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Autore: alicerovai    02/02/2012    3 recensioni
Un'intensa nebbia angoscia gli abitanti di Duckburg. C'è paura, malinconia: è come se dovesse accadere qualcosa, ma nessuno riesce a capire cosa. Un agonia terribile attanaglia tutti.
Cosa accadrà? Riusciranno a ritrovare la luce?
Nota: i personaggi sono visti come umani. Di conseguenza le emozioni sono più intense, più reali.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ebbene, ecco il secondo capitolo! Ringrazio coloro che hanno recensito: ricordate che, se recensite, mi date un incentivo a continuare a scrivere la fiction XD No, veramente, fa sempre piacere vedere che qualcuno perde qualche minuto della propria vita per te! :P

Dunque, buona lettura!

 

Spheater

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Daisy teneva lo sguardo basso, cupo. Osservava i suoi piedi mettersi uno davanti all'altro, lenti.

Non era sola: accanto a lei c'erano Jennifer e Julia, che camminavano allo stesso ritmo, in silenzio.

Le tre amiche avevano deciso di ritrovarsi in centro per fare un po' di shopping, ma ancora nessuna di loro era entrata in un negozio e tanto meno ne aveva parlato.

Questa cosa mandava Daisy in escandescenza, ma non sapeva da dove cominciare. Le altre due camminavano ed era come se non esistessero.

Daisy si disse basta.

Si fermò di colpo, e le altre due la guardarono.

« Daisy? » la chiamò Julia.

La ragazza non rispose. Poi, mordendosi un labbro, alzò lo sguardo.

« Allora? Non facciamo niente? »

Jennifer abbassò lo sguardo, imbarazzata. « Ecco, io... dovrei... avrei un... »

« … impegno, anche io » sopraggiunse Julia.

Daisy alzò un sopracciglio. « Mh. E perché me lo dite ora? Ci siamo trovate, non abbiamo nemmeno parlato e... »

« Insomma, Daisy, guardati attorno! » la interruppe Jennifer, indicando attorno a sé .

Daisy non mosse un muscolo.

« Fa freddo, con questa nebbia non si vede niente e.... che ci facciamo qui? Tanto vale andare a casa, usciremo quando sarà bel tempo »

Julia annuì, convinta.

Daisy alzò le spalle. « Come volete. Ciao » si voltò, incamminandosi verso casa.

Le due amiche rimasero a guardarla, quasi non fossero così certe di stare da sole. Inoltre non si erano aspettate la reazione di Daisy.

E la stessa, mentre camminava, si sentiva sola e perduta, in mezzo al grigio.

Perché non ho chiesto a Donald di accompagnarmi? Lui non mi avrebbe abbandonata nel mezzo della città, senza un valido motivo! Sono stata una stupida!

Voltò a destra, ritrovandosi in un vicolo ancora più buio e stretto.

Teneva sempre la testa bassa, si guardava sempre i piedi. A un certo punto si accorse che qualcuno le era davanti e vicinissimo, ma non fece in tempo a scansarsi: andò letteralmente addosso a un'altra persona, facendo cadere lei e sé stessa.

Stordita e confusa, Daisy si rialzò, mormorando mille “scusi” all'altro individuo, che, alzando gli occhi, scoprì essere Brigitta.

« Brigitta! »

Brigitta, ancora a terra, guardava tristemente quelli che sembravano resti di una mega torta alla fragola e al cioccolato.

« Daisy, scusami, non ti avevo vista... » mormorò la bionda, a terra.

La ragazza aiutò l'amica a rialzarsi, guardando anche la torta spiattellata a terra.

« Oh no, scusami tu, io... mamma che disastro, scusami, ma guardavo in basso e non ti ho vista arrivare... scusa, scusa... che torta era...? » le chiese, immaginando però la risposta.

« Era per Scrooge, sai, so che in questi giorni ha qualcosa che non va, e... insomma, l'avevo fatta io e... bhe, ormai è tardi » Brigitta si mise un po' in sesto i capelli, poi si spazzolò il vestito blu.

« Santo cielo, come posso fare? Ti ho rovinato tutto! Ma ho un'idea: andiamo in una pasticceria, qui accanto c'è la migliore, e ti compro io una bellissima torta, così poi la porti allo zio » Daisy si avviò per tornare indietro, ma Brigitta le afferrò il braccio.

« No, Daisy! Davvero, ti ringrazio, ma non ti devi preoccupare: era una causa persa, se l'avessi portata a Scrooge sicuramente non l'avrebbe voluta, perciò sarebbe stato comunque tutto inutile. Era solo l'ennesimo tentativo, non fa niente » le sorrise, per farle capire che davvero non c'erano problemi. Ma era un sorriso triste e modesto, e Daisy capì che non c'entrava la torta.

« Brigitta, cos'hai? C'è qualcosa che non va? »

« Oh, no, niente! È solo che ho freddo. E mi inquieta questa... questa nebbia. Forse è meglio se andiamo a casa mia, è la più vicina. Puoi venire? »

Daisy non poteva certo dirle di no, e poi, se stava con Brigitta le si risolveva il pomeriggio rovinato da Jennifer e Julia.

Perciò, poco dopo, erano entrambe nella piccola villetta di Brigitta, al caldo e a bere una tazza di the.

Daisy, mentre beveva, osservava tutte le foto che Brigitta aveva attaccato nel proprio salotto, alcune ritraevano lei e Donald, altre (le più numerose) Scrooge da solo, e altre ancora erano foto di gruppo.

« È da molto che non vedo Scrooge. Per questo oggi avevo deciso di andare da lui, anche perché avevo saputo da Battista e da Archimede che è nervoso in questi giorni, forse perché tutti gli altri miliardari sono temporaneamente spariti dalla scena. Scrooge è l'unico e non sa nemmeno lui che fare » disse Brigitta.

Daisy mise del miele nel proprio the e lo girò col cucchiaino. « Donald mi ha detto che anche lo zio adesso ha smesso di lavorare per un po'. Battista è stato molto chiaro: inoltre sembrava sollevato »

« Sicura? Come è possibile che si sia fermato? Non è da lui! » Brigitta sembrava sorpresa.

« Così Battista ha detto a Donald. Ad ogni modo, se lo vuoi vedere, potremmo andarci tutti insieme: magari non sarà così sgarbato, no? Voglio dire, se siamo tutti insieme -io, Donald e te- non ci tratterà male »

Brigitta scosse la testa.

« No, sarebbe un disastro. Apprezzo la tua buona volontà ma, se vengo anch'io, non avrà problemi a trattar male anche voi. Ricorda che è nervosissimo, in questi giorni. Dice che non gli si possa stare accanto: e già è nervoso di suo, anche quando sta bene » Brigitta finì il the in un sorso e appoggiò la tazza sul tavolino davanti a sé.

Daisy fece altrettanto.

« Allora, quando vuoi andare? » chiese.

« Oggi pomeriggio. »

 

 

 

 

 

 

 

* * *

 

Viale dei Fortunati, 34.

 

 

20 novembre 2011, lunedì

 

Ore 8:00............................................................................................................

Ore 9:00............................................................................................................

Ore 10:00..........................................................................................................

Ore 11:00...........................................................................................................

Ore 12:00...........................................................................................................

Ore 1:00..............................................................................................................

Ore 14:00............................................................................................................

Ore 15:00............................................................................................................

Ore 16:00.............................................................................................................

Ore 17:00.............................................................................................................

Ore 18:00.............................................................................................................

Ore 19:00.............................................................................................................

Ore 20:00..............................................................................................................

 

 

 

«Ahahah! E che te la sei comprata a fare un'agenda, se non fai nulla dalla mattina alla sera? »

 

Agenda vuota.

Nuova di zecca, comprata al supermercato. Questa non l'aveva vinta, no.

La mia fortuna sa che Donald ha ragione: non ho mai vinto un'agenda, perché io non faccio niente dalla mattina alla sera, come mi ha già ricordato.

Gastone gettò la piccola agenda lontano, per terra.

Sono io l'illuso che vorrebbe scriverci qualcosa, così da uscire e sapere quello che mi aspetta: qualcosa che però sia diverso da vincite, premi, concorsi, sorrisi ipocriti. Qualcosa che... che io farò. Con le mie mani, con la mia testa! Perché io ce l'ho un cervello, delle mani: magari ho anche qualche capacità, solo che non lo saprò mai perché... perché non ho mai tempo, appena metto piede fuori casa ecco che tutti mi vengono incontro e mi riempiono di premi! Fossero poi premi utili! Premi con cui poter dimostrare una qualche mia capacità, se mai ce l'ho.

Ecco, questo non lo saprò mai.

 

Molte volte Gastone si era ritrovato a fare questi pensieri, e in quegli attimi aveva provato sempre rabbia e frustrazione; ma stavolta era diverso, provava pure tristezza, e nella sua mente rimbombava la risata fredda di Donald.

Non si era mai saputo spiegare il perché di così tanta differenza fra lui e il cugino; le prime volte, aveva finito per dire “è il destino”. Ma dire così non è certo una conclusione, anzi, ti lascia col fiato sospeso. Gastone era rimasto col fiato sospeso fino a quel giorno, e, molto probabilmente, sarebbe rimasto così per il resto della sua vita: non sempre si può avere una risposta.

Non sempre si può avere una risposta...

Quante volte Donald aveva cercato, in tutti i modi, di diventare fortunato? Quante volte aveva odiato Gastone, quante volte lo aveva beffeggiato? Tantissime, così tante che Gastone non le ricordava neppure... e, dal canto suo, ricordava bene invece quante volte lui aveva preso in giro Donald per la sua sfortuna, quante volte aveva portato con sé Daisy, e quante volte Donald si era ritrovato da solo...

Perché tutto quell'odio, tutto quel rancore? Solo per uno stile di vita? Possibile?

Anche questa era una domanda a cui Gastone non riusciva a trovare risposta.

Sapeva anche che, quelle volte in cui lui aveva detto a Donald “non sarai mai fortunato come me, cuginastro” e l'altro si era messo a urlargli contro con un'ira feroce, in realtà Gastone, nel suo profondo, aveva pensato: forse non ti perdi molto, Donald.

No, Donald non si perdeva proprio niente, lui, con la sua sfortuna, a volte, sapeva essere fortunato: parenti lo consolavano e lo aiutavano; Gastone non aveva nessuno, perché la sua fortuna lo rendeva immutabile da ogni aspetto. Passava come una persona fredda e senza bisogno di niente, perché lui aveva già tutto; ma era proprio questo il punto, in realtà, Gastone non aveva niente, almeno non le cose più importanti di tutto: l'amore e l'amicizia.

 

Gastone strinse forte i pugni dalla rabbia, e una lacrima gli scivolò via.

 

 

 

 

 

* * *

 

 

 

 

 

« Chi è? »

Brigitta deglutì.

Si avvicinò al citofono e sussurrò:

« Sono io, Brigitta »

Silenzio.

« Signorina, lei sa che non è la... ehm... più... gradita, qui, dal principale... le... le consiglio... »

« Non me ne vado, Battista; so che ti preoccupi per me, ma so il fatto mio. Grazie »

La donna aspettò con le braccia incrociate, e la porta d'acciaio si aprì.

Appena entrò, essa si richiuse da sola, lasciando Brigitta al buio. Poi la luce venne accesa e Battista apparve alla base delle scale.

« Buongiorno. Vorrei vedere Scrooge, e subito magari » gli disse Brigitta.

Battista la guardò. Poi sospirò e le fece salire le scale, a bocca storta.

« Bhe, io gliel' ho detto » disse poi, seguendola.

Brigitta sorrise. « Andiamo, non è certo la prima volta! Al massimo mi sbatterà fuori come sempre. Ci sono abituata »

Finite le scale, Brigitta entrò nell'ufficio di Miss Quackfaster. La segretaria la guardò allarmata.

« No, Miss, non... »

« Grazie Miss Quackfaster, ci penserò io » la interruppe Brigitta.

La donna sentiva dentro di sé una forza e una volontà inaudita; sentiva che stavolta si sarebbe fatta valere. Non aveva intenzione di cedere, di farsi trattare male. Aveva detto basta.

Aprì la porta dell'ufficio di Scrooge e la richiuse forte dietro di sé.

 

Scrooge era a sedere sulla sua poltrona, e poggiava i piedi sulla scrivania, in una posa assolutamente di relax.

Brigitta non si aspettava questa scena, così rimase un po' interdetta.

« E tu che vuoi? » le chiese lui in tono brusco dopo alcuni secondi.

Brigitta aprì bocca ma la richiuse subito. Durante l'andata, aveva raccolto nella sua mente tantissime frasi perfette da dirgli, di quelle frasi che ti lasciano a bocca chiusa. Ma... adesso non se ne ricordava manco una.

Fece un passo, aprì la bocca un'altra volta ma poi si morse il labbro.

Accidentiaccidentiaccidentiaccidentiaccidentiaccidentiaccidentiaccidenti!

« Allora? » disse Scrooge, senza muoversi di un centimetro.

Brigitta, come d'istinto, raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo e a grandi passi si avvicinò alla scrivania; prese Scrooge per il colletto della camicia e se lo portò talmente vicino che i loro volti quasi si sfiorarono.

Lo guardò fisso negli occhi verdi, intensamente, decisa e arrabbiata.

« Qualunque... qualunque cosa tu stia pensando, sta' tranquillo che non farò nulla di “terribile”, per come la pensi tu; io ti devo solo dire che non ho mai conosciuto qualcuno più egoista, avaro, taccagno, cinico, furbo, intelligente e... e... » la voce di Brigitta cominciò a tremare, e la sua vista si annebbiò: odiava piangere, ma sembrava inarrestabile. « … e... e... e buono, generoso, dolce, g-gentile...! Oh, Dio... » lasciò Scrooge, mettendosi a singhiozzare. « P-perché... perché ti amo ancora, perché... t-ti amo. E per questo sto anche piangendo come... come una qualsiasi! Oh, quanto ti odio, ti odio perché... perché ti amo! Ah! Non è buffo? È patetico! Ti odio perché ti amo... oh... »

Brigitta si lasciò andare per terra, appoggiandosi alla scrivania.

Smettila, smetti di piangere, ti rendi conto di quello che hai appena detto e fatto...? Smettila, smetti!

« Brigitta... »

Smetti... di... piangere.

« Brigitta »

La donna alzò lo sguardo. Vide Scrooge; si era alzato, e adesso la fissava tristemente, come se provasse pena.

« Ah, no, non guardarmi così! » con un gesto del braccio si asciugò le lacrime, si alzò e cercò di non guardarlo. « La pena è un sentimento orrendo! E io sono una stupida. Me ne vado... me ne vado, scusa... il disturbo »

Corse alla porta, quando la mano di Scrooge la fermò per il braccio.

« Mi dispiace, va bene? Ma aspetta, per favore » disse Scrooge.

Brigitta guardò prima il suo braccio bloccato, poi Scrooge.

« Cosa c'è? » Brigitta cercò di liberarsi, invano.

« Senti, lo so che... questi giorni sono strani, e cupi, ma io non me la sento di comportarmi male di conseguenza. Perciò... » Scrooge sembrò farsi coraggio dentro di sé. « … Sappi che... qualsiasi cosa ti... ti accada, qualcosa di spiacevole, sia di minor rilievo che no... bhe... »

Brigitta non smetteva di fissarlo. Le brillavano gli occhi per la sorpresa e la commozione, anche se non capiva dove l'altro volesse arrivare.

« … Io non mi tirerò mai indietro, sappilo. Ti aiuterò » a quel punto le lasciò il braccio.

Ci furono parecchi secondi di silenzio che a Scrooge parvero ore e ore.

Oh, bravo. L'hai detto. Bravo idiota.

E adesso?

Che fai?

Praticamente è come una dichiarazione d'amore per lei...

Un bacio dolce sulla punta del suo naso interruppe questi pensieri di colpo.

« Che cos...? »

Brigitta lo abbracciò, interrompendolo di nuovo, con un largo sorriso e lacrime di gioia sul volto.

Scrooge aveva lo sguardo fisso nel vuoto, incredulo di ciò che era appena accaduto.

« Oh, Scrooge! » sospirò Brigitta, stringendolo ancor più.

Dal canto suo, Scrooge arrossì, imbarazzato. « Ehi... ehi, ora basta »

Prese le spalle di Brigitta e delicatamente la allontanò da sé.

Lei lo guardò dolcemente, lui voltò lo sguardo.

« Grazie, Scrooge. Ora vado. Grazie, grazie, grazie... »

Con ultimo raggiante sorriso, Brigitta uscì dall'ufficio chiudendo la porta dietro di sé.

 

 

 

 

 

« Non ci provare! Ti avevo già detto che avrei avuto bisogno di aiuto, adesso non puoi certo tirarti indietro! »

Daisy camminava avanti e indietro sul marciapiede, agitata e col cellulare all'orecchio.

« Donald! Non ci sono scuse! » esclamò, fermandosi. « Tu adesso vieni qui da me, subitissimo, e mi aiuti! A dopo! » e riattaccò.

Sbuffò, guardandosi attorno.

Chissà quando arriverà, accidenti! Mi farà aspettare qui, in piedi, da sola al freddo... con questa nebbia del cavolo.

Ah, no, io entro! Qui a congelare non ci sto.

Si guardò velocemente intorno e adocchiò una pasticceria all'angolo della via, dall'altra parte della strada.

S'incamminò verso il semaforo, chiudendosi il cappotto alla gola, infreddolita.

Fa ogni giorno più freddo! No, forse mi lascio suggestionare troppo... devo bere qualcosa di caldo.

Mentre ancora le macchine correvano veloci, e il semaforo diventava giallo, il cellulare di Daisy suonò dalla borsa.

Chiedendosi chi potesse essere -sulle prime le era venuto in mente Donald, magari con un'altra scusa- rimase sorpresa nel vedere il nome di Brigitta sul piccolo schermo.

« Pronto? » chiese, tenendo d'occhio il semaforo di fronte.

« Daisy! Oh, Daisy, devo assolutamente raccontarti...! »

Proprio adesso? Acc...

« Dimmi, dimmi... »

« È stato fantastico, io non me l'aspettavo proprio, ero venuta con l'idea che sarebbe andato tutto a rotoli e invece... invece... Daisy, Daisy, come faccio a raccontartelo? Dovremmo vederci, non posso per telefono, dovremmo vederci... »

Scattò il verde.

« Ehm, Brigitta, sono contenta per te. Mi pare di capire che lo zio non ti ha trattata male, giusto? »

Brigitta continuò a parlare a Daisy per altri 5 minuti buoni, che intanto attraversava la strada.

Però, dopo essere stata fuori dall'uscio della pasticceria per quei 5 minuti -come una grulla, pensò- decise di troncare i discorsi sognanti dell'amica, dicendole che doveva lasciarla perché occupata.

« Oh, certo, scusami! Ci risentiamo! Ciao » si affrettò a dire Brigitta dall'altro capo del cellulare.

« Ciao » e Daisy riattaccò.

Puff.

Daisy spinse la porta della pasticceria ed entrò. Faceva una bel calduccio, e c'era un odore di dolci che ti faceva venire l'acquolina in bocca. Adocchiò subito l'unico tavolo rimasto libero e vi ci si fiondò.

Chissà che avrà detto lo zio di incredibile per rendere così felice Brigitta. Però, a parte tutto il tempo che mi ha fatto perdere al freddo, sono contenta per lei. Ne parlerò a Donald quando arriverà, non ci vorrà credere: poi magari andremo anche noi dallo zio, così, a parlarci un po'. Il nervosismo deve essergli passato.

Inconsapevolmente sorrise, presa da un attacco di ottimismo.

Questa nebbia sparirà. Sparirà insieme a tutte le superstizioni della gente, e alle loro paure.

Svanirà nel nulla.

  
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