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Autore: unknown_girl    24/01/2012    2 recensioni
[...] Pronunciò quella frase osservando il paesaggio umido fuori dalla finestra. Il vetro appannato rendeva indefiniti i contorni delle auto e delle case all’esterno. I pochi suoni che si percepivano, il motore di un autobus, il gracchiare di un corvo solitario o lo sgocciolio delle tettoie, erano resi ancora più ovattati dal silenzio dell’alba inoltrata.
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Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Ce la fai ad arrivare da solo alla stazione allora? –
L’inglese sostava nel piccolo ingresso con le braccia incrociate all’altezza del petto, osservando la discesa per le scale del suo coinquilino. Data la brevità del suo soggiorno nella città natale si era portato appresso solo uno zaino di medie dimensioni. – Sicuro! So muovermi perfettamente per la città ormai. – Rispose terminando gli scalini e giungendo al piano terra. – Sei davvero certo che tornerai per così poco a casa? – Domandò Arthur poggiandosi sulla toletta a fianco. – Bè.. – Cominciò con una scrollata di spalle. – Potrei domandarti lo stesso, no? – Concludendo con un sorriso per fargli comprendere che la sua intenzione non era provocatoria, affrettandosi ad aggiungere qualcos’altro per evitare di essere aggredito verbalmente.
- No, comunque, sono certo. Tornerò qui il ventisei, in tarda serata. Ma ovviamente se tu decidessi di trattenerti dai tuoi più a lungo basta che mi avverti. Io resterò più giorni a casa e tornerò quando sarà più comodo a te. Va bene? – L’altro ragazzo, che nel frattempo gli aveva lanciato un paio di occhiate indisposte, rispose. – Sono certo non accadrà. Piuttosto, muoviti o perderai il treno. – E si scostò dal mobile per avvicinarsi alla porta e salutare l’amico. – Okay, okay, ma essendo alle nove e trenta penso di potermela prendere abbastanza comoda. – Seguì l’inglese, il quale fu così gentile da aprirgli anche la porta e prodigarsi in convenevoli. – Allora, fai buon viaggio e..passa un buon Natale. – Francis annuì. – Grazie mille, e ovviamente buon Natale anche a te e alla tua famiglia. Oh, a proposito…il dolce è in frigo, mi raccomando lascialo lì il più a lungo possibile e quando lo trasporti tienilo sempre orizzontale. –
L’inglese aggrottò la fronte in un’espressione di stupore e incomprensione. – Quale dolce? – Niente avrebbe potuto appagare maggiormente l’altro biondo che quel volto dall’aria spaesata. – Ma il Buche de Noël⁽¹⁾ che ti avevo promesso, ovviamente. Fammi sapere com’è venuto e cosa ne pensano i tuoi, intesi? – Il suo interlocutore però non sembrava aver superato lo stato di confusione. – Frena un attimo, quando diavolo lo avresti fatto? – Francis rise sonoramente, tirandosi indietro i capelli con una mano. – Tu eri stanco, sei andato a dormire presto ieri sera, perciò.. – Lasciò la frase in sospeso, sicuro che il resto fosse facilmente immaginabile. – Hai usato la mia cucina di notte senza il mio permesso e mentre dormivo? – Francis piegò le labbra in un sorriso divertito. – Mhh, non definirei le nove di sera notte fonda, ma comunque è già successo altre volte che ti abbia preparato la colazione mentre tu ancora dormivi, no? Ricorda che è Natale, è vietato arrabbiarsi e litigare. – Concluse con un occhiolino mentre Arthur schiudeva le labbra per ribattere ma il francese decise prontamente di non lasciargli nessun margine di intervento.
– Oh, il treno. Così lo perderò davvero, eheh. – Un movimento veloce del braccio per sistemare meglio lo zaino sulla spalla concluse quella conversazione e il maggiore decise che fosse il caso di varcare l’uscio di casa. L’inglese da parte sua estinse ogni intenzione di controbattere, pensando che in fondo le osservazioni del francese non gli lasciavano grandi possibilità di polemica. Si limitò a un sospiro che assomigliava più a uno sbuffo e posò lo sguardo prima su di lui e poi verso il cielo, commentando senza astio nel tono.
– ..almeno non piove. – Francis gli diede per alcuni istanti le spalle, dando un’occhiata al cielo non proprio limpidissimo ma se non altro senza nuvoloni scuri e minacciosi. – Perfetto! È la mia giornata fortunata. – Restò ad osservarlo sorridente, volendo riservare a lui l’ultima parola e la responsabilità di terminare la loro chiacchierata. Arthur abbassò il viso, fissando i cespugli del vialetto e il colorito spento di alcune foglie secche cadute sull’asfalto. – Fa’ buon viaggio, Bonnefoy. – E un sorriso, spento almeno quanto il colore di quelle foglie, prese forma sul suo volto. Nulla a che vedere con la tonalità vivace e cangiante del sorriso del biondo col pizzetto; ma a questo c’era abituato. – Merci, Arthur. Stai bene, eh. – Gli suggerì attraverso un lieve cenno della testa, sperando davvero in cuor suo che non avesse alcun tipo di problema in quei tre giorni. Non che fossero affari suoi, è chiaro.
Voltò del tutto le spalle, mostrandogli la schiena e scendendo prima i pochi gradini di cemento e poi camminando lungo il vialetto, immettendosi infine sul marciapiede. Il britannico restò sulla porta con le mani in tasca, ad osservarlo, finché non lo vide giungere all’incrocio. Poi lo sguardo gli cadde ancora una volta sulla composta e ben poco curata vegetazione del suo piccolo giardino. Forse era il caso di dare una sistemata anche a quell’aspetto della casa, prima o poi. Solita pigrizia che suggeriva di rimandare le cose, evidentemente. Chiuse la porta dietro di sé, sapendo che era ora anche per lui di prepararsi e uscire. Tornare nel quartiere da cui proveniva, tornare nella sua vera casa, nella sua vera camera. Senza Alfred, quest’anno. Generalmente era il ventitre sera o il ventiquattro mattina che lo andava a prendere all’aeroporto; poi l’amico restava da lui per tutte le vacanze.
Lo sapeva che era troppo presto per poter dire che non gli mancasse e che non gliene importasse più nulla, ma stava tentando con tutte le forze di cancellarlo dai suoi pensieri, di sforzarsi per riuscirci. In questo periodo, durante le festività, sarebbe stato sicuramente ancora più difficile. Salendo le scale per tornare in camera sua gli venne anche in mente che non aveva la minima idea di come trascorrere l’ultimo dell’anno. Non che fosse qualcosa di fondamentale né di importante, però si era scordato di calcolare questo elemento. Senza contare che avrebbe avuto Francis in casa, visto che non restava a Parigi. Scrollò istintivamente la testa perché tutti quei pensieri cominciavano ad assomigliare a mosche fastidiose che gli ronzavano intorno. Pazienza, pazienza…non è un problema di adesso. Pensò entrando in camera e cominciando a prepararsi per tornare anche lui a casa.

 
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Possibile che fosse sempre l’ultimo a scendere dagli aerei? Ma che aveva, un primato da difendere forse? No, in realtà sapeva perfettamente che era tutta colpa del suo connaturale disordine fisico e mentale che trasformava in caos qualunque luogo nel quale sostasse per più di dieci minuti, qualunque sedile sopra cui si sedesse, qualunque metro quadro occupasse, da seduto quanto da in piedi. Era una cosa sconvolgente, in effetti. Già se lo immaginava, intento a raccogliere intorno a sé e sotto al sedile cartacce e avanzi di ogni genere, magari con il filo delle cuffie che ovviamente andava ad impigliarsi ovunque, riuscendo anche a trovare il modo per regalare qualche gomitata alla persona accanto…sperando non avesse preso il posto centrale, mietendo così ben due vittime invece di una sola. Ovviamente tutto questo ad atterraggio già bello che concluso. No, il suo cervello non ci arrivava proprio che magari sarebbe stato il caso di cominciare a prepararsi una decina di minuti prima, se non altro fare un po’ d’ordine tra le proprie cose. Okay, il viaggio era lungo e stancante ma perché quando era lui che arrivava in America non aveva mai di questi problemi? È Alfred, ricorda…stiamo parlando di Alfred F. Jones.. Pensò mentre attendeva col cappotto completamente allacciato e le mani in tasca, osservando viso per viso le persone dello stesso volo dell’amico che uscivano dalla porta automatica. Era quasi un quarto d’ora che stava là davanti in attesa, presupponendo che anche questa volta sarebbe stato Alfred tra gli ultimi ad uscire; e infatti eccolo lì, finalmente, a quasi un’ora dall’arrivo del suo volo, con un’espressione distesa e spensierata, guardandosi tutt’intorno alla ricerca di colui che sarebbe dovuto venire a prenderlo. Con una mano trascinava il trolley dietro di sé e con l’altra stringeva il pesante piumino color blu acciaio.
- No, dico, potevi prendertela anche con un po’ più di calma in fondo.. – L’inglese non riuscì a trattenersi dal salutarlo con un pizzico di ironia, quel che bastava a ricordargli che ancora una volta l’aveva fatto aspettare decisamente troppo. L’americano voltò velocemente il viso nella sua direzione, non facendo molto caso alle sue parole, sorridendogli come un ragazzino che riceve il miglior regalo di Natale e andandogli incontro iniziando a ridere tra sé. – Hey, guarda che io stavo dormendo fino a mezzora fa! – Rispose con tono fin troppo acuto cercando di giustificarsi come al solito e posando a fianco il trolley, gettandoci sopra il giaccone con noncuranza senza accorgersi infatti che appena qualche istante dopo esso cadde a terra, sgualcendosi. – A-ha. Peccato allora che non fossi lì per vederti fare l’atterraggio senza cintura. Sai che bello vederti cadere dal sedile? – Rispose l’altro raddoppiando l’ironia precedente e notando il piumino scivolare dalla valigia. – Al, attento alla giac- – Ma Alfred non gli concesse neanche il tempo di concludere la frase che allargò le braccia andando subito a stringerlo con forza, chiudendolo in una stretta che l’inglese conosceva bene. Il più giovane piegò il viso sull’altro, facendolo aderire alla sua spalla e andando ad unire le mani sopra la schiena dell’amico. – Ciao Arthur! – Esclamò con entusiasmo il più minore, andando poi a piegarsi sulle ginocchia quel poco che gli bastava per saldare la presa intorno a lui e raccogliere le forze, per poi ritornare in posizione eretta sollevando l’inglese con sé, senza più fargli toccare terra. – Mi sei mancato! – Aggiunse continuando a sorridere e a tenerlo saldamente a sé, mentre Arthur non era neanche riuscito a ricambiare l’abbraccio allargando le braccia. – Sì, Al..anch’io sono contento di vederti ma..ngh..forse è meglio se mi metti giù. – Rispose cominciando ad avvertire una leggera mancanza d’aria, provocando le prevedibili risate dell’americano che assecondò la sua proposta, poggiandolo a terra e sciogliendo la presa intorno a lui. Sistemò le mani sui fianchi e restò a fissare l’amico che si ricomponeva con la stessa espressione felice di prima; Arthur perse qualche secondo a stirarsi il cappotto leggermente stropicciato, assestandogli qualche colpetto con le mani, quindi tornò con lo sguardo sul ragazzo, sorridendogli di rimando e questa volta regalandogli lui un abbraccio; si avvicinò fino a stringerlo con le braccia dietro la schiena con qualche pacca amichevole, rispondendogli. – Ciao Alfred. –
Sentì le dita dell’altro infilarsi tra i suoi capelli e scomporglieli, non riuscendo a scorgere l’espressione entusiasta che si era dipinta sul volto dell’amico in quel momento ma riuscendo nettamente a distinguere i lamenti del suo stomaco che gorgogliava. – Ops.. – Commentò Alfred senza troppo imbarazzo, scostandosi dall’inglese per non costringerlo ad ascoltare quel concerto enterico. – Scusa sai, questi viaggi sono sempre lunghissimi e il cibo che offrono non è molto soddisfacente, muoio di fame! – Aggiunse ridendo tra sé. Arthur strappò un sorriso, pensando che su certi aspetti della sua personalità fosse davvero incorreggibile. – Quindi non hai mangiato niente sul volo? Dai allora, andiamo subito a casa così puoi pranzare. – E si abbassò con la schiena per raccogliere il piumino dell’altro ancora per terra. – No, no, ho mangiato tutto; però se il cibo non mi piace è come se non avessi mangiato niente. Ho fame uguale, anche più di prima. – Rispose con un leggero tono di lagna, afferrando il trolley e cominciando a muoversi al fianco dell’inglese che sembrava non avesse intenzione di commentare quella spiegazione piuttosto bizzarra. – Ci fermiamo un attimo al Mc, okay? Faccio presto. – Propose il più giovane ricordando perfettamente che nell’aeroporto c’era anche il suo fast-food preferito. – Ma ti rovinerai il pranzo con quelle schifezze! –
– Scherzi? È ovvio che poi a casa pranzo! – Rispose con stupore, quasi risentito che l’inglese volesse negargli il suo amato cibo. – Arthur, tu non hai idea di quanto io sia affamato in questo momento, non arriverei mai a pranzo senza uno spuntino e da qui a casa tua è almeno un’ora. Fammi mangiare qualcosa per fermarmi lo stomaco, tanto non ho intenzione di lasciare nulla del menù di tua madre, tranquillo. – Era concitato sia nei gesti che nel parlare, forse aveva davvero la necessità di mettere qualcosa sotto i denti. Sapeva bene che Alfred era in grado di diventare isterico se non veniva accontentato in campo alimentare e in realtà era anche convinto del fatto che se pure si fosse ingozzato adesso al fast-food avrebbe avuto la forza e l’appetito anche per spazzolarsi il pranzo a casa. – Okay, okay, mister “ragazzino denutrito che se non mangia adesso sviene”. – Rispose ironico, seguendolo in direzione della zona ristorazione.

Si sedettero ad un tavolo e mentre Alfred tornava col suo menù l’inglese si intrattenne osservando dall’immensa vetrata la pista dalla quale partivano e atterravano di continuo gli aerei. L’americano prese posto e cominciò a mangiare con voracità, lanciandogli qualche occhiata incuriosita. – Vuoi un pezzo, Art? metà panino? Qualche patatina? – Domandò parlando con la bocca piena, mentre poggiava i gomiti sul tavolo. L’inglese lo guardò con una smorfia, pensando che non fosse un Mc menù completo ciò che avrebbe esattamente definito come “spuntino”. – No, grazie. E cerca di non dare spettacolo di quello che mastichi quando parli. – Il più giovane rispose con un oscillante quanto vago cenno del capo, masticando qualche sillaba incomprensibile oltre al cibo nella bocca, per poi ingoiare rumorosamente e fare una piccola pausa.
- Allora, come stanno tutti? Zia mi ha detto che hai iniziato anche a lavorare nella biblioteca universitaria. Con lo studio hai quasi finito no? Il prossimo anno è l’ultimo, beato te! – Arthur sorrise mentre si sfilava finalmente il cappotto. – Stanno bene. Il giorno che hai parlato con mia madre avevo il mio primo turno in biblioteca. È molto piacevole e poi è poco impegnativo, riesco a gestirmi bene il tempo. – Fece una pausa sorreggendosi il mento nel palmo di una mano e inclinando leggermente la testa da un lato. – Ma non è questa la cosa più importante. Tu, piuttosto, devi raccontarmi un bel po’ di cose! Com’è il college? Ti trovi bene? come sono le lezioni e gli insegnanti? Hai fatto nuove amicizie? – Quando il britannico iniziava con le domande a raffica ciò era sempre indice di una sincera curiosità. A settembre Alfred aveva iniziato l’università a New York, scegliendo la facoltà di informatica, e sapeva bene che era un’esperienza fondamentale per lui; per quanto potessero aver parlato al telefono, via chat o anche via webcam, parlarne dal vivo era tutta un’altra cosa e attendeva da tanto di poterlo fare. L’americano apparve subito entusiasta della domanda, tanto che nel dare un altro morso al suo maestoso panino la foga finì per fargli colare una notevole quantità di salsa e anche per fargli saltare un paio di cetrioli dalla farcitura interna. – Mngh, all-wora.. – Iniziò che ancora aveva la bocca traboccante di cibo e poco ci mancò che si strozzasse. Si assestò un paio di pugni sul torace per mandar giù il boccone senza fatali conseguenze e con la mano fece un cenno di attesa all’amico per sorseggiare quasi metà della sua coca-cola tutta d’un fiato. Al termine di questa esilarante scenetta tirò un profondo sospiro per riprendere aria e iniziare a parlare. – Dicevo, sì, dunque…È tutto fantastico, Arthur! – Esclamò urlando nel ristorante come un invasato, facendo sobbalzare per un attimo l’inglese dal proprio posto. – Il college è veramente fichissimo! È enorme e poi ha un sacco di aule, di biblioteche, di spazi all’aperto..e anche i dormitori sono comodi, sto in camera con due ragazzi un sacco forti, uno è del mio stesso corso. Poi le lezioni sono interessanti! Oddio, alcune sono così difficili che non c’ho capito quasi niente, però ho già trovato qualcuno disposto ad aiutarmi! – Probabilmente un bambino che scartava sotto l’albero il proprio regalo di Natale sarebbe stato meno entusiasta di lui in questo momento. Il suo fervore lo rinfrancava dai timori e dai dubbi che aveva nutrito in tutti quei mesi fisicamente lontano da lui; sapeva che non era certo un tipo né studioso né diligente né particolarmente incline all’organizzazione del tempo e delle proprie attività, ma sapeva altrettanto bene che erano sempre state due sue grandi passioni i computer e la tecnologia. Forse doveva solo nutrire un po’ più di aspettative per lui, avere più fiducia. Fatto stava che di lì a poco si sarebbe presentata la prima grande prova: gli esami invernali.
- Mi fa molto piacere, davvero. Stai studiando nel contempo, sì? Quando hai il primo esame? Di che tipo è? Ti può servire una mano in qualcosa mentre sei qui? – Domandò il maggiore osservando come l’amico azzannava nuovamente il panino. L’americano fece spallucce, ma non tanto perché le domande fossero troppe e non sapesse da dove iniziare, quanto per la risposta che stava per dargli. – Ah, boh. Non ne ho idea, ancora non ho controllato. – Arthur diede qualche colpo di palpebra assottigliando gli occhi e assumendo uno sguardo sospettoso. – Come “boh”? Ti riferivi agli esami, giusto? Come puoi non esserti preso la briga di segnarti le date? Saranno già uscite da un pezzo! Dai Alfred, non comportarti così. Sei all’università, diamine, e lì costa pure un sacco di soldi! Sii serio per una volta. – Il suo tono aveva il sapore amaro della paternale, come era solito fare nei confronti di Alfred, e il suo atteggiamento era palesemente contrariato; gli sbuffi che aveva emesso contribuivano ad amplificare la sua seccatura e il fatto che alzasse continuamente gli occhi al cielo era indubbio indice di esasperazione. L’americano riconobbe distintamente tutti questi segnali, agitandosi e rimproverandosi per essersi lasciato scappare con tanta noncuranza quel dettaglio che adesso gli stava costando una noiosa strigliata: quando attaccava non c’era scampo, gliele avrebbe suonate per le lunghe cominciando ad elencargli per la milionesima volta tutti i suoi difetti e tutte le sue responsabilità mancate. Dio…non adesso Arthur, sono appena arrivato accidenti pensò tra sé ingoiando in fretta e furia il suo boccone sovrabbondante come al solito, rischiando di farsi finire il bolo nei polmoni per la seconda volta. – Frena, frena, frena, stai calmo! – Allungò una mano, lasciando il panino nell’altra, e afferrò il polso dell’amico di fronte scuotendolo leggermente, cercando attraverso quel goffo tentativo di interrompere la sua sfuriata da padre frustrato. – È tutto okay, in questa sessione ho pochi esami e tutti piccoli, giuro! E poi, ahm, ho già aperto i libri qualche volta, tranquillo! – Disse, concludendo con quella balla stratosferica e guardandolo nel modo più convincente e rassicurante possibile. Peccato che l’inglese lo conoscesse troppo bene per mettere da parte la lagnanza e credere alle sue parole. Espirò profondamente, fissandolo con un cipiglio minaccioso. – Devi studiare. È chiaro? Non fare il buffone e risparmia a tua zia lo strazio di spendere soldi inutilmente. – Ritirò il polso con un gesto secco, abbassando lo sguardo sul tavolo macchiato di unto qua e là. – Ti faccio studiare sodo durante queste vacanze. – Asserì con un cenno del capo, per mostrarsi più deciso e perentorio e incrociando le braccia al petto mentre stendeva la schiena sulla sedia. – E dai Arthur, è Natale! Mi organizzo da me, non ti stressare eheh. – Rispose il più giovane prendendola con ironia e sperando di sdrammatizzare quel suo sguardo torvo.
– Studio, studio, lo so. Ho solo i miei tempi, ecco. – Concluse inserendo nella bocca l’ultimo pezzo del suo doppio hamburger e notando che l’altro stava già schiudendo nuovamente le labbra, di certo per continuare a polemizzare; meglio interromperlo sul nascere. – Ah! Sai cosa? Quest’anno ho proprio voglia di neve, cavoli! L’anno scorso è stato uno schifo, neanche un fiocco a Natale. Hai sentito le previsioni, che dicono? Se nevica stai fuori con me tutto il giorno a fare pupazzi di neve? Magari sai cosa, possiamo scegliere una bella discesa e farcela con lo slittino dieci volte di fila! Dai, dai, dai, lo so che ti piace la neve. – Sparava domande a raffica per confondere le idee dell’amico e distrarlo, così da scostare l’argomento con un aggraziato colpo di fianchi. In effetti come tattica funzionò, ma solo a metà: Arthur sapeva benissimo che aveva cambiato volutamente il tema della conversazione, ma sospirando mentalmente aveva deciso di assecondarlo; d’altronde era appena arrivato ed era la vigilia di Natale, era la prima volta che si rivedevano dopo mesi e per di più stava pure mangiando: meglio rimandare la discussione a un momento più opportuno. Questo avrebbe potuto concederglielo.
Scosse appena la testa, come per scrollarsi di dosso tutti gli ulteriori attacchi verbali che gli erano venuti in mente e tentò un sorriso che finì però contratto in una tiepida smorfia. – No, non mi sono informato sulle previsioni e in slittino con te non ci torno, l’ultima volta mi hai quasi ammazzato. – Alfred scoppiò in una risata quasi sguaiata, portando entrambe le mani a tenersi gli addominali. – Ahahahahah! Oddio sì, è vero! Però dai, anche tu non è che ti fossi tenuto così bene! Ahahah! – E continuava a ridere di fronte a lui, come se non ci fosse niente di più divertente al mondo che quel ricordo in cui, in una bellissima mattinata di gennaio e con le strade fioccanti di neve fresca, i due si erano concessi un po’ di svago e avevano tentato una piccola discesa con lo slittino. Peccato che l’americano si fosse mal direzionato proprio nella fase di maggiore velocità e avesse preso una brutta inclinazione, pericolosamente vicina ad un palo della luce; onde evitare il peggio aveva quindi puntato il tallone di un piede sulla neve, inclinando il corpo nella direzione opposta sperando di correggere così la loro rischiosa rotta, finendo però col cappottare la piccola vettura dello slittino e cadendo sul candido manto nevoso. Ci impiegò parecchio tempo, una volta a terra, per accorgersi che l’amico inglese era finito sotterrato dalla sua stazza.
- Sì, sì, ridi tu. Io per poco non morivo soffocato. – Commentò Arthur gettando lo sguardo altrove mentre l’amico ancora rideva a crepapelle. – Finito lo spuntino? – Domandò voltando nuovamente il viso verso di lui, calcando con tono ironico l’ultima parola. L’altro giovane biondo tornò in una posizione più o meno retta con la schiena e andò ad asciugarsi qualche lacrima agli occhi, riprendendo a poco a poco fiato. – Oh, sì. Adesso possiamo davvero uscire. – Usò per l’ultima volta uno dei fazzoletti di carta inclusi nel menù e si alzò afferrando il vassoio e portandoselo dietro in direzione del grosso portarifiuti, mentre l’inglese si alzava per infilarsi il cappotto e controllare la valigia dell’amico. Arthur diede un’occhiata all’orologio: erano da poco passate le undici. Sarebbero arrivati giusto in tempo per il pranzo.

 
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- E dimmi, sei riuscito a mangiare come si deve? Ero così in pena per questo! Non sarai dimagrito troppo, vero tesoro? – La signora Bonnefoy si destreggiava sul piano della cucina tagliando gli ingredienti che di lì a poco avrebbe dovuto bollire mentre non per questo si distraeva dalla chiacchierata col figlio, iniziata non appena l’aveva visto e abbracciato in stazione. Da quell’istante non aveva smesso un attimo di parlare; era il suo modo di esprimere tutta la propria contentezza nel ricongiungersi al ragazzo, quel suo instancabile porgli domande e il desiderio di farsi raccontare tutto fin nei minimi dettagli. Era uno di quegli atteggiamenti che Francis amava di più di sua madre, ricordandole tanto un’adolescente alla sua prima gita scolastica; e certo non gli pesava il fatto di raccontarle ogni cosa per ore e ore, finché non sarebbe stata soddisfatta. – Eheh, no maman⁽²⁾ avrò perso al massimo un chilo. – Rispose inclinando il capo mentre faceva la sua parte in cucina, a fianco della donna. Appena rientrati in casa la madre gli aveva quasi intimato di rilassarsi e che avrebbe pensato a tutto lei, ma Francis non era certo tipo da starsene comodo ad osservare una bella donna che sgobbava per lui, tanto più se si trattava della madre. Si era quindi concesso giusto una doccia veloce, un cambio d’abiti e poi aveva raggiunto la donna ai fornelli.
- Dai, raccontami. Come ti trovi in questa nuova sistemazione? Ti tratta bene, sì? Hai spazio a sufficienza? – Il ragazzo sorrise ampiamente mentre continuava a pelare alcune patate sul lavello. – Bene, davvero. Non mi lamento di nulla e lo spazio mi basta e avanza pure, non temere. Inoltre, uno dei compiti che mi sono assegnato per sdebitarmi è quello di cucinare, quindi non essere in pena. – Si voltò un attimo per lanciarle un occhiolino. – Mi occupo sia del pranzo che della cena, e a volte anche della colazione. –
- Magnifico! Allora sarà sicuramente contento anche lui della tua ottima cucina. – Francis ruotò l’espressione verso l’alto, in segno di riflessione. – Gli piace molto, ma penso abbia qualche difficoltà ad ammetterlo. – Aggiunse, sorridendo tra sé. – È stato molto gentile a non chiederti alcun affitto. Gli farò un bel dolce, così glielo porti per ringraziarlo da parte mia. Arthur, vero? – Domandò con tono ascendente per averne conferma. – Oui,⁽³⁾ Arthur Kirkland, e sono sicuro lo gradirà moltissimo. Appena torno però vorrei cercare di sistemarmi da qualche altra parte. Non vorrei disturbarlo più di quanto non abbia già fatto; dopo Natale forse avrò più fortuna con gli appartamenti. – Mise insieme tutto quello che avevano tagliato ad arte e lo rovesciò in una grande ciotola d’acqua, passando alla fase del risciacquo. – Francis, puoi stare tranquillo. Anche se l’affitto è un po’ più caro di quello che hai pagato finora andrà bene lo stesso, te lo posso pagare, davvero. Voglio essere sicura che tu stia in una camera calda e accogliente, non in una baracca, quindi prendi in considerazione anche affitti meno economici del solito, va bien?⁽⁴⁾ Non farmi preoccupare.. – Concluse con un velo di rammarico nella voce che il biondo fu subito pronto ad allontanare. – No, no, tu non avrai nulla di cui preoccuparti, giuro. – E si allungò su di lei per lasciarle un bacio sui capelli morbidi che profumavano sempre di buono. La donna socchiuse gli occhi per godersi appieno quel gesto affettuoso che per tutti quei mesi gli era mancato così tanto. Poi alzò il viso verso il figlio, scolando con le mani le verdure crude. – Adèle, Cécile e Jaqueline arriveranno verso le cinque insieme ai ragazzi, così cucineremo tutti insieme e metteremo i regali sotto l’albero. – Come quasi ogni anno, la tradizione si ripeteva anche a casa Bonnefoy, in cui la vigilia era trascorsa con amici piuttosto che con parenti. Non che ogni anno fosse sempre possibile adunare tutti quanti, ma quando era possibile Francis e la madre amavano trascorrere quella serata speciale in compagnia delle amiche e degli amici più cari che avevano. Le tre donne che aveva citato la madre rappresentavano le sue più care e intime amiche, le stesse che l’avevano aiutata durante la gravidanza, ma soprattutto dopo di essa, contribuendo a crescere Francis come se fosse stato per loro un fratello minore o un nipote acquisito. Senza di loro probabilmente per quella minuscola famiglia non sarebbe stato possibile costruire nulla di quello che possedevano attualmente. Senza contare che Francis era un grande amico dei rispettivi compagni e mariti di quelle che era solito chiamare “zie”. Non c’erano legami di sangue, ma il tutto era compensato da splendide unioni affettive; e sua madre lo diceva sempre, “quando c’è l’amore non vi è bisogno di alcun formalismo”. E così era.
- Benissimo! Mi ha fatto tanto piacere quando mi hai detto che quest’anno sarebbero potute venire tutte e tre. Dennet come sta? Mi avevi detto che si era operato al ginocchio. – Il ragazzo si spostò verso i fornelli, accendendo quello più grande. – Oh, sì, un intervento da niente, non temere. Sta benissimo, Cécile l’ha accudito come un pargolo. Anche se dopo due settimane stava per rimandarlo a calci a lavoro. – Francis rise di gusto mentre afferrava una grossa pentola e la riempiva d’acqua, posizionandola poi sul fuoco. – Sarà una splendida vigilia, maman.⁽⁵⁾ – Aggiunse poi, poggiando il bacino sulla cucina e posizionando le mani sul granito del ripiano. – Mi sei mancata. – E confessandole questo pensiero forse leggermente infantile distese un braccio verso di lei, per invitarla ad avvicinarsi o, meglio, ad abbracciarlo. La donna rispose con uno dei suoi sorrisi migliori, di quelli che facevano girare la testa perfino al figlio il quale, per quanto sinceramente affezionato, non poteva certo nascondere a se stesso che la propria madre fosse una donna splendida, di certo la più bella che avesse mai visto. Strinse le braccia intorno al ragazzo, unendole all’altezza della zona lombare, sulla schiena, mentre sembrava farsi così piccola tra quelle spalle strette che si comprimevano nell’abbraccio. Per risposta Francis lasciò scivolare il braccio su di lei, andando ad avvolgerla e stringerla a sé, donandole un secondo bacio sui capelli. Restarono così per diversi minuti, in silenzio, semplicemente a godersi la loro vicinanza. – ..sicuro di non restare? – Bisbigliò la donna, con il viso poggiato sul petto del giovane mentre cominciava a carezzargli la schiena con movimenti circolari. Il biondo sospirò appena, socchiudendo gli occhi e adagiando il mento sui suoi capelli. – È solo, maman⁽⁶⁾…vorrei fargli un po’ di compagnia. – Sapeva che era la cosa giusta da fare, nonostante avrebbe voluto stare il più a lungo possibile con sua madre. Ma era certo che l’immagine di Arthur completamente solo in quell’appartamento, accompagnato solo dal suo costante malumore e nervosismo, non l’avrebbe abbandonato per un solo giorno delle vacanze che avrebbe trascorso a Parigi. Sapeva che non era nessuno per dare giudizi del genere, così come era consapevole di non essere una persona a lui vicina, ma sapeva altrettanto bene che quel ragazzo era decisamente troppo orgoglioso per ammettere che si sentiva fondamentalmente triste. In realtà lo aveva sempre pensato: la sua figura schiva e introversa gli ricordava uno di quegli eroi romantici dei racconti dell’ottocento; ma al di là di questi parallelismi letterari, era profondamente convinto che Arthur fosse un tipo sicuramente poco socievole ma che non amasse più di tanto -o almeno non così tanto come voleva far credere- la solitudine. Chi non avrebbe avuto bisogno di un po’ di compagnia ogni tanto? Almeno, nella sua ingenuità e spontaneità era questo che pensava.
- Va bien, mon petit chou.⁽⁷⁾ Sono molto fiera di te. – Sollevò il viso, sfiorando il mento dell’altro col proprio profilo e decidendo di chiudere l’argomento con un bacio sulla guancia del suo generoso ragazzo.

 

 

⁽¹⁾ Dolce tradizionale che si prepara nelle vicinanze del Natale in paesi come la Francia, il Belgio e il Canada.
⁽²⁾ “Mamma”, in francese.
⁽³⁾ “Sì”, in francese.
⁽⁴⁾ “Va bene”, in francese.
⁽⁵⁾ Vedi nota 2
⁽⁶⁾ Vedi nota 2
⁽⁷⁾ Espressione di affetto che si traduce come “caro” o “tesoro” e che si può riferire sia ai propri figli che al proprio compagno.

   
 
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