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Autore: MissNothing    01/02/2012    5 recensioni
"La verità mi offende, ma non quanto la menzogna."
[E' una storia abbastanza vecchia, probabilmente ci saranno molti errori grammaticali, chiedo scusa in anticipo ma non voglio modificarli perché in un certo senso sono la prova dei miglioramenti -anche se piccoli- che credo di aver fatto! Seguito di You Know I'm Gonna Find A Way.]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Until You're Over Me.'
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fg Thehehe, salve a tuuuuuuutti! 
non ho voglia di cominciare in maniera seria, dunque.. YO




AHAHAHAHAHAHHAHAA, LASCIAMO STARE. :'D
Le quattro canzoni blablabla.. 1, 2, 3, 4. 
Bene, non c'ho niente da dire ("Emmenomale").. boh, magari alla fine perché fa più figgy. ADEEIEUEI. <3 




2.
 vongole, gongole, gondole.



Svegliato dalla solita ansia crescente nel petto, aprì gli occhi. Pigramente li stropicciai. La nottata era stata completamente insonne. Mi svegliai dopo solo un quarto d'ora di riposo, troppo agitato e nervoso per chiudere occhio. Inconsciamente, ancora speravo di svegliarmi, guardare alla mia destra e sentire quel solito calore familiare ed i borbottii che faceva sempre dormendo per poi scoprire che era stato tutto un sogno. Anzi, incubo. Avrei voluto alzarmi, sussurrargli qualcosa all'orecchio e perché no, pur di cancellare qualsiasi cosa avessi fatto, mi sarei anche preso la solita cazziata per averlo svegliato. "Mmhh.. nah.. Geeerr.. lasciami dormir.." sbadiglio, sbadiglio, sbadiglio, parolaccia. Girari lo sguardo verso sinistra, borbottando come una nonna con la sciatica; l'orologio a led segnava che erano ancora le 5:31 del mattino e persino quel poco di luce mi fece strizzare gi occhi. Frank dormiva beato nel suo letto. Mi dava le spalle, e, in quel momento, invidiai il finestrino, che se non fosse stato un oggetto inanimato, sarebbe potuto rimanere a guardarlo tutta la notte. Di solito ero io che, da bravo maniaco, rimanevo a guardarlo finché non mi addormentavo. Quando dormiva era uno degli unici momenti in cui non litigavamo: pensavo che sarebbe stato tutto più facile, stando insieme. In un certo senso lo era, ma ci accapigliavamo per ogni stronzata, e forse non era proprio il massimo.. bhè, c'ea un detto che diceva, "l'amore non è bello se non è litigarello". Intuì che forse aveva ancora il broncio perché la sera prima lo avevo, per così dire, "appeso". Ma andiamo, chi avrebbe avuto genio dopo una telefonata del genere?

Mi feci coraggio a scendere dal letto. Per poco non mi ribaltai dalla scaletta (più che altro insieme la scaletta), ma poi finalmente riuscì a raggiungere il bagno. Mi dimenticai completamente del gradino che c'era all'entrata, e perché no, inciampai anche a terra, proprio perché mi mancava solamente un bernoccolo in testa. Arrancai per alzarmi, aiutandomi con qualsiasi spigolo o mobile trovassi. Porbabilmente sembravo totalmente rincoglionito, ma era l'effetto della notte insonne.. speravo. Mi guardai velocemente allo specchio. Avevo pianto un po' qella sera, e avevo gli occhi leggermente arrossati. A rendere ancora di più quell'effetto da "sono appena tornato da un rave di tre giorni", contribuivano anche le occhiaie ed il sonno che mi marchiava chiaramente il volto. Guardai fuori dal minuscolo oblò, unico sbocco di aria e luce, e mi resi conto che a quell'ora per strada c'erano a malapena i piccioni. A nessuno (e dico, nessuno) sarebbe importato del mio aspetto. Il cielo era di un colore davvero poco esitvo: un grigio-azzurro macchiato da qualche nuvola ogni tanto che mi faceva tanto pensare ai tristi inverni. Fortuna che, di lì a poco, quei colori sarebbero drasticamete cambiati. Immaginavo facesse anche un po' freddo, di prima mattina. Frugai nel cesto dei panni lavati e afferrai un paio di jeans (miei o di mio fratello, non importava) e una felpa di Frank. E no, non importava molto nemeno del fatto che mi andasse di almeno una taglia più grande: volevo il suo profumo addosso. Coprì con essa la maglia nera che non mi toglievo dalla sera prima e completai il perfetto completo per un provino di "Lost" con delle scarpe da ginnastica. Fra occhi gonfi, occhiaie e mise da naufrago/barbone, non riuscivo nemmeno  guardarmi. E chi volevo prendere in giro.. anche se razionalmente sapevo che nessuno mi avrebbe visto, ero un complessato del cazzo e non potevo negarlo. Cercai di districare parte dei nodi che avevo fra i capeli scarlatti con le dita, e, passandocele lentamente, feci un respiro profondo e mi preparai psicologicamente a qualsiasi fosse stata la notizia di Lindsey.
Chiusi lentamente la porta del bagno alle mie spalle, e, camminando sulle punte, mi diressi verso la zona giorno dopo un veloce sguardo per assicurarmi che il nano addormentato nel bosco stesse ancora dormendo. Cercherò di sintetizzare lo scenario che mi si presentò davanti senza perdermi in questo triliardo di cose che avrei da dire:
C'erano Mikey e Ray addormentati a terra (o svenuti.. ma li avrei sinceramente presi per morti, e non avessi visto i loro petti fare lentamente su e giù). Il primo, "vestito" come l'indiano dei Village People (e purtroppo no, non è sarcasmo) e il secondo con una parrucca afro (più di quanto non fossero già i suoi capelli) di un anonimo color fuxia neon. Ovviamente non mi esprimo sullo stato in cui era la stanza, perché altrimenti potremmo fare Natale.
Se Ray non avrebbe mai cornificato la moglie, su mio fratello avevo qualche dubbio. Feci un respiro profondo pensando a cosa sarebbe diventata la loro già moralmente discutibile serata se ci fossimo stati anche noi e poi scossi il capo, lascindo stare la mia ossessione per il non far rumore, che tanto sembravano addormentati con dei sedativi per cavalli. Uscì dal bus chiudendo a chiave la porta con la mia copia del mazzo, consapevole che la vera impresa sarebbe iniziata lì: trovare la maledetta piazza di cui mi aveva parlato Lynz ieri. 
A quell'ora per strada c'erano solo dei gondolieri. In pratica erano dei poveretti costretti ad indossare maglie a righe ed uno stupido foulard nei periodi in cui ci sono turisti e accompagnarli per i canali di Venezia su delle.. vongole? gongole? gondole, credo. Poco motivato a nuotare di prima mattina e anche abbastanza sicuro che non fosse troppo legale, chiesi ad uno di loro di portarmi al luogo x. Dopo vari tentativi di farmi capire in altre lingue, nella mia, in quella che (penso) fosse la sua, un piccolo ritorno all'età della pietra attraverso gesti così elementari che li avrebbe capiti anche un feto e altri tenativi che non voglio nemmeno citare, sembrò di aver capito. 
Mi fece salire a bordo e mi portò proprio lì, a Piazza San Marco. 



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Misi tutta la concentrazione possibile nello scendere dalla.. umh, gondola. Non volevo sembrare un totale deficiente e inciampare, siccome sapevo che mi stava già guardando. Feci finta di non vederla subito, ma ahimè, è difficile far finta di non trovare qualcuno in una piazza completamente vuota. Lindsey se ne stava lì, impassibile. Seduta al tavolino di un bar che, per qualche arcano motivo, era aperto già a quell'ora. Due tazzine di caffè, una accanto a lei, mezza vuota, e l'altra ancora piena, dal lato della sedia dove mi sarei dovuto "accomodare" io. Era chinata su un'agendina, segnando chissà cosa. I capelli di un nervo corvino quasi le coprivano il pallido volto, data la posa in cui si trovava. Indossava degli occhiali da sole anche se di sole non ce n'era, e quando alzò di scatto il volto, li tolse lentamente, facendomi un sorriso che era più sull'acido che sul "ciao". Le feci un cenno con la mano e accellerai il passo, che tanto un giorno o l'altro, anche camminando alla velocità di una lumaca col tumore, ci sarei pur arrivato. 
Spostai la sedia, ben attento a non fare quell'odioso rumore di metallo che struscia. Mi sedetti sulla gelida plastica intrecciata, resa ancora più freddo dal fatto che probabilmente, quella notte aveva piovuto. Dopo dieci minuti di silenzio, capì che forse si aspettava che fossi io ad esordire, perciò..
-Umh.. buongiorno.- Borbottai appena. Forse "ciao" era troppo amichevole, no?
-Buongiorno.- Fu glaciale. Mi fulminò letteralmente anche solo con un saluto.
-Bhè.. sono qui.- Mi strinsi nelle spalle, notando solo in quel momento l'abbigliamento poco da lei; indossava un impermeabile beige, ben stretto in vita con un cordino. Probabilmente sotto aveva un pullover nero, proprio come gli strettissimi pantaloni che indossava insieme ad un paio di stivali di cuoio. Dio. Sembrava.. cresciuta. 
-Accomodati, tanto ne avremo per un po'.- Indicò con un cenno del capo la tazzina. Mi sentivo piuttosto ridicolo a bere qualcosa offerto da una donna che per giunta era la mia ex-moglie, ma infondo nessuno gliel'aveva chiesto, perciò.. esitai un po', ma poi feci un breve sorso. Ripose in una borsa la stessa agenda di prima e appoggiò la testa fra le mani. Decisi di incitarla a sbrigarsi piuttosto che continuare il gioco del silenzio, così espressi tutta l'ansia che provavo.
-Così mi uccidi, ti prego. Dimmi.- Tutto d'un fiato e senza risentimenti. O almeno, senza risentimenti nel dirlo.. forse dopo aver ascoltato la notizia, me ne sarei pentito.
-Okay Gerard, se ci tieni così tanto..- Fece un respiro profondo, probabilmente non troppo contenta di quello che avrebbe seguito quella frase. -Sono incinta.- 
In un primo momento non collegai come il suo essere incinta potesse avere qualcosa a che fare con me. Stavo quasi per obbiettare, quando, finalmente, ci arrivai. Tutto ciò che riuscì a fare fu rimanere lì con gli occhi sgranati e tanta, tanta, troppa voglia di urlare. 
-Lindsey..c-c-come?- Aggrottai le sopracciglia, lasciando che il mio sguardo si perdesse a terra, ancora un po' troppo scosso per mettere insieme i pezzi. Fece una risatina acida, come se un suo forte presentimento fosse appena stato confermato.
-Davvero non te lo ricordi?- Mi guardò disgustata, scuotendo il capo. -Tre mesi fa. Era la festa di Jimmy ed eravamo ubriachi fradici. Ovviamente una cosa tira l'altra e..- La interruppi in tempo con un gesto delle mani. Non volevo nemmeno immaginare. Da un lato diventare padre mi sarebbe piaciuto, ma dall'altro.. no. Non per come era la mia vita adesso. Non con chi l'avrei voluta passare (anche perché sarebbe stato piuttosto impossibile). Non in quel momento.
-Ti manderò tutto quello di cui avrai bisogno. Lo vorrei incontrare, ma, ecco.. non vorrei che sapesse che suo padre sono io. Ed io, Lindsey..- Feci una breve pausa. -Non voglio passare il resto della mia vita con te.- Arricciai le labbra, abbassando nuovamente il capo dopo quello sprazzo improvviso di coraggio. Avevo anche solo paura di vedere la sua espressione in quel momento, ma doveva essere piuttosto contrariata.
-Ah, ah, ah.- Risata sarcastica. -E magari lo chiamiamo Frank, maschio o femmina che sia.- Aveva la bocca appena aperta, come faceva di solito quando voleva mantenere un tono sarcastico.
-Ti prego.. non voglio che.. che lo sappia.- Sospirai, tirando su col naso nel tentativo di non fare una sceneggiata da ragazzina.
-Sai, a volte sei simpatico.. perché io spero veramente che tu scherzi!- Il suo tono si alzò sempre più, sempre più, sempre più. Improvvisamente si mise in piedi, slegando il cordino del trench. Scoprì appena un piccolo bozzolo nero, e sinceramente, ancora non riuscivo a pensare che.. che lì dentro ci fosse qualcosa di mio. Mio figlio, mia figlia: maschio o femmina, mi sentivo già in colpa per la vita poco facile che gli si prospettava. E mi sentivo già in colpa perché sapevo che non sarei stato un buon padre. -Lo vedi questo?!- Si trattenne dall'urlare,ma questo la portò a fare qualcosa simile al ringhiare, indicando con un dito la sua pancia. -E' tuo figlio!- Cercò di renderlo ancora più ovvio, schematizzando la situazione come se non ci fossi ancora arrivato. Si allacciò di nuovo il giaccone, tornando a sedersi con un'espressione avvilita in volto. Chiuse gli occhi, poggiando i gomiti sulle gambe e la testa fra le mani. Si lasciò sfuggire un sospiro.
-Hai una settimana per dirlo al tuo fidanzatino.- Cercò di mantenersi sempre acida e distaccata. -E se dovessi scoprire che non lo è ancora venuto a sapere..- Prese il suo cellulare che fino a quel momento era rimasto incustodito sul tavolino. Velocemente compose un numero, e già il suono dei tasti era troppo familiare. Mi mostrò il numero di Frank, bello che composto sullo schermo. -Bhè, lo verrà a sapere da me. E considera che sono già buona, perché così potrai raccontargli la tua versione dei fatti, che di certo sarà ben più censurata della mia.- 
In quel momento mi sentì uno schifo in tutto. Mi sentì uno schifo come padre, come ex-marito, come fidanzato, come persona. Possibile che non ci fosse un solo impegno che sapessi mantenere? un solo legame che sapessi preservare? possibile che non ci fosse niente che mi riuscisse bene?
Annuì senza obbiettare troppo, che tanto aveva ragione. Continuavo a non ricordare praticamente niente di quella maledetta festa, ma come aveva detto lei.. "eravamo ubriachi fradici".
-Bene. E detto questo, me ne vado.- Raccattò le sue cose, gettandole nell'enorme borsa e alzandosi di scatto. La vidi lentamnete allontanarsi senza nemmeno salutare, e forse non aveva tutti i torti.



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Rimasi un po' al bar ad elaborare la situazione, ma poi, quando la piazza cominciò a riempirsi, mi avviai di nuovo verso il canale. Mi accorsi solo in quel momento di quanto fosse un bel posto. I palazzi erano così imponenti che sembrava fossero lì da secoli, e probabilmente, lo erano. Chissà quante storie, quante vite a me ignote hanno conosciuto questi edifici. Forse la mia non è altro che un granello di sabbia in confronto a tutte quelle che, in anni e anni, si sono susseguite. Chissà quante coppie, quanti amori, quanti litigi, quanto di tutto si ammassa fra questi ciottoli di pietra. Chissà da quanto l'acqua scorre in questi canali, chissà da quanto li si naviga. E a dirla tutta, l'Italia è l'Italia. Non tiene il confronto con quasi nessuno dei paesi che, in una vita a girare il mondo, ho visto. E finché eravamo lì, volevo godermi serenamente l'ultimo periodo con lui.
Entrai nell'autobus con un sorrisone. Finto, sì, ma sono un bravo attore. I ragazzi si erano appena svegliati ed erano reduci da una sbornia che, come si preannunciava quella mattina, era colossale. Se ne stavano ancora stesi a terra, stropicciandosi gli occhi fra un "mh" e un "vaffanculo". Provai ad aprire le finestre, ma in quel momento erano come vampiri. 
-Ciao ragazzi.- Dissi frettolosamente, avviandomi verso le cuccette. -A dopo ragazzi.- Continuai con altrettanta velocità quando mi trovai dinanzi al suo letto, dove, ancora dormiva. Cercai di scacciare tutti i pensieri che mi attanagliavano la testa e salì la scaletta. 
Se ne stava con la testa affondata nel cuscino, a pancia in giù. Mi stesi letteralmente su di lui, così cominciai a solleticargli i fianchi. Dopo qualche grugnito dovuto al brusco risveglio, cominciò a ridacchiare.
-T..t..ti prego!- Si affannò fra una risata e l'altra, girandosi di scatto. Gli sorrisi e lo lasciai stare, stendendomi accanto a lui in un angolino di spazio. Riprese lentamente fiato e dopo un po' fu il primo a parlare.
-Che ci facevi già sveglio? sono le otto del mattino.- Sbadigliò, sedendosi con la schiena poggiata contro il finestrino. Cercai di elaborare velocemente una scusa credibile senza andare nel panico, probabilmente riuscendoci ben poco.
-Volevo andare a correre.. ma poi sono rimasto a guardare il paesaggio.- Mi strinsi nelle spalle, osservando Frank che scuoteva il capo sorridendo. Si stropicciò un po' gli occhi, fece un respiro profondo e poi tornò a guardarmi.
-Non hai bisogno di andare a correre, non sei grasso.- Mi diede un colpetto sulla pancia e quasi sobbalzai. -E hai la mia felpa..- Sorrise.. di nuovo. Mi strinse fortissimo a sé, e in quel momento, avrei solo voluto piangere. Probabilmente se ne accorse; c'è una specie di collegamento fra di noi. Stupido a dirsi, manco fossimo gemelli.. eppure..
-Che hai?- Interruppe l'abbraccio per prendermi la mano. Continuò a fissarmi, e credetemi, quando incrociai i suoi occhi, mi sentì di svenire. Gli avrei voluto dire tutto, ma non ero pronto. E niente, continuai a tratteneremi.
-Niente..- Tirai su con il naso. -Dormiamo? ho sonno.- Gli feci il cosìddetto gesto dei pollici, come ad indicargli che stavo bene anche quando era chiaramente visibile che non era così. Mi tolsi i pantaloni, gettandoli direttamente sul mio letto insieme alla felpa. Mi stesi e mi accoccolai fra i cuscini, sotto gli occhi confusi di Frank.
-Oookey..- Sussurrò, stendendosi accanto a me. Lo abbracciai, perché quella sensazione mi era mancata troppo, la sera prima. E sì, avrei voluto essere inghiottito dalle coperte e scomparire.



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Okay. Allora. Cominciamo col dire che 'sto "Jimmy", per chi non lo sapesse, è il cantante dei dei Mindless Self Indulgence, essì, ho messo proprio lui per rimanere in tema, che una festa di un tizio a caso non sarebbe stato credibile, mlmlm. 
Poi. La scena di Piazza San Marco.. io boh. L'ho pensata proprio mentre ero seduta in QUEL bar, in QUELLA piazza, in QUELLA città. Ci tengo mucho, specialmente perché non doveva essere parte di questa storia, ma alla fine, è andata così.. :')
Boh, al prossimo capitolo!
Baci, xMN.

   
 
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