Con un solo sguardo mi aveva messo a nudo e aveva descritto la parte più difficile della mia vita. Tutti mi consideravano riservata e fredda, difficilmente facevo trasparire le mie emozioni, era vero anche che non avevo amici ne amiche, ero sola al mondo. Lo congedai con un tono molto distaccato e andai in camera mia. Non sarei riuscita a reggere una parola in più, ne tanto meno il suo sguardo. Mi tornarono alla mente tutte le umiliazioni che avevo subito a scuola, gli sfottò solo perché mi piaceva studiare al contrario dei mie amici di classe restavo a casa tutte le sere per studiare o anche semplicemente per leggere, la mia grande passione; per non parlare dei miei genitori, era tutto così confuso, era da tanto che non ci pensavo, lui aveva scatenato tutto questo.
Mi sveglia di colpo, forse un incubo. Tutto quello che ricordavo era una figura dai capelli biondo scuro, molto mossi e due occhi chiarissimi … era lui l’avevo sognato, così mi sembrava. Allungai la mano per prendere la sveglia, sul mio comodino trovai un biglietto e un fiore: una piccola margherita,''il mio fiore preferito”. Molto probabilmente non si trattava di un sogno, era davvero entrato in camera mia. Lessi il biglietto:
“Ho preso il doppio delle chiavi, starò fuori per molto. La cena la offro io stasera. SH ''
Ero basita. “Il fiore era un modo per chiedermi scusa?. Cominciamo bene” pensai.Malgrado i brutti ricordi che mi avevano ispirato le sue parole ieri, apprezzai moltissimo il suo gesto, lo trovai molto “carino”.
SH
‘’Io Sherlock Holmes ero dispiaciuto, roba da non crederci”. John Watson avrebbe riso di me e rincarato la dose con un “ti stai rammollendo per caso?”. Non riuscivo a smettere di pensare alla sua espressione, quegli occhi così tristi, ci ero andato giù pesante, non avrei dovuto indagare così a fondo, eppure era così chiaro per me, forse perché in lei riconoscevo me stesso.
Avevo passato tutta la giornata fuori fino al tardo pomeriggio per cercare informazioni riguardo la mia presunta morte e soprattutto sulla morte di Moriarty. Avevo trovato parecchi articoli ma niente di interessante. A quanto pare non ero stato abbastanza bravo nel recitare la parte del morto, alcuni infatti sostenevano piani ingegnosi affermando che era tutta una messa inscena, ma la verità era ben lontana. Mi colpì la dichiarazione di Lestrade “Aveva collaborato con noi nei casi più intricati, mi mancherà come collega, ma molto di più come amico”. “Per qualcuno ero un amico” … mi ritornarono in mente le figure di John e della signora Hudson ma quel pensiero fu subito abbandonato quando raggiunsi la mia nuova casa.
Di Rebecca nemmeno l’ombra. Diedi un’occhiata alla casa, la cosa che mi colpì fu la quasi assenza di oggetti tecnologici: non possedeva un computer ne tanto meno lettore dvd o cellulare all’ultima moda, molto probabilmente era un’impedita e tutto ciò era un punto a mio favore, cercando su internet avrebbe scoperto fin troppo.
La sua camera era quasi spoglia, “strano per essere la stanza di una ragazza”, o si era trasferita da poco oppure era semplicemente una persona essenziale. Mi colpì la libreria ricca di romanzi soprattutto, da Jane Austen a Virginia Woolf, sotto sotto aveva un’indole romantica al contrario di quello che faceva trasparire, o meglio, di ciò che voleva sembrare. Mi colpì l’ampia sezione dedicata ai libri gialli… come avrebbe preso la notizia di avere in casa un detective in incognito? Un vecchio giradischi (su cui era inserito un disco dei Beatles) , carta da parati rovinata, un vecchio appendiabiti, libri sull’arte: era tutto quello che c’era in camera sua.
“Che noia’’ pensai. Da quando avevo diviso l’appartamento con John ero quasi abituato alla non-solitudine, adesso non potevo più farne a meno.
Sul tavolo solo un foglio dell’università, sembrava un piano settimanale, decisi di raggiungerla.
Erano le 07 pm sarebbe uscita da un momento all’altro. Frequentava il secondo anno di “scienze dei beni culturali” in un università privata, “di certo i soldi non gli mancavano”. Quando varcò il portone dell’Ateneo sul suo viso comparve un’espressione d’incredulità, poi si aprì in un sorriso. “Mi stava sorridendo?’’.
“No non può essere” pensai, eppure lui era li, fuori dall’università che mi aspettava. La sua espressione era tutta un programma, mi guardava attentamente cercando una mia minima reazione a questa sua “trovata”. Un sorriso nacque spontaneo sul mio viso. Non potevo crederci, “ma come faceva a sapere che … ma certo avevo dimenticato il piano settimanale sul tavolo in cucina !”.
- Ciao - dissi quasi sussurrando, avvicinandomi a lui.
-Andiamo – disse lui semplicemente. Istintivamente mi avvicinai a lui, sentire le maniche dei nostri cappotti sfiorarsi mi fece rabbrividire; forse fu proprio per quello che mi strinsi al suo braccio.
Non sapevo cosa dire, non volevo finire come la sera precedente, mi limitai solo a chiedere un “dove stiamo andando”
-In un bistro qui vicino.
-Grazie per la margherita, è il mio fiore preferito. – sembrava divertito.
Si fermò di botto e mi indicò il ristorante.
Eravamo arrivati.