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Autore: Annabelle_    26/01/2012    1 recensioni
E' la storia di una vita che va come dovrebbe. E' la storia della mia vita, che probabilmente sarebbe perfetta se davvero rispecchiasse in ogni minimo dettaglio quello che questo racconto sta per svelarvi. E' amore, amicizia, sogni, passione, scuola. Quando qualcosa non va come dovrebbe, scrivo e questo è quello che sono riuscita a fare fino ad oggi.
Spero davvero vi piaccia e spero commentiate, adoro ricevere consigli. Voglio che tutto sia perfetto, ve ne accorgerete sin da subito!
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero nella folla che come me ripeteva le parole del cantante della band, della mia canzone preferita, della mia ideale performance, ero quel qualcosa di paragonabile al caos. Ero in delirio. Sono una ragazza con i piedi ben piantati a terra, una ragazza seria insomma, una di quelle di cui puoi fidarti. Una di quelle che alla fine, soffre per il troppo amore distribuito. Quasi l'amore fosse un volantino ed io una stupida sponsorizzatrice. Sono una di quelle ragazze che odiano parlare di se stesse con gli altri, ma amano guardarsi dentro, specchiarsi nei ricordi, ammettere di essere cambiate, cresciute, contestare il mondo e ripetersi che alla fine, un tizio con i loro stessi ideali le fermi per strada affermando di essere rimasto folgorato dalla loro lucente bellezza. Sono una di quelle ragazze illuse, con il cuore in frantumi. Sono una di quelle ragazze che amano la vita, amano i prati verdi, la buona musica, gli amici (quelli sinceri, ovviamente), i ragazzi che suonano e tutto quello che di colorato al mondo ci sia. Ah, io però, amo l'inglese. Non so quanto possa importare, ma credo che nella nostra società ci sia una fin troppo profonda deficienza di lingue. Dovremmo tutti sapere qualche lingua, così per hobby o per non essere sfottuti nelle grandi città straniere per un accento male messo o per aver scambiato il verbo "to live" con il sostantivo "life", che succede spesso. Da non credere!
Sì, ero a quella festa. Una festa, un po' diversa da quelle festicciole che ero abituata a vivere, che, in tutta sincerità, ho sempre detestato. Quella, quella stramaledettissima festa era tutto quello che avevo sempre desiderato. Un palco, figacci da paura, canzoni dei 'The Kooks', tutti gli amici possibili con cui dividere un pezzetto di vita ed un vestito (quello che indossavo) tremendamente anni '50, che fortunatamente ero riuscita a cucire. Cantavo a squarciagola quelle canzoni e mi spinsi lentamente, sgomitando tra la folla, a faccia a faccia con il cantante della cover band, Giulia ed io cantavamo, lo imitavamo, ci specchiavamo in lui. Eccolo arriva, l'assolo. Il bassista richiede attenzioni. Lui merita attenzioni, bellissimo, da paura. Con una favolosa camicia a quadri grigia che mi chiamava e mi supplicava di stare lì a tenerla d'occhio, a controllare che non si sporcasse, e che stesse bene, lì adagiata sul quel fisico stra-mozzafiato di quel bassista sedicenne. Amore mio, siamo coetanei, perfetto. Era perfetto, tutto era perfetto. Giulia mi passa la sua birra, la rifiuto. Non sono una che beve, cioè non sono una che ama bere cose di questo genere. Solo che, qualche eccezione si può sempre fare, e l'avrei fatta. Finisco la mezzo litro di Giulia, avevo molta sete, e mi prometto di non toccare altro alcol o cose del genere per tutta la serata. La canzone finisce. Giulia mi prende e mi porta via dagli altri che erano comodamente seduti sulle poltroncine a bere qualcosa, a parlare.
Mi avvicino a tutti loro e noto che la più sana di tutti in quel delirio, ero io. Mi accosto alla poltrona di Emanuele, il mio migliore amico, prendo il suo viso tra le mani e lo guardo dritto negli occhi. Non c'era, era assente. Troppe birre. Lui non beve è un bravo ragazzo, sarebbe stato male, ma davvero male. Quando non si è abituati, l'alcol accentua le conseguenze. Lo fa apposta, te la fa pagare. Prendo Giulia dal braccio e la porto in bagno con me, quella situazione cominciava ad infastidirmi. Sono fuori dalla porta del bagno e aspetto Giulia, quando vedo un puntino grigio farsi spazio nella mia direzione. Era il fenomenale bassista dei "Cookers". Mi sarei limitata a guardarlo e a pensarlo mio se non fosse piombato di fronte a me con un sorriso estasiante e la melodia delle sua dolci note ancora in testa. Ero la sola nell'arco di una cinquantina di metri, doveva avercela proprio con me. Mi saluta, lo saluto. Beh se avesse voluto attaccare bottone, la scelta del bagno era la meno indicata. Ma gli si poteva perdonare tutto.
Nessun ragazzo è mai venuto da me in quel modo, mai. Ho parecchi stimatori, ragazzi della mia stessa classe, o ragazzi che neanche conosco. Ma nessuno di questi riesce a farmi provare quello che vorrei e dovrei provare. Per questo, sono io: la mai stata fidanzata. Ho sedici anni e non ho mai avuto un "ragazzo" mai, quasi mi vergogno a dirvelo adesso, ma è proprio così.
Dico che è una mia scelta, perchè volendo potrei avere il mondo ai miei piedi. Odio peccare di presunzione. Non ho un carattere facile, è questo che allontana tutti gli speranzoni in cerca di coccole. Io odio le dannate coccole! FUCK.
Mi guardava, forse aveva bevuto anche lui e quindi quelle sarebbero state stupide parole. Eppure mi invita a bere con un timido "mi chiedevo se volessi prendere qualcosa da bere con me". Dico a Giulia di tornare al tavolo dagli altri e di tenere il telefono ben stretto, in caso di emergenza. Dico a lui di si, di morire di sete e di voler qualcosa da bere, con lui! Al bancone decide di prendere un Cola, che poi raddoppierà. Una anche per la sottoscritta. Paga lui. Diecimila punti a tuo favore. Sono anche una ragazza abbastanza tirchia, tra le tante cose.
Non beveva, non beveva neanche lui tutta quella robaccia. O magari, non lo faceva solo perché ne aveva bevuta troppa. Ma sapere di non avere accanto un appassionato di alcol puzzolente, beh, mi rincuorava.
Sorseggio quella gelida bevanda e penso che se quel tizio, di cui il nome ignoravo ancora, fosse venuto dritto da me, un motivo di sarebbe dovuto anche essere. Aspetto solo di saperlo.
“Le sai proprio tutte le nostre canzoni”. La prima frase che pronuncia, il primo verbo seguito da un complemento ben articolato. Io non so le loro canzoni, io conosco tutte le canzoni dei The Kooks, che lui si limita solo a strimpellare. Presuntuoso. Meno qualche punto a tuo favore.
“Conosco tutte le canzoni della mia band preferita, credo sia normale”. Rido, rido per mascherare la mia estrema timidezza, la mia paura incessante di sbagliare. Forse ho sbagliato a dire quello che ho detto. O forse no. Continuo a parlare che è meglio.
“Qual è invece la tua band preferita?”
“Forse i Led Zeppelin, li conosci?”. Sorseggia e mi sorride, sorseggia e mi sorride. Mi immobilizza e non capisce la mia assurda cultura musicale.
“Ovvio, Starway To Heaven, è la mia preferita”. 1 a 0 per me. Signorino so tutto io, quella che sa tutto qui, sono io! “Aspetta, forse ci siamo dimenticati di dirci i nostri nomi, solitamente è la prima cosa che chiedo o mi viene chiesta”. Credo che il nome di ognuno di noi ci spieghi una parte della nostra vita, del perché siamo stati creati.
“Solitamente, hai detto bene, solitamente”. Voleva sembrare simpatico, acuto ma stava per sembrare uno stupido spocchiosetto, finto anticonformista con quella meravigliosa camicetta grigia. “Piacere, Matteo”.
“Ecco, adesso ragioniamo. Piacere mio, Diana”. Si, come quella stupenda dea romana, sono anche io un’amante della caccia. Vado a caccia di felicità, da tutta una vita.
Il suo nome mi sa di “matto”. Spero tanto che lo sia, adoro le persone un po’ matte, un po’ strane, diverse insomma. “Dono Di Dio”. Precisamente questo, il suo nome vuole significare. Ecco, forse la mia prima preda è qui a meno di dieci centimetri da me.
“Suoni anche tu?”. Che bella domanda, ho una chitarra, delle bacchette per la batteria, una bella voce per cantare. Ma no, sono timida per questo genere di cose.
“Beh, ho un’acustica, amo cantare e per un lungo periodo mi cimentai con la batteria. Ma quella chitarra, non la so proprio toccare, accordare, strimpellare”. Volevo qualcuno che mi aiutasse, era uno dei miei tanti sogni imparare a suonare quel benedettissimo strumento, che i miei genitori si sono gentilmente degnati di regalarmi l’ultimo Natale.
“Fantastico. Ci vorrebbe qualcuno capace di insegnarti qualche accordo, qualche canzone semplice e potresti diventare la Janis Joplin del nuovo millennio”. Se voleva essere simpatico, non riusciva ad esserlo. Era un’autentica frana.
“Non sei simpatico. Voglio davvero imparare. Questo vuol dire che prima o poi, imparerò”. Non è simpatico eppure sono qui a ridere, come un’autentica scema.
Il telefono squilla, Giulia mi sta cercando. Guardo l’orologio e mi accorgo che la mezzanotte è passata da un pezzo. Suo padre è fuori, e quell’uomo odia aspettare.
Lo devo salutare ma non vorrei farlo. “Beh, scusami davvero ma devo scappare”. Non sapevo che altro fare, aspettavo una sua risposta, un suo ‘beh, lasciami il tuo numero così poi domani mattina ti chiamo’, ma mi accorgo del tremendo viaggio che stavo facendo, dopo un suo bacio. Sulla guancia ovviamente.
“Ciao, Diana. E’ stato un piacere”. Mi lascia con queste poche parole e scompare tra la folla.
Giovane misterioso bassista di una dannata band, come farò domani mattina quando vorrò cercarti ma non avrò i mezzi per farlo? Troverò un modo io, che ho sempre una soluzione per tutto.
   
 
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