Caro Diario,
è molto strano quando, ogni tanto, nelle
tue più abituali giornate ti blocchi
e un piccolo
frangente di tempo ti fa ripensare al passato. Come una piccola
sfera blu ti
faccia ricordare quanto amavi creare leggere bolle di sapone,
semplicemente
soffiando, e quelle creazioni vivevano il tempo di un sospiro
animate
dal tuo respiro.
Ed è proprio ciò che è successo stamattina andando a lezione.
Io mi stavo affrettando a raggiungere le serre
maledicendomi peressermi
dimenticata del volume di erbologia sul tavolo della colazione.
Avevo appena messo
piede fuori dal castello quando un alito di vento dicembrino
mi fece pentire
di essermi allontanata dal piacevole tepore della Sala Grande.
Mi ero ormai
rassegnata a proseguire la mia camminata nella candida
neve fastidiosa che
si dilettava nell’infilarsi nelle mie scarpe.
Sentii un rumore e mi fermai voltando il mio sguardo alla mia
destra.
Ed è in quell’istante
che il tempo si fermò riportandomi all’età di sei anni:
un bambino della mia
stessa età per le strade della Londra babbana
osservava con aria annoiata le
nuvolette del respiro condensato che gli
uscivano da tenere labbra arrossate
dal freddo. Un freddo bianco come
la sua carnagione.
Una purezza accecante
I suoi occhi grigi
annoiati sembravano quasi nascondere un certo timore,
come se si fosse
trovato in un luogo mai visto prima, ma che con un muto
coraggio, o con
semplice orgoglio, riusciva a dipingersi in volto quella
spudorata manifestazione di superiorità.
Io stringevo la mano di mia madre e lui era solo.
Mi dispiaceva, era
quasi Natale e lui era solo, così,
mentre mia madre era stata distratta da
una vetrina luccicante io
sfilai la mia manina foderata da un pesante guanto
di lana e
raggiunsi quel
bambino.
Accorgendosi della mia
presenza i suoi lineamenti si indurirono
impercettibilmente, chiuse la
boccuccia respirando con il naso.
I suoi occhi taglienti e le nuvolette di
vapore che gli uscivano
dalle piccole narici lo facevano sembrare il drago
che tante volte
aveva animato le mie fabie. Gli sorrisi e tendendogli una
mano
la schiusi rivelando al suo interno una caramella.
Vedendolo
ritrarsi ci rimasi un po’ male, ma non dandomi
per vinta presi una delle sue
mani e gliela depositai
sul palmo guantato da un sottile, ma non per questo
meno protettivo,
guanto di pelle.
Subito una donna
bellissima si avvicinò al bambino lo prese
per mano e lo trascinò
allontanandolo da me, mentre lo rimproverava
di stare lontano dai babbani.
A quel tempo non
sapevo cosa volesse dire e di questo avvenimento
mi dimenticai facendo
passare così circa dieci anni.
Fino
a questa mattina.
Un giovane ragazzo
delicatamente poggiato al tronco di una
betulla ormai sfiorita, ma
appesantita dalla neve.
Le sue labbra decise schiuse a ricevere ossigeno ed
espellere
nuvolette che si disperdevano nel cielo plumbeo.
I suoi occhi fissi manifestavano stanchezza e
solitudine.
Non so bene cosa mi
spinse a farlo, probabilmente solo quel ricordo.
Per
forza, nient’altro può avermi indotta a far levitare di fronte a lui
una rossa caramella.
Lo vidi irrigidirsi e
guardarsi intorno per cercare di capire…mi vide
e chiuse le labbra
assomigliando in modo impressionante a
quel lontano bambino,perso nei ricordi.
Gli rivolsi un
distaccato cenno del capo e mi volsi a proseguire
la mia solitaria camminata verso la serra.
Non so cosa ne fece di
quel dolcetto. Forse lo mangiò,
molto probabilmente lo gettò lontano…come
non so cosa
ne abbia fatto
quel bambino…
So solo che cercai di
combattere la loro solitudine
opprimente nel modo più semplice che conosco: donando…
Per stasera ti devo
lasciare, mio caro diario,
la Sprite mi ha dato tre domande in più per
compito
per essere arrivata
tardi a lezione…
…tua Hermione.