Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: Mattimeus    30/01/2012    2 recensioni
Vincitore del concorso "Amor, ch'a nullo amato amar perdona - threesome"
Ah, la libertà. Ah, l'amore.
Appena Mary era tornata dalla Scozia, mesi prima, tutti i suoi conoscenti, amici e familiari – suo padre per primo – avevano notato in lei qualcosa di squisitamente nuovo.
Era stata per quasi due anni lontana da casa, ma le sembrava che un'intera vita fosse passata quando, al suo ritorno, ritrovò il familiare paesaggio dell'Inghilterra londinese. Un verde nebbioso aveva accompagnato la sua traversata delle campagne, che aveva poi lasciato il posto alla sola nebbia una volta entrata in città. Come poteva quel luogo tetro far parte dello stesso mondo di ciò che aveva visto in Scozia?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Libertà

“I – fast Wind

driving the Sky dressed of Storms,

sad for Summer's over,

play with Winter weakly,

saying: 'I want the Sun'

but still it's not Spring yet”



Giugno 1814

~Mary~

Ah, la libertà. Ah, l'amore.

Appena Mary era tornata dalla Scozia, mesi prima, tutti i suoi conoscenti, amici e familiari – suo padre per primo – avevano notato in lei qualcosa di squisitamente nuovo.

Era stata per quasi due anni lontana da casa, ma le sembrava che un'intera vita fosse passata quando, al suo ritorno, ritrovò il familiare paesaggio dell'Inghilterra londinese. Un verde nebbioso aveva accompagnato la sua traversata delle campagne, che aveva poi lasciato il posto alla sola nebbia una volta entrata in città. Come poteva quel luogo tetro far parte dello stesso mondo di ciò che aveva visto in Scozia?

La casa nella quale era stata ospitata dominava un paesaggio di montagne – un magnifico paesaggio di montagne – ed era dotata di una ponderata moltitudine di finestre. Perfino nella sua stanza c'era un'enorme finestra che guardava a nord. Da lì aveva potuto cibarsi giorno per giorno di quell'immensità rocciosa, ma, più di tutto, aveva potuto fare la sua scoperta più importante: aveva scoperto se stessa. Perché il mondo non era solamente quella brutta città di Londra, e nemmeno la più graziosa e anonima delle campagne inglesi. Il mondo è di più! Il mondo è vento, cielo e montagne, è mare e fuoco, è vita, dalla sua più piccola manifestazione d'insetto alla più vasta potenza marina. E lei si era accorta di far parte di quel mondo terribilmente immenso e maestoso e aveva pensato alle immani forze che lo governano. Lei, pur essendo un nulla, al pari di tutti gli esseri umani, sapeva di poter comunque agire ed essere se stessa in mezzo a tutto questo. Poteva essere di più della figlia del filosofo William Godwin.

Aveva scoperto la libertà. Aveva scoperto la vita.



Naturalmente queste erano tutte cose che la sua odiosa matrigna non avrebbe mai potuto capire. Per Mary era inconcepibile che suo padre avesse sposato una donna così mediocre.

Per Mrs Clairmont, che da quando aveva sposato suo padre si era messa in testa di poter decidere di lei, la ormai diciassettenne Mary non avrebbe mai dovuto interessasi agli affari del padre e al suo circolo di intellettuali. Secondo Mrs Clairmont, una diciassettenne doveva essere una perfetta donna di casa, pronta da anni a sposarsi ed in grado di portare avanti una famiglia nel migliore dei modi. Per questo, da quando Mary l'aveva conosciuta in giovanissima età, la matrigna aveva tentato di correggerla, quasi che fosse una ragazzina sbagliata.. Ora, dopo quei due anni di Scozia, periodo che lei stessa definiva “un risveglio”, aveva capito che tutti i suoi scherzi e giochi infantili, la sua insofferenza alla rigida educazione della matrigna, erano tutt'altro che sbagliati, erano un preludio a ciò che lei sarebbe potuta diventare: un'anima libera.

Aveva sempre trovato interessanti gli amici del padre, checché ne dicesse Mrs Clairmont, e anzi spesso si intrufolava nel suo circolo anche solo per fare un dispetto alla matrigna.

Si ricordava molto bene la prima volta che si era trovata in una di quelle riunioni. Si era nascosta da Mrs Clairmont che insisteva per farle provare un qualche vestitino che lei aveva iniziato ad odiare ancora prima di averlo visto. Aveva all'incirca nove anni. Entrando in un passaggio della servitù, si era trovata ad aprire la porta di servizio del grande studio di suo padre. Lui e gli altri nemmeno si accorsero del suo ingresso, presi com'erano a dire quelle parole che lei non riusciva a capire. Ma capiva che una fiamma animava quelle parole. Alla fine dell'incontro, suo padre la trovò raggomitolata su una sedia nell'angolo, che si era bevuta tutto quello di cui avevano parlato.

Col passare del tempo, le sue strategie di evasione dalla matrigna si erano affinate, dandole modo di accedere spesso allo studio. Suo padre, più che altro divertito dalla cosa, la lasciava fare, mostrandosi indifferente alle lamentele di sua moglie. Una volta Mary aveva perfino fatto credere alla matrigna di averla preceduta al mercato; questa, uscendo in fretta e furia di casa, aveva passato tutta la giornata a cercarla in giro per la città, senza sapere che lei si trovava appollaiata su una sedia nello studio.

Ma ora che si era risvegliata, sapeva che gli amici di suo padre erano anch'essi individui liberi e coscienti della loro libertà. Per questo, oltre a sentirsi in diritto di partecipare, Mary aveva capito quanto importanti fossero quelle riunioni per la sua libertà.

Eppure, il cambiamento che tutti avevano notato in lei non era niente in confronto a quello che avvenne quando conobbe Percy Bisshe Shelley.





Mr Shelley aveva cominciato a frequentare il circolo di suo padre mentre lei era ancora in Scozia, o almeno questo era ciò che le avrebbero raccontato alcuni amici di lui. In realtà era già un personaggio avvolto da una fama piuttosto turbolenta e misteriosa. Chi diceva che avesse un talento e una mente incredibili, chi pensava che fosse un cialtrone e chi diceva di conoscere con certezza la facilità con cui si indebitava. Mary sapeva di non dover dar credito a quelle voci, perché egli non era ancora così famoso perché fossero vere, né tuttavia tanto sconosciuto che fossero completamente inventate. Ma tutte queste cose di lui Mary le apprese dopo la prima riunione “dopo il risveglio”.

Per partecipare all'incontro di suo padre, Mary si era preparata la migliore disposizione d'animo possibile, pronta ad assorbire come una spugna qualunque cosa di cui si sarebbe discusso. Il signor Percy Shelley le venne presentato come uno dei tanti amici di suo padre. Così per lei lui rimase, come tanti altri, solo un nome associato ad un volto. Almeno finché non lo sentì parlare.

L'argomento che proponeva quel giorno il padre di Mary era stato messo in luce da un tale che aveva scritto su un certo giornale una critica piuttosto pomposa di una proposta di legge di qualche giorno prima. La legge veniva giudicata dal giornalista “un utopico tentativo di raggiungere un altrettanto utopico ideale, tralasciando deliberatamente gli interessi dell'Inghilterra ed esponendola al ridicolo del resto dell'Europa specialmente dopo quanto accaduto durante la rivoluzione francese e il delirio napoleonico”.

Ignorano lo scarso uso della punteggiatura dell'autore dello stralcio, ciò che William Godwin voleva mettere in evidenza era il concetto di Utopia:

«Troppo spesso si parla di Utopia senza rendersene conto e troppo spesso se ne parla coscientemente senza conoscerla, finendo per trattarla con il qualunquismo interessato di questo giornalista.»

Quando ebbe terminato di parlare, ognuno si predispose alla discussione. Mary tese le orecchie e guardò impaziente suo padre, che sedeva come un anfitrione alla scrivania. Ci fu chi si sistemò meglio sulla sedia, chi aprì un libro, chi si spinse gli occhiali sul naso; ci fu anche chi ostentò la sua sicurezza non facendo nulla. Shelley fu uno di quelli e Mary, che era decisa a non lasciarsi sfuggire nulla, lo notò.

Qualcuno iniziò a parlare:

«Utopia è tutto ciò che è impossibile.»

«Non basta» rispose qualcun altro «un'Utopia deve essere anche la speranza di qualcosa di bello. Volare è impossibile, ma non basta questo a farne un'Utopia. Volare è un desiderio, prima di essere un'Utopia.»

«Il desiderio di una cosa impossibile è un sogno» intervenne un terzo «Thomas More coniò la parola Utopia con precisa valenza politica e sociale, riferendosi alla città ideale. Altrimenti non avrebbe dato il nome di Utopia alla suddetta città.»

«Dunque qual è la differenza tra sogno e Utopia?» chiese Mr Godwin.

«Già, qual è la differenza?» disse Mr Shelley. «È importante chiarirlo. Forse sono entrambe cose che non esistono? Non credo. I sogni esistono eccome. Provate a chiederlo ad un bimbo in preda ad un incubo o ad un'innamorata che sogna il suo amante. Risponderanno che è solo un sogno, ma non negheranno mai che sia esistito. E l'Utopia? Esiste anch'essa? E, se esiste, è solo un sogno? Occorre qualche esempio. Prendiamo le romantiche creature che ci consegna la nostra tradizione medievale. Credo che nessuno di voi le definirebbe mai un'Utopia. Dunque sono un sogno, ma un sogno divenuto arte, perché di loro non ci interessa la verità oggettiva, ma ciò che possono raccontarci. Eppure la fate non esistono. Nessun cavaliere ha mai sconfitto un drago. Prendiamo invece un mondo giusto, privo di violenza, ignoranza e povertà. Questa sì che può essere un'Utopia. Quando mi dicono: “sì, certo, sarebbe un bel mondo, ma non esisterà mai. Non sono tutti sognatori come te” sbagliano. Io non sono un sognatore, sono un'utopista. La differenza sta nel poter e nel non poter fare. Perché le fate non esistono? La colpa è della natura, che non le ha partorite insieme alle altre creature. Noi non abbiamo alcun potere in questo. Ma perché non esiste un mondo giusto? Perché l'uomo non ha la forza di crederci, non vuole crederci, e ritiene che sia una cosa impossibile e irrealizzabile… un'Utopia. Ma l'uomo può. Ha la facoltà di agire su se stesso e sul mondo che si costruisce. L'uomo è capace di modificarsi. Per questo, se l'uomo di applica in qualcosa di suo, ha la possibilità di compiere quel qualcosa. Guardate dalla finestra: il mondo pieno di portenti e forze grandiose che sta là fuori, noi lo comprendiamo e ci emoziona. Se siamo capaci di questo siamo capaci anche dell'Utopia. Per questo non credo che esista davvero l'Utopia, perché essa è realizzabile.»

Con un respiro Mary prese la parola: «Voi dunque, che vi siete definito utopista, credete nell'Utopia, che sempre voi stesso avete detto non esistere. Dunque credete in qualcosa che non esiste?»

«Esatto. Ed è proprio qui che sta la poesia, Miss Godwin.»

«E non vedete anche la poesia dei sogni, Mr Shelley? Non credete che le creature dei boschi o il sentimento del volo non siano soltanto desiderio e tradizione, ma contengano anche un ideale? E cosa c'è di più ideale dell'Utopia?»

«Mi trovate d'accordo. Poesia, certo. Arte. L'arte deve essere viva e un cibo dell'arte sono gli ideali. Ma sono gli ideali a servire l'uomo, Miss Godwin, o l'uomo a servire gli ideali?».



È brillante”. Questo era stato il suo primo giudizio su Shelley. Ma, più lo aveva ascoltato, più si era resa conto che quella era un'anima molto più libera di lei, molto più libera di qualunque altra persona avesse mai conosciuto. Perfino di suo padre. Fino a quel momento le consapevolezze alle quali Mary era giunta in Scozia le erano sembrate immense come le montagne che aveva visto. Aveva creduto di aver raggiunto una meta, ma si rese conto che le sue consapevolezze lui non solo le aveva già raggiunte da tempo, ma le aveva anche superate, demolite e ricostruite a suo piacimento, diventando ciò che tutti gli riconoscevano: un poeta.

Lei si sentiva all'improvviso piccola piccola di fronte a quell'anima nobile e gigantesca e si vergognava di essersi creduta grande anche lei. Ma, contemporaneamente a quel sentimento, nacque nel suo animo estasiato l'abitudine a ripensare a tutte le parole che uscivano dalla bocca di lui. Quando rimuginava sulla riunione di suo padre, non riusciva ad immaginare come Shelley avesse potuto diventare la persona che era. “Chissà quanto deve aver viaggiato” diceva a se stessa “e chissà quanti libri deve aver letto, per essere a questo punto”. Era davvero una persona d'eccezione, assolutamente al di sopra dell'ordinario.

Eppure, nonostante lo considerasse inarrivabile, Mary proprio non capiva come avesse potuto avere la meglio sui suoi argomenti. Le erano sembrati ragionevoli, eppure lui ne aveva fatto ciò che aveva voluto, perfino con ottima retorica e con parole incomprensibilmente squisite.

Qualche giorno dopo, proprio mentre stava rimuginando su questo, lo incontrò per caso nel soggiorno, venuto a far visita a Mr Godwin.

«Buongiorno» disse lui. Lei fu colta così alla sprovvista che l'imbarazzo la confuse totalmente, impedendole di biascicare altro che non fosse brandelli di parole. Una volta che ebbe trovato rifugio nella sua stanza, Mary si accorse di essere stata assolutamente incapace di comunicare con lui, e questo la fece inferocire con se stessa. Rimuginò ancora e ancora, finché si risolse a concedersi una rivincita, decisa a prepararsi una risposta coi fiocchi alla domanda che Mr Shelley aveva lasciato in sospeso.

Lo incontrò ancora a cena, la sera stessa. Lui e suo padre stavano ancora portando avanti la discussione che li aveva impegnati per tutto il pomeriggio. Così, anche a tavola, Mary non riusciva a trovare il modo di proferire parola. In uno stato di ansia crescente, continuando a guardarsi intorno per verificare che nessuno se ne accorgesse, il suo imbarazzo rendeva ancor più difficile mettere in atto la sua idea. Fu suo padre ad accorgersi del suo stato.

«Ah, caro Percy» disse interrompendo il discorso «siamo proprio maleducati a protrarre le nostre speculazioni fino a cena! Rimandiamo la discussione e godiamoci i commensali. Guarda per esempio la mia splendida figlia. Non trovi che sia di ottima presenza?».

«Certamente. Miss Godwin, colgo l'occasione per ringraziare anche voi dell'ospitalità».

«Siete il benvenuto, Mr Shelley».

La cena e la conversazione proseguirono in modo canonico e cortese, ma né Mary né Percy sembravano fatti per essere canonici e cortesi. Così fu molto agevole per Mary portale il dialogo dove voleva lei.

«Ho pensato alle vostre parole dell'altro giorno».

«Allora avrò l'ardire di compiacermene».

«Credo che se davvero vogliamo considerare libero l'uomo, egli non debba servire nessuno. D'altronde gli ideali sono idee e costruzioni umane, dunque possono servire a ben poco. Credo quindi che né l'uomo debba servire gli ideali, né gli ideali l'uomo».

«No? E cosa credete, allora?».

«Credo che l'uomo libero debba vivere col respiro, con il cuore e con l'anima: deve respirare il mondo, provare emozioni e poterle raccontare.»

«Molto bene, Miss Godwin. Molto bene. Vedo che avete compreso la poesia».



Al termine della a cena,, quando ormai Mr Shelley aveva lasciato la casa e lei si era ritirata nella sua camera, Mary si sentiva girare la testa. Gli aveva parlato. Non solo: avevano parlato, tutti e due. Uno che rispondeva all'altro.

Non le sembrava possibile, non le sembrava vero. Aveva improvvisamente caldo, così aprì la finestra. Una folata fresca la investì, ma lei non riusciva a uscire dal suo stupore euforico. L'aria fredda avrebbe dovuto convincerla che fosse vero, ma non ci riusciva. La cosa che la stupiva di più, tuttavia, fu che a quell'incontro ne seguirono altri. Lo incontrò in città, nel parco, poi ancora in città e molto spesso in casa. E ogni volta che parlavano, era un viaggio nel mondo e nella libertà dell'uomo. E pian piano lei si convinse che quegli incontri erano reali, che era lei quella che parlava con il poeta Percy Bisshe Shelley; e si accorse che quell'anima inarrivabile le stava accanto, quasi come se fosse dimentica della sua magnificenza e della sua grandezza.

Quell'euforia, quel calore intimo non le scomparve dal petto. Si abituò a quella sensazione mistica, imparò a conoscerla, finché si scoprì ad averne bisogno, a desiderarla. E lui era sempre lì, a parlare con lei.

Ah, la libertà. Ah, l'amore.





Luglio 1814

~Percy~

Lo sapeva, ci aveva scommesso. Ci credeva.

Aveva conosciuto la bruciante forza dell'amore e per questo era conscio di poter ben affidarsi ad una delle potenze del mondo, mentre si era lasciato sedurre. Il fatto di essere già sposato non era stato un grosso problema. E nemmeno a Mary, che sicuramente lo aveva saputo da qualcuno, questo sembrava importare. Lui non credeva nel matrimonio. Credeva nell'amore e nella libertà. Ed Harriet questo lo aveva ben chiaro quando lui aveva accettato di sposarla. Certo, si erano innamorati, lui era stato pazzo di lei, ma il matrimonio era stato solo un mezzo per toglierla a quel delinquente di suo padre.

Lui era già uno spirito libero allora, e anche per questo Harriet l'aveva amato. Quel legame era stato una poesia, aveva sollevato il suo animo fino al più remoto dei cieli. Quel legame era stato tutto, ma era finito. Ora era Mary la poesia. Non era bella, non come Harriet, forse nemmeno così intelligente come credeva lui, ma era una poesia che si librava tra le nubi, alta sopra il mondo. Come lui.

Essere libero per lui doveva essere la cosa più importante. Il mondo, la terra, quella era la cosa più vera che esistesse. Quella, e non le città. Le città erano false, convenzioni obsolete che allontanavano gli uomini dalla verità, ossia che è davvero possibile essere felici in questo mondo, che è possibile vivere tutti insieme pur conservando ciascuno la propria libertà. Purtroppo, questo Harriet non lo aveva mai capito.

Si erano incontrati per la prima volta grazie alle frequentazioni delle quattro sorelle di Percy, m non si sarebbero mai conosciuti se non fosse stato per gli studi di lei. Lui era stato espulso da Oxford per aver pubblicato una polemica in favore dell'ateismo. Aveva sorpreso tutti, perfino suo padre, ed era stato proprio quello il suo scopo: non riusciva più a sopportare quella gabbia di accademico conformismo, ricettacolo di conservatori aggrappati alle proprie convinzioni e interessi.

Quando aveva saputo che Harriet mal sopportava l'educazione accademica, era nata in lui una particolare affezione per quel fiorellino schiacciato dagli obblighi paterni. Perché era suo padre che la obbligava, che la costringeva allo studio contro il suo volere, mentre lei avrebbe potuto sbocciare in mille altri modi.

Cominciarono a frequentasi spesso, nonostante Percy fosse già impegnato in un altro fidanzamento. Per sua natura, egli era irresistibilmente attratto da lei, bellissima vittima innocente del mondo. Sul fatto che Harriet fosse innamorata di lui non c'erano dubbi, si vedeva da come gli parlava, da come lo circondava con le sue braccia, da come gli sorrideva. E anche Percy finì per innamorarsene.

Fu per questo che lei riuscì a convincerlo a sposarsi. Nemmeno allora lui aveva fatto mistero della sua disapprovazione del matrimonio e delle altre inutili convinzioni sociali, eppure si convinse che quella fosse la soluzione migliore per il bene di lei. L'avrebbe tolta dal padre, l'avrebbe fatta sbocciare.

Così si erano sposati e si erano amati. Ma l'amore di Percy li faceva viaggiare, li faceva conoscere persone sempre nuove e idee sempre più rivoluzionarie. E questo Harriet non lo tollerava.

Percy si rese conto che Harriet aveva preso molto più sul serio di lui il matrimonio. Harriet pensava che, una volta sposato, Percy avrebbe potuto essere suo, suo e di nessun altro. Ma Percy non poteva essere di nessuno, perché per Percy doveva essere la libertà la cosa più importante.

Così aveva iniziato a viaggiare da solo, lasciando Harriet - e i due figli che nel frattempo nacquero - da qualche parte, ogni volta soli. Non ruppe il matrimonio, semplicemente se ne disinteressò. E con esso si disinteressò di sua moglie e dei suoi figli, finché conobbe William Godwin, il filosofo.



Anche Mary si sentiva stretta dalle regole convenzionali quanto lui. Ne parlavano spesso, senza mai venirne a capo. Come poter vivere in un mondo che ha le sue regole, senza voler obbedire? Il matrimonio ad esempio – anche di questo parlò con Mary – non è un'istituzione negativa in quanto se stessa, ma in quanto causa la pubblica infamia a chiunque non voglia sottostargli. Percy invece credeva nell'ideale forma dell'amore libero, in cui una donna non è di un uomo, ma una donna ama ed è amata, non importa da quante persone. Come nello stato ideale di Platone e come nell'Utopia di Thomas More, la proprietà e il dominio dovevano essere aborriti. Mary era d'accordo con lui, perfino sull'amore libero, cosa che lo sorprese non poco. Così decisero di comune accordo che tra loro non dovessero esistere gelosie, ma che interessamenti altrui andassero considerati un esempio di amore libero e disinteressato.

Forse era questa la vera differenza con Harriet. Mary lo capiva e Percy si sentiva capito, non più in colpa per aver abbandonato la sua irritabile moglie da qualche parte.

Così Percy decise di fare un altro viaggio, questa volta non da solo. Mary sarebbe venuta con lui e probabilmente sarebbe stata anche uno dei motivi del viaggio. Perché vedere il mondo con lei... non sarebbe stato un altro vagabondaggio per l'Inghilterra. No, questa volta voleva fare sul serio. Voleva andare in Francia, in Italia, voleva uscire dal quell'ipocrita società ammuffita e vederne delle altre e magari scoprire che anche le altre non erano da meno, ma voleva farlo. Voleva esercitare la sua libertà pienamente. E Mary con lui.

Lei fu entusiasta all'idea di passare l'estate in giro per l'Europa con Percy. Suo padre, i suoi amici e chiunque altro un po' meno. Ovviamente la stessa società ammuffita non vedeva per nulla di buon occhio che un uomo sposato viaggiasse per il mondo con una ragazza più giovane di lui. Ma a lui non interessava. A lui interessava soltanto lei.

Organizzare il viaggio non fu difficile, nonostante l'astio generale. Quello che fu difficile fu parlare del viaggio col padre di Mary. Ormai William era diventato un suo caro amico, e l'idea che lui potesse disapprovare gli aveva messo addosso un lieve timore. Sarebbero partiti lo stesso, certo. Ma Percy voleva che William approvasse. Si decise ad andare a parlargli poco prima della partenza, con la carrozza pronta nel cortile e Mary che stava finendo di prepararsi nella sua stanza. William osservava dalla finestra del suo studio: Percy andò a farsi ricevere là.

«Entra.»

«Grazie William.»

«Che sei venuto a fare?»

«A sapere cosa ne pensi.»

«Non ti interessa nulla di quello che penso. Altrimenti me l'avresti chiesto monto prima di oggi.»

«Se non mi interessasse non sarei venuto affatto. So che non le hai impedito di partire. Eppure non mi sembra che tu sia d'accordo.»

«Io non sono d'accordo infatti. Ma lei sì. Non credo che questa bravata possa portarle alcunché di buono. Ma lei sì. Non credo che tu le stia facendo del bene, ma lei sì. E cosa posso fare io, dunque? Nulla.»

«Puoi darci il tuo consenso.»

«Cosa ve ne fate del mio consenso? State partendo lo stesso! Quindi non venire qui a chiedermi il consenso, visto che non ha valore per te.»

«Invece ne ha.»

«La sto lasciando partire. E visto che Mary ha insistito così tanto lascio partire con voi anche la sua sorellastra. Ma non ti darò mai la mia benedizione per quella che penso sia una follia.»

«Che differenza c'è con il suo viaggio in Scozia?»

«Non sei uno stupido, Percy! Non puoi paragonare la Scozia a questo! In Scozia Mary ha alloggiato da un mio fidato amico, a pochi giorni di viaggio da casa, senza dover pensare a come pagarsi il l'alloggio! Tu la stai portando dove nemmeno tu sai, senza un patrimonio decente! E ti ricordo che sei ancora sposato! Quindi vattene e abbi almeno la decenza di non chiedermi il mio benestare!»

«Non capisco. Tu parli di libertà e poi non la assecondi.»

«Sei tu che non capisci, Percy. Puoi viaggiare finché ti pare. Puoi essere libero quanto ti pare. Ma prima o poi devi fermarti e usarle la tua libertà per costruire qualcosa, o finirai per morire con niente. Ti saluto, e spero che tu possa goderti il viaggio. Ora esci dal mio studio.»





Febbraio 1816

~Harriet~

Fuori sulla neve c'era l'azzurro dell'alba, ma il sole non era ancora spuntato.

I bambini dormivano ancora, lei era in cucina vicino al fuoco che faceva bollire dell'acqua. Non aveva mai voluto una domestica, non la voleva nemmeno ora che Percy aveva i mezzi per farsene carico. Anche se era incinta di cinque mesi, Harriet non avrebbe mai accettato di lasciarsi servire da qualcuno; era una cosa che l'avrebbe fatta sentire inutile. E poi a lei piaceva occuparsi delle faccende di casa e dei suoi figli. Era un modo per sentirsi davvero padrona di quella casa troppo piccola. Aveva scelto lei la disposizione dei mobili in modo da riuscire a gestire figli, servizi ed eventuali ospiti. Conosceva ogni angolo di quella casa e ogni suo soprammobile, sapeva quali erano i punti difficili da spolverare e quale fosse la migliore organizzazione della cucina. E aveva anche capito a sue spese che le cose fragili andavano tenute fuori dalla portata dei suoi figli, quindi si era fatta costruire dal falegname un ripiano per la credenza del soggiorno.

I primi tempi era stato difficile. Percy non tornava mai a casa e non guadagnava mai abbastanza, così la casa in cui avevano abitato all'inizio era diventata troppo grande e troppo costosa. Percy aveva preferito traslocare piuttosto che diminuire il personale di servizio, ma quando era stato davvero in crisi finanziaria, anche nella casa piccola era stato necessario ridurre la servitù alla sola balia e alla cuoca. Harriet, invece, aveva insistito con Percy per fare a meno anche di loro due. Lui probabilmente non aveva mai capito il significato di quel gesto, ma tanto erano diventati quasi degli estranei, quindi la cosa che non aveva nessuna importanza. Alla nascita del secondo figlio, Harriet riusciva incredibilmente a badare da sola a quella casa; per cui, tra la cura dei figli e tutte le faccende domestiche di cui si occupava riusciva a stento a pensare a Percy, sempre più assente, sempre più lontano a vagabondare. Non voleva pensarci, non doveva pensare a lui ,perché sapeva che se lo avesse fatto troppo a lungo, sarebbe caduta in uno stato dal quale non si sarebbe più ripresa. Era stato così che era sopravvissuta alla notizia del suo viaggio in Europa di due anni prima con la figlia del filosofo. Fu solamente grazie a quell'abitudine a mostrarsi imperturbabile al destino che la notizia le sembrò scivolarle addosso come qualsiasi altro aneddoto privo di rilevanza. Ma Harriet sapeva che la sua era solo una fragile maschera di gesso. Così cucinava, spolverava e lavava con ancora più convinzione, considerando i suoi figli la miglior cosa che le fosse accaduta. Quando li metteva a letto, le sembrava quasi di essere in pace con se stessa.

Anche in quel momento di quiete intima accanto al fuoco, col freddo fuori e il caldo dentro e il brontolio della pentola vicino, le sembrava che avrebbe potuto essere in pace.

Eppure presto avrebbe dovuto prendere quella domestica, almeno una, perché al quinto mese faceva fatica a fare quasi tutto, specialmente a salire le scale. Doveva rassegnarsi all'idea.

Era stanca di stare in piedi, così si sedette su una sedia che protestò scricchiolando. Ripensò per un attimo a Percy, cercando di non farsi prendere dalla rabbia. Era stufa di arrabbiarsi per lui, non se lo meritava. Non si meritava nemmeno che lei si chiedesse dove fosse in quel momento. L'aveva lasciata sola con due figli e una misera rendita, nonostante la fiducia cieca che lei aveva avuto nel sposarlo. Solo il Signore sapeva quanto lei lo avesse amato e quanto avesse creduto il lui. E a lui non interessavano nemmeno i loro figli.

Pian piano l'aveva conosciuto davvero. Aveva imparato a vedere oltre il bel visino e le belle parole, aveva imparato ad essere in disaccordo con lui, a fargli notare che il suo punto di vista poteva essere sbagliato. Eppure, nonostante i suoi sforzi di dare un senso a quell'unione che le sembrava sempre più una follia giovanile, lui non era cambiato di una virgola. Per lui, la libertà rimaneva la cosa più importante. Anche di lei, anche dei suoi figli. Aveva imparato a piangere e a soffrire per lui senza che lui riuscisse a capirlo, così immerso nelle sue convinzioni da essere sordo a qualunque altra cosa. Harriet aveva perfino provato ad odiarlo, ma era l'unica cosa che non gli era riuscita di imparare. Si era accorta che, nonostante tutto, non poteva smettere di amarlo. Perché quel matrimonio, i loro figli, il loro tempo insieme, erano un un legame che lei mai avrebbe potuto spezzare, nonostante adesso sapesse che era stato un errore.

Era questo a farla infuriare: che non riuscisse ad abbandonare l'idea di lui nonostante tutto quello che lei aveva dovuto passare a causa della sua dannata libertà.

Sì alzò di scatto dalla sedia per non piangere, ma ebbe un mancamento e fu costretta a sedersi di nuovo. Poi riprovò ad alzarsi – più piano – e si diresse alla porta. Quella mattina doveva preparare il pranzo e fare il bucato, oltre a cambiare le lenzuola dei bambini. Ma lei si era svegliata presto e i bambini dormivano ancora: forse poteva approfittarne per prendere una boccata d'aria. Si aggirò per la casa con passo felpato per fare il minor rumore possibile; raccattò degli indumenti pesanti e tornò alla porta. Il pensiero di uscire la fece rabbrividire, m ma era decisa a non rimanere in casa e a non piangere. Uscì sulla soglia, fece qualche passo sulla strada innevata. C'era già del via-vai, la vita le ronzava intorno. Non doveva allontanarsi, non poteva lasciare i bambini da soli. Avrebbe fatto solo due passi, sarebbe tornata subito indietro.

La sentiva. Sentiva quel senso di libertà che si prova andando in giro senza una meta. Cosa aveva di tanto speciale? A cosa serviva, se non poteva essere condiviso? Ecco, quello sì, riusciva ad odiarlo: quel senso di superiorità degli uomini liberi, che credono di sapere tutto. Cosa se ne fanno loro della libertà?

Lei la libertà la sentiva entrare dai piedi nella neve, dalla scelta di non avere una domestica, dai suoi figli. Per lei la libertà si trovava in queste piccole cose che preoccupano l'animo, non nelle grandi cose di cui si occupano i filosofi. Eppure era sola, per cui questa sua strana libertà le risultava del tutto inutile. Percy probabilmente nemmeno pensava più a lei, o la considerava una sciocca.

Harriet, camminando per le vie in risveglio, non si sentiva affatto sciocca. Tirò su col naso. In troppi troppo spesso pagano per la libertà di altri, per qualcosa che nulla ha a che vedere con la loro vita. Percy aveva lasciato i suoi figli senza un padre per la sua dannatissima libertà! Era questo che odiava con tutta se stessa, non Percy. Con lui, questo davvero non le riusciva.

Si rese conto di essersi allontanata troppo. Era arrivata al un canale semi congelato. Tutti i pensieri, tutta la stanchezza del mondo sembrarono calarle addosso come un randello. Basta. Non doveva più soffrire. Percy doveva uscire dalla sua mente, lei doveva essere libera da lui.

In quel momento, il richiamo dell'acqua ghiacciata del canale le sembrò il più allettante brandello di libertà che avesse mai avuto. E la stanchezza spinse i suoi passi verso l'acqua.

Si sentiva leggera, risoluta. Le veniva da sorridere per la facilità di quel gesto, perfino al primo contatto con l'acqua, gelata all'inverosimile.

La corrente del canale dava forza alla sua decisione. Finalmente la sua vita, pur alla sua fine, le appariva chiara, limpida. Si immaginava che in un momento come quello avrebbe avuto un'eternità di tempo per pensare, e questo le aveva fatto paura. Invece tutto stava accadendo in fretta. Arrivò ad avere l'acqua alla cintola, e con orrore guardò il suo ventre rigonfio. Sì ricordò di cosa stava gettando via per quel suo ultimo, folle gesto di liberazione: i suoi figli, i suoi bambini.... e l'ultimo brandello di umanità. Si girò dall'altra parte, disperatamente cercò la riva, ma ormai la corrente aveva dato troppa forza alla sua decisione.

Pianse, mentre lottava con la corrente con tutte le sue forze ormai congelate. Pianse perché stava uccidendo suo figlio, perché ne stava lasciando orfani altri due, esattamente come aveva fatto Percy. Pianse, perché infatti non era migliore di lui, anzi era esattamente come lui, troppo impegnata a distruggere ciò che le stava intorno per la sua libertà per poter davvero creare qualcosa... E pianse, perché ora la sua vita non le pareva per nulla limpida, ma piuttosto un orrido liquame di scelte sbagliate e stupide e... libere. Non le rimaneva più niente, tranne la libertà di quel questo assurdo, la libertà con cui aveva condannato i suoi figli, quella libertà che la faceva piangere, anche sott'acqua.





“I – fast Wind

driving the Sky dressed of Storms,

sad for Summer's over,

play with Winter weakly,

saying: 'I want the Sun'

but still it's not Spring yet”





   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Mattimeus