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Autore: Flaqui    02/02/2012    11 recensioni
Albus non è una persona eccezionale.
È un ragazzo normale, con due migliori amici che litigano in continuazione, una sorellina più piccola che si dedica alle predizioni, un fratello più grande che ama mettergli i bastoni fra le ruote e una famiglia di pazzi.
Non è brillante come Rose, affascinante come Scorpius, determinato come Lily, desiderato come James.
E proprio per questo che, dopo un orribile giornata in cui tutto sembra andare storto esprime quel piccolo, assurdo desiderio che gli cambierà l'esistenza.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Note dell'autrice

A questo giro non possiamo proprio lamentarci, eh!
Io ho aggioranto in tempi quasi umani, e voi mi avete lasciato 11 (11!!!!! *.*) recensioni!
Mi sembra un buon compromesso!
Allora prima di lasciarvi con il capitolo in cui avremo i GRANDI RITORNI della pazza sclerotica (Mary), del nerd pallone gonfiato e della assistente ubriacona (Nicholas e Avril), della Teen Drama Queen e del suo fido valletto (Lily e Hugo) e dei due stupidi per cui non trovo nemmeno degli aggettivi calzanti (Rose e Scorpius), sento il bisogno di dirvi grazie.
Grazie, perchè se sono arrivata fino a qui è solo grazie a voi.
Grazie perchè i vostri commenti mi fanno sorridere e mi danno la forza di andare avanti.
Grazie perchè mi state aiutando a uscire da un brutto periodo.
GRAZIE!!
Fra




Capitolo XII

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Guardarti e non poterti toccare mi ferisce
(Grey’s Anatomy)

 
Mary non era stupida.
Ma non sapeva come fosse iniziata, quella storia.
In effetti, per quanto avesse voluto dire al mondo intero che il suo era stato un amore a prima vista, non era stato affatto così. Lei non si era innamorata di James la prima volta che l’aveva visto. Certo aveva subito provato per lui un grande sentimento di affetto, ma non era sicura che tutto fosse iniziato da quel preciso momento.
La prima volta che aveva visto James Sirius Potter era una povera e spaurita bambinetta di undici anni che, tremando come una foglia per il freddo, si era vista recapitare un gavettone pieno di succo di zucca in piena faccia. La ragazzina seduta vicino a lei sulla panca di Grifondoro, erano appena stati smistati, si era messa ad urlare e il suo amico, uno con un enorme massa di capelli rossi per cui Mary provava un enorme irritazione (per evitare di cadere nel Lago, mentre scendeva dalla barca, si era aggrappato al suo braccio, facendo così in modo che fosse lei quella a farsi un bagnetto fuori programma), era scoppiato a ridere.
Un ragazzo più grande, doveva fare il terzo o il quarto, aveva stimato Mary, con dei disordinatissimi capelli neri che non sembravano mai aver visto un pettine in vita loro, fece la sua comparsa seguito da altri tre ragazzi.
Lei aveva rivolto loro uno sguardo agghiacciante, ottenendo da tutti reazioni diverse. Due di loro, il biondo e il rosso, erano scoppiati in una risata ululante, mentre la ragazzina, Lily, strillava loro di smetterla. L’altro, un ragazzo dall’espressione dolce, le aveva chiesto scusa, porgendole un fazzoletto per asciugarsi la faccia.
Mary l’aveva accettato e, dopo  essersi più meno ricomposta, aveva alzato lo sguardo verso il vero artefice del disastro, il ragazzo dai capelli neri che, a quanto aveva capito dalle urla disumane di Lily, si chiamava James.
Il ragazzo, evidentemente suo fratello, si era girato verso la sorella e le aveva rivolto un occhiata complice.
-Ma stai zitta, piccola Banshee, volevamo prendere Ross ma abbiamo sbagliato mira- aveva spiegato, gesticolando.
Poi, si era girato verso di lei e aveva sorriso.
Ha un sorriso bellissimo, si era ritrovata a pensare mentre, improvvisamente, anche lei iniziava a sorridere e il rancore e la rabbia sparivano, sostituite da la strana impressione di trovarsi su una nuvola.
 
Mary non era stupida.
Sapeva che non aveva molte possibilità di riuscita, con James. Sapeva che, oggettivamente parlando, per quanto potesse ritenersi carina, e il suo ego non faceva altro che ripeterlo, come un mantra, c’erano molte altre ragazze più belle e affascinanti di lei.
Ma con il fascino puoi cavartela per un quarto d’ora. Poi è meglio che tu sappia fare qualcosa(1).
E lei sapeva fare tante cose.
Sapeva giocare discretamente a Quidditch e, se quell’anno Lily non l’avesse convinta, o meglio costretta, a iscriversi al coro della scuola avrebbe provato a partecipare alle selezioni. Avrebbe potuto opporsi ma, pur di non rischiare una figura imbarazzante se non l’avessero presa in squadra, aveva accontentato l’amica.
E poi le piaceva cantare.
Ecco, un’altra cosa che sapeva fare, cantare.
Non che James lo sapesse o fosse minimamente interessato alle strane canzoni che il professor Vitius, che, dopo tanti anni ancora gestiva i giovani artisti della scuola, si ostinava a fare loro cantare. Non ne andava matta anche lei.
Preferiva le canzone babbane.
E non solo perché le trovava molto più adatte per descrivere i sentimenti e le emozioni che provava.
Ora più che mai, soprattutto.
Soprattutto alla luce della esaltante e preoccupante rivelazione a cui era arrivata alla fine dello scorso semestre.
Ritornando al discorso iniziale, Mary non era stupida.
Sapeva benissimo che, agli occhi di tutti, la sua non era altro che una ardente e fantasiosa cotta adolescenziale per il principe azzurro che si sarebbe conclusa quando avrebbe trovato un soggetto più bello e meritevole.
E, oggettivamente parlando, lo era davvero.
Come ogni ragazzina infatuata si limitava ad osservare il suo “bello” da lontano, a scrivere pagine e pagine su di lui e sulla sua bellezza sul suo diario segreto con i cuoricini, a ridacchiare, ad arrossire, a nascondersi dietro le colonne quando lo vedeva passare e a non riuscire a spiaccicare parole quando se lo trovava davanti.
Eppure, lo sentiva, era qualcosa di diverso.
Anche le altre ragazze avevano le loro cotte e le loro infatuazioni. Anche le altre passavano il loro tempo ad arrossire, balbettare e pedinare i loro ragazzi.
Ragazzi, però.
C’era varietà.
Non era sempre lo stesso ragazzo, loro cambiavano i soggetti delle loro attenzioni, lei no.
E questo fu, di per sé, il primo indizio.
 
Mary non era stupida.
Un giorno, probabilmente, mentre scendeva a fare colazione, oppure, magari, mentre stava facendo i compiti o, poteva essere, mentre si lavava i denti, aveva all’improvviso realizzato che le piaceva James.
In effetti per essere una che professava di amarlo con tutto il suo cuore da ben due anni, e aver avuto una inclinazione piuttosto pronunciata nei suoi confronti anche negli altri due anni precedenti, non era un vessillo di precisione.
Il punto era che lei non lo sapeva, maledizione!
Non sapeva quando aveva iniziato a vedere James con occhi diversi, a considerarlo qualcosa di più che semplicemente il fratello più grande e simpatico della sua migliore amica, non sapeva quando aveva iniziato a valutarlo come il possibile principe azzurro delle sue remote fantasie.
Non lo sapeva.
Sapeva solo che, piano, piano, la sua presenza era diventata parte integrante dei suoi giorni, la sua voce le era sembrata sempre più armoniosa e vederlo con un’altra, anche solo in una conversazione amichevole, le aveva iniziato a darle il sangue nel cervello.
C’era arrivata.
Piano, piano.
Un giorno si era alzata e, all’improvviso, aveva visto.
L’aveva visto.
E aveva capito che non era una semplice cotta adolescenziale, che per lei non era mai stato solo arrossire, scrivere sul diario con i cuoricini, pedinarlo e tutto il resto.
Ma non era questo il momento di perdersi in ricordi e consolanti parole, si ripetè, mentre, i capelli raccolti in una coda alta e il trucco strategico di Lily sulle guance, si avviava “casualmente” lungo il corridoio del terzo piano, dove si stava per concludere la lezione di Trasfigurazione dei ragazzi del settimo anno.
 
Mary non era stupida.
Ma innamorata si.
E, dopotutto, siamo tutti folli in amore(2).

***

 
Hugo non era mai stato bravo a capire le donne.
Prima di tutto perché, secondo il parere della madre, sembrava aver ereditato dal padre il fattore “sensibilità di un cucchiaino”, secondo perché, davvero, non gli interessava poi tanto il genere femminile.
Trovava davvero assurde quelle loro infantili prese di posizione, quei loro comportamenti da principesse e le loro urla isteriche se qualcosa non andava per il verso giusto.
Perché avrebbe dovuto sbattere il capo contro la parete e dannarsi l’anima come molti suoi compagni per una stupida ragazza che non si sarebbe accontentata nemmeno se si fosse messo a strisciare in sua presenza? Lo trovava inconcepibile.
Ci voleva coraggio e una buona dose di pazienza per entrare in quel mondo oscuro e profondo che era il cuore, e gli altri organi vitali, di una donna.
Ma, se non altro, era bravo a capire Lily.
Ma lei era speciale. In molti sensi e, purtroppo, non tutti positivi.
Se non altro sapeva sempre quando le giravano.
Non era sesto senso o intuizione. Non era una persona molto perspicace e non era istintivo. Non credeva nelle balle per cui invece la cugina andava matta, destini, fati e incontri, stelle e pianti. Non era così sprovveduto benché tendesse a giustificare ogni problema della cugina come una sorta di isterismo dovuto alle sue “cose”.
Che poi, come gli aveva fatto gentilmente notare Lily, non è che le sue “cose” arrivassero quindici volte al mese.
Ma questi erano dettagli inutili e imbarazzanti.
Lo capiva e basta, però.
Quella mattina, relativamente tranquilla, a dirla tutta, stava aspettando sprofondato nella sua poltroncina rossa della Sala Comune che la cugina si degnasse di mostrarsi. Lui e Lily si erano promessi di appoggiarsi e sostenersi sempre a vicenda ma, in conclusione, era sempre lei che lo comandava a bacchetta. In fondo però, gli andava bene, perché lei non era una ragazza qualunque, era Lily e poteva permettersi di bacchettarlo quanto voleva.
Comunque, era lì, in attesa e, ancora prima di vederla scendere dalle scale aveva capito che qualcosa non andava, che fosse di cattivo umore. Lo potè costatare da diversi indizi.
Il primo era che, Mary Orwell, la migliore amica di Lily nonché, a suo parere, la ragazza più carina del loro anno, gli aveva assicurato che Lily sarebbe scesa subito.
E Lily non scendeva mai subito. Era una ritardataria cronica e non solo per i suoi problemi con gli orologi ma anche perché riteneva fosse importante il “farsi attendere e desiderare”.
Il secondo indizio gli venne evinto da una domanda che si pose perplesso –Mary è già qui. Se è già pronta, perché non è scesa con lei? Non vorrà mica stare sola?-
E Lily odiava stare sola, era più forte di lei. Da piccola se lo sarebbe trascinato pur in bagno se sua madre non l’avesse ritenuto sconveniente.
Il terzo indizio fu che, quando la vide, notò che aveva i capelli ricci.
E Lily odiava i suoi capelli ricci. Diceva che, se non se li piastrava,  avrebbe potuto confondersi con la massa dei Weasley. Così, ogni mattina, se li stirava con cura, rendendogli lisci e setosi.
Il quarto e più preoccupante indizio erano gli occhi. Prima di tutto erano contornati da profondi cerchi neri, occhiaie che nemmeno il correttore era riuscito a coprire del tutto. E poi brillavano, e non in senso positivo. Erano, anzi, illuminati da una luce assassina.
Hugo espirò appena, cercando di non irritarla con la sua sola presenza –Ehi…?- tentò, alla fine,
-Un corno- replicò lei –Andiamo su, siamo in ritardo-
-Cioè, alla fine, siamo in anticipo. Rispetto al solito, dico- provò mentre seguiva il suo passo marziale lungo il corridoio.
-Pazienza- fu la lapidaria affermazione della cugina che, con un movimento fluido gli mollò la sua borsa. Hugo ringraziò mentalmente il fatto che Lily ci portasse dentro solo una pochette con il trucco e un quadernetto che le serviva per darsi un’aria da intellettuale, al contrario di sua sorella che viaggiava con mezza biblioteca sulle spalle.
-Ehm… Lils?-
Era normale che avesse così paura?
-Cosa vuoi?-
-Niente!-
Fanculo, fa davvero paura!
 

***

 
Ogni giorno Nicholas si svegliava alla stessa ora.
Senza scherzi, davvero.
Alle sei e venti precise i suoi piedi scavalcavano l’ostacolo delle coperte, e, a tentoni, cercavano le pantofole pelose sotto il letto.
In soli sette minuti era già in bagno, a cantare sotto la doccia fredda. Poi altri cinque minuti per asciugarsi con cura, facendo uscire dell’aria calda dalla bacchetta.
Alle sei e trentadue spaccate un gufo partito da Londra, picchiettava spazientito alla finestra del suo appartamentino, vicino alla Torre dei Corvonero, per intenderci, e gli consegnava la sua “Gazzetta del Profeta”.
Nicholas scacciava via spazientito il gufo, non avevano mai avuto grandi rapporti visto che, complice la sua enorme fobia per ogni tipo di pennuto e la peculiarità di quello specifico esemplare a beccargli le dita, una volta avevano quasi tentato di uccidersi a vicenda, e osservava la prima pagina.
Che gli interessasse o meno, convito come era che qualsiasi storia e opinione, anche la più assurda, dovesse essere presa in considerazione, leggeva tutto il giornale, impiegandoci quattordici minuti precisi.
Poi passava alla sua preparazione e compiva, come una sorta di rituale, con calma e tranquillità, tutti quei gesti abitudinari che aveva ormai da tempo, incorporato nella sua routine.
Camicia a righe, maglioncino, giacca, pantaloni, calzini e scarpe. Di solito, a questo punto, avrebbe dovuto provvedere a riordinare i fogli per le sue lezioni e inserirli con ordine maniacale nella sua cartellina, ma le sue lezioni sarebbero iniziate solo da lì a Sabato, quindi, almeno per il momento, poteva concedersi una pausa prima di scendere a fare colazione.
Altri quattordici minuti, quindi, che impiegava per camminare adagio lungo i corridoi della sua vecchia scuola, gustandosi l’idea di essere, in qualche modo, tornato a casa.
Alle sette spaccate spalancava le porte della Sala Grande e prendeva posto al tavolo dei professori, sotto lo sguardo curioso degli studenti dal primo al sesto anno e quello furioso delle settimo che, dopo aver scoperto che, essendo obbligati a frequentare il suo corso, avrebbero dovuto fare lezione anche di Sabato, tutti i Sabato, per precisare, non erano poi così amichevoli nei suoi confronti.
Alle sette e tre minuti esatti, comunque, dopo aver salutato allegramente i suoi colleghi si lasciva cadere vicino ad un ansimante e scomposta Avril Gins, assistente dell’infermiera, e cercava di trovare qualcosa che andasse bene in lei.
 
La sveglia magica di Avril era impostata per le sei. Ma, essendo quest’ultima di tipo babbano, (quelle magiche non smettono di fare rumore finchè non ti alzi davvero e, poi, devi anche inseguirle per tutta la casa, colpirle quando finalmente riesci a prendere e aspettare una buona manciata di minuti finchè non finiscono di suonare) era facilmente distruttibile.
Così la scaraventava giù dal comodino con un gesto preciso e imprecava per il dolore assurdo al mignolo che si era in tal modo procurata.
E quindi, verso le sei e quaranta, Avril si ritrovava a saltellare per la sua stanza, molto piccola e ingombra di roba, giusto per precisare, in canotta e un solo calzino addosso.
Appena entrava nella doccia si perdeva in riflessioni filosofiche ispiratele dall’acqua calda e, solo all’ultimo minuto, quando aveva finito di assemblare il suo progetto per la conquista del mondo, decideva di insaponarsi.
Si asciugava i capelli con un distratto gesto della bacchetta, rimpiangendo di non aver più tempo per allisciarli, li legava in una coda sommaria e cercava di appiattire i ciuffi ribelli.
Infilava sbuffando la sua divisa, una gonna lunga fin sotto i piedi che la faceva inciampare ad ogni passo, un grembiule bianco latte e una stupida crestina che le era valsa una innumerevole quantità di battutine da parte di suo fratello, e si lanciava alla ricerca dello zainetto blu.
Dopo aver imprecato contro Merlino, Morgana, Nimue e qualsiasi altro personaggio della Storia della Magia che le venisse in mente al momento, si gettava sotto il letto e lo tirava fuori. Poi, apriva con una sola mano il cassetto dell’armadio e tirava fuori i jeans e la maglietta (che avrebbe indossato al posto della divisa non appena Madama Chips si fosse addormentata sulla scrivania) e gli ficcava con malagrazia dentro.
Lanciava un’occhiata disperata all’orologio che la fissava minaccioso dal comodino, il tempo di un’ultima esclamazione colorita, afferrava il giornale che il gufo le aveva lasciato qualche minuto prima alla finestra, e si scapicollava fuori dalla porta.
Correva per i successivi cinque minuti attraversando come un fulmine l’intera scuola, infine, dopo lo scatto finale, si lasciava cadere al suo posto al tavolo degli insegnati, vicino ad un perfettamente composto professor Nicholas Haley, e cercava di trovare qualcosa che non andasse in lui.
 
Lo yogurt babbano era stata una delle piccole innovazioni che erano state inserite e supportate nel menù e nell’andamento della scuola.
Il nuovo preside, Mr Harris, era un Nato Babbano e, nonostante la sua candidatura fosse stata a lungo considerata inopportuna, stava facendo un buon lavoro, cercando di inserire nella vita di tutti i giorni dei piccoli maghi, delle invenzioni e delle situazioni tipiche babbane.
-A piccoli passi, a piccoli passi. Magari non possono comprendere l’utilità della tecnologia ma tutti amano lo yogurt!- aveva riso gioviale.
Il fatto che ci tenesse a integrare la cultura di due mondi così diversi aveva fatto in modo che sorgessero diverse proteste da parte delle principali famiglie purosangue che avevano minacciato di trasferire i loro figli in altre scuole più conservatrici, ma aveva anche ottenuto molti consensi.
Il mondo magico non era ancora pronto per aprirsi completamente ai babbani, ad apprezzare e utilizzare i loro oggetti, le loro scoperte, ma non avrebbe certo avuto nulla da dire di fronte ad una piccola coppetta di yogurt alla fragola.
Comunque, Avril ne andava matta.
Sua madre, quando era piccola e tornava da scuola, le chiedeva come era andata e le dava una coppetta di yogurt alla fragola. E quel sapore dolce le faceva sciogliere la lingua e, improvvisamente, lei si trovava a parlare liberamente dei suoi problemi, con sua madre che sorrideva, furba.
Così quella mattina, come ogni mercoledì mattina, Avril, gli occhi ancora socchiusi dal sonno, allungava la mano oltre il professor Paciock e afferrava il suo barattolino di yogurt.
Lo fece anche quella mattina.
Ma la sua mano, invece di afferrare il contenitore, tastò il vuoto del tavolo.
Gli occhi si spalancarono, enormi, saettando lungo la tavola.
Che gli elfi si fossero dimenticati di portarli?
Che qualcuno dei professori l’avesse preso?
Possibile che il suo yogurt fosse scomparso?
Lanciò uno sguardo lungo la tavolata e potè distinguere benissimo il professor Paciock, a pochi metri da lei, armeggiare con il suo barattolino giallo. Lui lo prendeva sempre all’ananas.
Certo, prima aveva dovuto spiegargli come aprire la pellicola senza cercarsi l’occhio con un coltello, però…
Comunque se il professor Paciock lo stava mangiando voleva dire che gli elfi non se ne erano dimenticati. E poi, essendo loro due gli unici a prenderlo, nessuno poteva averlo rubato.
E allora dove il mio?
Sospirò affranta, poggiando il viso sul palmo della mano e chiudendo gli occhi.
Dove è il mio yogurt?
Dove. È. Il. Mio. Yogurt.
Io voglio il mio yogurt!
-Toutto appousto, Avrìl?- la voce del professor Gerard, un uomo francese sulla quarantina che insegnava Artimazia, le fece alzare il viso, distraendola dai suoi oscuri pensieri.
Sarebbe troppo patetico chiedergli se ha visto il mio yogurt?
-Sto bene, Mr Gerard- asserì, convinta.
Nel farlo si girò verso la sua destra, dove, si sedeva il nuovo noiosissimo e sfigatissimo membro del corpo docente, Haley.
Ora dimmi che razza di materia è la sua?
Preparazione Post Hogwarts?
Ma fammi il piacere!
E poi sarà di Sabato mattina!
Un suicidio!
Oh quanto vorrei vederlo alle prese con Potter e i suoi amichetti!
Per un attimo provò compassione per il povero uomo che le sedeva accanto. Poi, però, lo sguardo le cadde su quello che teneva in mano.
Sulla coppetta di yogurt alla fragola che teneva in mano.
Vaffanculo bastardo!

***

 
Scorpius odiava Rose Weasley, ma di questo abbiamo già abbondantemente parlato in precedenza.
Uno dei tanti motivi però, che probabilmente ho dimenticato di inserire nella stesura delle tante valide motivazioni che la rendevano ai suoi occhi tanto insopportabile, era che, qualsiasi cosa facessero, lei era sempre un passo avanti a lui.
E non si trattava solo di barbose questioni scolastiche o di stupide rivalità fra Case o di altri paragoni figurativi.
No, Rose Weasley camminava davvero sempre un passo davanti a lui. Aveva iniziato a farlo al quarto anno, dopo la “svolta” e aveva continuato a farlo nei due anni successivi.
Scorpius si chiedeva spesso se trovava così divertente torturarlo. Non che avesse mai dimostrato di soffrirne, ma era comunque piuttosto stancante e doloroso dover fare la ronda notturna con, come unica compagnia, la schiena della Weasley.
Come in quel momento.
-Potresti anche rallentare, sai? Non c’è nessuno a quest’ora, è ancora troppo presto. Dovremmo aspettare mezzanotte per le coppiette- commentò, rivolgendosi ai suoi lunghi capelli rossi, che, ondeggiando, sembravano brillare ancora più del solito alla fioca luce delle torce.
La Weasley lo ignorò, come sempre, e continuò a camminare spedita, a pochi passi di distanza da lui. Probabilmente non l’avrebbe degnato di una risposta nemmeno questa volta.
Continuava a mantenere lo sguardo su di lei, non intenzionato, comunque, ad aumentare l’andatura dei suoi passi, non per affiancarla, almeno. Era abituato a vedere solo la sua schiena e, se spostava lo sguardo più in basso, non gli dispiaceva nemmeno tanto.
La cosa che gli dava più fastidio era quella, però.
L’indifferenza.
Se gli avesse urlato contro, se lo avesse picchiato con la scopa, schiantato, minacciato di morte, anche solo guardato, allora si sarebbe sentito vivo. Vivo.
Ma lei lo ignorava e rimaneva a distanza.
Scorpius, in Aritmanzia, aveva studiato i numeri primi. Gli avevano sempre fatto un po’ pena, quei poveretti. Sempre soli, abbandonati al proprio destino.
Ma, poi, c’erano anche i numeri primi gemelli. Erano quei due numeri primi che si trovavano così vicini, separati solo da un altro numero, così vicini, da non potersi toccare.
E lui e Rose erano così.
Due numeri primi che avevano passato la loro vita in piena solitudine, soffrendo e facendo soffrire, ignorando e essendo ignorati, vivendo e facendo vivere.
E poi, all’improvviso, si erano visti.
Da lontano, con sospetto, cauti e preoccupati, con troppo istinto di autoconservazione per provare anche solamente ad avvicinarsi. E, comunque, incapaci di farlo.
Così vicini e così lontani che, anche il solo pensare di potersi toccare, faceva male, tanto male.
 
A Scorpius non era mai andata molto a genio l’idea di innamorasi di qualcuno, come un povero idiota.
I suoi compagni di stanza parlavano sempre delle ragazze con cui uscivano. O, meglio, parlavano fra loro delle ragazze con cui uscivano, e lui, nascosto dietro lo spesso baldacchino del suo letto, con in mano il libro di pozioni, fingeva di studiare e gli ascoltava.
Tomas passava da una ragazza all’altra, Jason stava con Casey da due settimane, Liam non ne voleva proprio sapere.
Tutti, però, erano stati concordi che, semmai si fossero innamorati, non si sarebbero mai, mai, comportati da idioti.
Scorpius, alla fine, li aveva visti tutti cadere.
Tomas aveva passato l’estate fra le donne della sua famiglia, le sue innumerevoli sorelle, tutte le sue zie e cugine, e sua madre, mentre suo padre se la spassava con la sua compagna, e se ne era tornato con i nervi a pezzi e spezzoni di frasi come “L’amore è il sentimento più puro e meraviglioso che esista al mondo” e roba simile…
Jason aveva chiesto a Casey di mettersi ufficialmente con lui e ora lei stava già preparando il vestito per il loro eventuale matrimonio.
L’unico che continuava a mantenere una parvenza di decenza in pubblico era Liam. Ma era risaputo che avesse un debole per una certa ragazza di Corvonero di cui non intendeva rivelare il nome.
E Scorpius scuoteva la testa, nascosto dietro le tende e rideva divertito. Anche se non c’era proprio nulla da ridere, almeno viste le sue condizioni.
Anche lui, prima, aveva sempre detto che non si sarebbe comportato da idiota, con l’amore.
Lui non sarebbe mai diventato come uno di quei rammolliti che perdevano completamente il senno, che blateravano della loro ragazza dicendo frasi come “Non è bellissima, ma ha una grande personalità” e cose del genere.
Non avrebbe esaltato le sue qualità fino al ridicolo, non ci sarebbe caduto come un cretino.
Lui aveva un cervello, dopotutto.
Peccato si fosse poi reso conto che, purtroppo, il cervello, lì c’entrava davvero poco.
Perché quando l’aveva vista, quando aveva capito che si, ci era caduto come cretino, che sarebbe stato anche lui uno di quei rammolliti, il suo cervello se ne era partito per la tangenziale.
Perché era un cretino.
E lei anche.
 
-Sei una frigida, Weasley-
-E tu un coglione, Malfoy-
-Uh, la mamma sa che dici queste brutte parole?-
-E la tua sa che sei ancora in giro alle dieci? Dovresti essere già a letto, non credi?-
 
Scorpius non sapeva se quello che provava per Rose Weasley fosse amore, odio, indifferenza, paura, rabbia, rancore, gentilezza, attrazione fisica o spirituale.
Sapeva solo che, per quanto loro non fossero i soliti fidanzatini tradizionali, quelli che si tengono per la mano, che si siedono vicini e passano tutto il tempo attaccati, lui si sentiva come qualunque altro cretino innamorato.
 
 
 
 
 
(1) “Con il fascino potete cavarvela per un quarto d’ora. Poi è meglio che sappiate fare qualcosa.”(H. J. Brown) È una vera perla di saggezza, non trovate?
(2)“Siamo tutti folli in amore” frase rubata dal bellissimo film “Orgoglio e Pregiudizio”, che, a mio parere, era quasi all’altezza del libro.
   
 
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