30.
Aggiustandosi forse per la
ventesima volta il colletto della camicia che indossava sotto una tunica scura
lunga al fino al ginocchio, Konis fissò con un mezzo sorriso il cognato e il
padre prima di ridacchiare.
“Non sembro un completo
idiota, vero?”
Aken scosse il capo e,
poggiate le mani sui fianchi, chiosò: “L’uomo che non si dimostra nel panico
totale prima del matrimonio, non è un vero uomo.”
“Tu non ti sei sposato con
mia sorella, quindi come puoi dirlo?” replicò bonariamente Konis, guardandosi
nell’alto specchio che aveva in camera sua.
La tunica che la sorella le
aveva cucito durante l’inverno, gli stava a pennello.
I neri pantaloni erano
perfettamente infilati in alti stivali di cuoio lucido mentre il rubino che
brillava nel bel mezzo del plastron – dono di Aken – non si era mosso di un
millimetro, nonostante i suoi ripetuti ritocchi.
Da quel poco che aveva
capito della storia di quella spilla, il principe l’aveva condotta con sé come
regalo per Eikhe.
Una volta raggiunto il
villaggio di Hyo-den, aveva però compreso quanto inutile sarebbe stato, come
dono per lei, e così l’aveva semplicemente conservata in attesa di uno scopo
più elevato.
Non appena aveva saputo del
matrimonio suo e di Ylliana, aveva compreso come usarla, e gliene aveva fatto
dono con la più calda approvazione di Eikhe stessa.
Sfiorando quel prezioso per
l’ennesima volta con reverenziale timore, Konis tornò a voltarsi in direzione
di Aken e chiese: “Sicuro che vuoi regalarmela?”
Ridacchiando, Aken gli diede
una fraterna pacca sulla spalla e disse sinceramente: “Se potessi, te ne
regalerei anche altre, ma sfortunatamente le ho lasciate a Rajana. Credimi, è
tua.”
“Beh, grazie” sorrise allora
Konis prima di guardare il padre e chiedere: “Sai a che punto sono messe, di
sotto?”
Con un sogghigno che sapeva
di consapevolezza ed esasperazione assieme, Harm scrollò le spalle e dichiarò:
“Mykos e Luak stanno piantonando le scale e, al minimo cenno di intrusione,
ringhiano come forsennati. Non ci penso proprio a scendere per dare
un’occhiata!”
“Vedrai che, quando le
signore saranno pronte e il Sacerdote di Iralva arriverà per la benedizione, ci
chiameranno” sentenziò Aken, saggiamente.
Anche se, in principio, gli
era parso praticamente scontato chiedere in moglie Eikhe, dopo averla trovata,
Aken aveva presto compreso quanto, quel sacramento, fosse nel loro caso del
tutto inutile.
Hevos lo trovava superfluo,
poiché la semplice promessa dell’amore imperituro bastava a rendere grazie al
suo nome.
Poiché Aken era entrato a
pieno titolo nella tribù, ed era da tutti considerato un figlio del branco, non
aveva senso perdersi in simili, vecchie abitudini.
Inoltre, visto che lui aveva
avuto l’indubbio onore di conoscere e parlare con Hevos stesso per quasi due
settimane, e aveva compreso il suo pensiero meglio di chiunque altro, sapeva di
non aver sbagliato a non chiedere la mano di Eikhe.
Erano compagni, di nome e
nello spirito, e tanto bastava, sia a loro che alla famiglia di Eikhe, che
aveva compreso senza bisogno di tante spiegazioni le motivazioni di entrambi.
Un rumore di passi,
dabbasso, richiamò la loro attenzione e, pochi attimi dopo, con un paio di
colpetti alla porta, entrò Antalion.
Unico a essere stato ammesso
al piano inferiore, sorrise agli uomini presenti e disse: “Enok è arrivato
assieme al Sacerdote, e ora sta parlando con la futura sposa. Dice di tenersi
pronti.”
Konis impallidì visibilmente
e Harm, affrettandosi ad affiancarlo, lo sorresse per un gomito, mormorando:
“Su, ragazzo, va tutto bene. Non vorrai svenire al posto di Ylliana, vero?”
“No, però…” tentennò lui,
prima di tirare un sospiro e aggiungere: “D’accordo, ci sono!”
“Sia lodato Hevos” sussurrò
Aken, prima di affacciarsi oltre la porta della stanza.
Mykos e Luak erano spariti,
segno che ormai il loro compito di guardiani si era esaurito.
Da pian terreno, proprio in
quel momento, spuntò il viso di Eikhe che, sorridendogli complice, disse:
“Potete venire.”
“Va bene” annuì lui,
rientrando in fretta. “Si può.”
Harm sorrise al figlio, che
accennò un ghigno stentato prima di ridere del suo terrore e fare il primo
passo verso la porta che lo avrebbe condotto al piano inferiore e, da lì, al
salotto riccamente decorato per quell’evento.
La dea Iralva, oltre a
essere la divinità creatrice di ogni cosa – secondo il mito seguito per la
maggiore, nei regni di Enerios e Karton – era anche la protettrice del focolare.
Per questo motivo, ogni
matrimonio veniva celebrato in casa di uno degli sposi.
I templi eretti in suo nome
erano usati solo per le funzioni dedicate al suo giorno sacro, o per le
preghiere personali.
Per ciò che riguardava
sacramenti come il matrimonio, o la benedizione di nascituri e defunti,
avvenivano sempre nelle abitazioni.
Mentre Konis discendeva le
scale – al cui mancorrente era stato intrecciato un nastro di seta candido come
neve – dabbasso, un tenue suono di flauto si librò nell’aria e la voce di
Ildera si levò sommessa a intonare il Cantico
di Gioia della dea.
Benedetta sia l’acqua che scorre dal ghiacciaio,
che con la sua
dolcezza terge i peccati e purifica l’animo.
Benedetta sia l’aria che galleggia ogni dove,
che con la sua
purezza dilava le anime e purifica le menti.
Benedetto sia il fuoco che illumina il tuo cammino,
che con il suo
calore riscalda il cuore di ogni creatura.
Benedetta sia la terra che calpesti con i tuoi piedi,
che con la sua
forza da’ frutti per il sostentamento di tutti.
Al suono dell’ultimo verso
intonato dalla madre, Konis fece il suo ingresso nel salotto.
Il tutto era addobbato con
sete multicolori, fiori secchi appesi alle finestre e alle pareti, oltre a
belle candele dalle cere profumate.
Il giovane sorrise
spontaneamente alla fidanzata che, dalla parte opposta della stanza, stava a
sua volta entrando per raggiungere il Sacerdote.
Sito nel mezzo della stanza,
e abbigliato con una lunga tunica argentea e ricamata con motivi a tralci
d’uva, il rappresentante di Iralva sollevò le mani per indicare entrambi i
giovani.
Con voce limpida e ben
impostata, esordì dicendo: “Sia reso grazie a queste due giovani creature che,
in questo giorno, hanno deciso di unire le loro vite sotto lo sguardo benevolo
di Colei-Che-Tutto-Creò.”
Lentamente, passo dopo
passo, i due giovani si avvicinarono al Sacerdote e, in quella lunga
processione, Konis ebbe tutto il tempo di ammirare la sua sposa.
Come da tradizione,
indossava una lunga veste argentata, lunga fino ai piedi, e un sopra-tunica blu
scuro a ricami dorati.
Al pari delle vesti del
rappresentante di Iralva, i ricami ricreavano un tralcio di vite infinito e
ricco di fogliame.
Sul capo di biondi capelli,
raccolti in una trina di trecce perfette, portava un singolo fiore bianco,
simbolo della dea.
In mano, invece, tratteneva
una fascia di raso blu dalle lunghe frange argentee, che il Sacerdote avrebbe
utilizzato per legare le loro mani durante la cerimonia.
Quando infine entrambi
raggiunsero l’uomo canuto nel mezzo della sala – circondati dai i loro cari e
gli amici più stretti – la cerimonia vera e propria ebbe inizio.
Chinandosi verso Ylliana, Konis
le sussurrò all’orecchio: “Ti amo.”
Lei si limitò a sorridere,
sbattendo le lunghe ciglia chiare e fissandolo per alcuni attimi con i profondi
occhi nocciola, prima di tornare a guardare il Sacerdote che, bonario, disse: “Un
bravo giovane davvero.”
“Sì” sussurrò lei,
reclinando modesta il capo, subito imitata da Konis.
***
Sorseggiando del buon succo
di frutta da un calice, Eikhe sorrise divertita nel vedere Amill rincorrere
Luak per tirargli la coda.
Dando di gomito a Enok,
commentò: “Sei sicuro di non voler fermare Amill? Non hai paura che si faccia
male?”
“Brye ha imparato mesi e
mesi fa, a stare lontana dalle sue manine stritolatrici e infatti, se hai
notato, è voluta rimanere fuori casa” le spiegò divertito Enok, parlando del
lupo di Sendala che, da quando erano giunti a casa di Harm per preparare la
sala per il matrimonio, non era mai voluta entrare all’interno dell’abitazione.
“Oh, azione preventiva!”
esclamò Eikhe, sorridendo. “Quindi, non devo preoccuparmi che si faccia male?”
“Piuttosto, il contrario”
precisò Enok, prima di levare il suo calice non appena vide giungere Aken.
Sendala stava chiacchierando
amabilmente con Ylliana che, liberatasi della scomoda sopra-tunica, ora stava
parlando un po’ con tutti gli invitati alla festa.
Brindando con l’amico, Aken
affiancò la compagna e disse: “I genitori di Ylliana sono davvero simpatici.
Naturalmente, non ho detto loro chi sono per non attirare l’attenzione su di
me, visto che è il matrimonio della figlia e di Konis, ma temo che prima o poi
dovrò pur dirglielo.”
“Avremo tutto il tempo di
farlo, tranquillo” scrollò le spalle Eikhe, sistemandosi distrattamente un
laccio della lunga tunica che indossava quel giorno.
Al pari del compagno e del
figlio, Eikhe aveva preferito partecipare al matrimonio con abiti consoni al
loro status di figli del branco.
Tutti loro, infatti,
portavano lunghe tuniche ricamate e brache frangiate della foggia più elegante.
Per quei vestiti, Eikhe,
Istrea e Liana avevano quasi perso la vista, ma il risultato era davvero
superlativo.
Alamari di osso erano
trattenuti da sottili nastri di pelle di cuoio conciato mentre, lungo le
maniche e sull’orlo della tunica, applicazioni di pelliccia di coniglio bianco
abbellivano il già ricercato taglio dell’abito.
Sulle brache di pelle di
daino, esili frange si allungavano lungo tutta la lunghezza della gamba, così
come elaborati ricami che ricalcavano quelli della tunica.
Gli stivali di cuoio scuro,
infine, erano abbelliti da placche metalliche bulinate a fantasie di fiori e
applicate sui calcagni.
“Con il bambino, tutto
bene?” si informò Enok, premuroso.
Sorridendogli generosamente,
Eikhe annuì – aveva mandato loro una lettera il giorno stesso in cui l’aveva
scoperto – e disse: “Ancora non si vede, ma dovrei essere di circa tre mesi.”
Ammiccando ad Aken, che
stava scrutando distrattamente il figlio in compagnia dei nonni, l’amico
domandò: “An come l’ha presa?”
“Va a giorni” ammise lui, facendo
spallucce. “A volte, ne è felice e non lascia quasi niente da fare alla madre,
altre volte, se ne sta ore e ore a fissare il cielo o la foresta, come se
qualcosa lo turbasse ma, quando gli chiedo cos’abbia, nicchia e cambia
argomento. Non so se sia in ansia per il bambino o meno, ma qualcosa lo
preoccupa.”
Tornando serio, Enok asserì:
“Può darsi che, più che per il bambino, sia in ansia per l’avvento del bel
tempo.”
Storcendo il naso, Aken
annuì turbato.
“Forse, teme che anche
questo figlio cresca senza il padre, …chissà.”
“Faremo in modo che non
succeda” gli promise Eikhe, stringendogli una mano prima di sentire bussare
febbrilmente alla porta d’entrata della casa del padre.
Subito, si irrigidì al pari
di Aken ed Enok, muovendosi prima di loro, ordinò pressante: “Nel dubbio,
nascondetevi.”
Annuendo, Eikhe attirò
vicino a sé Aken, mentre Antalion li raggiungeva in pochi rapidi passi.
Quando dall’entrata giunse
solo la voce di Liana, però, tutti si bloccarono a metà della porta che dava
sul retro e attesero impazienti che entrasse.
Apparentemente trafelata e
con gli occhi ambrati dilatati, si affrettò a salutare tutti con un cenno
rispettoso del capo prima di avvicinarsi ad Antalion, afferrarlo a un braccio e
mormorare: “Ho fatto prima che ho potuto. Giungono notizie dai clan del sud.”
Sgranando gli occhi per
l’impazienza e l’ansia, Antalion le strinse con forza le spalle, esalando:
“Dicci tutto!”
Sentendo su di sé gli
sguardi di tutti i presenti, Liana domandò pensierosa: “Non è meglio parlarne
fuori?”
Lesta, Eikhe si scusò con
gli invitati al matrimonio e, procedendo verso l’esterno assieme alla sua
famiglia, si chiuse la porta alle spalle non appena furono tutti usciti e mormorò:
“Ebbene?”
“Beh, non ci crederete, ma
deve essere successo qualcosa di veramente strano, a Rajana” esordì Liana,
scrollando le braccia con fare ancora confuso. “Insomma, in pratica, c’è un
contingente di giovani guerrieri che, guidati da un uomo con una mano sola, sta
girando di tribù in tribù chiedendo del principe Aken… per conto di re Ruak di Rajana.”
“Re… Ruak?!” esclamò Aken,
sobbalzando e impallidendo al tempo stesso.
“Aken” sussurrò Eikhe,
stringendogli comprensiva una mano.
Antalion osservò a sua volta
il padre e, preoccupato per lui, gli poggiò una mano sulla spalla per fargli
percepire anche il suo appoggio.
Serio in viso, poi, chiese
all’amica: “Non sai altro?”
“Solo che erano diretti qui
a Marhna e che, se non ho fatto male i conti, dovrebbero già essere arrivati, o
in procinto di mettere piede in città” brontolò Liana, guardandoli spiacente a
momenti alterni. “Non sono passata dinanzi alla casa del Borgomastro per
arrivare più in fretta qui… forse, avrei dovuto.”
“Sei stata bravissima,
Liana, non preoccuparti” la tranquillizzò Aken, dandole un buffetto sulla
guancia.
Lei sorrise spontaneamente,
e aggiunse: “Il messaggio giunto tramite falco specificava che gli uomini non
sembravano affatto minacciosi e anzi, erano in ansia per le condizioni del
principe e desideravano solo consegnargli una lettera da parte del fratello.”
Guardando a turno la sua
famiglia senza sapere bene cosa dire, Aken sussurrò: “Davvero non capisco.
L’uomo senza una mano è sicuramente Kannor, ma non comprendo il perché della
sua presenza fuori dal palazzo. E … re Ruak? Che è successo a mio padre, per
tutti i demoni delle montagne?!”
“Il messaggio dice solo che
re Arkan si trova al palazzo di Elior, a causa di una grave malattia” spiegò
succintamente Liana.
Accigliandosi, Aken
intrecciò le braccia al petto e disse: “Kannor non mi tradirebbe mai, questo è
sicuro. Preferirebbe perdere anche l’altra mano, piuttosto che eseguire un
ordine di mio padre che potrebbe ledermi in qualche modo.”
“Ne sei sicuro, padre?”
chiese timoroso Antalion, accentuando la stretta sulla sua spalla.
“Più che sicuro, figliolo.
Lascerei volentieri la mia vita nella sua unica mano, perché so che sarebbe al
sicuro” gli sorrise benevolo prima di guardare Eikhe e chiederle: “Tu che ne
dici?”
“Dico che andrò a curiosare
vicino alla casa del Borgomastro, mentre tu e Antalion vi andrete a nascondere
nella foresta” dichiarò lei con aria torva.
Accigliandosi, Aken scosse
il capo e disse per contro: “Non se ne parla. Non mi nascondo come un codardo.”
“Io sono l’unica, qui, a conoscere Kannor e, se
lo vedrò, saprò che nessuno vuole farci del male” precisò Eikhe, fissandolo
uguale cipiglio.
“Oh, no… è una di quelle
volte” sospirò Antalion, scuotendo il capo.
“Che intendi dire?” sussurrò
Liana, avvicinandolo e fissando i due compagni fissarsi in cagnesco.
“Quando entrambi vogliono
imporre la propria volontà sull’altro, scatta la battaglia di sguardi” le
spiegò Antalion, prima di stringere un braccio al padre e suggerire: “Senti,
per quanto mi dia fastidio ammetterlo, la mamma stavolta ha ragione. Tu saresti
in pericolo, se ti avvicinassi a loro, mentre lei è più al sicuro.”
“Ma è…” tentennò lui,
indicando la sua pancia ancora piatta con lo sguardo.
“Incinta? Ma va?” sbuffò
Eikhe, irrigidendosi. “Mio caro, se proprio lo vuoi sapere, ho lavorato fino al
giorno del parto, quindi non venirmi a dire quello che posso, o non posso
fare!”
“Ahia” sussurrò Aken, prima
di levare le mani in segno di resa e dire: “D’accordo, tesoro, faremo come dici
tu, ma non ti scaldare. Fa male al bambino.”
Fissandolo con occhi biechi,
Eikhe soffiò tra i denti prima di calmarsi e Antalion, guardandola vagamente
sorpreso, esalò: “E’ la gravidanza che la rende così… acida?”
“A me, lo chiedi? Non c’ero,
l’altra volta, ma mia cognata si è comportata come una vipera per tutte e tre
le gravidanze, quindi posso solo ipotizzare di sì” sentenziò Aken prima di
sorridere alla compagna, baciarla sulla fronte e aggiungere: “E’ inutile che mi
guardi così. Faremo quello che hai detto, ma non puoi impedirmi di essere in
ansia per entrambi voi.”
Rilassandosi gradatamente,
Eikhe tornò a sorridergli debolmente, asserendo: “E’ reciproco, Aken. Io mi
preoccuperò sempre per voi due. Ma ora andate. Spiegherò tutto io, a mio padre
e a Konis. Prendete i cavalli nella stalla e i lupi. Sarà più sicuro.”
“Solo Mikos. Voglio che Luak
resti con te. E’ piccolo, ma è già molto legato a te” si rifiutò Aken,
scuotendo il capo.
“E va bene” concesse Eikhe.
“Io resterò con lei, e la
accompagnerò alla casa del Borgomastro” intervenne Liana, sorridendo a Eikhe
con aria fiduciosa.
“Non è necessario, tesoro”
precisò la donna.
Scuotendo il capo, Liana
replicò: “Non solo loro ti hanno a cuore, Eikhe.”
“Grazie” le sorrise
Antalion, chinandosi per darle un bacio sulla guancia. “Stai attenta anche tu,
allora.”
“Come sempre” ridacchiò la
ragazza, dandogli un buffetto affettuoso sulla guancia prima di guardare
nuovamente Eikhe e domandare: “Andiamo?”
“Sì, è meglio” annuì lesta
Eikhe dopo aver lanciato un ultimo sguardo a compagno e figlio.
In fretta, le due donne
tornarono in casa per ragguagliare sommariamente Harm e Ildera di ciò che stava
accadendo, mentre Konis e Ylliana
intrattenevano gli ospiti per non dare l’impressione che stesse succedendo
qualcosa di grave.
Sendala ed Enok,
avvicinatisi a loro, ascoltarono le ultime parole di Eikhe e subito, il giovane
disse caparbio: “Vi accompagno anch’io!”
“Non se ne parla! Pensa a
tua figlia e tua moglie. Ce la caviamo benissimo da sole” sbottò Eikhe,
accigliandosi. “Non ho bisogno di litigare anche con te, Enok!”
“Che male c’è ad avere una
persona in più al fianco, Eikhe?” replicò il giovane, storcendo il naso per il
disappunto.
“C’è che tua figlia si
preoccuperà se sparisci anche tu, Sendala starà in ansia per tutto il tempo e
anche gli altri ospiti si insospettiranno. Non voglio rovinare il matrimonio di
mio fratello più del necessario. Rimarrai qui anche tu. Punto e basta!” dichiarò
perentoria Eikhe, puntando le mani sui fianchi.
Harm sospirò, annuendo
lentamente prima di borbottare: “Coraggio, facciamo come vuole lei, o non ne
verremo più a capo. Prometti solo che starete attente, va bene?”
“Questo è scontato” annuì Eikhe,
prima di levarsi sulle punte dei piedi per baciare il padre su una guancia.
“Non preoccupatevi per noi, andrà tutto bene.”
“Lo spero. O Aken taglierà
la testa a tutti noi” ridacchiò senza allegria Harm.
“Non lo farà” lo rassicurò
bonariamente Eikhe, prima di afferrare il braccio di Liana e uscire con lei da
casa.
Luak, al loro fianco,
raggiunse Nak nel cortile antistante la casa di Harm e, assieme alle loro due
padrone, si avviarono a piedi lungo la via.
Camminarono poi con passo
spedito sul marciapiede, mentre carri con mercanzie varie o semplici cittadini
a cavallo percorrevano la strada di acciottolato senza badare alle due
donne-lupo.
Spronate dall’ansia e dal
desiderio di scoprire la verità, le due donne percorsero la breve distanza che
le separava dalla casa del Borgomastro nel minor tempo possibile.
Bloccatesi solo quando
raggiunsero l’incrocio che le avrebbe condotte sulla via principale di Marhna,
fissarono costernate lo spiegamento di uomini e mezzi presenti sulla strada.
Ma quello che stupì
maggiormente Eikhe non fu la quantità di soldati, quanto la loro giovane età e,
soprattutto, il fatto che stessero aiutando i domestici del Borgomastro a
caricare su un carro tutti i suoi averi personali.
Guardando confusamente
Liana, che stava osservando l’intera scena con altrettanto stupore, esalò: “Ma
che sta succedendo?”
“Un cambio della guardia?”
ipotizzò la ragazza, facendo spallucce.
Sulla porta della villa a
due piani, intento a stringere la mano del Borgomastro, si trovava la figura di
un uomo imponente e scuro di capelli, coperto da un leggero mantello di lana
ricamata.
Potendolo vedere solo di
spalle, Eikhe non fu sicura di chi potesse trattarsi ma, quando l’uomo si volse
per osservare il Borgomastro raggiungere la propria cavalcatura, sorrise
spontaneamente ed esalò: “E’ Kannor! E’ davvero lui!”
“Dici che possiamo fidarci,
allora?” chiese Liana, ancora scettica.
“Se c’è un uomo di cui
fidarsi, è proprio lui” annuì più volte Eikhe
prima di aggiungere: “A ogni buon contro… Luak, Nak, non schiodatevi da
noi, chiaro?”
I due lupi annuirono con i
loro musi affilati e le due donne, guardatesi per un momento come per farsi
coraggio a vicenda, ripresero il cammino verso la casa del Borgomastro.
Era il momento di mettere la
parola ‘fine’ a tutta quella
faccenda.
Mentre il carro con le vettovaglie
del Borgomastro iniziava ad avanzare lungo la via assieme al loro proprietario,
Eikhe e Liana attraversarono la strada e fiancheggiarono silenziose il gruppo
di soldati.
Molti sguardi le seguirono,
voci soffuse sfiorarono le loro orecchie, ma nessun commento sgarbato venne
loro addebitato.
Fissandoli curiosamente da
sotto le lunghe ciglia non meno di Liana, Eikhe si chiese da dove venissero
quei giovani guerrieri dall’aria educata e sorridente.
Certo, non pensava che tutti
gli uomini delle pianure fossero sgarbati e offensivi con il genere femminile,
ma le donne-lupo erano viste con sospetto persino dagli uomini di montagna, ben
più abituati alla loro vista.
Quei baldi soldati
sembravano sicuri di sé, ma non strafottenti, e gli sguardi discreti che
lanciarono loro non furono mai offensivi o lascivi, quanto piuttosto curiosi.
Kannor, ancora fermo
sull’entrata della villa e intento a scrutare la figura sempre più distante del
Borgomastro, si accorse a un certo punto della disattenzione di parecchi dei
suoi.
Curioso, si volse in
direzione della strada per capire cosa stesse succedendo e, a gran voce,
esclamò ai suoi uomini: “Ehi, giovinastri, che diamine state…”
Le parole gli morirono in
gola, non appena Eikhe e Liana oltrepassarono lo sbarramento naturale creato
dai corpi enormi dei giovani guerrieri presenti in strada.
Scendendo i due gradini che
lo separavano dallo stradello che conduceva alla via principale, Kannor esalò a
occhi sgranati: “Eikhe? Sei tu? Sei davvero
tu?”
Un sorriso spontaneo salì
alle labbra della donna che, accorrendogli incontro sotto gli occhi sorpresi di
tutti gli armigeri, lo abbracciò con calore ed esalò: “Speravo di rivederti,
Kannor. Non sai quanto io sia felice!”
“E io sono felice di vedere
te, Eikhe!” rise lui, dandole una rapida stretta con il braccio sano prima di
scostarla da sé, scrutarla in viso con una sorta di orgoglio amichevole e dire:
“Sei bella come ti ricordavo.”
Lei rise grata mentre Liana,
ferma a pochi passi da loro, li scrutava curiosa.
Fissandola benevolmente per
alcuni attimi, Kannor si rivolse alla vecchia amica, chiedendole: “E’ tua
figlia, per caso?”
Comprendendo al volo
l’equivoco – tutte le figlie sacre si somigliavano tra loro – Eikhe scosse il
capo e replicò: “E’ una mia amica, e si chiama Liana.”
Con un inchino frivolo
quanto formale, Kannor si piegò in avanti con grazia e le disse: “Beh, tanto
piacere di conoscervi, signorina Liana.”
Ridendo di gusto, Liana
rispose al suo inchino con il classico saluto delle figlie del branco – una
mano poggiata sul cuore – replicando sommessamente: “L’onore è mio, signor Kannor.”
“Le hai parlato di me?”
sogghignò l’uomo, ammiccando a Eikhe, che annuì.
“Le ho detto di starti alla
larga perché sei uno sciupa femmine” commentò maliziosa Eikhe, facendo
scatenare dei risolini tra i soldati.
Kannor li fulminò
immediatamente con lo sguardo, prima di fissarne uno in particolare e borbottare:
“Meyor, vieni qui e accompagna le signore nel salottino al pian terreno. Io,
intanto, sistemo i tuoi compagni.”
“Subito, mastro Kantor!”
annuì lesto il giovane bruno che Kannor aveva interpellato.
Affiancando Eikhe con un
sorriso smagliante, le offrì il braccio dicendo: “Siamo a uso accompagnare le
signore porgendo loro il braccio, ma non vi dovete ritenere in obbligo di
accettare.”
Sollevando un sopracciglio
con evidente curiosità, Eikhe accettò l’offerta prima di guardare Kannor e
chiedere: “Questi giovani li ha addestrati Aken, vero?”
“Si vede?” le strizzò
l’occhio lui, prima di tornare serio e aggiungere: “Ragguaglia le signore
mentre io sono impegnato. Tu sei il più adatto, ragazzo.”
“Sarà un onore” annuì Meyor,
offrendo il braccio libero a Liana, che accettò con un sorrisino divertito.
Avviandosi verso la porta –
che venne aperta dall’interno da un paggio in livrea grigia e bianca – Meyor si
rivolse timidamente a Eikhe, chiedendole: “Posso avere l’ardire di chiedere una
cosa, madama?”
Sorridendogli con
spontaneità, Eikhe si limitò a dire: “Chiamami Eikhe, e dammi del tu. E sì,
chiedi pure quello che vuoi sapere.”
Un volta all’interno della
villa, Meyor le accompagnò all’interno di un salottino che Eikhe riconobbe
immediatamente per esservi stata molti anni addietro.
Con un tuffo al cuore,
ripensò all’abbraccio mesto che aveva scambiato con Ruak, prima di abbandonare
per sempre l’idea di rivedere Aken.
Era successo di tutto, nel
frattempo, ma le sembrava giusto che la fine di quelle peripezie avessero un
termine proprio lì.
Scostandosi dal giovane e
accomodandosi a un suo cenno assieme a Liana, Eikhe si sentì chiedere con
cortesia: “Prima di partire, il principe Aken mi lasciò una lettera in cui mi
spiegò i motivi della sua fuga. Vedete…”
Bloccandosi e ridacchiando
di fronte all’ironico cipiglio di Eikhe, Meyor tossicchiò e continuò dicendo: “Vedi, mi disse che partiva per
raggiungere il suo unico amore, e mi pregava di capire perché non potesse più
rimanere alla capitale, così da continuare l’addestramento degli allievi più
giovani dell’Accademia. Incuriosito, chiesi lumi a mia madre, che a sua volta
aveva ricevuto una missiva a suo nome, e lei mi parlò di te, di ciò che facesti
per il principe e di quanto foste innamorati.”
Meyor si passò una mano tra
i corti capelli bruni, imbarazzato, prima di proseguire.
“Sono molto affezionato al
principe Aken e, per anni, lui ha vegliato su di me come un fratello maggiore,
perciò sono stato contento di sapere che, finalmente, avrebbe potuto essere
felice, dopo un periodo troppo lungo di dolore.”
Intrecciando le mani in
grembo, Eikhe inclinò un po’ il capo a scrutare quel giovane viso, solcato da
un leggero strato di barba, e chiese ironica: “E cosa ti fa pensare che io sia
io la stessa donna di cui ti ha narrato tua madre?”
Sorridendo, Meyor disse
soltanto: “Non so di nessun’altra figlia sacra che abbia conosciuto Kannor, e
di nessuna in particolare che si sarebbe presa la briga di ficcare il naso
negli affari della corona, specialmente viste le norme che, fino a poco tempo
fa, vigevano in merito.”
“Bravo” sussurrò Eikhe. “La
donna sono io, e Aken sta bene. Abbiamo preferito venire noi in avanscoperta,
visto che…”
Risate allegre e cori di
felicitazioni si levarono dall’esterno ed Eikhe, bloccandosi a metà della frase
senza capire bene cosa stesse succedendo, si levò dal divano assieme a Liana.
Con Meyor che si volgeva a
mezzo dalla poltrona, fissarono tutti l’esterno attraverso la larga porta
finestra che dava sul giardino.
Esasperata, Eikhe sbuffò
intrecciando le braccia sotto il seno e, assottigliando le iridi d’ambra,
commentò burbera: “Che diamine è servito dirgli di stare al sicuro, se poi ci
ha seguite lo stesso?!”
Scoppiando a ridere
bonariamente, Meyor si levò in piedi a sua volta e, osservando i suoi compagni
e Kannor che, tra pacche sulle spalle e grandi abbracci, stavano salutando il
loro principe, chiosò: “Di sicuro, è uno che ama stupire.”
“E’ un idiota, ma già lo
sapevo” brontolò Eikhe, mentre Liana ridacchiava sommessamente.
Un attimo dopo, la porta
d’ingresso venne aperta e rapidi passi si affaccendarono l’uno sull’altro prima
di raggiungere il salottino, dove Aken fece il suo ingresso assieme ad Antalion
e Kannor.
Il braccio sano drappeggiato
sulle spalle del vecchio amico, Kannor disse allegramente: “Non ho fatto in
tempo ad abbracciare Eikhe, che tu salti fuori dal nulla! E con tuo figlio, per
di più! Dèi, siete davvero due gocce d’acqua!”
Antalion sorrise timidamente
all’uomo che, per tutta risposta, rise e asserì: “Coraggio, ragazzo, non siamo
qui per combinare guai, quanto piuttosto per disfarli.”
“Quindi, non porterete via
mio padre, vero?” chiese a quel punto Antalion, speranzoso.
“Tutt’altro. Al momento,
stai parlando con il nuovo Borgomastro di Marhna” dichiarò tronfio Kannor,
sorprendendo tutti i presenti a parte Meyor, già al corrente della qualifica.
“Che mi venisse un colpo!
Anzi no!” esclamò Aken, sorridendo raggiante prima di abbracciare l’amico. “Non
sai quanto la notizia mi renda felice!”
“Re Ruak pensava che fosse
la persona migliore da inviare qui tra le montagne” spiegò loro Meyor,
attirando l’attenzione di Aken che, con un sorriso, si avvicinò a lui per
abbracciarlo e dargli due baci sulle guance.
“Sono pochi mesi che non ti
vedo, ragazzo, ma mi sembra passato un secolo. I tuoi genitori stanno bene?”
gli chiese Aken, sorridendogli affettuosamente.
“La mamma vi saluta,
principe, e sarà lieta di sapere che finalmente siete felice” sorrise Meyor
prima di guardare curiosamente il figlio di Aken e dire: “Avevate davvero
ottime motivazioni per fuggire da Rajana.”
Eikhe sorrise bonaria al
compagno, prima di esalare: “E meno male che dovevate stare al sicuro.”
“Dovresti saperlo che faccio
a modo mio, quando si tratta della tua sicurezza”
replicò ghignante Aken. “Ora, però, qualcuno di voi mi vuole spiegare cos’è
questa faccenda di mio fratello che è divenuto re?”
Fattosi serio, Kannor li
invitò a sedersi e, quando tutti si furono accomodati sui morbidi divanetti di
velluto chiaro, disse: “Ruak ha ritenuto necessario far abdicare tuo padre in
modo coatto, dopo tutto ciò che ha fatto quest’inverno nel tentativo di
raggiungerti qui tra le montagne. Il Concilio della Corona non era comunque contento
di Arkan già da tempo. La Corte Militare ti è sempre stata fedele e aveva
compreso da anni che qualcosa ti turbava, e che quel turbamento era legato
indissolubilmente al re. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, però, è
stata la fustigazione senza giusta causa di un ufficiale.”
Inspirando rumorosamente
dalle narici per la gran rabbia, mentre le iridi si assottigliavano
pericolosamente, Aken ringhiò: “Non può averlo fatto davvero!”
Sospirando, Kannor annuì spiacente.
“Già da tempo, Aken, era
diventato un despota e tiranno solo che, fino a quel momento, si era accanito
soprattutto su di te. Non che la cosa fosse giusta, intendiamoci ma era, come
dire, circoscritta. Da quando te ne sei andato, la sua follia si è estesa come
una piaga ogni dove.”
“Dèi…” esalò Aken,
passandosi una mano sul viso mentre Antalion gli posava una mano sulla spalla,
confortante.
Fissando spiacente Eikhe,
Kannor proseguì dicendo: “Aken può aver sbagliato, non parlandoci subito dello
scellerato patto stretto con il padre, ma anche noi non abbiamo scusanti. Avremmo
dovuto capire prima, quanto bisogno avesse del nostro aiuto, e invece ci siamo
limitati ad assecondare il suo umor nero e il suo desiderio di isolamento.
Potrai mai perdonarci, Eikhe?”
Sorridendo comprensiva
all’amico, la donna replicò: “Abbiamo avuto rassicurazioni in merito, Kannor, e
sappiamo che ciò che è avvenuto aveva uno scopo preciso e, ora che ho visto
Meyor e gli altri soldati, so che Aken ha fatto più che bene a rimanere a
Rajana per così tanto tempo.”
Pacificato solo in parte,
Kannor asserì con tono formale: “A ogni modo, reco con me anche una richiesta ufficiale
del re. Desidera invitare te e la tua famiglia a palazzo per scusarsi
formalmente con te, per tutto il dolore arrecatoti negli anni.”
“Non ce n’è davvero
bisogno!” esalò Eikhe, sgomenta.
Abbozzando un sorrisino, Kannor
aggiunse: “La Regina Madre vi supplica di accettare, e Sua Maestà la Regina
Renke è ansiosa di conoscervi.”
Lanciando uno sguardo ad
Aken, ancora turbato per i fatti testé raccontati da Kannor e riguardanti la
follia del padre, Eikhe domandò sommessamente: “Tu cosa desideri fare?”
“Non abbiamo nulla da
temere, da loro” scrollò le spalle Aken, prima di chiedere: “Dov’è, ora, mio
padre? E il popolo sa?”
“Tutti hanno ritenuto saggio
far sapere solo l’indispensabile, e cioè che il re era stanco e riteneva più
giusto abdicare in favore del figlio. Ora risiede nel palazzo estivo di Elior,
circondato da guardie armate e da dottori che si stanno prendendo cura di lui.”
“Guardie… armate?” esalò
Aken, sempre più strabiliato da quel fiume di notizie.
“E’ stato necessario, visto
quel che è successo durante la sessione di Concilio che ne ha deciso le sorti”
fu costretto a dire Kantor, tossicchiando imbarazzato.
“Capisco” sussurrò Aken,
reclinando il capo tristemente.
Eikhe comprendeva bene come
potesse sentirsi il compagno.
Il senso di colpa era un
mostro dalle unghie e i denti poderosi, che non guardava in faccia a nessuno e
che scorticava l’animo delle persone, anche coloro che erano a pieno titolo
dalla parte del giusto.
Non si era mai sentita in
obbligo nei confronti della madre che, fin da quando era tornata da Rajana
incinta, l’aveva apertamente odiata e poi ripudiata dal villaggio, eppure le
spiaceva tuttora che fosse malata.
Non era mai andata a
trovarla perché, nonostante Tyura fosse divenuta la nuova Signora del Villaggio,
ancora troppe donne-lupo la odiavano.
Non voleva creare inutili
tensioni laddove non ve n’era bisogno, perciò sapeva di lei solo ciò che la
sorella le riferiva.
D’altra parte, non era certa
che una sua visita le avrebbe fatto bene, visto in che modo si erano separate
e, per quanto le paresse sciocco, si sentiva in colpa per il solco ormai enorme
che si era creato tra loro due.
Immaginava che, per Aken,
fosse lo stesso con suo padre.
Era difficile amare una
persona e non essere ricambiati come si vorrebbe, e a loro era successo in
maniera davvero traumatica.
Levandosi in piedi per
raggiungerlo, si inginocchiò dinanzi a lui e, stringendogli le mani, gli
sorrise comprensiva.
“Andremo a Rajana e, se i
dottori lo riterranno opportuno, andremo a trovarlo, va bene?”
“D’accordo” annuì lentamente
Aken prima di levare il capo per scrutare le persone attorno a lui. “Come
facevo a lasciarla tutta sola tra le montagne, una donna così?”
***
Annuendo a più riprese,
Konis e Ylliana sorrisero ad Aken che, dopo averli ragguagliati su quanto
successo, li aveva pregati di scusarli per quell’inconveniente avvenuto proprio
durante i festeggiamenti per il loro matrimonio.
Stringendogli una mano con
affetto, Ylliana replicò comprensiva: “Tutt’altro. Ricorderemo questo giorno
per due motivi gioiosi; il nostro matrimonio e la tua libertà. Non mi sembra
poco.”
“Mia moglie ha ragione,
Aken. Siamo felici per voi” assentì Konis, sorridendo ad Aken, Antalion ed
Eikhe. “Sei felice, ora, sorella?”
“Come poche altre volte”
annuì Eikhe, prima di guardare il padre, visibilmente più sollevato e
aggiungere: “Possiamo lasciare i lupi qui da voi? Portarli fino a Rajana mi
sembra troppo, e Luak è ancora un cucciolo.”
Il lupo in questione uggiolò
infelice, saltando sulle zampe attorno alle gambe della padrona per attirare la
sua attenzione.
Chinandosi per prenderlo tra
le braccia, lo baciò sul musetto peloso dicendo: “Sarà solo per poco, davvero.”
Anche Mykos parve in
disaccordo con le sue parole e Sendala, ridacchiando dal divano in cui era
seduta assieme ad Amill ed Enok, commentò: “Mi sa che te li dovrai sorbire
entrambi, sorella, perché non paiono ben disposti a rimanere.”
Harm sorrise generosamente,
dando una pacca sulla schiena nerboruta di Mykos.
“Decideranno loro se restare
o meno. Io e Ildera non abbiamo problemi.”
Luak poggiò uggioso il
musetto sulla spalla di Eikhe, alternando quella posa drammatica a brevi
leccate sulla sua guancia.
A quel punto, la figlia
sacra non poté che sentenziare: “Mi sa che Sendala ha ragione. Non ne vogliono
sapere di rimanere.”
Guardando il padre con aria
interrogativa, Antalion accarezzò distrattamente un orecchio di Mykos prima di
chiedere: “Pensi che tuo fratello avrà qualche problema ad accettarci a palazzo
con i nostri lupi?”
“Dubito fortemente, visto
come si è comportato l’ultima volta che ne ha visto uno. Di ritorno dalla
guerra, voleva portarsi a casa il lupo di Vesthe” ridacchiò Aken, facendo
sorridere spontaneamente il figlio.
Guardando i suoi due uomini
per alcuni attimi, Eikhe scrollò le spalle e sentenziò: “D’accordo, si va a
Rajana con i lupi.”
Mykos abbaiò soddisfatto
mentre Luak riempì letteralmente la faccia di Eikhe di bava prima che lei,
indispettita e divertita insieme, lo mollasse a terra per poi borbottare
disgustata: “Ma dai, Luak!”
Tutti risero mentre lei, con
un passaggio veloce del fazzoletto, si ripuliva la faccia prima di dire
scocciata: “Ildera, uso l’acqua in cucina.”
Ridendo, la donna annuì.
“Vai pure, Eikhe.”
“Grazie” bofonchiò lei,
prima di fissare male il suo lupo e grugnire: “Con te me la vedrò dopo.”
Uggiolando, Luak si nascose
dietro le gambe di Aken che, ridacchiando comprensivo, lo prese in braccio e,
carezzandolo dolcemente, gli sussurrò: “Ti difenderò io, tranquillo.”