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Autore: Mary P_Stark    27/01/2012    1 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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30.

 

 

 

 

 

Aggiustandosi forse per la ventesima volta il colletto della camicia che indossava sotto una tunica scura lunga al fino al ginocchio, Konis fissò con un mezzo sorriso il cognato e il padre prima di ridacchiare.

“Non sembro un completo idiota, vero?”

Aken scosse il capo e, poggiate le mani sui fianchi, chiosò: “L’uomo che non si dimostra nel panico totale prima del matrimonio, non è un vero uomo.”

“Tu non ti sei sposato con mia sorella, quindi come puoi dirlo?” replicò bonariamente Konis, guardandosi nell’alto specchio che aveva in camera sua.

La tunica che la sorella le aveva cucito durante l’inverno, gli stava a pennello.

I neri pantaloni erano perfettamente infilati in alti stivali di cuoio lucido mentre il rubino che brillava nel bel mezzo del plastron – dono di Aken – non si era mosso di un millimetro, nonostante i suoi ripetuti ritocchi.

Da quel poco che aveva capito della storia di quella spilla, il principe l’aveva condotta con sé come regalo per Eikhe.

Una volta raggiunto il villaggio di Hyo-den, aveva però compreso quanto inutile sarebbe stato, come dono per lei, e così l’aveva semplicemente conservata in attesa di uno scopo più elevato.

Non appena aveva saputo del matrimonio suo e di Ylliana, aveva compreso come usarla, e gliene aveva fatto dono con la più calda approvazione di Eikhe stessa.

Sfiorando quel prezioso per l’ennesima volta con reverenziale timore, Konis tornò a voltarsi in direzione di Aken e chiese: “Sicuro che vuoi regalarmela?”

Ridacchiando, Aken gli diede una fraterna pacca sulla spalla e disse sinceramente: “Se potessi, te ne regalerei anche altre, ma sfortunatamente le ho lasciate a Rajana. Credimi, è tua.”

“Beh, grazie” sorrise allora Konis prima di guardare il padre e chiedere: “Sai a che punto sono messe, di sotto?”

Con un sogghigno che sapeva di consapevolezza ed esasperazione assieme, Harm scrollò le spalle e dichiarò: “Mykos e Luak stanno piantonando le scale e, al minimo cenno di intrusione, ringhiano come forsennati. Non ci penso proprio a scendere per dare un’occhiata!”

“Vedrai che, quando le signore saranno pronte e il Sacerdote di Iralva arriverà per la benedizione, ci chiameranno” sentenziò Aken, saggiamente.

Anche se, in principio, gli era parso praticamente scontato chiedere in moglie Eikhe, dopo averla trovata, Aken aveva presto compreso quanto, quel sacramento, fosse nel loro caso del tutto inutile.

Hevos lo trovava superfluo, poiché la semplice promessa dell’amore imperituro bastava a rendere grazie al suo nome.

Poiché Aken era entrato a pieno titolo nella tribù, ed era da tutti considerato un figlio del branco, non aveva senso perdersi in simili, vecchie abitudini.

Inoltre, visto che lui aveva avuto l’indubbio onore di conoscere e parlare con Hevos stesso per quasi due settimane, e aveva compreso il suo pensiero meglio di chiunque altro, sapeva di non aver sbagliato a non chiedere la mano di Eikhe.

Erano compagni, di nome e nello spirito, e tanto bastava, sia a loro che alla famiglia di Eikhe, che aveva compreso senza bisogno di tante spiegazioni le motivazioni di entrambi.

Un rumore di passi, dabbasso, richiamò la loro attenzione e, pochi attimi dopo, con un paio di colpetti alla porta, entrò Antalion.

Unico a essere stato ammesso al piano inferiore, sorrise agli uomini presenti e disse: “Enok è arrivato assieme al Sacerdote, e ora sta parlando con la futura sposa. Dice di tenersi pronti.”

Konis impallidì visibilmente e Harm, affrettandosi ad affiancarlo, lo sorresse per un gomito, mormorando: “Su, ragazzo, va tutto bene. Non vorrai svenire al posto di Ylliana, vero?”

“No, però…” tentennò lui, prima di tirare un sospiro e aggiungere: “D’accordo, ci sono!”

“Sia lodato Hevos” sussurrò Aken, prima di affacciarsi oltre la porta della stanza.

Mykos e Luak erano spariti, segno che ormai il loro compito di guardiani si era esaurito.

Da pian terreno, proprio in quel momento, spuntò il viso di Eikhe che, sorridendogli complice, disse: “Potete venire.”

“Va bene” annuì lui, rientrando in fretta. “Si può.”

Harm sorrise al figlio, che accennò un ghigno stentato prima di ridere del suo terrore e fare il primo passo verso la porta che lo avrebbe condotto al piano inferiore e, da lì, al salotto riccamente decorato per quell’evento.

La dea Iralva, oltre a essere la divinità creatrice di ogni cosa – secondo il mito seguito per la maggiore, nei regni di Enerios e Karton – era anche la protettrice del focolare.

Per questo motivo, ogni matrimonio veniva celebrato in casa di uno degli sposi.

I templi eretti in suo nome erano usati solo per le funzioni dedicate al suo giorno sacro, o per le preghiere personali.

Per ciò che riguardava sacramenti come il matrimonio, o la benedizione di nascituri e defunti, avvenivano sempre nelle abitazioni.

Mentre Konis discendeva le scale – al cui mancorrente era stato intrecciato un nastro di seta candido come neve – dabbasso, un tenue suono di flauto si librò nell’aria e la voce di Ildera si levò sommessa a intonare il Cantico di Gioia della dea.

 

Benedetta sia l’acqua che scorre dal ghiacciaio,

 che con la sua dolcezza terge i peccati e purifica l’animo.

 

Benedetta sia l’aria che galleggia ogni dove,

 che con la sua purezza dilava le anime e purifica le menti.

 

Benedetto sia il fuoco che illumina il tuo cammino,

 che con il suo calore riscalda il cuore di ogni creatura.

 

Benedetta sia la terra che calpesti con i tuoi piedi,

 che con la sua forza da’ frutti per il sostentamento di tutti.

 

 

Al suono dell’ultimo verso intonato dalla madre, Konis fece il suo ingresso nel salotto.

Il tutto era addobbato con sete multicolori, fiori secchi appesi alle finestre e alle pareti, oltre a belle candele dalle cere profumate.

Il giovane sorrise spontaneamente alla fidanzata che, dalla parte opposta della stanza, stava a sua volta entrando per raggiungere il Sacerdote.

Sito nel mezzo della stanza, e abbigliato con una lunga tunica argentea e ricamata con motivi a tralci d’uva, il rappresentante di Iralva sollevò le mani per indicare entrambi i giovani.

Con voce limpida e ben impostata, esordì dicendo: “Sia reso grazie a queste due giovani creature che, in questo giorno, hanno deciso di unire le loro vite sotto lo sguardo benevolo di Colei-Che-Tutto-Creò.”

Lentamente, passo dopo passo, i due giovani si avvicinarono al Sacerdote e, in quella lunga processione, Konis ebbe tutto il tempo di ammirare la sua sposa.

Come da tradizione, indossava una lunga veste argentata, lunga fino ai piedi, e un sopra-tunica blu scuro a ricami dorati.

Al pari delle vesti del rappresentante di Iralva, i ricami ricreavano un tralcio di vite infinito e ricco di fogliame.

Sul capo di biondi capelli, raccolti in una trina di trecce perfette, portava un singolo fiore bianco, simbolo della dea.

In mano, invece, tratteneva una fascia di raso blu dalle lunghe frange argentee, che il Sacerdote avrebbe utilizzato per legare le loro mani durante la cerimonia.

Quando infine entrambi raggiunsero l’uomo canuto nel mezzo della sala – circondati dai i loro cari e gli amici più stretti – la cerimonia vera e propria ebbe inizio.

Chinandosi verso Ylliana, Konis le sussurrò all’orecchio: “Ti amo.”

Lei si limitò a sorridere, sbattendo le lunghe ciglia chiare e fissandolo per alcuni attimi con i profondi occhi nocciola, prima di tornare a guardare il Sacerdote che, bonario, disse: “Un bravo giovane davvero.”

“Sì” sussurrò lei, reclinando modesta il capo, subito imitata da Konis.

***

Sorseggiando del buon succo di frutta da un calice, Eikhe sorrise divertita nel vedere Amill rincorrere Luak per tirargli la coda.

Dando di gomito a Enok, commentò: “Sei sicuro di non voler fermare Amill? Non hai paura che si faccia male?”

“Brye ha imparato mesi e mesi fa, a stare lontana dalle sue manine stritolatrici e infatti, se hai notato, è voluta rimanere fuori casa” le spiegò divertito Enok, parlando del lupo di Sendala che, da quando erano giunti a casa di Harm per preparare la sala per il matrimonio, non era mai voluta entrare all’interno dell’abitazione.

“Oh, azione preventiva!” esclamò Eikhe, sorridendo. “Quindi, non devo preoccuparmi che si faccia male?”

“Piuttosto, il contrario” precisò Enok, prima di levare il suo calice non appena vide giungere Aken.

Sendala stava chiacchierando amabilmente con Ylliana che, liberatasi della scomoda sopra-tunica, ora stava parlando un po’ con tutti gli invitati alla festa.

Brindando con l’amico, Aken affiancò la compagna e disse: “I genitori di Ylliana sono davvero simpatici. Naturalmente, non ho detto loro chi sono per non attirare l’attenzione su di me, visto che è il matrimonio della figlia e di Konis, ma temo che prima o poi dovrò pur dirglielo.”

“Avremo tutto il tempo di farlo, tranquillo” scrollò le spalle Eikhe, sistemandosi distrattamente un laccio della lunga tunica che indossava quel giorno.

Al pari del compagno e del figlio, Eikhe aveva preferito partecipare al matrimonio con abiti consoni al loro status di figli del branco.

Tutti loro, infatti, portavano lunghe tuniche ricamate e brache frangiate della foggia più elegante.

Per quei vestiti, Eikhe, Istrea e Liana avevano quasi perso la vista, ma il risultato era davvero superlativo.

Alamari di osso erano trattenuti da sottili nastri di pelle di cuoio conciato mentre, lungo le maniche e sull’orlo della tunica, applicazioni di pelliccia di coniglio bianco abbellivano il già ricercato taglio dell’abito.

Sulle brache di pelle di daino, esili frange si allungavano lungo tutta la lunghezza della gamba, così come elaborati ricami che ricalcavano quelli della tunica.

Gli stivali di cuoio scuro, infine, erano abbelliti da placche metalliche bulinate a fantasie di fiori e applicate sui calcagni.

“Con il bambino, tutto bene?” si informò Enok, premuroso.

Sorridendogli generosamente, Eikhe annuì – aveva mandato loro una lettera il giorno stesso in cui l’aveva scoperto – e disse: “Ancora non si vede, ma dovrei essere di circa tre mesi.”

Ammiccando ad Aken, che stava scrutando distrattamente il figlio in compagnia dei nonni, l’amico domandò: “An come l’ha presa?”

“Va a giorni” ammise lui, facendo spallucce. “A volte, ne è felice e non lascia quasi niente da fare alla madre, altre volte, se ne sta ore e ore a fissare il cielo o la foresta, come se qualcosa lo turbasse ma, quando gli chiedo cos’abbia, nicchia e cambia argomento. Non so se sia in ansia per il bambino o meno, ma qualcosa lo preoccupa.”

Tornando serio, Enok asserì: “Può darsi che, più che per il bambino, sia in ansia per l’avvento del bel tempo.”

Storcendo il naso, Aken annuì turbato.

“Forse, teme che anche questo figlio cresca senza il padre, …chissà.”

“Faremo in modo che non succeda” gli promise Eikhe, stringendogli una mano prima di sentire bussare febbrilmente alla porta d’entrata della casa del padre.

Subito, si irrigidì al pari di Aken ed Enok, muovendosi prima di loro, ordinò pressante: “Nel dubbio, nascondetevi.”

Annuendo, Eikhe attirò vicino a sé Aken, mentre Antalion li raggiungeva in pochi rapidi passi.

Quando dall’entrata giunse solo la voce di Liana, però, tutti si bloccarono a metà della porta che dava sul retro e attesero impazienti che entrasse.

Apparentemente trafelata e con gli occhi ambrati dilatati, si affrettò a salutare tutti con un cenno rispettoso del capo prima di avvicinarsi ad Antalion, afferrarlo a un braccio e mormorare: “Ho fatto prima che ho potuto. Giungono notizie dai clan del sud.”

Sgranando gli occhi per l’impazienza e l’ansia, Antalion le strinse con forza le spalle, esalando: “Dicci tutto!”

Sentendo su di sé gli sguardi di tutti i presenti, Liana domandò pensierosa: “Non è meglio parlarne fuori?”

Lesta, Eikhe si scusò con gli invitati al matrimonio e, procedendo verso l’esterno assieme alla sua famiglia, si chiuse la porta alle spalle non appena furono tutti usciti e mormorò: “Ebbene?”

“Beh, non ci crederete, ma deve essere successo qualcosa di veramente strano, a Rajana” esordì Liana, scrollando le braccia con fare ancora confuso. “Insomma, in pratica, c’è un contingente di giovani guerrieri che, guidati da un uomo con una mano sola, sta girando di tribù in tribù chiedendo del principe Aken… per conto di re Ruak di Rajana.”

“Re… Ruak?!” esclamò Aken, sobbalzando e impallidendo al tempo stesso.

“Aken” sussurrò Eikhe, stringendogli comprensiva una mano.

Antalion osservò a sua volta il padre e, preoccupato per lui, gli poggiò una mano sulla spalla per fargli percepire anche il suo appoggio.

Serio in viso, poi, chiese all’amica: “Non sai altro?”

“Solo che erano diretti qui a Marhna e che, se non ho fatto male i conti, dovrebbero già essere arrivati, o in procinto di mettere piede in città” brontolò Liana, guardandoli spiacente a momenti alterni. “Non sono passata dinanzi alla casa del Borgomastro per arrivare più in fretta qui… forse, avrei dovuto.”

“Sei stata bravissima, Liana, non preoccuparti” la tranquillizzò Aken, dandole un buffetto sulla guancia.

Lei sorrise spontaneamente, e aggiunse: “Il messaggio giunto tramite falco specificava che gli uomini non sembravano affatto minacciosi e anzi, erano in ansia per le condizioni del principe e desideravano solo consegnargli una lettera da parte del fratello.”

Guardando a turno la sua famiglia senza sapere bene cosa dire, Aken sussurrò: “Davvero non capisco. L’uomo senza una mano è sicuramente Kannor, ma non comprendo il perché della sua presenza fuori dal palazzo. E … re Ruak? Che è successo a mio padre, per tutti i demoni delle montagne?!”

“Il messaggio dice solo che re Arkan si trova al palazzo di Elior, a causa di una grave malattia” spiegò succintamente Liana.

Accigliandosi, Aken intrecciò le braccia al petto e disse: “Kannor non mi tradirebbe mai, questo è sicuro. Preferirebbe perdere anche l’altra mano, piuttosto che eseguire un ordine di mio padre che potrebbe ledermi in qualche modo.”

“Ne sei sicuro, padre?” chiese timoroso Antalion, accentuando la stretta sulla sua spalla.

“Più che sicuro, figliolo. Lascerei volentieri la mia vita nella sua unica mano, perché so che sarebbe al sicuro” gli sorrise benevolo prima di guardare Eikhe e chiederle: “Tu che ne dici?”

“Dico che andrò a curiosare vicino alla casa del Borgomastro, mentre tu e Antalion vi andrete a nascondere nella foresta” dichiarò lei con aria torva.

Accigliandosi, Aken scosse il capo e disse per contro: “Non se ne parla. Non mi nascondo come un codardo.”

“Io sono l’unica, qui, a conoscere Kannor e, se lo vedrò, saprò che nessuno vuole farci del male” precisò Eikhe, fissandolo uguale cipiglio.

“Oh, no… è una di quelle volte” sospirò Antalion, scuotendo il capo.

“Che intendi dire?” sussurrò Liana, avvicinandolo e fissando i due compagni fissarsi in cagnesco.

“Quando entrambi vogliono imporre la propria volontà sull’altro, scatta la battaglia di sguardi” le spiegò Antalion, prima di stringere un braccio al padre e suggerire: “Senti, per quanto mi dia fastidio ammetterlo, la mamma stavolta ha ragione. Tu saresti in pericolo, se ti avvicinassi a loro, mentre lei è più al sicuro.”

“Ma è…” tentennò lui, indicando la sua pancia ancora piatta con lo sguardo.

“Incinta? Ma va?” sbuffò Eikhe, irrigidendosi. “Mio caro, se proprio lo vuoi sapere, ho lavorato fino al giorno del parto, quindi non venirmi a dire quello che posso, o non posso fare!”

“Ahia” sussurrò Aken, prima di levare le mani in segno di resa e dire: “D’accordo, tesoro, faremo come dici tu, ma non ti scaldare. Fa male al bambino.”

Fissandolo con occhi biechi, Eikhe soffiò tra i denti prima di calmarsi e Antalion, guardandola vagamente sorpreso, esalò: “E’ la gravidanza che la rende così… acida?”

“A me, lo chiedi? Non c’ero, l’altra volta, ma mia cognata si è comportata come una vipera per tutte e tre le gravidanze, quindi posso solo ipotizzare di sì” sentenziò Aken prima di sorridere alla compagna, baciarla sulla fronte e aggiungere: “E’ inutile che mi guardi così. Faremo quello che hai detto, ma non puoi impedirmi di essere in ansia per entrambi voi.”

Rilassandosi gradatamente, Eikhe tornò a sorridergli debolmente, asserendo: “E’ reciproco, Aken. Io mi preoccuperò sempre per voi due. Ma ora andate. Spiegherò tutto io, a mio padre e a Konis. Prendete i cavalli nella stalla e i lupi. Sarà più sicuro.”

“Solo Mikos. Voglio che Luak resti con te. E’ piccolo, ma è già molto legato a te” si rifiutò Aken, scuotendo il capo.

“E va bene” concesse Eikhe.

“Io resterò con lei, e la accompagnerò alla casa del Borgomastro” intervenne Liana, sorridendo a Eikhe con aria fiduciosa.

“Non è necessario, tesoro” precisò la donna.

Scuotendo il capo, Liana replicò: “Non solo loro ti hanno a cuore, Eikhe.”

“Grazie” le sorrise Antalion, chinandosi per darle un bacio sulla guancia. “Stai attenta anche tu, allora.”

“Come sempre” ridacchiò la ragazza, dandogli un buffetto affettuoso sulla guancia prima di guardare nuovamente Eikhe e domandare: “Andiamo?”

“Sì, è meglio” annuì lesta Eikhe dopo aver lanciato un ultimo sguardo a compagno e figlio.

In fretta, le due donne tornarono in casa per ragguagliare sommariamente Harm e Ildera di ciò che stava accadendo, mentre Konis  e Ylliana intrattenevano gli ospiti per non dare l’impressione che stesse succedendo qualcosa di grave.

Sendala ed Enok, avvicinatisi a loro, ascoltarono le ultime parole di Eikhe e subito, il giovane disse caparbio: “Vi accompagno anch’io!”

“Non se ne parla! Pensa a tua figlia e tua moglie. Ce la caviamo benissimo da sole” sbottò Eikhe, accigliandosi. “Non ho bisogno di litigare anche con te, Enok!”

“Che male c’è ad avere una persona in più al fianco, Eikhe?” replicò il giovane, storcendo il naso per il disappunto.

“C’è che tua figlia si preoccuperà se sparisci anche tu, Sendala starà in ansia per tutto il tempo e anche gli altri ospiti si insospettiranno. Non voglio rovinare il matrimonio di mio fratello più del necessario. Rimarrai qui anche tu. Punto e basta!” dichiarò perentoria Eikhe, puntando le mani sui fianchi.

Harm sospirò, annuendo lentamente prima di borbottare: “Coraggio, facciamo come vuole lei, o non ne verremo più a capo. Prometti solo che starete attente, va bene?”

“Questo è scontato” annuì Eikhe, prima di levarsi sulle punte dei piedi per baciare il padre su una guancia. “Non preoccupatevi per noi, andrà tutto bene.”

“Lo spero. O Aken taglierà la testa a tutti noi” ridacchiò senza allegria Harm.

“Non lo farà” lo rassicurò bonariamente Eikhe, prima di afferrare il braccio di Liana e uscire con lei da casa.

Luak, al loro fianco, raggiunse Nak nel cortile antistante la casa di Harm e, assieme alle loro due padrone, si avviarono a piedi lungo la via.

Camminarono poi con passo spedito sul marciapiede, mentre carri con mercanzie varie o semplici cittadini a cavallo percorrevano la strada di acciottolato senza badare alle due donne-lupo.

Spronate dall’ansia e dal desiderio di scoprire la verità, le due donne percorsero la breve distanza che le separava dalla casa del Borgomastro nel minor tempo possibile.

Bloccatesi solo quando raggiunsero l’incrocio che le avrebbe condotte sulla via principale di Marhna, fissarono costernate lo spiegamento di uomini e mezzi presenti sulla strada.

Ma quello che stupì maggiormente Eikhe non fu la quantità di soldati, quanto la loro giovane età e, soprattutto, il fatto che stessero aiutando i domestici del Borgomastro a caricare su un carro tutti i suoi averi personali.

Guardando confusamente Liana, che stava osservando l’intera scena con altrettanto stupore, esalò: “Ma che sta succedendo?”

“Un cambio della guardia?” ipotizzò la ragazza, facendo spallucce.

Sulla porta della villa a due piani, intento a stringere la mano del Borgomastro, si trovava la figura di un uomo imponente e scuro di capelli, coperto da un leggero mantello di lana ricamata.

Potendolo vedere solo di spalle, Eikhe non fu sicura di chi potesse trattarsi ma, quando l’uomo si volse per osservare il Borgomastro raggiungere la propria cavalcatura, sorrise spontaneamente ed esalò: “E’ Kannor! E’ davvero lui!”

“Dici che possiamo fidarci, allora?” chiese Liana, ancora scettica.

“Se c’è un uomo di cui fidarsi, è proprio lui” annuì più volte Eikhe  prima di aggiungere: “A ogni buon contro… Luak, Nak, non schiodatevi da noi, chiaro?”

I due lupi annuirono con i loro musi affilati e le due donne, guardatesi per un momento come per farsi coraggio a vicenda, ripresero il cammino verso la casa del Borgomastro.

Era il momento di mettere la parola ‘fine’ a tutta quella faccenda.

Mentre il carro con le vettovaglie del Borgomastro iniziava ad avanzare lungo la via assieme al loro proprietario, Eikhe e Liana attraversarono la strada e fiancheggiarono silenziose il gruppo di soldati.

Molti sguardi le seguirono, voci soffuse sfiorarono le loro orecchie, ma nessun commento sgarbato venne loro addebitato.

Fissandoli curiosamente da sotto le lunghe ciglia non meno di Liana, Eikhe si chiese da dove venissero quei giovani guerrieri dall’aria educata e sorridente.

Certo, non pensava che tutti gli uomini delle pianure fossero sgarbati e offensivi con il genere femminile, ma le donne-lupo erano viste con sospetto persino dagli uomini di montagna, ben più abituati alla loro vista.

Quei baldi soldati sembravano sicuri di sé, ma non strafottenti, e gli sguardi discreti che lanciarono loro non furono mai offensivi o lascivi, quanto piuttosto curiosi.

Kannor, ancora fermo sull’entrata della villa e intento a scrutare la figura sempre più distante del Borgomastro, si accorse a un certo punto della disattenzione di parecchi dei suoi.

Curioso, si volse in direzione della strada per capire cosa stesse succedendo e, a gran voce, esclamò ai suoi uomini: “Ehi, giovinastri, che diamine state…”

Le parole gli morirono in gola, non appena Eikhe e Liana oltrepassarono lo sbarramento naturale creato dai corpi enormi dei giovani guerrieri presenti in strada.

Scendendo i due gradini che lo separavano dallo stradello che conduceva alla via principale, Kannor esalò a occhi sgranati: “Eikhe? Sei tu? Sei davvero tu?”

Un sorriso spontaneo salì alle labbra della donna che, accorrendogli incontro sotto gli occhi sorpresi di tutti gli armigeri, lo abbracciò con calore ed esalò: “Speravo di rivederti, Kannor. Non sai quanto io sia felice!”

“E io sono felice di vedere te, Eikhe!” rise lui, dandole una rapida stretta con il braccio sano prima di scostarla da sé, scrutarla in viso con una sorta di orgoglio amichevole e dire: “Sei bella come ti ricordavo.”

Lei rise grata mentre Liana, ferma a pochi passi da loro, li scrutava curiosa.

Fissandola benevolmente per alcuni attimi, Kannor si rivolse alla vecchia amica, chiedendole: “E’ tua figlia, per caso?”

Comprendendo al volo l’equivoco – tutte le figlie sacre si somigliavano tra loro – Eikhe scosse il capo e replicò: “E’ una mia amica, e si chiama Liana.”

Con un inchino frivolo quanto formale, Kannor si piegò in avanti con grazia e le disse: “Beh, tanto piacere di conoscervi, signorina Liana.”

Ridendo di gusto, Liana rispose al suo inchino con il classico saluto delle figlie del branco – una mano poggiata sul cuore – replicando sommessamente: “L’onore è mio, signor Kannor.”

“Le hai parlato di me?” sogghignò l’uomo, ammiccando a Eikhe, che annuì.

“Le ho detto di starti alla larga perché sei uno sciupa femmine” commentò maliziosa Eikhe, facendo scatenare dei risolini tra i soldati.

Kannor li fulminò immediatamente con lo sguardo, prima di fissarne uno in particolare e borbottare: “Meyor, vieni qui e accompagna le signore nel salottino al pian terreno. Io, intanto, sistemo i tuoi compagni.”

“Subito, mastro Kantor!” annuì lesto il giovane bruno che Kannor aveva interpellato.

Affiancando Eikhe con un sorriso smagliante, le offrì il braccio dicendo: “Siamo a uso accompagnare le signore porgendo loro il braccio, ma non vi dovete ritenere in obbligo di accettare.”

Sollevando un sopracciglio con evidente curiosità, Eikhe accettò l’offerta prima di guardare Kannor e chiedere: “Questi giovani li ha addestrati Aken, vero?”

“Si vede?” le strizzò l’occhio lui, prima di tornare serio e aggiungere: “Ragguaglia le signore mentre io sono impegnato. Tu sei il più adatto, ragazzo.”

“Sarà un onore” annuì Meyor, offrendo il braccio libero a Liana, che accettò con un sorrisino divertito.

Avviandosi verso la porta – che venne aperta dall’interno da un paggio in livrea grigia e bianca – Meyor si rivolse timidamente a Eikhe, chiedendole: “Posso avere l’ardire di chiedere una cosa, madama?”

Sorridendogli con spontaneità, Eikhe si limitò a dire: “Chiamami Eikhe, e dammi del tu. E sì, chiedi pure quello che vuoi sapere.”

Un volta all’interno della villa, Meyor le accompagnò all’interno di un salottino che Eikhe riconobbe immediatamente per esservi stata molti anni addietro.

Con un tuffo al cuore, ripensò all’abbraccio mesto che aveva scambiato con Ruak, prima di abbandonare per sempre l’idea di rivedere Aken.

Era successo di tutto, nel frattempo, ma le sembrava giusto che la fine di quelle peripezie avessero un termine proprio lì.

Scostandosi dal giovane e accomodandosi a un suo cenno assieme a Liana, Eikhe si sentì chiedere con cortesia: “Prima di partire, il principe Aken mi lasciò una lettera in cui mi spiegò i motivi della sua fuga. Vedete…”

Bloccandosi e ridacchiando di fronte all’ironico cipiglio di Eikhe, Meyor tossicchiò e continuò dicendo: “Vedi, mi disse che partiva per raggiungere il suo unico amore, e mi pregava di capire perché non potesse più rimanere alla capitale, così da continuare l’addestramento degli allievi più giovani dell’Accademia. Incuriosito, chiesi lumi a mia madre, che a sua volta aveva ricevuto una missiva a suo nome, e lei mi parlò di te, di ciò che facesti per il principe e di quanto foste innamorati.”

Meyor si passò una mano tra i corti capelli bruni, imbarazzato, prima di proseguire.

“Sono molto affezionato al principe Aken e, per anni, lui ha vegliato su di me come un fratello maggiore, perciò sono stato contento di sapere che, finalmente, avrebbe potuto essere felice, dopo un periodo troppo lungo di dolore.”

Intrecciando le mani in grembo, Eikhe inclinò un po’ il capo a scrutare quel giovane viso, solcato da un leggero strato di barba, e chiese ironica: “E cosa ti fa pensare che io sia io la stessa donna di cui ti ha narrato tua madre?”

Sorridendo, Meyor disse soltanto: “Non so di nessun’altra figlia sacra che abbia conosciuto Kannor, e di nessuna in particolare che si sarebbe presa la briga di ficcare il naso negli affari della corona, specialmente viste le norme che, fino a poco tempo fa, vigevano in merito.”

“Bravo” sussurrò Eikhe. “La donna sono io, e Aken sta bene. Abbiamo preferito venire noi in avanscoperta, visto che…”

Risate allegre e cori di felicitazioni si levarono dall’esterno ed Eikhe, bloccandosi a metà della frase senza capire bene cosa stesse succedendo, si levò dal divano assieme a Liana.

Con Meyor che si volgeva a mezzo dalla poltrona, fissarono tutti l’esterno attraverso la larga porta finestra che dava sul giardino.

Esasperata, Eikhe sbuffò intrecciando le braccia sotto il seno e, assottigliando le iridi d’ambra, commentò burbera: “Che diamine è servito dirgli di stare al sicuro, se poi ci ha seguite lo stesso?!”

Scoppiando a ridere bonariamente, Meyor si levò in piedi a sua volta e, osservando i suoi compagni e Kannor che, tra pacche sulle spalle e grandi abbracci, stavano salutando il loro principe, chiosò: “Di sicuro, è uno che ama stupire.”

“E’ un idiota, ma già lo sapevo” brontolò Eikhe, mentre Liana ridacchiava sommessamente.

Un attimo dopo, la porta d’ingresso venne aperta e rapidi passi si affaccendarono l’uno sull’altro prima di raggiungere il salottino, dove Aken fece il suo ingresso assieme ad Antalion e Kannor.

Il braccio sano drappeggiato sulle spalle del vecchio amico, Kannor disse allegramente: “Non ho fatto in tempo ad abbracciare Eikhe, che tu salti fuori dal nulla! E con tuo figlio, per di più! Dèi, siete davvero due gocce d’acqua!”

Antalion sorrise timidamente all’uomo che, per tutta risposta, rise e asserì: “Coraggio, ragazzo, non siamo qui per combinare guai, quanto piuttosto per disfarli.”

“Quindi, non porterete via mio padre, vero?” chiese a quel punto Antalion, speranzoso.

“Tutt’altro. Al momento, stai parlando con il nuovo Borgomastro di Marhna” dichiarò tronfio Kannor, sorprendendo tutti i presenti a parte Meyor, già al corrente della qualifica.

“Che mi venisse un colpo! Anzi no!” esclamò Aken, sorridendo raggiante prima di abbracciare l’amico. “Non sai quanto la notizia mi renda felice!”

“Re Ruak pensava che fosse la persona migliore da inviare qui tra le montagne” spiegò loro Meyor, attirando l’attenzione di Aken che, con un sorriso, si avvicinò a lui per abbracciarlo e dargli due baci sulle guance.

“Sono pochi mesi che non ti vedo, ragazzo, ma mi sembra passato un secolo. I tuoi genitori stanno bene?” gli chiese Aken, sorridendogli affettuosamente.

“La mamma vi saluta, principe, e sarà lieta di sapere che finalmente siete felice” sorrise Meyor prima di guardare curiosamente il figlio di Aken e dire: “Avevate davvero ottime motivazioni per fuggire da Rajana.”

Eikhe sorrise bonaria al compagno, prima di esalare: “E meno male che dovevate stare al sicuro.”

“Dovresti saperlo che faccio a modo mio, quando si tratta della tua sicurezza” replicò ghignante Aken. “Ora, però, qualcuno di voi mi vuole spiegare cos’è questa faccenda di mio fratello che è divenuto re?”

Fattosi serio, Kannor li invitò a sedersi e, quando tutti si furono accomodati sui morbidi divanetti di velluto chiaro, disse: “Ruak ha ritenuto necessario far abdicare tuo padre in modo coatto, dopo tutto ciò che ha fatto quest’inverno nel tentativo di raggiungerti qui tra le montagne. Il Concilio della Corona non era comunque contento di Arkan già da tempo. La Corte Militare ti è sempre stata fedele e aveva compreso da anni che qualcosa ti turbava, e che quel turbamento era legato indissolubilmente al re. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, però, è stata la fustigazione senza giusta causa di un ufficiale.”

Inspirando rumorosamente dalle narici per la gran rabbia, mentre le iridi si assottigliavano pericolosamente, Aken ringhiò: “Non può averlo fatto davvero!”

Sospirando, Kannor annuì spiacente.

“Già da tempo, Aken, era diventato un despota e tiranno solo che, fino a quel momento, si era accanito soprattutto su di te. Non che la cosa fosse giusta, intendiamoci ma era, come dire, circoscritta. Da quando te ne sei andato, la sua follia si è estesa come una piaga ogni dove.”

“Dèi…” esalò Aken, passandosi una mano sul viso mentre Antalion gli posava una mano sulla spalla, confortante.

Fissando spiacente Eikhe, Kannor proseguì dicendo: “Aken può aver sbagliato, non parlandoci subito dello scellerato patto stretto con il padre, ma anche noi non abbiamo scusanti. Avremmo dovuto capire prima, quanto bisogno avesse del nostro aiuto, e invece ci siamo limitati ad assecondare il suo umor nero e il suo desiderio di isolamento. Potrai mai perdonarci, Eikhe?”

Sorridendo comprensiva all’amico, la donna replicò: “Abbiamo avuto rassicurazioni in merito, Kannor, e sappiamo che ciò che è avvenuto aveva uno scopo preciso e, ora che ho visto Meyor e gli altri soldati, so che Aken ha fatto più che bene a rimanere a Rajana per così tanto tempo.”

Pacificato solo in parte, Kannor asserì con tono formale: “A ogni modo, reco con me anche una richiesta ufficiale del re. Desidera invitare te e la tua famiglia a palazzo per scusarsi formalmente con te, per tutto il dolore arrecatoti negli anni.”

“Non ce n’è davvero bisogno!” esalò Eikhe, sgomenta.

Abbozzando un sorrisino, Kannor aggiunse: “La Regina Madre vi supplica di accettare, e Sua Maestà la Regina Renke è ansiosa di conoscervi.”

Lanciando uno sguardo ad Aken, ancora turbato per i fatti testé raccontati da Kannor e riguardanti la follia del padre, Eikhe domandò sommessamente: “Tu cosa desideri fare?”

“Non abbiamo nulla da temere, da loro” scrollò le spalle Aken, prima di chiedere: “Dov’è, ora, mio padre? E il popolo sa?”

“Tutti hanno ritenuto saggio far sapere solo l’indispensabile, e cioè che il re era stanco e riteneva più giusto abdicare in favore del figlio. Ora risiede nel palazzo estivo di Elior, circondato da guardie armate e da dottori che si stanno prendendo cura di lui.”

“Guardie… armate?” esalò Aken, sempre più strabiliato da quel fiume di notizie.

“E’ stato necessario, visto quel che è successo durante la sessione di Concilio che ne ha deciso le sorti” fu costretto a dire Kantor, tossicchiando imbarazzato.

“Capisco” sussurrò Aken, reclinando il capo tristemente.

Eikhe comprendeva bene come potesse sentirsi il compagno.

Il senso di colpa era un mostro dalle unghie e i denti poderosi, che non guardava in faccia a nessuno e che scorticava l’animo delle persone, anche coloro che erano a pieno titolo dalla parte del giusto.

Non si era mai sentita in obbligo nei confronti della madre che, fin da quando era tornata da Rajana incinta, l’aveva apertamente odiata e poi ripudiata dal villaggio, eppure le spiaceva tuttora che fosse malata.

Non era mai andata a trovarla perché, nonostante Tyura fosse divenuta la nuova Signora del Villaggio, ancora troppe donne-lupo la odiavano.

Non voleva creare inutili tensioni laddove non ve n’era bisogno, perciò sapeva di lei solo ciò che la sorella le riferiva.

D’altra parte, non era certa che una sua visita le avrebbe fatto bene, visto in che modo si erano separate e, per quanto le paresse sciocco, si sentiva in colpa per il solco ormai enorme che si era creato tra loro due.

Immaginava che, per Aken, fosse lo stesso con suo padre.

Era difficile amare una persona e non essere ricambiati come si vorrebbe, e a loro era successo in maniera davvero traumatica.

Levandosi in piedi per raggiungerlo, si inginocchiò dinanzi a lui e, stringendogli le mani, gli sorrise comprensiva.

“Andremo a Rajana e, se i dottori lo riterranno opportuno, andremo a trovarlo, va bene?”

“D’accordo” annuì lentamente Aken prima di levare il capo per scrutare le persone attorno a lui. “Come facevo a lasciarla tutta sola tra le montagne, una donna così?”

***

Annuendo a più riprese, Konis e Ylliana sorrisero ad Aken che, dopo averli ragguagliati su quanto successo, li aveva pregati di scusarli per quell’inconveniente avvenuto proprio durante i festeggiamenti per il loro matrimonio.

Stringendogli una mano con affetto, Ylliana replicò comprensiva: “Tutt’altro. Ricorderemo questo giorno per due motivi gioiosi; il nostro matrimonio e la tua libertà. Non mi sembra poco.”

“Mia moglie ha ragione, Aken. Siamo felici per voi” assentì Konis, sorridendo ad Aken, Antalion ed Eikhe. “Sei felice, ora, sorella?”

“Come poche altre volte” annuì Eikhe, prima di guardare il padre, visibilmente più sollevato e aggiungere: “Possiamo lasciare i lupi qui da voi? Portarli fino a Rajana mi sembra troppo, e Luak è ancora un cucciolo.”

Il lupo in questione uggiolò infelice, saltando sulle zampe attorno alle gambe della padrona per attirare la sua attenzione.

Chinandosi per prenderlo tra le braccia, lo baciò sul musetto peloso dicendo: “Sarà solo per poco, davvero.”

Anche Mykos parve in disaccordo con le sue parole e Sendala, ridacchiando dal divano in cui era seduta assieme ad Amill ed Enok, commentò: “Mi sa che te li dovrai sorbire entrambi, sorella, perché non paiono ben disposti a rimanere.”

Harm sorrise generosamente, dando una pacca sulla schiena nerboruta di Mykos.

“Decideranno loro se restare o meno. Io e Ildera non abbiamo problemi.”

Luak poggiò uggioso il musetto sulla spalla di Eikhe, alternando quella posa drammatica a brevi leccate sulla sua guancia.

A quel punto, la figlia sacra non poté che sentenziare: “Mi sa che Sendala ha ragione. Non ne vogliono sapere di rimanere.”

Guardando il padre con aria interrogativa, Antalion accarezzò distrattamente un orecchio di Mykos prima di chiedere: “Pensi che tuo fratello avrà qualche problema ad accettarci a palazzo con i nostri lupi?”

“Dubito fortemente, visto come si è comportato l’ultima volta che ne ha visto uno. Di ritorno dalla guerra, voleva portarsi a casa il lupo di Vesthe” ridacchiò Aken, facendo sorridere spontaneamente il figlio.

Guardando i suoi due uomini per alcuni attimi, Eikhe scrollò le spalle e sentenziò: “D’accordo, si va a Rajana con i lupi.”

Mykos abbaiò soddisfatto mentre Luak riempì letteralmente la faccia di Eikhe di bava prima che lei, indispettita e divertita insieme, lo mollasse a terra per poi borbottare disgustata: “Ma dai, Luak!”

Tutti risero mentre lei, con un passaggio veloce del fazzoletto, si ripuliva la faccia prima di dire scocciata: “Ildera, uso l’acqua in cucina.”

Ridendo, la donna annuì. “Vai pure, Eikhe.”

“Grazie” bofonchiò lei, prima di fissare male il suo lupo e grugnire: “Con te me la vedrò dopo.”

Uggiolando, Luak si nascose dietro le gambe di Aken che, ridacchiando comprensivo, lo prese in braccio e, carezzandolo dolcemente, gli sussurrò: “Ti difenderò io, tranquillo.”


  
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