche pensato, però, alla possibilità che Cass non fosse il Cass di sempre, ma un ammasso di gelatina nerastra.
L’angelo non rispose e continuò a guardarlo con quegli occhi insolitamente azzurri. Non c’era più abituato, doveva ammetterlo. Sottostare a quello sguardo lo metteva a disagio, soprattutto perché aveva il sospetto che Cass riuscisse a leggerlo come un fottuto mazzo di carte.
«Sono Castiel, se è questo che mi chiedi,» mormorò atono, senza il minimo mutamento di espressione.
Gli occhi verdi di Dean si spalancarono dalla sorpresa, ma il suo istinto di cacciatore ebbe il sopravvento. Si alzò in piedi e afferrò una tanica di detersivo, poi fissò Sam che dormiva e successivamente l’angelo. «Andiamo fuori.»
I due s’incamminarono nella notte gelida di quell’ormai ventiquattro gennaio, immergendo gli stivali nella neve che arrivava sino alle caviglie. La strada era deserta, d’altronde era passata la mezzanotte e con quel freddo Dean non si meravigliò di non vedere anima viva.
Si voltò verso Cass e continuò a fissarlo di sbieco. «Non ti dispiace se faccio una prova,» gli disse serio. «Con quei figli di puttana non si può mai sapere.»
L’angelo lo guardò confuso, poi gli porse la mano. Dean fece cadere qualche goccia di detersivo sulla pelle di Castiel, aspettandosi che friggesse, invece scivolò liscia e s’infranse sulla neve ai loro piedi. Non poteva credere ai suoi occhi.
Rialzò lo sguardo e incontrò nuovamente quegli occhi blu enormi, diventati ancora più grandi al buio di quella notte. «Cass…» Riuscì solo a mormorare, senza aggiungere altro.
«Ciao, Dean,» ripeté con convinzione l’angelo.
C’erano un milione di cose che avrebbe voluto chiedergli, a cominciare da dove era stato tutto quel tempo. Avrebbe voluto sapere come si era salvato, cosa gli fosse successo dopo l’esplosione nel lago, se era ancora tutto intero – ma quella era una domanda stupida visto che lo poteva constatare con i suoi occhi.
Eppure gli uscì un semplice «Cosa ci fai qui?»
Lasciò andare la tanica di detersivo e si alzò il bavero del giacchetto infilando le mani in tasca prima che gli diventassero due ghiaccioli. Cass non sembrava soffrire né caldo né freddo. Era impassibile come sempre.
«Mi hai chiamato tu, Dean,» spiegò semplicemente.
«No, non è vero.»
Castiel inclinò la testa da un lato. «Sì,» sostenne convinto. «Quando hai espresso il desiderio.»
A Dean gli venne quasi da ridere, perché quella era davvero una storia assurda. Se avesse desiderato Bobby, allora gli sarebbe apparso sotto forma di fantasma?
«Uhm,» mormorò confuso. «Allora perché non ti sei fatto vivo prima?»
Dean continuò a sottostare allo sguardo assorto di Castiel. Non era la prima volta che lo fissava in quel modo, ma si sentì strano. Era arrabbiato, doveva ammetterlo. Quasi tre mesi a pensare che quel fottuto pennuto fosse esploso in fondo al lago, invece se ne andava in giro a fare le sue cose da angelo e rispuntava solo il giorno del suo compleanno.
«Non potevo,» sospirò.
«Cazzate, Cass!» ringhiò. «Pensavo fossi morto, idiota!»
Quella fu la prima volta che Dean vide l’espressione di Castiel mutare nel più genuino stupore. L’angelo non era altro che un bambino cresciuto troppo in fretta e ogni emozione si poteva leggere sul suo viso.
«Lo credevo anche io,» soffiò impercettibilmente, abbassando il capo. «I Leviatani si erano impossessati del mio corpo, poi non ricordo quasi nulla. L’unica cosa che so è che non potevo scappare, mi tenevano prigioniero.»
Dean rimase di sasso. Aveva perso ogni speranza, soprattutto dopo la morte di Bobby, e aveva sempre creduto che sarebbe stata solo questione di tempo prime che qualcuno gli portasse via anche Sam. Invece adesso, in quella notte gelida, aveva scoperto che Castiel non era morto, ma solo prigioniero.
«Come hai fatto a fuggire?» Gli chiese.
Cass fece spallucce e arricciò le labbra. «Credo sia stato merito tuo, è come se avessi aperto una strada tra te e il luogo in cui mi avevano rinchiuso.»
«Mio?» Dean era più che perplesso.
«Non so spiegarlo. Avevo tentato più volte di scappare, ma i miei poteri erano nulla in confronto a quelli dei Leviatani. Questa notte, invece, ho come visto uno spiraglio e mi ci sono aggrappato. Alla fine mi sono ritrovato sul tuo divano.»
Dean avrebbe voluto davvero sapere com’era stata possibile una cosa del genere, ma dallo sguardo confuso di Cass comprese che l’angelo ne sapeva tanto quanto lui.
«Quindi…» azzardò. «Ora sei libero?»
Castiel alzò di nuovo lo sguardo e Dean si sentì come messo a nudo. Forse non aveva mai compreso che quello davanti a lui era una creatura divina, un essere potente e millenario. Aveva sempre visto Cass come un altro fratello minore, qualcuno di cui occuparsi quando ormai Sam aveva imparato a camminare da solo sulle sue gambe.
Castiel scosse la testa. «No,» mormorò schietto. «Sento di essere ancora imprigionato e che questa visita sia solo una falla nel loro sistema di sicurezza. Presto o tardi scopriranno dove sono e mi riporteranno indietro,» commentò.
Dean avvertì una strana sensazione di freddo invaderlo e non c’entrava nulla con i 5 gradi sotto zero dell’HolidayInn Motel, nello Utah. Per un attimo si era abituato all’idea di riavere il suo angelo con sé, quel cazzone alato che appariva nei momenti meno opportuni ed era la fonte di imbarazzo per lui.
«Oggi è il mio compleanno,» smozzicò, stavolta prendendo a calci la neve con la punta del suo scarpone. «Nemmeno volevo festeggiarlo.»
«Lo so,» gli rispose Castiel. «Da quando sei nato, non ne ho perso nemmeno uno, che tu mi vedessi oppure no.»
Il cacciatore sgranò gli occhi. «C-Che?»
L’angelo si strinse nelle spalle. «Il Signore mi aveva dato il compito di tenerti d’occhio e così ho fatto. Ho sempre eseguito i suoi ordini.»
Dean alle volte si dimenticava che Cass era un soldato. Per lui obbedire a un ordine era la priorità assoluta, anche se andava contro la sua morale – a meno che ne avesse avuta una.
«C’eri anche a quello del 1988? Quando siamo andati al circo?» gli chiese curioso.
«Quando hai smascherato quel finto unicorno?»
Dean si sentì strano. Possibile che in tutta la sua vita era stato oggetto di stalker da parte di un pennuto?
Dean, you are blessed by angels.
«Cass, sai che potrei denunciarti?» Gli disse sorridendo.
L’angelo inclinò la testa da un lato e lo guardò. «Perché, Dean?»
«Lascia perdere,» sorrise, divertito dall’ingenuità di Castiel.
Guardò l’orologio e vide che la mezzanotte stava per scadere, poi notò l’angelo inquieto.
«Che c’è?» Gli chiese.
Castiel abbassò lo sguardo e si massaggiò il collo. «La linea si sta assottigliando, presto dovrò tornare nella mia prigione.»
A Dean gli si strinse il cuore e non capì fino in fondo il motivo di quello strano tumulto che aveva nel petto. Si era aspettato di festeggiare da solo, magari in compagnia di Sam che russava sulla poltrona, invece aveva ricevuto una visita inaspettata.
«Quand’è il tuo compleanno, Cass?»
Quella storia dei compleanni lo aveva completamente rincretinito, ma la domanda gli uscì spontanea e insensata.
Castiel, infatti, rimase basito. I suoi occhi blu erano spalancati e la bocca semiaperta. Abbassò lo sguardo e Dean giurò di averlo visto arrossire. «N-Non me lo ricordo,» affermò.
«Come fai a non ricordarti quando sei nato?» gli chiese sorpreso.
Castiel alzò lo sguardo e specchiò l’azzurro delle sue iridi con il verde smeraldo di quelle dell’altro. «Ho più di duemila anni, Dean.»
Già, alle volte si dimenticava quanto fossero longevi gli angeli.
Dean però non si diede per vinto. «Allora raggiungiamo un compromesso. Facciamo che oggi è anche il tuo compleanno,» esordì convinto, stupendo l’altro. «Almeno me lo ricorderò io per te.»
«Uhm,» sospirò. «Penso che possa andare bene.»
Il cacciatore gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. «Allora buon compleanno, Cass.»
L’altro gli restituì un timido sorriso. «Buon compleanno, Dean.»
«Ho un regalo per te,» disse il cacciatore, dirigendosi verso l’Impala e scostando il telo per aprire il portabagagli.
Castiel lo guardava incuriosito, mentre Dean pensò che non aveva molto tempo prima che i Leviatani si accorgessero della sua assenza. Tirò fuori un fagotto da una borsa, poi lo porse a Cass che lo fissò accigliato.
«È il tuo trench,» sorrise. «L’ho recuperato dal lago quando sei sparito.»
L’angelo strinse le dita attorno alla stoffa beige, ma non disse nulla. «Io non ho nessun regalo,» smozzicò mortificato.
Dean realizzò in quel momento quanto l’assenza di Cass pesasse nella sua vita. Per lui era più di una persona di cui occuparsi, molto più di un membro della sua nuova famiglia allargata. Certo, a Sam voleva bene, ma Castiel era qualcosa che ancora non riusciva a spiegarsi.
Quando gli prese il viso tra pollice e indice non pensò a niente. Posò le sue labbra su quelle screpolate dell’altro e si prese il suo regalo. Castiel sbatté più volte le palpebre confuso, rivelando sorpresa dietro quegli occhi di un azzurro intenso. Era di quel colore che Dean si immaginava il Paradiso.
L’angelo abbassò lo sguardo. «Ora devo andare,» soffiò imbarazzato e gli porse di nuovo il fagotto contenente il trench.
«Questo è tuo, Cass,» gli spiegò calmo.
Castiel alzò lo sguardo verso il suo e abbozzò un sorriso. «Me lo darai quando verrai a recuperarmi. Perché lo farai, vero?»
Dean sorrise di sbieco. «Puoi scommetterci ogni piuma delle tue alucce, Cass. Fosse l’ultima cosa che faccio prima di crepare, verrò a salvare il tuo culo angelico.»
Castiel s’illuminò come mai Dean lo aveva visto fare prima d’ora. Lasciò andare la presa sul trench e arretrò di qualche passo.
«Addio, Dean,» gli disse.
«È un arrivederci, Cass,» lo corresse, poi sparì con la stessa velocità con cui era apparso e Dean giurò a sé stesso che non avrebbe aspettato un altro compleanno per riaverlo.

***
Allur *aspetta il lancio delle pietre*
Questa è la mia prima storia nel fandom e la mia prima Destiel in assoluto (anche perché shipperei solo loro, fino alla fine dei miei giorni), quindi siate clementi per eventuali errori di IC e non T__T
Perché 'Happy Birthday?'... beh, per chi non lo sapesse *si sente nerd* oggi è il compleanno del nostro Dean (TANTI AUGURI!!!) nato esatammente il 24 gennaio di 33 anni fa *--*
Ahimé, Dean sei come il vino... più invecchi e più diventi b(U)ono!
Spero che questa OS possa strapparvi un sorriso, anche perché è fluffosa senza ritegno, ma non me ne importa perché in fondo Cass non è altro che il miglior dono che Dean possa avere -solo che lui ancora non lo sa, no, no! u.u

Rigrazio chiunque di voi leggerà!
Baci, Marty

P.s. il blend/banner è stato fatto da >>Crudelia Graphic.
   
 
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