To compare with pure imagination
Per un
po’ di tempo ho fatto parte dell’esercito e lì ognuno aveva il suo modo di
rilassarsi e svuotare la mente: sigarette, donne, gioco … io leggevo. Quello
era –e rimane- l’unico modo a me noto per evadere dalla realtà, senza perdere la
ragione. Quindi, ho letto molto in quel periodo e continuo ancora a farlo, come
se leggere fosse diventato un vizio che non riesco a lasciare andare. Non fa
male, quindi non c’è problema.
Negli
ultimi otto anni mi è sembrato di vivere in un libro, ma come un personaggio
secondario, anche se, ad ammetterlo, il mio ego rimane un po’ ferito. Ho
assistito e continuo ad assistere alla storia di Patrick Jane, un uomo
brillante e anche pigro che, per fare più soldi, ha dato la possibilità a un
serial killer di colpire la sua famiglia. Nessuno avrebbe potuto immaginare
cosa sarebbe successo, è vero, ma Jane avrebbe dovuto essere molto più
prudente.
Da quel
giorno, è un uomo diviso: da una parte si disprezza così tanto da allontanare
tutto e tutti da se stesso, non si lascia mai andare un’emozione forte, perché
non crede di meritarla; dall’altro, adora il suo intelletto, che gli
permette di vivere e guardare le cose una spanna al di sopra dei comuni
mortali.
Nessuno
ha interferito con la sua vita “privata”, negli ultimi anni; ci siamo solo
limitati a lavorare insieme e a non nominare mai la sua defunta famiglia, se
non in occasioni speciali, o indagando su Red John. Solo Teresa Lisbon, il mio capo, è riuscita a
rompere, parzialmente, i suoi schemi. Lei è una donna forte, intelligente e
caparbia, che riesce a tenere sotto controllo la sua ambizione grazie anche ad
una certa dose di contatto umano. È un lupo solitario, come direbbe qualcuno,
dato che le uniche persone con le quali intrattiene rapporti personali siamo
noi del team.
Lisbon
gli sta vicino più di quanto dovrebbe a livello professionale; sono diventati
buoni amici, nel corso degli anni e questo ha portato piccoli ma significativi
cambiamenti in Jane: per esempio, non ricade più così frequentemente in stati
non dissimili dalla depressione, ma sceglie un atteggiamento più ottimista. In
più, ad ogni caso chiuso, sembra genuinamente felice di essere riuscito ad aiutare,
in qualche modo, i familiari delle vittime … e, ovviamente, il CBI stesso.
Essere
buoni amici non ha impedito ai due protagonisti della storia un
reciproco
vantaggio, così come un reciproco svantaggio. L’influenza
di Lisbon su Jane è
tale perché lei, parlandogli come amica, riesce a fargli pensare
che non è una
così brutta persona, come a volte crede di essere, se c'è
qualcuno che si preoccupa per lui;
questa stessa preoccupazione aiuta Jane a scendere dal piedistallo sul
quale si immagina. Non so bene se Jane l’ha capito, ma lei
l’ha fregato, in
questo senso.
A dire la
verità, lui mi piace. Ritengo che le sue valutazioni e le sue intuizioni sui
casi che seguiamo sono valide, sempre degne di un ascolto –anche perché, la
maggior parte delle volte, sono giuste- ma non credo alla totale assenza di un
metodo investigativo “vecchio stile” nel risolvere un caso. Credo più a una
sinergia tra i due strumenti: tutto, pur che riesca ad ammanettare qualche
stronzo.
Posso
solo immaginare la forza del senso di colpa e di stupidità che Jane provò, nel
momento della sua tragedia personale. Quando fui attaccato a casa di Elise e la
vidi mentre la picchiavano, davanti ai miei occhi, rimasi totalmente sconvolto,
con un senso di inadeguatezza alla situazione che si confondeva alla rabbia e
al desiderio di vendetta: forse, da quel momento, ho capito meglio Patrick
Jane, avendo provato un millesimo di ciò che ha dovuto passare in tutti questi
anni.
Nonostante
possa pensare di sentirmi vicino a lui, non riesco ad esserlo come lo è il capo.
Lei riesce addirittura ad aprirsi con Jane, ma non nel modo in cui la gente
normale fa. Ogni tanto, riesco a catturare momenti durante i quali il capo si
lascia andare, abbassa la guardia, addolcisce lo sguardo: in poche parole, si
ritrova nuda, emozionalmente, davanti a lui. Non capisco se anche lui se ne
accorge: in quanto mentalista, sarebbe impossibile non notarlo, ma come amico e
uomo danneggiato potrebbe evitare certe letture, forse per non vedere qualcosa
che potrebbe rovinare il loro rapporto. Mantiene sempre una maschera, quando è
al lavoro: evidentemente, per lasciarla avvicinare così tanto, nei loro momenti
liberi, riescono ad essere più rilassati, più vicini. Penso che dovrei farlo io, il consulente,
a questo punto.
Il
signore in panciotto ha deciso, cinque giorni fa, di fare marcia indietro,
però. Non parla con Lisbon, la evita, non partecipa ai casi. Mi mancava
investigare con il metodo accademico, ma non posso dire lo stesso del capo:
abbiamo avuto un omicidio, in questi giorni, abbastanza semplice da risolvere,
ma lei l’ha trattato come se fosse un caso di primaria importanza. Molti
attribuirebbero questo comportamento al suo zelo da manuale, ma io credo lo
stia facendo per dimostrare a se stessa di poter ancora chiudere casi senza
l’aiuto di consulenti. Stamattina ho ottenuto la confessione che serviva a
chiudere il caso e non ho potuto fare a meno di notare che, al momento della
capitolazione del sospettato, il capo è entrato nella sala interrogatori con un passo più
deciso del solito. Una leonessa trionfante.
Dietro la
fierezza e l’impegno del capo, c’è altro –come sempre, da quando Jane lavora
con noi. Io l’ho vista mentre negava con tutte le sue forze il comportamento
del consulente; negava la solitudine che lui le stava facendo provare ed è
proprio per questo che, due giorni fa, le ho fatto capire che non è sola. Se
lui non ci fosse, lei potrebbe andare avanti e continuare la sua carriera,
perché è un bravo poliziotto e , soprattutto, ha il sostegno dei suoi agenti:
Lisbon lo sapeva già, aveva solo bisogno di sentirselo dire- o non dire, nel
mio caso. Jane la sta mortificando con il suo comportamento infantile e, se
conosco bene Teresa, non aspetterà molto a rispondere.
C’era una volta,
in una
foresta lontana lontana, un coniglio con il cervello di una volpe, che andava
alla disperata ricerca di coraggio. L’unico modo che conosceva per ottenerlo,
era quello di rubarlo agli altri animali della foresta, facendoli sentire
stupidi, inutili: il furbo coniglio non faceva altro che evidenziare i loro
difetti. Il gioco era tutto lì: non si sentiva del tutto coraggioso, però,
perché per ogni oncia di coraggio rubato, la metà andava persa in senso di
colpa.
Un giorno
incontrò una leonessa che non reagiva alle sue moine né alle sue provocazioni
ma che, anzi, ruggì talmente forte da fargli tremare tutte le piume.
-Come
fai?- chiese il coniglio.
-A fare
cosa?- rispose la leonessa.
-A
ruggire così forte. Voglio fare come te.
La
leonessa sorrise, dicendogli semplicemente: -Vieni con me.
Lo prese
per la collottola, sistemandolo sulla sua groppa e lo portò in giro per tutta
la foresta. Camminarono tanto e superarono molti intoppi, lungo il loro cammino.
Un giorno si trovarono al cospetto di un palazzo enorme, fatto interamente di
diaspro.
-Siamo
arrivati.- disse la leonessa. Il coniglio non capiva, ma non si lasciò
intimidire e, senza dire una parola, entrò nel palazzo, solo per scoprire che …
era vuoto.
-Ecco
fatto.- disse la leonessa, alle sue spalle.
-Non
capisco.
-Prova a
ruggire.- e il coniglio ruggì, proprio come aveva fatto, il giorno del loro
incontro, la leonessa.
Il
coniglio era stupito, meravigliato!
-Come ho
fatto?
-Semplice,-
rispose la leonessa,- abbiamo camminato insieme, un passo dopo l’altro, in
avanti. Abbiamo affrontato tanti ostacoli insieme; saresti potuto scappare in
qualsiasi momento, ma non lo hai fatto.
-Certo,
perché io volevo ruggire come te.
-Avresti
potuto farlo in mille modi diversi, ma hai scelto di restare con me. Così,
invece di rubare il coraggio agli altri, sei riuscito a trovarlo in te stesso.
-È vero,-
disse il coniglio,-grazie leonessa. Non dimenticherò mai quello che hai fatto
per me.
Stamattina
il capo ha salutato tutti, ha dato un veloce sguardo al divano- vuoto- di Jane
e poi, dritta in ufficio. Una giornata di lavoro più o meno tranquilla è passata e
sono già le sei di pomeriggio: tempo di andare via, per me. Mi ritrovo in
cucina a mangiare il panino che ho “dimenticato” di addentare a pranzo. Lisbon
arriva e, senza dire una parola, prepara il suo caffè: ha deciso, anche oggi,
di restare per completare verbali più o meno urgenti da consegnare. Quando il
caffè è pronto, si siede di fronte a me, soffiando sulla tazza.
-Che ne
pensi di quelli dell’FBI?- mi chiede.
-In che
senso?
-Quando
credi che arriveranno?
-Entro
questo mese, credo. Perché me lo chiedi?
-Niente …
nemmeno Wainwright sa quando arriveranno.
-È tutto
molto segreto, allora.
-Yep.
-Mi sento
in un X-file.- io mantengo un’espressione seria, perché mi sento davvero in un
X-file, mentre lei quasi si strozza per ridere.
-A me
piaceva, quel telefilm!- mi dice.
-Non lo
so … troppi alieni.
-Beh,
quello era il topic della serie!
-Non ti
viene la nausea a guardare agenti finti, in tv, tornando a casa dal tuo lavoro
di agente?
Lei ride
ancora, mentre io sono sempre serio. A volte mi sento come se parlassi a delle
patate. Lisbon è ancora presa da queste cavolate e non sente un fischiettio
noto avvicinarsi.
-Che posso
dire, in realtà …
-Oh, ehm.
Ciao!- Jane è apparso in cucina, fischiettando, e si è irrigidito
immediatamente, appena ha incrociato lo sguardo di Teresa. Lui scappa,
letteralmente, mentre Lisbon lascia il caffè e la nostra conversazione a metà
per rincorrerlo.
-Jane!
Jane!!
Mi sporgo
dal cucinino per osservare meglio la scena- i miei soldi, ovviamente, sono sul
capo: ha uno scatto da vera atleta. Come volevasi dimostrare, lo raggiunge, lo
afferra per un braccio e lo trascina nel suo ufficio, chiudendo la porta.
Il coniglio Jane urlava:- Assault! Assault!
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Rieccomi qui!! Chiedo umilmente perdono per il tardo aggiornamento, gli esami e le lezioni universitarie mi hanno braccata!D:
Ho molta paura a pubblicare questo capitolo che, seppur corto, mi ha fatto penare tantissimo! Per me è stato difficilissimo cercare di narrare dal punto di vista di Cho, essendo un personaggio diretto e dissacrante; non ho voluto addentrarmi troppo nelle sue riflessioni per non snaturarlo e ho scelto la "metafora" della favola per esprimere il suo punto di vista sulla relazione tra Jane e Lisbon. Spero di essere rimasta IC!!
La canzone è 'Pure imaginetion', dal primo film di Willy Wonka :)
Il prossimo capitolo sarà più lungo, si arriva a una "soluzione" tra Lisbon e Jane...ma quale? E come?
Alla prossima e grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito questa storia!!:D