Ed ecco il nuovo capitolo di Ore Wa! Ai recensori: visto che ci voleva poco?
Misaki: ehi! fammi scendere!
Ten: si, si... su, cominciamo la lettura!
Misaki
fissò il caffè appena
portato.
Il suo geniale
piano era più
difficile di quanto immaginasse. O, perlomeno, lo era iniziarlo.
In
realtà, non aveva pensato
a quel punto. Era passato direttamente alla fine.
E inoltre,
pensava che il
loro incontro sarebbe stato più… tranquillo.
«Bevi
il caffè. Se si fredda,
non è buono.» disse Yume, finendo il suo.
«Bevo,
bevo.» borbottò
Misaki, sollevando la tazzina. Il liquido emanava vapore caldo e
odoroso.
«Tieni
la tazzina come una
vecchia arpia.»
Misaki si
bloccò per qualche
secondo.«Certo che, per essere una specie di angelo disceso
dal cielo, un
essere più candido di un giglio sei piuttosto
acida.» borbottò, afferrando la
tazzina con entrambe le mani.
«Sai
già che il mio carattere
è così, quindi non è necessario
mantenere la maschera.» disse Yume, poggiando
la tazzina vuota sul tavolo «Dovresti essere tu a parlare in
modo educato. Non
ho ancora rinunciato all’idea di buttarti giù da
un tetto.»
«Dopo
esserti fatta vedere a
prendere amabilmente un caffè con me?»
«Chi
ha detto che lo farei
oggi? Aproffitterei della prima occasione, rimanendo
nell’ombra.»
Misaki
fissò Yume. Non c’era
la minima esitazione o turbamento o niente che indicasse che stesse
mentendo. Era
fredda, determinata e gelida.
Misaki
sentì rizzarsi i peli
sulla nuca. Se quella ragazza avesse deciso che era pericoloso, sarebbe
morto
entro 24 ore. Per la prima e ultima volta, si pentì di aver
seminato le guardie
del corpo.
Si
mordicchiò il labbra,
fingendo di bere per coprirlo. Era nei guai. In enormi guai.
«Che
proposta dovevi farmi?
E, soprattutto, cosa ci guadagno?»
«Il
mio silenzio.»
«Risposta
incompleta,
moccioso. E chiamami “Yume-dono”,
marmocchio.»
«Ho la
tua età.»
«Se,
certo.»
Misaki si mise a
frugare nella
cartella. Come al solito, l’urgenza di un oggetto e la
probabilità di trovarlo
erano inversamente proporzionali.
Alla fine,
trovò la sua carta
d’identità. La passò alla ragazza.
«Prova.»
Yume la
aprì senza fretta,
irritando sempre di più Misaki.
«Toh,
hai tre mesi meno di
me.» si fermò per un attimo. «Continuo a
sospettare una cosa… Tu… sei
assolutamente cert“o” di essere un
maschio?»
Misaki ebbe la
tentazione di
strozzarla, ma l’istinto di conservazione lo
bloccò. «Si.»
Silenzio. Yume
si rigirava la
tessera fra le mani.
«Misaki.»
«Uh?»
Il ragazzo alzò la
testa.
«Perché
hai ordinato quella
torta?» domandò la ragazza, indicando
l’intatto dolce al cioccolato al centro
del tavolo.
«Se
non l’avessi presa, Hiko»
indicò lo shugo chara appoggiato sulla sua spalla, che
fissava praticamente
ipnotizzato la torta «Non mi avrebbe dato pace. Anche la tua
è golosa, se gliene
dai la possibilità.» Indicò Sui,
sepolta sotto la montagna di buste della
cartoleria (Sia Hotogi sia Suzuki avevano il portafogli a quintuplo
fondo, a
quanto sembrava).
«Tu
non commenti come educo
il mio, io non commento i tuoi metodi troppo permissivi.»
«Hai
appena commentato.»
«Tu
l’hai fatto prima.»
Misaki ritenne
salutare non
opporsi «Ok». Tagliò un angolo della
torta, poggiandolo nel piattino del caffè.
Hiko si fiondò su di esso.
«Chi
si mangia il resto?»
Disse Yume, fissandosi le unghie.
«Non
mi piacciono, m...»
«Lo
mangio io. È un peccato
sprecare il cibo, anche se è disgustoso.» Disse
Yume, avvicinando il dolce.
Misaki non
commentò e tornò a
fissare la tazzina.
«Ci
siamo allontanati
dall’argomento principale.» disse Yume.
«La tua proposta.»
«…
Vado in bagno.» borbottò
Misaki, alzandosi.
Yume lo
fissò mentre si
allontanava.
Sogghignò.
----------
Misaki si
riempì le mani di
acqua fresca. Calmarsi,
calmarsi, bisogna calmarsi. Cal-mar- si. Ci come cambio, a come
assegno, elle come lavoro, emme come mascolino, a come assenza, erre
come
rischio, esse come spread, i come intuizione.
Si
gettò l’acqua sul volto.
«Mi-sa-chin.»
Misaki rimase
zitto, chino
sul lavandino.
«Mi-sa-chin,
sei troppo
nervoso.»
Forse mettere la
testa sotto l’acqua sarebbe utile. No, non riuscirei ad
asciugarmi i capelli.
«Su,
rilassati! Devi solo
ingannarla, non chiederle di sposarti!»
Misaki
sospirò e chiuse il
rubinetto.
----------
«Sono
tornato.» Borbottò
Misaki, sedendosi sulla sedia.
«Alla
buon’ora.» Disse Yume.
Stava di nuovo bevendo il caffè. Non
avrebbe dovuto chiedermelo, prima di
prenderlo? In fondo, pago io…
Solo allora si
accorse che
c’era qualcosa di strano.
Davanti a lui
non c’era più
la tazzina del caffè. La tazzina era nelle mani di Yume.
E al posto
suo…
La sua
adorabile, deliziosa,
profumata, bellissima, adorabile (ops…
questo l’ho già pensato) cioccolatosa
torta era di
fronte a lui.
«Ma…
che….»
«Un
buon caffè, anche se
freddo, è meglio di una disgustosa torta.» disse
Yume, appoggiando la tazzina
vuota sul tavolino. «E tu stavi sbavando dietro alla
torta.»
«Non
mi piacciono i dolci.»
borbottò Misaki.
«Se
vuoi essere convindente,
evita di dire che non ti piacciono i dolci e poi mangiarne una fetta
intera con
un singolo boccone. Ora ingoia, sembri un criceto.»
Misaki, con le
guancie
gonfie, emise un mugolio incomprensibile, che Yume
interpretò (correttamente)
come “Come diamine hai fatto a capirlo?”
«Hai
lasciato sfreddare il
caffè. Nessuno, se non un maniaco dei dolci
l’avrebbe fatto.»
Altri mugolii.
«A
confermare i miei sospetti,
ti è caduto questo.» mostrò un pezzetto
di carta. Lo scontrino della merenda di
prima. «Ti sei pappato seimila yen (60 euro circa) di dolci,
e hai ancora
spazio nello stomaco? Diventerai un piccolo criceto obeso. O stai
facendo le
scorte e passerai l’estate a dormire senza nutrirti? Allora
ti consiglio di
nutrirti meglio. La mancanza di sali minerali ti potrebbe far cadere il
pelo.»
riafferrò la tazzina.
Misaki
degluttì e le sue
guancie si sgonfiarono immediatamente.
«Misachin,
posso picchiarla,
posso?»
sussurrò Hiko, perfettamente udibile.
Misaki gli fece
cenno di
stare zitto.
«Uno:
Posso lanciarti via con
uno schiocco di dita, nanetto pestifero. Rinrazia che la doppia dose di
caffeina mi ha rallegrato.» Yume allungò le gambe
sotto il tavolo.
Misaki non
commentò.
«Due:
Per quanto hai
intenzione di fere lo sciopero della parola?»
Misaki
inspirò, e disse
qualcosa di completamente inaspettato. «Sposami.»
Silenzio
La tazzina
scivolò dalle mani
di Yume, miracolosamente senza rompersi.
Silenzio.
Hiko fu il primo
a riaversi,
urlando.
«Misachin,
sei impazzito? La
mia era solo una battuta! Non buttare via la tua vita così,
Misachiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin!»
Anche da sotto
le buste
provenivano mormorii stupiti.
«La
piccola peste golosa ha
ragione, “Misachin”. Il tuo cervello deve essere
delle dimensioni di quello di
un criceto, per desiderare una cosa del genere.» Disse Yume,
riprendendo la
tazza.
«Il
mio cervello è normale.»
«Chiedere
la mano a una con
cui hai scambiato si e no 50 parole, per lo più insulti,
senza neanche
considerare il mio carattere, non è normale.»
«Meglio
che una che sorride
sempre e si prepara a pugnalarti alle spalle.»
«Sai
di avermi appena
descritto alla perfezione?»
«Si,
ma se tu cominciassi a
comportarti così saprei le tue intenzioni con dovuto
anticipo potrei prendere
provedimenti.» Misaki incrociò le braccia
«Senza contare che con separazione
dei beni e testamento da cui tu sei completamente esclusa, non ti
sarebbe molto
conveniente uccidermi.»
Yume
aprì la bocca, poi la richiuse.
Ruotò la schiena rigidamente, si piegò allo
stesso modo, afferrò la carta
d’identità di Misaki, ritornò alla
posizione iniziale.
La
aprì.
Rimase immobile
per qualche
secondo.
«Tu….
Sei… Uno di
Quei Reino?» Sillabò
«Che
intendi con “quei”?»
«Quelli
della Reino’s
enterteiment. Quelli delli industrie Reino. Quelli degli alberghi
Reino. Quelli
di praticamente Tutto.
La terza famiglia
più ricca del giappone.»
«Seconda.»
«Insomma,
sei uno di Quei
Reino.»
«Temo
di si. È un problema,
forse?»
«Accetto
il fidanzamento.»
Fine capitolo nono: Il giglio carnivoro aspetta, la rosa rossa insanguinata si confessa.
Al prossimo capitolo!
Ten