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Autore: Terre_del_Nord    03/02/2012    7 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.011 - Amicizie, Tradimenti, Alleanze

IV.011


Sirius Black
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972

    “Svegliati pigrone!”
    “Umfh... ”
    “Dai che oggi si vola!”
    “... hmf... ”
    “Dai, Black dai, guarda che bel sole ci aspetta!”
    “Uff... e lasciammm... zzz... ”

Grugnii e mi tirai le coperte fin sopra la testa, borbottando una sequela d’insulti sconnessi impastati di sonno contro il perfido Kreacher, l'infame Elfo che, agli ordini di “mammina cara”, tentava invano, da alcuni minuti, di estrarmi a forza dal mio caldo baldacchino. Una risata sguaiata mi raggiunse attraverso la morbida sofficità del cuscino di piume e il materasso, all'altezza del mio fianco, si piegò sotto il peso di qualcosa, anzi... di qualcuno...

    Qualcuno che aveva l'ardire di saltare sul mio letto... Qualcuno molto più pesante di un Elfo... Qualcuno...

Il mio cervello stava ancora cercando di annodare con difficoltà queste idee in un pensiero articolato, quando mi colse un bombardamento di luce, freddo, risate, mani ghiacciate che s'infilavano sotto il colletto del mio pigiama, il peso di un corpo che si avventava sul mio stomaco e, per chiudere in bellezza, la sberla di un cuscino tirato in piena faccia. Annaspai tra le coperte, alla ricerca di aria e di una via di fuga, emergendo infine, in maniera brutale, da quelli che erano solo sogni fumosi: ero a casa, fuggivo da mia madre salendo la tetra scalinata di Grimmauld Place a tre gradini per volta, con un pacchetto in mano, dovevo raggiungere la camera di mio fratello prima che mi acciuffasse, quella era l'ultima occasione che avevo di consegnargli un regalo di compleanno, “mammina cara”, infatti, aveva fiondato fuori dalla finestra, uno dopo l'altro, tutto ciò che era passato per le mie indegne, sudice mani di Gryffindor. Attorno a me, però, ora che aprivo gli occhi, non c'era l'atmosfera pesante di Grimmauld Place, né mia madre impegnata a inseguirmi, o mio fratello chiuso nella sua stanza, e neanche Kreacher contro cui urlare maledizioni: no, davanti a me, sopra di me, tutto attorno a me, c'era solo un cespuglio di rovi, che sormontava un paio di occhiali da vista e una ghignante faccia da schiaffi. Rosso in volto, in apnea, feci l'ultimo collegamento e subito mi slanciai contro James.

    “Tu!”

Potter, ridendo sguaiatamente, fece una finta di lato per sfuggirmi, poi mi balzò di nuovo addosso, mi ributtò sul letto, mentre tentavo di far leva sulle braccia per alzarmi e inseguirlo, nella lotta scivolò a terra, rapido si aggrappò ai miei pantaloni, tirandomeli fin sotto le ginocchia, mi fece perdere l'equilibrio e sfuggì definitivamente al mio tentativo di agguantarlo. Faccia a terra, mi ero tirato dietro coperte e lenzuola ad abbozzolarmi di nuovo, scatenando le sue risate; furioso, gli puntai un dito contro, minaccioso.

    “Preparati a pagare, Potter!”
    “Non certo te, mammola! Guardati: non riesci nemmeno a tenerti in piedi! Ahahahah... ”

Svicolai con difficoltà dal tessuto ai miei piedi, dalle coperte che avevano attutito la caduta, presi al volo il cuscino dal baldacchino di Remus, alla mia destra, e iniziai a inseguirlo: colpii e colpii, per lo più a vuoto, sperando di farlo cadere per poi saltargli addosso, ma James sgusciava via rapido, come un'anguilla, e rallentava nella corsa solo per voltarsi a sfottermi senza pietà.

    “Ahahahah... il tuo vero nome è “Sirius - Mani di Burro - Black!”
    “Il tuo nome invece è codardo! Che Gryffindor saresti tu? Vieni qua e battiti, Potter!”
    “Con chi? Con te? Io non mi batto con le ragazzine, Black! Nemmeno Peter si batterebbe con qualcuno che ha quelle gambettine pallide da principessina! Ahahahah... ”
    “Te la do io la principessina!”

Gli lanciai il cuscino contro, James smise di puntarmi addosso un dito pieno di derisione e si abbassò all'ultimo: centrai in pieno Peter che, da vera volpe, cercava rifugio proprio dietro di lui.

    “Ehi, principessa “Mani di Burro”, guarda che io sono qui! Ahahah... ”
    “La tua fine sarà dolorosa e ignobile, Potter, sappilo!”

Peter, imparata la lezione, si fece piccolo piccolo, cercò di mimetizzarsi, simile a un topino, indeciso se fosse meglio appiattirsi nella nicchia sotto la finestra, o trovare rifugio direttamente dietro le ante dell'armadio, perché a breve, lo sapeva, là dentro si sarebbe scatenato il finimondo. Complice i risultati non esaltanti del mio Puddlemere contro i Chudley Cannons, al contrario dei suoi Tornados che avevano spazzato via i Falmouth Falcons in pochi minuti, dal ritorno dalle vacanze tra James e me si era scatenata una faida senza esclusione di colpi, e quel giorno avremmo finalmente regolato i conti rimasti in sospeso dal week end precedente: la McGonagall, infatti, aveva minacciato pesanti punizioni se non avessimo smesso di arrivare tardi alle lezioni per accapigliarci lungo i corridoi, perciò, durante tutta la settimana, con ancora sul groppone la punizione da scontare con Mastro Filch per le Caccabombe e altre amenità, avevamo tentato di imitare Remus comportandoci in modo, secondo i nostri canoni, irreprensibile. Ora, però, la tregua armata doveva finire: non poteva essere altrimenti, James non poteva continuare a ridere di me, delle mie minacce, della mia faccia feroce, e pensare di farla franca.

    “Milady “Mani di Burro”, le principessine educate non fanno quella fac... ahi!”

Mi ero lanciato come un cane ringhiante a testa bassa, attraversando a sorpresa il centro della stanza e anticipando così la corsa di Potter, che come un cerbiatto saltava di letto in letto. Gli franai addosso, travolgendolo insieme alle coperte, il mantello, le tende del baldacchino di Remus, tenendolo inchiodato a terra con la forza delle mie “gambette da principessina”; lo perseguitai col solletico fino a farlo urlare “pietà”, come aveva fatto lui con me, sul treno, e allo stesso modo non mi lasciai commuovere, quel giorno mi aveva quasi soffocato, tra lacrime e risate.

    “Ripetilo, ora, se hai il coraggio!”
    “Ahahah... “Milady Mani di... Burro... dalle gam... ahahah... bette pallide”... ahahah... ”

Presi il cuscino in bilico sul letto alla mia destra e lo colpii, continuando a solleticarlo quando gli lasciavo prendere respiro, lui provò a difendersi e divincolarsi, ridendo e boccheggiando.

    “Rimangiati quello che hai detto e arrenditi, Potter!”
    “Ahahah... mai... ahahah... ”
    “Allora vedremo le tue, di gambette, porcospino!”
    “Ahahah... No... ahah... NOooooooooahahah... ”

Sotto gli occhi esterrefatti di Peter, James si dibatteva sempre più debolmente, tentando di sgusciare via, io armeggiai per girarlo bocconi e immobilizzargli le mani con il cravattino, reggendo il cuscino tra i denti, e soffiando per la fatica e le risate, non meno di quanto mugugnasse lui. Remus uscì dal bagno quando oramai avevo avuto la meglio: mi fissò esasperato, poi guardò James, legato come un capretto, il mio piede poggiato, simile a un cacciatore, sulle sue chiappette pallide, celate alla vista solo da un paio di mutandoni rossi su cui svolazzavano boccini dorati.

    “Belle mutande, Potter, decisamente in tema... ma per Merlino e tutti i Fondatori, sempre con le mie cose dovete far casino? Guardate qua: il mio pigiama è di nuovo in cima all'armadio... E le tende? Un giorno o l'altro ci appiccherete pure un incendio, qua dentro, me lo sento!”

Remus mi scansò, aiutando James, rosso come un peperone, a slegarsi e rimettersi in piedi.

    “Idea divertente, Lupin, ma non brilla per originalità, certo con opportune modifiche... ”
    “Potremmo sperimentare quel gioco del boccino infuocato a questo punto, James... ”
    “Black... tu sì che sei un genio! Quando ti applichi, sei davvero un genio!”
    “James! Sirius!”
    “Che c'è? Non è certo colpa nostra, Remus, se ogni giorno te ne esci con le idee migliori ma non hai voglia di sperimentarle! Noi ci stiamo solo offrendo di fare da cavia al tuo posto... per esempio... oggi abbiamo verificato quella tua teoria babbana della “corsa del cerchio”… ”
    “La corda, James, la corda…”
    “Sì, esatto, quella roba lì... avevi ragione, passando in linea retta Sirius mi ha anticipato! Quindi se dovessimo attac... volevo dire, difenderci dalle Serpi giù alla Strega Gobba... ”
    “Non è certo questo il senso di quel teorema, Potter! Merlino santissimo, salvami, ti prego!”

Non riuscimmo a resistere, scoppiammo a ridere, Remus diventava sempre paonazzo quando comprendeva che le sue disquisizioni sulla scienza babbana, utile, secondo lui, anche a noi ignoranti Maghi purosangue, nelle nostre mani diventavano fonte d'ispirazione solo di nuove idee balzane. 

    “Ha fatto bene Longbottom! Un giorno o l'altro chiederò anch'io di cambiare stanza!”

James ed io, seri, ci guardammo e ci avvicinammo uno per lato, ad accerchiare un Remus Lupin che, a braccia conserte, guardava il cielo alla finestra e studiava i nostri riflessi, imbronciato.

    “Bell'amico sei! Lasceresti Peter da solo con noi e le nostre... intemp... intemperinanze?”
    “Con quelle al massimo ci temperi le matite, Black... ahahah... ”
    “Smettila, James! Ti pare il momento di scherzare? Questo ingrato vuole abbandonarci... ”
    “Se lo dovesse fare, sarebbe solo colpa tua che non capisci nulla e parli di temperini!”
    “Basta! Basta! Intemperanze, sì, le vostre intemperanze! Non ne posso più! Voi due... voi due siete due pazzi da manicomio e farete diventare pazzo pure me, se non la smettete!”
    “Pazzi? I pazzi si legano, Lupin, ma tu, con le tue mani, hai liberato James, poco fa!”
   
James finse di non aver sentito, ancora offeso, sfoderò invece gli occhioni da cucciolo, deciso a usare un'altra tattica, ammansirlo guardandolo di sotto in su, tecnica che aveva affinato negli anni corteggiando, da bravo figlio unico, sua madre; grugnii, pensando alla mia “mammina”.

    “Chi si prenderà cura di noi, Remus? E tu? Dove troveresti compagni amorevoli come noi?”

La voce di James vibrava di affettuosa emozione, ma percepii la luce malandrina nel suo sguardo, compresi cosa avesse in mente e mi avvicinai da sinistra, cercando di trattenere le risate.

    “No! Non ci provate! Non ci provate! Mi sono già vestito! NO! Faremo tardi! NOOO... ”

Peter sgattaiolò dalla sua nicchia e si barricò in bagno, l’avremmo catturato dopo. Remus provò a spintonarmi ma io fui più rapido e lo caricai, rovesciandolo sul letto. James, infine, due cuscini in mano, piombò urlando su di noi. Poi tutto si annullò… nel solito mare di piume e folli risate.

***

Rabastan Lestrange
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972
 
    “Togliti dalle palle, Walden... Stammi lontano!”
    “Dai, Mac, ormai non fa più nemmeno ridere, lascialo stare, lui non c'entra nien... ”
    “Taci, Rosier... te lo ripeto: tu e la mocciosa dovete andarvene, chiaro? Salite fino all'ultimo piano, andate dai vostri simili, dai traditori del Sangue puro, come siete tutti voi! Vi piacciono, no?”
    “Che cazzo stai dicendo, stronzo? Sei del tutto impazzito?”
   
Molti non stavano prestando attenzione alla situazione che si era creata davanti al caminetto principale della Sala Comune, intenti a salire a far colazione, altri, abituati alle intemperanze di Walden, cercavano solo di raggiungere l'ingresso il prima possibile, qualcun altro, come Goyle, rise di quella che sembrava una battuta, troppo idiota per capire che non c'era nulla di cui ridere. Di certo non rise Walden MacNair, un ghigno poco rassicurante sul muso ottuso. Tanto meno rise Rigel Sherton, lo sguardo cupo come una notte di novilunio. Non avevo fame, la sera prima mi ero sbronzato e avevo un pesante cerchio alla testa, ma appena entrato in Sala Comune con Evan, mi ero accorto lo stesso della tensione che aleggiava nell'aria: da giorni MacNair sosteneva che il processo Williamson avrebbe dato prova a tutti della natura filobabbana degli Sherton, pertanto Rigel e Meissa erano indegni di stare nei sotterranei. Era un'idiozia, certo, chiunque l’avrebbe capito, ma Walden ce l'aveva con loro da quando la smorfiosa l'aveva denunciato per il pestaggio di Black e ora coglieva ogni occasione per vendicarsi. Si affrontavano vicino a me, abbarbicato con Rosier sulla testiera del divano a sinistra del tavolo grande, presso il caminetto: Evan era intervenuto un paio di volte per calmare gli animi, io leggevo il Daily di Alecto Carrow, avvolto nel mio mantello, indifferente e tremante. Dovevo salire dalla Pomfrey, era chiaro, ma non volevo sentirmi fare una delle sue solite ramanzine, inoltre ero preso dalle conseguenze di quanto sarebbe successo a Londra: se Mirzam fosse stato considerato colpevole, e alcuni di noi sapevano bene che invece era innocente, il padre poteva sostenerlo, ma solo un folle l'avrebbe fatto davanti a Bartemious Crouch, o disconoscerlo pubblicamente, attirando le ire dei seguaci più ottusi del Lord, soggetti della risma di MacNair.

    Che situazione invidiabile…
   
    “Sto dicendo solo la verità: gli Sherton non sono diversi dai Weasley!”
    “Ripetilo se hai il coraggio!”
    “Altrimenti? Mi costringerai a cenare ancora con qualche maledetto Ministro Gryffindor?”

Gli amici di Walden sghignazzarono, Sherton si slanciò contro di lui con tutta la foga dei suoi tredici anni, centrandolo con un cazzotto in pieno grugno: preso alla sprovvista Walden subì, ma se lo tolse subito di dosso, spintonandolo con una sola mano, con tanta violenza da farlo cadere. Prima ancora che il moccioso del Nord si rimettesse in piedi per caricare di nuovo, Walden, un ghigno sordido sulla faccia pesta, afferrò la bacchetta per puntargliela contro e colpire.

    Idiota… non si deve mai, assolutamente mai, puntare la bacchetta in faccia a uno Sherton…

Qualcuno sospettava che la Maledizione che aveva colpito Rigel Sherton, a Yule, ne avrebbe limitato per sempre la Magia, al posto di Walden io non avrei avuto tanta fretta di verificarlo. Rigel nei duelli non si muoveva in modo aggraziato, la sua Magia non era ancora pulita, lineare, precisa, a guardarlo battersi si capiva subito che non aveva ancora neanche quattordici anni, la sua tecnica non era affinata e, pur studiando il Cammino, aveva molti problemi con la disciplina. Aveva, però, già la forza fisica e la potenza magica di un Mago più maturo della sua età: ricordavo come si muoveva e come colpiva Mirzam Sherton, l'avevo osservato varie volte, con Rodolphus, a Trevillick, senza farmi vedere, e secondo me, nel giro di pochi anni, Rigel sarebbe stato molto più forte di quel suo fratello maggiore, capace, finora, solo di combinare guai. Ero convinto che fosse Rigel, l'erede di Hifrig: nel corso della storia, raramente l’erede era stato il figlio primogenito del Signore di Herrengton… Alshain stesso era solo il secondogenito... E Rigel, fisicamente, aveva tanto di suo padre: gli stessi capelli corvini, gli stessi occhi color mercurio, la stessa aria arrogante, lo stesso sorriso che... era un eufemismo dire che il sorriso degli Sherton attirava guai; inoltre Rigel era già molto alto per un ragazzino di tredici anni, seppur esile, anzi di recente era persino più esile di quando Lucius l'aveva curato, dopo la rissa con i Gryffindors.Sembrava una pianta cresciuta così velocemente da prosciugare tutte le proprie energie. Ne ero certo: era Habarcat, cui era sfuggito quasi indenne, che l'aveva consumato e forgiato.
Avevo sperimentato sulla mia pelle la capacità magica di Rigel, per fortuna solo per gioco. Non altrettanto bene era andata a Malfoy, che due volte l'aveva sfidato, due volte l'aveva sottovalutato, e per due volte era stato battuto; ghignai, compiaciuto, ringraziando il Fato di avermi reso spettatore: la prima volta a scuola, sicuro di dare una lezione a un bimbetto ringhioso e petulante, Lucius era finito una settimana in infermeria, mezzo sfregiato, la seconda, ad Amesbury, deciso a vendicarsi di Rigel definendolo “stronzetto borioso e fortunato”, Malfoy aveva subito una cocente umiliazione, finendo disarmato addirittura davanti a suo padre, l'arcigno e temibile Abraxas. Non mi ero lasciato sfuggire l'occasione, no: ero stato tra i primi a soccorrerlo, volevo godermi da vicino la vista del pallone gonfiato con i capelli scarmigliati, ferito, gli occhi da pazzo. Lucius, algido e altero come suo solito, seduto a leggere sulla sua poltrona preferita, fingendo indifferenza, si voltò verso di me, proprio in quell'istante; repressi a stento una risata, al pensiero che fosse capace di leggermi i pensieri e rivivesse, grazie a me, il ricordo di certi gloriosi momenti, in realtà, per l'ennesima volta, si era voltato verso l'ingresso dei dormitori femminili, sperando di veder emergere Narcissa e andare a far colazione con lei, una valida scusa per non essere costretto a intervenire, anzi, peggio ancora, a prendere una posizione tra i contendenti.

    Povero stolto, non hai ancora capito che Narcissa ti fa attendere per vendicarsi?

Li avevo visti discutere, la sera prima: Black si era allontanata con sguardo ostile e ora, forse, stava facendo vedere quanto poco le importasse di lui, preferendo restare con una smorfiosa di dodici anni e il suo botolo peloso, che andare a colazione con il nobile, gelido, promesso sposo. Sapere di essere un'indiretta causa di quell'amicizia e, di conseguenza, della rabbia di Lucius, mi faceva gongolare, nonostante la nausea; ilare, mi ripromisi di tenere duro e restare lì, a godermi la scena, anche perché MacNair, dopo averci giochicchiato come un idiota, stava puntando seriamente la bacchetta contro Sherton, ed io mi aspettavo di vedere i fuochi d’artificio a momenti.

    “Allora Sherton, cosa fai, non ti ricordi di essere un Mago? La estrai o no questa bacchetta?”

Era strano, molto: conoscendo Rigel, MacNair non avrebbe dovuto avere nemmeno il tempo di pensare all'incantesimo da scagliargli contro; di solito, appena dispiegava la bacchetta, l'avversario di Sherton si ritrovava sollevato a qualche metro da terra e schiantato contro il muro con tanta forza da farlo vibrare, mi aspettavo perciò di vedere MacNair rovinare contro il caminetto, il candelabro d'argento a sette braccia oscillare via dalla mensola e cadergli sulla testa, strappandogli un guaito di dolore e sollevando le risate di mezza Sala Comune. Sbuffai un ghigno al solo pensiero, così preda della nausea che rischiai persino di vomitare... Rigel, però, non fece nulla di quanto mi aspettassi, anzi, ancora a terra, mugugnante, sotto gli occhi esterrefatti di tutti, si lasciò colpire, disarmato, da uno Stupeficium. Mi chiesi, incredulo, perché non reagisse, non si difendesse, non lo insultasse nemmeno…

    “Tutto qui quello che sai fai Sherton? Batterti come un animale, come uno dei tuoi amici babbani? E tutte quelle storie sulla vera Magia? Lo sapevo che siete solo lurida feccia!”
    “Cazzo, Walden, sei un imbecille!”
    “L'hai ferito! Hai rotto la spalla al Cercatore!”

Evan e Alecto erano scivolati a chinarsi su Rigel, che grugnendo, aveva difficoltà a far leva sulle braccia e a rimettersi in piedi: di colpo, l'idea che quell’idiota avesse osato “rompere” quello che sarebbe stato il MIO Cercatore, una volta che si fosse tolto dalle palle Malfoy, accese la mia solita frenesia di sangue, la mente mi divenne lucida, la sbronza un ricordo lontano, mi sollevai e mi piazzai di fronte a Walden, guardandolo di sotto in su, sorridendo, quasi volessi complimentarmi. Non dovevo immischiarmi, non ero conciato bene, dovevo rimandare la vendetta a un momento più opportuno, ma c’era un'occasione da sfruttare e mio compito era coglierla.

    “Un vero Lestrange è attento nel guardarsi intorno, studia ogni situazione, valuta tutte le possibilità, cercando di trarre un beneficio personale, sempre e comunque... E se attorno a sé non ci sono situazioni utili ai suoi scopi, un vero Lestrange plasma le situazioni a proprio vantaggio!”
   
Mio padre e Rodolphus avevano una visione più immediata della vita, rispetto a mio nonno, e nemmeno a me piaceva riflettere e valutare, avevo il sangue che bruciava nelle vene, io...  Era, però, proprio per questo, per il sangue, che volevo cogliere subito quell'occasione.

    “Questa è la volta buona che ti faccio ingoiare la lingua, spione bastardo!”
    “Che cazzo t'impicci tu, bestia? Ho forse parlato con te?”
    “Ci manca pure che mi parli, MacTroll! Già il fatto che respiri ancora è un insulto, idiota!”
    “Cos'è, vuoi finire in infermeria anche tu, con la tua fidanzatina, Lestrange? È per lo scozzese che hai mollato le femmine? Ora ti piace il culo di questo stronzetto amico dei babbani?”
    “Prova a ripeterlo…”
   
Lo fissai, folle e feroce, lo sguardo che prometteva morte.

    “Basta! Basta così! Siete nella Casa di Salazar, non in una malfamata... bettola... babbana!”

MacNair si voltò stizzito, deciso, già che c'era, a coinvolgere nella rissa anche Lucius: trovò il damerino pronto a sostenere il suo sguardo, si era alzato, aveva appoggiato con modi eleganti il libro sulla poltrona accanto al caminetto, si era avvicinato a Rosier per dare un’occhiata alla spalla di Rigel, e ora stava in piedi, dietro di lui, calmo come al solito, la migliore aria angelica in viso, lo stesso sorriso con cui, un paio di volte, l'avevo sentito sibilare a Walden di stare al suo posto.    

    “O mio padre avrà cura che, al Ministero, per te ci sia solo un esecrabile posto da boia...”

Ghignai: MacNair non aveva compreso, quindi, oltre che stupido, era pure sordo.
   
    “Ti ci metti anche tu, Lucius? Non ti stanno a cuore i valori Slytherins? Fatti gli affari tuoi!”
    “Sono appunto i miei affari che sto facendo! Non permetterò che voi, branco d’idioti, creiate altri problemi nei Sotterranei, non finché sarò Caposcuola io... Ne avete già fatti a sufficienza per i miei gusti... perciò, finitela qui, o mi assicurerò che siate cacciati, da Hogwarts... tutti quanti!”
   
Walden lo squadrò di sbieco, poco convinto, poi, forse, pensò al potere dei soldi di Abraxas e annuì, arretrò senza una parola, con il suo inseparabile seguito di sgherri, cogliendo un'ultima occasione per spingermi, mentre lo fissavo avvelenato, e mi sibilò contro, così che sentissero tutti.
   
    “Non finisce qui, guardati le spalle, frogetto amico della feccia!”
    “Usa certi titoli con me, MacTroll, e ti faccio provare l'ebbrezza di volare senza una scopa!”
    “Stai attento che non sia tu a volare di sotto, per primo... il castello è pieno di torri!”
    “E di picche… su cui infilzarti! I Lestrange si nutrono di sangue, non di aria!”

MacNair svanì oltre la porta, un ghigno poco rassicurante in faccia, confabulando con Goyle, Lucius si chinò di nuovo sull'“adorato cuginetto” e Rigel, con una smorfia di dolore, cercò di sottrarsi a quei fastidiosi palpeggiamenti alla spalla; io mi tenni a distanza: il modo migliore per ottenere un'eventuale confidenza, da lui, era non far parte del branco che si beava del suo dolore. Sherton fissò sul cugino occhi ostili, immaginai fosse pronto a sputargli addosso qualcuna delle sue minacce o a colpirlo con una velenosa fattura in gaelico, ma non avvenne nulla di tutto questo: nel suo sguardo, oltre alla consueta arroganza, c'era anche un’insolita, strana inquietudine. Lucius ghignò, doveva aver notato meglio di me, standogli più vicino, quel timore e doveva esserne soddisfatto, ma solo uno stolto si sarebbe illuso che Rigel temesse la minaccia di essere cacciato da Hogwarts: forse il suo pensiero era a Londra, dove un ex Auror infedele avrebbe mentito, coinvolgendo e trascinando nel baratro la principale famiglia del Nord, nell'estremo, inutile, tentativo di salvarsi dal bacio del Dissennatore. Che fossero solo menzogne era chiaro, ma a Bartemious Crouch questo importava poco: portare la Confraternita del Nord sotto il controllo assoluto del Ministero, infatti, avrebbe dato ulteriore lustro alla sua già brillante carriera, accelerando la sua corsa alla poltrona di Ministro. Forse era per questo che Rigel non aveva reagito, non poteva commettere pazzie e arrecare danno ai suoi; o forse, preoccupato com’era, non era riuscito a concentrarsi e colpire.
   
    “Andiamo, hai una spalla lussata: per quest'anno siamo fuori dalla Coppa, vero, ma non si può sottovalutare un danno simile, altrimenti puoi scordarti la carriera da Cercatore... spero che almeno ti sia d'insegnamento, cugino: se non impari a tenere a freno la lingua e ad abbassare la cresta, rischi di prenderle e di ritrovarti fuori da qui! Chi resterebbe poi a difendere la principessa?”
    “Stai lontano da… Meissa, Malfoy! Ti ho… fatto vedere… cosa succede a… minacciarmi!”
    “Non sei nelle condizioni di fare qualcosa, né a me né ad altri, Sherton... e per chiarezza, mio stupido amico, non ti sto minacciando, ti porgo la mano, come mio padre ha fatto per mesi con il tuo! Gli aquilotti sono troppo testardi e orgogliosi per accettare consigli, vero? Bene, se non l'hai già fatto, leggiti il Daily, guarda dove vi sta portando tanta caparbietà! Un vero Mago non usa i muscoli, ma una cosa chiamata cervello. Se sapessi di cosa parlo, mi daresti ascolto!”
    “Pulisciti il culo… con i tuoi consigli… Malfoy! Solo un pazzo… si fiderebbe… di te!”

Il Caposcuola lo squadrò, ghignando malefico: in un'altra situazione, gli avrebbe detto che di lui, della sua vita, della sua sicurezza non poteva fregargliene di meno, ma quel giorno… Lucius Malfoy aveva deciso che era più conveniente mantenere una promessa, anche se fatta a un uomo ormai in disgrazia, com’era Alshain Sherton: mi chiesi quale fosse il suo vero scopo.

    “Non fidarti di me, allora… Segui le orme dei tuoi cari, la loro saggezza è dimostrata dagli amici che si sono scelti... così, presto, leggerò il tuo, di nome, sul Daily! Stammi bene, cugino!”

Lo lasciò lì, turbato e dolorante, diretto all'ingresso dei dormitori femminili: Narcissa era appena apparsa, anche nella semplice, casta divisa scolastica era una visione celestiale da mozzare il respiro e far agitare i lombi; dietro di lei c'era Meissa che, sorridente, teneva in braccio il mio gatto. Erano giorni che cercavo di capire perché Narcissa non mi avesse tradito e fingesse di essere stata lei a regalarglielo: forse Malfoy le aveva detto di mentire, o forse era una scusa per tenere d'occhio la mocciosa, secondo Bellatrix, infatti, lady Black voleva la Sherton per il suo Regulus... Sì, era tutto possibile, non dovevo mai scordare che Narcissa era molto meno frivola e sprovveduta di quanto amasse far credere: quel delicato angelo biondo era una Black e tutti i Black ne sapevano sempre una più del diavolo, soprattutto se si mettevano in testa di ottenere qualcosa. Lucius la baciò in modo formale e le trattenne una mano delicata tra le sue, per poi avviarsi con lei fuori dalla Sala Comune, Meissa allarmata si era fermata a parlare con Evan, mentre Rigel, sempre più cupo e nervoso, cercava di minimizzare quanto era successo, sostenendo di poter andare dalla Pomfrey da solo, di essere solo caduto male, ma si vedeva che erano entrambi terrorizzati. Rosier incassò l'ennesimo rifiuto all'offerta di accompagnarli in infermeria, al contrario, Kendra Campbell, più procace e ninfomane del solito, non si fece sfuggire l'occasione di assaltare la preda ambita: si lanciò sui fratelli Sherton, gettando quasi a terra Meissa e il gatto, riuscì a prendere sottobraccio Rigel e lo strattonò a sé, con tanto vigore che il poveraccio divenne pallido come un morto e, lo vidi, represse a stento un urlo disumano. Li guardai svanire oltre la porta: prima di arrivare in infermeria, quell’ochetta idiota avrebbe provocato alla spalla di Rigel e alla nostra squadra più danni di quanti ne avesse già fatti MacNair. Mi stiracchiai, mi avvicinai a Evan e gli diedi una gomitata.

    “Ti sei deciso ad andare anche tu dalla Pomfrey?”
    “No, Evan, usciamo, e teniamoci lontani dai fratellini e dalla puttanella, devo parlarti... ”
    “Più tardi… ho fame, voglio fare colazione!”
    “No, devi ascoltarmi... Devi farmi da palo, Rosier!”
    “Palo? Tu sei fuori... No, no, stavolta no... Che cazzo pensi di fare stavolta? No, non dirmelo, non voglio sapere... Ne ho abbastanza! E poi, guardati... Non ti reggi neanche in piedi!”
    “E allora? Posso usare una bacchetta anche sdraiato a terra... lo sai! E comunque, mica ora!”
    “Ho detto no... Tu sei pazzo, Lestrange! Ed io sono veramente stufo dei tuoi... giochetti!”
   
Ghignai, mi piaceva sempre vederlo inalberarsi, per poi alla fine cedere e divertirsi con me.
   
    “Come puoi dire di no senza conoscere i dettagli? Dai... Vedrai che alla fine mi dirai di sì...”

Mi fissò poco convinto, ma vedevo la curiosità in fondo ai suoi occhi foschi e dubbiosi: era già mio, lo conoscevo, Evan Rosier, come me, non era tipo da tirarsi indietro, mai. Uscimmo, tenendoci a distanza dagli Sherton, nell'ombra, silenziosi e cauti, non volevo che ascoltassero, né che mi sentisse qualcun altro: dopo pochi minuti di rimbrotti e mugugni, però, Rosier si piantò immobile e fui costretto a voltarmi e tornare indietro, sorridente. Evan, su di me, fissava un glaciale sguardo ostile.

    “Non ho alcuna intenzione di seguirti se sei in combutta con quell'idiota di Mac contro gli Sherton, capito? Non ci sto a farti di nuovo da palo... Salazar... con Meissa... sei stato repellente!”
    “Repellente? Sei davvero il mio amico Evan o una virginea saputella Ravenclaw? Andiamo, Rosier! Non l'ho nemmeno sfiorata! E poi, scusa, se non ha detto nulla a nessuno vuol dire che... passare quegli “interessanti” momenti con me... non è stato poi così terribile... ahahah... ”
    “Faccio ancora in tempo a denunciarti io, lo sai? È solo una bambina, Rabastan!”
    “Denunciare… me? E confessare anche di avermi lasciato fare, vero Evan? A chi lo diresti? A un professore, così ti cacciano dalla scuola e tuo padre ti disereda? O forse a Sherton, così non avresti più bisogno di soldi, perché non avresti più nulla tra le gambe da dover svuotare? Ahahah”
    “Non fai ridere, Lestrange... io, in queste schifezze, non voglio entrarci... se si tratta di far sputare sangue ai babbanofili, sono pronto, lo sai... ma... Salazar... io non li tocco i bambini!”
    “Che nobile cuore ha il nostro Rosier! Ed io che credevo sognassi di diventare un uomo di Milord! Ti conviene provare a te stesso, ora, se hai veramente le palle, Evan, perché davanti a Lui non potrai esitare! E comunque... se la tua coscienza ti fa stare male, ho la soluzione: astuto com’è, Mac cercherà di attaccare gli Sherton, a breve... Se mi farai da palo, mentre lo tampino per scoprire che intenzioni ha, salverai la mocciosa, ti sistemerai la coscienza e zietto ti ringrazierà!”
    “Sherton non è mio zio... le tue elucubrazioni sugli alberi genealogici... ”
    “Non mentire con me, Evan! Esiste una piccola, remota goccia di sangue Rosier nelle vene dei Llywelyn, perciò tu e la rossa mogliettina siete parenti. Quando sarà il momento, tu porterai in salvo la principessa, senza spaventarla troppo, io penserò a Rigel e pesterò a sangue MacNair!”
    “E lo scopo di tutto questo, di grazia? Un giorno la terrorizzi, un altro la salvi, che cazzo... ”
    “Ognuno passa il tempo come vuole, Evan… tu fai il prode cavaliere, io il pazzo assassino!”
    “No, tu sei malato, sei davvero malato! Sei sempre così sbronzo che non capisci più niente!”
    “Pensa ciò che ti pare… Io lo farò, che tu mi voglia aiutare o meno... Se sei tanto in pena per la mocciosa, controllami, e soprattutto... controlla MacTroll, quello lì, i tuoi scrupoli, non li ha!”
    “Fanculo, Lestrange! Ma oggi no, oggi ho… da fare…”
    “Di nuovo con quella rossa tettona del settimo anno? Ahahahah…”

Scoppiai a ridere, per la sua faccia rubiconda e perché, lo sapevo, alla fine aveva ceduto... Evan però si sbagliava su si me, la sbronza era passata da un pezzo: nel sangue, a esaltarmi, c'era solo l'adrenalina da rissa, che mi faceva sentire come il lupo che vaga nel buio della notte, a fiutare l'aria, in attesa del momento propizio per colpire, atterrare, azzannare, sventrare la preda. Sì... potevo e volevo unire l'occasione di essere di nuovo il salvatore dei piccoli Sherton, al desiderio di dare una lezione a MacNair: non ne potevo più di quell'idiota, tronfio perché già attivo nelle fila del Signore Oscure, così compiaciuto di se stesso da alzare fin troppo spesso la cresta, infischiandosene delle gerarchie, creando problemi a tutti Noi, agendo senza riflettere, come quando aveva pestato Sirius Black, attirando sui sotterranei attenzioni non richieste, dentro e fuori la scuola. Non che avesse sbagliato a punirlo, certo, ma non erano quelli i tempi, i modi, i luoghi... Non ero l'unico a lamentarsi di lui, non ero l'unico che Mac avesse messo nei guai: quando ci aveva denunciati alla McGonagall per colpire Sherton, aveva coinvolto tanta, troppa gente. Evan, Lucius, Alecto, nessuno di loro mi avrebbe tradito quando gliel'avessi fatta pagare. E un Lestrange non faceva mai vuote promesse: MacNair avrebbe pagato, perché a causa sua, a causa della sua spiata, mio padre, ritornato a casa per Natale, mi aveva frustato a sangue. Quella notte, muto nel mio dolore, gliel’avevo giurata.

    Walden Macnair sputerà dieci volte il sangue che ho sputato io.

***

Orion Black
74, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972

    “A noi, ai migliori del Firmamento, Orion... All'Aquila e al Cacciatore... ”

Rabbrividii e non era per il freddo, no: nonostante Londra, anche quel mattino, si fosse svegliata sotto una spessa coltre di neve ed io fossi un uomo, o meglio un Mago, noto per essere particolarmente freddoloso, sentivo addirittura il corpo bruciare, come fossi preda della febbre.

    Forse è così, forse mi sto solo ammalando...

Con un lampo di speranza mi chiesi di nuovo se potesse essere quella la soluzione: non sarei dovuto andare al Ministero, se fossi stato malato, nessuno si sarebbe assunto la responsabilità di disturbarmi, nemmeno Bartemius Crouch avrebbe avuto le palle di trascinarmi davanti al Wizengamot, poteva sognarselo di diventare Ministro, se si fosse messo contro noi Black... Quanto a... certi parenti e, soprattutto, al loro... Signore Oscuro... immaginavo che avrebbero apprezzato se un testimone oculare non avesse deposto contro… contro uno... uno di loro... Sì, poteva essere una soluzione... la soluzione perfetta... Mi passai una mano sul viso, allentai leggermente il colletto della camicia.

    Com'è possibile rabbrividire e al tempo stesso sentire la pelle del volto bruciare?

Trangugiai un sorso di tè: mi dibattevo con quell'enigma ormai da giorni ma alla fine... Alla fine mi ero alzato, preparato, vestito, avevo indossato il mantello ed ero uscito da casa. Sottrarmi, fingendomi malato, sarebbe stata la soluzione perfetta con tutti, ma non con loro... Non con Alshain o con Deidra, non con quelli che erano non solo i miei migliori amici, ma addirittura dei veri fratelli, per me: non potevo fingermi malato e sottrarmi alle mie responsabilità, non dopo aver protetto Bellatrix e Rodolphus, quella notte, e, con il mio silenzio, aver permesso che la famiglia Sherton fosse travolta dal sospetto, al solo scopo di salvare la mia da uno scandalo. Alshain sentiva che qualcosa non andava più, tra noi, ma io non gli avevo permesso di capire che si trattava dei miei sensi di colpa: quella notte mi aveva abbracciato e ringraziato per avergli reso la vita e sapevo che non si riferiva alla prontezza con cui gli avevo fatto somministrare il Bezoar, ma all'ostinazione con cui avevo cercato Meissa e lottato con Fear perché salvasse Rigel. Aveva provato gratitudine e orgoglio nei miei confronti, ma io non riuscivo a esserne felice, perché se ai suoi occhi io ero un eroe, dentro di me sapevo di essere solo uno sporco traditore. Vanitoso com'ero sempre stato, Alshain si sarebbe aspettato che mi pavoneggiassi a lungo e che parlassi per filo e per segno di quella notte, per vantarmi, per infondergli coraggio in un momento tanto difficile, ma forse, soprattutto, per trovare insieme il bandolo di quell’intricata matassa, un dettaglio, un elemento, che alleggerisse la situazione di Mirzam agli occhi del mondo. Al contrario, avevo accampato strane scuse, mi ero negato alle sue richieste: non me la sentivo di parlarne, di parlargli, di affrontare quei ricordi, di affrontare lui, di rispondere alle sue domande, perché, lo sapevo, avrebbe scoperto che l'avevo tradito, per viltà, vergogna, convenienza. Alshain sentiva il mio disagio e non capiva il mio silenzio: a poco a poco, la sua gratitudine era diventata incertezza, e l'incertezza sospetto e tormento, finché, per la prima volta, in trent'anni, la sera del fidanzamento di Narcissa, quando avevo incrociato i suoi occhi, avevo visto la sua paura.
   
    E vedere Alshain Sherton intimorito da me è innaturale quanto avere un figlio Black nella Casa di Godric... 

Sorseggiai il tè, gli occhi fissi sulla strada, la mente lontana, persa in pensieri sempre più contorti: volevo convincermi che fosse la vista di tutta quella neve a farmi rabbrividire, o che avessi preso un malanno, forse mi sarei scordato che stavo tremando di paura, di fottutissima paura. Non volevo trovarmi lì, non volevo parlare con loro, con nessuno dei due, ma Deidra... Benché fossero passati anni, negarmi a Deidra era ancora sempre, terribilmente, complicato.
   
    “Dovresti convincerlo a ritornare a Herrengton... o almeno dovresti andarci tu con i bambini! Qui sei... qui siete troppo esposti, come a Doire... portalo via da qui, Deidra, ti prego... ”
    “Questa è la nostra casa, Orion, qui sono nati quasi tutti i nostri figli... qui siamo nati noi... ”

Noi... Conoscevo fin troppo bene il vero significato di quel “noi”. Mi guardai attorno, cercando di evitare gli occhi di Deidra, seduta di fronte a me, uno scricciolo sulla poltrona accanto al caminetto, la voce ridotta a un sussurro: la casa di Essex Street rifulgeva dell'elegante magnificenza Ravenclaw dei Meyer, e non era certo questo che la rendeva tanto attraente, affascinante, non a degli Slytherin fino al midollo com’era ciascuno di noi. La vera bellezza stava nel ricordo dei momenti meravigliosi passati lì con la mia “famiglia”: Alshain Sherton mi aveva sempre accolto nella loro dimora con l'affetto di un fratello amorevole, non di un semplice amico, anche, anzi soprattutto, nei periodi più tristi della mia vita; persino quando il mio sguardo non era ancora del tutto innocente, mentre si posava sulla sua Deidra. Negli anni in cui si erano ritirati a Herrengton, poi, la nostalgia di quell'atmosfera mi aveva persino spinto a uscire, a volte, nella Londra babbana, solo per raggiungere quel cancello: tra quelle pareti era racchiuso, infatti, come un gioiello prezioso, il ricordo della parte migliore di me.
   
    Qui ho tenuto tra le braccia i loro figli... Qui, in questa casa, insieme ai nostri amici, Walburga, i bambini ed io siamo stati felici...

Sentii le lacrime salirmi agli occhi, deglutii e negai tra me, impercettibilmente, con la testa. No, quel filo di pensieri non portava da nessuna parte: il passato, bello o brutto che fosse, era passato, sia le serate trascorse guardando con amore Walburga ridere e baciare i bambini, sia la decisione maledetta di aiutare Rodolphus per salvare il nome dei Black... Il passato era solo passato e, soprattutto, non si poteva cambiare, in nessun modo. Il fuoco dal volto si era ritirato fino allo stomaco, un dolore feroce mi divorava dentro. Dovevo resistere, presto saremmo usciti da lì, da quel luogo intimo e familiare che mi aveva accolto con affetto per anni e ora mi urlava “traditore”, accrescendo in me inquietudine e colpa. Mi sentivo soffocare, sorseggiai ancora un po' di tè, in attesa che Alshain fosse pronto: di solito era lui ad aspettare me, eterno ritardatario, quella mattina, invece, ero letteralmente scappato via dal letto, svegliandomi con largo anticipo, colpa dei rimorsi e della mia nera coscienza.  Era tutto sbagliato quel giorno... persino Deidra... Lei, da vera Slytherin sempre precisa e impeccabile, quel mattino era del tutto incurante del proprio aspetto, una semplice vestaglia sulle spalle ricurve, la treccia sfatta di chi si è appena svegliato, gli occhi pesti dopo l’ennesima notte di pianto... Lei che non piangeva mai... Lei che era stata una tigre persino in quella notte d'inferno...

    Lei...

Trangugiai un altro sorso senza nemmeno sentirlo, tornando a guardare fuori, cercando di evitare i suoi occhi, che mi cercavano come una supplica, riflessi sul vetro: come potevo sostenere quello sguardo se, di lì a poco, avrei dovuto testimoniare contro suo figlio, contro il mio figlioccio? Rabbrividivo all’idea: era l'ennesimo tassello del tradimento, il bacio di Giuda posato sulla guancia di mio fratello, quando avevo deciso di proteggere Bellatrix e Rodolphus. Avrei dovuto ascoltare amare parole uscire dalla bocca di Alshain, senza dire nulla. Guardare la Confraternita rinnegare il ragazzo nato per essere la sua Guida e annuire.

    Ed io...

No, io non volevo dire una sola parola contro quel giovane che avevo visto crescere, amandolo come un figlio... Non volevo essere io a farlo... Non potevo essere io a farlo... Non io... che sapevo chi, davvero, si era celato nelle nere ombre di Herrengton, quella notte.

    “Orion, ti supplico... deponi al processo... dì loro ciò che sai... dì loro chi è mio figlio...”

Ed io, alla fine, avevo promesso a Deidra che, se mi avessero chiesto qualcosa su Mirzam Sherton, sulla sua indole, su quello che pensavo di lui, avrei detto la verità, che lo conoscevo come un giovane senza grilli per la testa, innamorato solo della sua donna e del suo Quidditch. Se però Crouch avesse insistito... Se mi avesse chiesto quanto Mirzam fosse capace di mentire... Se mi avesse chiesto dell'athame o delle menzogne che il ragazzo aveva detto a suo padre... Sapevo che non era stato Mirzam a celarsi nell'ombra, quella notte, ma sapevo anche molte altre cose su di lui che mi riempivano di dubbi sulla sua condotta… E se Crouch fosse riuscito in qualche modo a mettere in luce i miei sospetti, se fosse arrivato a farmi ammettere che, negli ultimi anni, c’erano stati momenti in cui… pur senza volerlo, avrei rischiato di dargli io, proprio io, persona autorevole e padrino del sospettato, le prove che cercava. Trangugiai l'ultimo sorso...

    Un'alternativa c’è: se dicessi tutta la verità, Orion… se dicessi chi hai visto quella notte… se denunciassi Bellatrix e Rodolphus…
    No, questo non puoi farlo, Orion… sono la tua famiglia... non puoi… neppure per Deidra, neppure per Alshain… non puoi farlo…
    Sei solo un maledetto vigliacco, Orion…
    E allora? Te ne meravigli ancora? Lo sai da tanto, Orion… questo è solo un motivo in più per vergognarti e disprezzare te stesso.

    “Scusami se ti ho fatto aspettare, Orion... ”

Mi voltai. Alshain era in fondo alle scale, chiuso in un’austera toga da Mago, nera come la notte e fin troppo ampia, ora che era così smagrito; la cortina di capelli corvini, lasciati sciolti sulle spalle, contrastava con il suo pallore e, insieme alle labbra livide e al volto scavato, rendeva la sua figura quasi irriconoscibile; del mio amico sembravano rimasti solo gli occhi di mercurio, ma anch'essi erano straniti, così cerchiati di rosso, segno, temevo, del persistere delle febbri. Mi alzai e avvicinai, gli porsi la mano e Alshain l'agguantò debolmente, rigido: se fosse stato tutto normale, mi avrebbe attirato a sé, mi avrebbe abbracciato; forse attendeva che lo facessi io, che facessi un gesto, uno qualsiasi, per rassicurarlo che fossimo sempre gli stessi.

    Che fossimo sempre l'Aquila e il Cacciatore, come ai tempi della scuola.

Il peso che sentivo nell'anima, però, m’impediva di coprire quella distanza: avevo sbagliato una volta, una sola volta, da vigliacco, e ne ero pentito, ma… Si allontanò da me, gli occhi carichi di tacite domande, la sua voce non tradì emozione, andò a versarsi del firewhisky, me ne offrì, dissi di no, accennando alla tensione allo stomaco. Non fece battute, la sua bocca non si piegò in ironici sorrisi: era la prima volta.

    “Ormai è tempo di andare, non posso attendere oltre il Gufo con la conferma di Reginald... ”
    “Vi vedrete al Ministero... e per parlare verrete tutti a pranzo qui, come da accordi...”
    “Sì, certo, ma... ieri mattina, alla Gringott, mi ha detto di non avere intenzione di assistere allo spettacolo di Crouch, che sarebbe venuto direttamente a casa, ed io l'avrei raggiunto con Jarvis, Kenneth e gli altri appena emessa la sentenza...”
    “Vuol dire che passerà una mattina tranquilla con i bambini: a Reginald piace fare il nonno!”
    “Sì, hai ragione... è solo che... volevo sapere, prima di vederci con tutti gli altri, se aveva risolto il problema di Inverness... quella è una questione di cui dovrei occuparmi di persona, prima che diventi un'altra bega con il Ministero! Forse dovrei annullare il pranzo e andarci con lui... ”
    “Non annullerai nulla... vi vedrete qui, come avete deciso ieri... parleremo delle Rune di Adhara... le sceglieremo i padrini del Nord da affiancare a Orion... e manderai qualcuno di cui ti fidi a occuparsi di qualsiasi stupido problema ci sia a Inverness... Ora devi pensare a te stesso... e a noi!”
    “Hai ragione, ma... Tornerò prima possibile, non resterò fino alla fine, a me interessa solo...”
    “Resta fino alla fine, di Crouch non bisogna fidarsi... così, poi, sarai tutto per noi, Alshain!”

Alshain annuì e la baciò, Deidra sembrava aver recuperato un minimo della sua forza, nel tentativo di dare sicurezza e serenità al suo uomo. Io avevo la gola riarsa, non riuscivo a stare là dentro un secondo di più: mi sentivo fuori posto, vederli così, che si parlavano fingendo tranquillità, mentre la voce di entrambi vibrava di tensione mal repressa... ciascuno dei due cercava di infondere coraggio all'altro, ma se solo avesse voluto, lo sapevamo tutti, Bartemious Crouch avrebbe travolto e strappato Alshain alla sua famiglia, quel giorno stesso, al solo scopo di far vedere a tutti quanto fosse forte e potente.

    “Andiamo, Alshain... a più tardi Deidra... appena possibile ti manderò un Patronus... ”

Deidra annuì, si lasciò abbracciare e baciare le guance, stava tremando; poi, improvvisa, mi trattenne, per sussurrarmi lieve, sfinita, poche parole all'orecchio, cercando conferme e conforto.

    “Quando finirà tutto questo, Orion? Dimmelo... Quando finirà?”
    “Finirà presto... Deidra... oggi stesso... e finirà tutto bene, per tutti noi... te lo prometto... ”

Alshain si smaterializzò in un lampo verde nel loro caminetto, io mi staccai da lei, lentamente, mi soffermai a guardarla negli occhi, come non avevo fatto da quand’ero arrivato. Dopo quasi una vita, quello sguardo m'ispirò l'impulso folle di baciarla, lo stesso impulso che mi bruciava l’anima da ragazzo, un impulso che solo con molta difficoltà riuscii a reprimere.
   
    Che razza di uomo sei, Orion?

Mi ritrassi, con un filo di voce, confuso, sconvolto, terrorizzato, più da quell'emozione improvvisa che dal pensiero di Crouch, del Signore Oscuro, di tutto il male che ci stava accadendo. Presi una manciata di Polvere, gli occhi fissi a terra, e svanii davanti a lei, senza più parole.

    Non è ancora nemmeno iniziata, Orion, e stai già sprofondando in un mare di menzogne.


***

Sirius Black
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972

James aveva ragione, era proprio una meravigliosa giornata di sole, gelida certo, ma asciutta e luminosa, l'ideale per passare le due ore della lezione di Volo all'aperto, in cortile. Negli ultimi tempi, invece, già da prima delle vacanze di Natale, a causa della neve e del freddo, le lezioni di Volo si erano svolte sempre in un’aula oscura, a studiare i vari tipi di Scope: erano state le lezioni più noiose cui avessi mai assistito, peggiori persino di quelle di Storia. Tornare a sentire l'aria sul viso e librarci da terra su un vecchio manico, benché non fossi un patito del Quidditch come mio fratello o, peggio, come James, era senz'altro preferibile. Soprattutto perché la lezione si sarebbe svolta con le matricole Slytherins. Il cuore mi accelerò all'improvviso, speranza e timore si sommarono, intravvedendo Meissa al tavolo, con i suoi compagni, ma decisi di contenermi: in fondo ero un Black e contenermi era stata la regola da quando ero venuto al mondo, forse l’unico insegnamento di una qualche utilità. Sorrisi, aggiustandomi il cravattino e i capelli con le dita: quel giorno, era deciso, non mi sarei nascosto dietro a delle scuse, avrei messo da parte le mie insicurezze e l’avrei affrontata perché le mie paure erano assurde, perché non c'era un motivo al mondo per cui dovessi privarmi della sua compagnia, e soprattutto perché mai quanto quel giorno, lei aveva bisogno di un amico. E quell'amico volevo e dovevo essere io. Non era semplice: quando c'era in giro James, non era il caso di parlare di certi argomenti, lui non capiva e non voleva sentire, per lui tutti gli Slytherins erano uguali e gli ultimi eventi avevano rafforzato ancora di più le sue ferree convinzioni; da parte mia, avevo provato a fargli notare che era ridicolo, ma Potter mi aveva risposto stizzito, come se avessi offeso i suoi Tornados.

    “Per nascita, te lo ricordo, anch'io dovevo essere uno Slytherin, James!”
    “Ma, grazie a Merlino, non lo sei, né lo sarai mai! “Quella” invece lo è, non lo scordare!”

A volte avevo cercato di non dargli peso, altre avevamo rischiato di litigare o avevamo litigato proprio di brutto, altre ancora mi aveva fatto riflettere, ed ero arrivato a conclusioni che non mi erano piaciute, scoprendo ancora più dubbi e paure dentro di me, soprattutto quando James mi chiedeva quale strada avrebbe scelto Meissa se si fosse resa conto che Mirzam era un assassino. La paura di parlarle di suo fratello mi aveva spinto a rifuggirla, per molti, troppi giorni. Ora però, se tenevo a lei, non potevo continuare a fare il “vigliacco”: era questa la parola che aveva usato Remus per spronarmi, ed io… sentendomi dare quel titolo... mi ero sentito un verme. Quella mattina, perciò, dopo la battaglia, avevo guardato gli altri sparire oltre la porta, poi avevo preso il mantello avendo cura di nascondere bene i guanti, sorridendo perché, nella torre, James non era l'unico migliore amico che avevo: Remus mi era stato molto vicino, in quel periodo, per qualche strano motivo, a volte, sembrava capirmi di più, forse perché la sua natura più riflessiva lo portava a non dare giudizi sommari, e le sue convinzioni si basavano sui fatti, non sui pregiudizi.
Avevo scoperto di adorare i suoi consigli, anche se poi, per ridere, lo facevo imbestialire rispondendogli sempre con commenti stupidi, ma questo mi accadeva solo perché non capivo come avesse, lui, un ragazzino poco più che undicenne, proprio come me, tutta quella strana saggezza! Ero felice di poter contare su un tipo così in gamba, anche se… A volte avevo la sensazione che anche lui avesse bisogno di qualcuno che riuscisse a dargli consigli utili come ne dava a noi… invece James ed io ci comportavamo sempre da cretini, o almeno... il più delle volte... così non riuscivamo a capirlo, tanto meno ad aiutarlo… Anche Meissa avrebbe dovuto contare su un amico come Remus, presente, capace di infondere coraggio e speranza, obiettivo, non un ragazzino pieno di dubbi e paure, com'ero io. Mi doleva ammetterlo ma io che, da bravo Black, non avevo mai pensato che qualcuno potesse essere migliore di me in qualcosa, mi rendevo conto che non ero nemmeno lontanamente bravo e comprensivo e in gamba come Remus: Lupin ascoltava, non sentenziava, non faceva sentire un idiota il prossimo e aveva quella capacità innata di metterti a tuo agio, tanto che spesso finivi con il parlargli, magari in piena notte, nel suo baldacchino, quando gli altri russavano, di argomenti, che di solito affrontavi poco volentieri, come, per esempio, la famiglia… L'unica barriera invalicabile tra noi era la mia adorata “mammina”, di cui parlavo spesso, certo, ma in termini irriverenti, distorti, assurdi: Remus una volta mi aveva detto che probabilmente facevo così perché mia madre era il mio “cavone d'artille”, o forse “tallone d'Achille”, boh, insomma il mio punto debole, ed io gli avevo risposto così male che da allora non ne avevamo parlato più. Nonostante quell'episodio, Remus c'era sempre, soprattutto in quegli strani momenti in cui mi facevo domande importanti e avevo bisogno di qualcuno che mi prendesse sul serio: persino quando era evidente che pensavo a Meissa, Remus non mi tradiva, e se James mi sfotteva, lui al contrario cercava di non esagerare… e, cosa più importante, su Meissa, Remus non pontificava mai. Remus cercava sempre di aiutare gli altri, per esempio regalando la sua famosa cioccolata. Qualche giorno prima, mentre Potter era interrogato dalla McGonagall alla lavagna, per evitare che gli suggerissimo, Remus mi aveva passato sottobanco un trafiletto del Daily che parlava dell'ormai prossima udienza del processo Williamson: mi aveva percorso un brivido e quando avevo alzato gli occhi su Remus, nel suo sguardo diretto, avevo letto il chiaro monito ad andare da Meissa il prima possibile e, soprattutto, a non trovare più scuse e smettere di evitarla. Alla prima occasione, poi, mi aveva spiegato il suo piano per distrarre James e impedirgli di intromettersi e dissuadermi dai miei propositi: sapendo Remus al mio fianco, ero sicuro che sarebbe andato tutto bene, stavolta non avrei perso il mio coraggio. Per questo avevo nascosto i guanti, quella mattina, e per questo, mentre stavamo finendo di fare colazione, come al solito in ritardo, mi alzai dicendo loro che sarei ritornato in camera, perché li avevo dimenticati di sopra: James nemmeno mi filò, tutto preso com'era, con Peter e Remus, ad azzuffarsi su non so quale partita del 1967, vinta dai Tornados per un punteggio che stando a Potter si gonfiava di minuto in minuto, mentre Remus lo contestava con insolita, ferrea ostinazione.
Mi allontanai, sorridendo, uscii dalla Sala Grande, svicolai sulle scale e mi nascosi sul primo pianerottolo, in attesa, non visto: dopo pochi minuti vidi Remus e James che uscivano battibeccando ancora, verso i cortili, con Peter al seguito; la Dickens che si allontanava con le amiche, occhieggiando querula all'indirizzo di Rabastan Lestrange, che entrava in ritardo con Evan Rosier, rubizzo, al suo fianco; infine Snivellus con la sua amica “Evans la rossa”, entrambi con un muso lungo fino a terra, soffiando come gatti per chissà quale ennesima ingiustizia. Come al solito, guardando Snape, trattenni una risata con molta difficoltà. Di Meissa non c'era alcuna traccia, perciò scesi di nuovo le scale e mi appostai davanti alla Sala Grande e, all'uscita di un gruppetto di Hufflepuff, sbirciai dentro, verso il tavolo degli Slytherins: Meissa parlava con mia cugina che, amichevole, le prendeva la mano e le sorrideva poi, insieme, si rivolgevano a Malfoy, che pareva trattare Meissa con molta più educazione del solito. Mi strofinai gli occhi, non ci credevo, non capivo: da quando erano così amici? E che fine aveva fatto Rigel? Che fosse finito ancora una volta in punizione? Malfoy alla fine si alzò, non sembrava molto convinto del discorso delle ragazze, ma l'ennesima occhiata degna di nonno Pollux che gli rivolse Narcissa lo rese più disponibile, si allontanò con Meissa alle costole e, con passo imperioso, avanzò fino al tavolo dei professori, fece uno dei suoi stucchevoli saluti melliflui a Slughorn e, da quanto potevo capire da lì, ottenne di conferire con lui in privato: l’unica spiegazione che mi balenò in mente era che Meissa avesse cercato l'aiuto di mia cugina per ottenere una raccomandazione in favore di suo fratello. Sperai che non ci fossero altri guai per gli Sherton: tutti sapevano che Rigel era nella lista nera del preside insieme a Lestrange e altri, e che, al primo errore, sarebbe stato sbattuto fuori. E non era proprio quello, per Meissa, il momento di perdere anche Rigel!
Osservai il tavolo dei professori, Dumbledore non c'era, una volta avevo sentito mio padre dire che il preside era Membro del Wizengamot, immaginai che fosse a Londra per il processo. Tornai a spiare gli Slytherins, Narcissa era con le sue amiche e guardava Lucius, da lontano, di fronte a lei, Rabastan ed Evan Rosier discutevano allegramente per i fatti loro: Lestrange scoppiò a ridere, proprio mentre Meissa, pallida, tornata indietro da sola, gli passava accanto, ed io anche se non sapevo se si fosse rivolto a lei, sentii un odio feroce infiammarmi il sangue, sicuro che quel bestione, sul ritrovamento di Meissa la notte del matrimonio, non la raccontasse giusta. Non pensai più a nulla, non m’importava nemmeno dell'eventualità che lei mi allontanasse in malo modo davanti a tutti: ne avevo abbastanza di quell'odioso ghigno sulla faccia di Lestrange, così rientrai, avvicinandomi a testa bassa al tavolo degli Slytherins, da cui si levarono guaiti di derisione e battutine stupide, appena mi videro dirigermi verso di loro con passo deciso.

    “Ti sei perso di nuovo, moccioso? Qui ci sono i Maghi veri, quelli come te stanno laggiù!”
    “Ahahah… ”

Era la banda della Carrow, carogne del sesto e del settimo anno: gli unici a non unirsi agli ululati furono mia cugina, che finse di non vedermi, e MacNair, che fissava Malfoy e Slughorn, la bocca semiaperta di un vero beota; io, muto e a testa bassa, avanzai fino a raggiungere Meissa. Il mio coraggio si fece acqua e la mia faccia divenne un arcobaleno, quando si voltò e non disse nemmeno il mio nome: non capivo se ci fosse gioia o rabbia nel suo sguardo…

    “Possiamo andare a lezione insieme, Mei? Per parlare un po’ e... ”

Meissa si voltò a guardare Lucius, fermo davanti al tavolo dei professori, sembrò non avermi nemmeno sentito: davanti a lei, al suo posto, la colazione era intatta, sul posto accanto, quello di suo fratello, non era stata nemmeno servita, c'era solo il Daily Prophet che, in prima pagina, parlava del processo e associava il nome della loro famiglia all'assassinio di Longbottom. Deglutii. Non sarebbe stato facile, no, per niente facile. Mi scivolò oltre, senza rispondermi, dirigendosi verso l'uscita, io rapido le andai dietro. Usciti nel cortile d'ingresso, l’aria fredda del mattino mi colpì in pieno, ma il freddo del Nord, che filtrava attraverso i valichi delle montagne, oltre il Lago Nero, era nulla, rispetto alla sensazione di gelo che traspariva da lei; raggiunto il colonnato che circondava il cortile, Meissa non aveva ancora detto una parola, sembrava lontana, isolata, come se il resto del mondo non esistesse. Tornai alla carica.

    “Voglio chiederti scusa, Mei, perché mi sono comportato da stupido, in questi giorni... è solo che… io... io ho avuto… paura... e…”

Si bloccò davanti a me, di colpo, come se alla fine quelle parole avessero lasciato un segno dentro di lei: stavamo per entrare e attraversare il colonnato, quando ci fermammo all’improvviso, un frettoloso Ravenclaw del sesto mi franò addosso, per l’urgenza di superarci, io rimediai una spallata e finii contro una delle colonne, per evitare che l’energumeno colpisse lei. Dopo un rapido scambio di scuse, mi avvicinai di più a Meissa, per lasciare libero il passaggio, invitandola ad accostarci al muretto: e ora eravamo uno di fronte all’altro, in silenzio, io non sapevo da che parte iniziare, Meissa non mi guardava in faccia, tutta presa, pareva da una microscopica briciola di pane, ferma sul mio braccio, che lieve fece cadere via. La fissai, respirando il suo profumo, familiare eppure così insperato da sembrarmi nuovo. Non era passato molto tempo dalla sera del matrimonio di Mirzam, ma con tutto quello che era successo, mi sembrava trascorsa una vita intera: notai che in quelle poche settimane io ero cresciuto ancora, lei no, nonostante la febbre, lo capivo perché così, di fronte a me, i suoi occhi erano un po' più in basso rispetto ai miei, di quanto già non fossero prima. Guardarla da quella prospettiva diversa, contribuì a farmi sentire spiacevolmente estraneo. Mi soffermai su ogni dettaglio, come uno stupido, senza più parole da dire, sulla sua pelle pallida come neve, sulle lentiggini che parevano più numerose e diverse, sulla bocca ancora livida, atteggiata in una piega strana, sconosciuta… E gli occhi: c'erano ombre di dolore e tristezza là dove avevo ammirato la sua allegria.

    Ha avuto la febbre, è normale che sia smagrita e pallida! E come potrebbe essere felice, come potrebbe ridere, con i pensieri che ha? Se gli amici come te, poi, si sono tirati tutti indietro?

Quando alzò lo sguardo su di me e mi fissò, quel verde fu come un pugno in pieno stomaco, il senso di colpa mi travolse e mi maledissi per essere stato tanto stupido.

    “Hai avuto paura di me, Sirius? Hai avuto paura di tutti noi?”

Abbassai gli occhi e strinsi i pugni, combattendo per reprimere i tremiti e le lacrime. Quanto avevo aspettato prima di sentire di nuovo la sua voce? Quanto? Alla fine era questo… di fronte a lei, non riuscivo a mentire: non era il pensiero di Mirzam, non era il pugnale nel camino, non erano i miei sospetti, né le parole di James. Ciò che mi aveva tormentato in quelle settimane erano i suoi passi che morivano nell'oscurità, le mie urla cui rispondeva solo l’atroce silenzio, il sangue su quella rosa calpestata, a terra: avevo avuto paura, sì, ma non di litigare per suo fratello, perché anch’io sapevo che Mirzam non avrebbe mai potuto farle del male, e magari anche tutto il resto era solo una menzogna… Ciò di cui avevo paura era non sentire più la sua voce, scoprire che la nostra vita si era fermata quella notte; avevo temuto che nel momento in cui l’avessi raggiunta e le avessi parlato… lei sarebbe sparita di nuovo, davanti a me, perché lei in realtà non era mai tornata indietro. Avevo paura che, quando la vedevo davanti a me, fosse solo un sogno. E, alla fine, lo dissi, con una voce che non assomigliava nemmeno alla mia.

    “È stata tutta colpa mia, Meissa... chiunque sia stato... ti ha fatto del male perché io sono corso via, perché io non ti ho aspettato, perché non ero lì con te, come ti avevo promesso, perché non sono rimasto a proteggerti... è solo colpa mia … ho avuto paura che fossi sparita per sempre…”

Dissi quelle parole, parlai di quel buio, di quel silenzio, di quel sangue, della mia totale inettitudine e lei non disse nulla, forse pensava le stesse cose, forse mi accusava allo stesso modo. Mi fissavo le scarpe, mentre un po' per volta il cortile si svuotava e il vento saliva dal lago sotto di noi, a lambirci e a tormentarci, ovunque c'era solo freddo e silenzio. Poi, improvviso, sentii il calore delle sue mani attorno alle mie. Alzai gli occhi, tornai a guardarla: era diversa, vero, ma era sempre la mia Mei. I suoi occhi erano pieni di lacrime, sapevo quanto lei odiasse farsi vedere debole, ma in quel momento non contava: aveva importanza solo che fossimo lei ed io, di nuovo insieme. Appoggiò la testa contro la mia spalla ed io l'abbracciai, un po’ impacciato, ma stavolta, in me, non c'era confusione, imbarazzo, timore, come quando avevo preso il coraggio di baciarla. No, stavolta ero sicuro che starle vicino fosse l'unica cosa da fare, che fosse la mia, solo la mia, la spalla che doveva e poteva darle conforto, prima ancora che mi dicesse qualcosa.

    “Tu hai salvato la mia vita quella notte… e non solo la mia… è questo ciò che hai fatto… ed io te ne sarò grata per sempre... in questi giorni, invece… ho temuto di aver perduto anche te... che te ne fossi andato anche tu... ma sono felice di essermi sbagliata… felice… mi sei mancato Sirius... ”

La sua voce era un soffio ed io tremavo, perché avevo voglia di dirle che io non volevo andare da nessuna parte, che non sarei mai voluto andare da nessuna parte, perché quando l’avevo vista sparire, avevo capito che… non poteva più esserci felicità vera intorno a me senza… Abbassai gli occhi, sentendo le guance andarmi a fuoco, anche se lei non poteva vedermi, il viso affondato sulla mia spalla: ero così felice per quel suo respiro lieve che mi solleticava, per l'odore della sua pelle, che contenermi non ebbe più importanza...

    “Mi sei mancata anche tu… come nessuno… mai... ”



*continua*



NdA:
Ringrazio tutti al solito per le recensioni, le letture, le preferenze, ecc.
L'immagine di inizio capitolo è stata realizzata per me da Ary Yuna (che ringrazio), potete trovare i suoi lavori su DeviantArt e nella sua pagina Artista su FB.
Questo capitolo anticipa quello che avverrà nel prossimo, ci sono utili indizi da unire a quelli del capitolo precedente. Ho proseguito nell’analisi di Rabastan, perché i suoi sono occhi nuovi con cui guardare i sotterranei di Serpeverde e perché il personaggio avrà peso in futuro prossimo: l'idea di spaventare Meissa fa parte di un piano più complesso, che riguarda anche Rigel, ed è riuscito ad attuarlo con comodo servendosi dell’aiuto di un complice (Evan Rosier, anche lui diventerà un personaggio abbastanza abituale). Parlare ora della parentela tra Deidra e i Rosier non ha finalità particolari, ho solo ribadito l’idea generale per cui tutte le famiglie purosangue sono in qualche modo imparentate, in seguito sfrutterò la faccenda in maniera più opportuna. Ho voluto anche sottolineare l’atmosfera di competitività tra i futuri Mangiamorte (se MacNair aveva messo nei guai vari personaggi per vendetta, la cosa non poteva concludersi lì: farà il boia, ci dice la Row, io ho immagianto che questa fosse la conseguenza delle sue alzate d’ingegno, aveva creato noie a Malfoy e si sa, quella famiglia ha sempre usato potere e soldi per muovere pedine al Ministero a proprio piacimento).
Per alcuni, se Sirius ha quasi dodici anni, i suoi sentimenti sono "troppo maturi": io non li vedo innamorati, ma i nostri eroi hanno undici anni e a undici anni, conoscono più che bene l’amicizia e quello che hanno vissuto entrambi (la paura di Sirius di non vedere più Meissa, il sentirsi responsabile, la paura di essere accusato e allontanato, il sollievo che tutto sia finito nel migliore dei modi) è stato per entrambi un’esperienza potente, qualcosa da esorcizzare, alla fine, anche con lacrime e abbracci, non con una formale stretta di mano o, peggio ancora, con la totale indifferenza. Naturalmente non sono né psicologa né studio gli adolescenti, per cui magari è tutto sbagliato, ma il pensiero che volevo trasmettere è questo.
Bon, ci leggiamo presto. Alla prossima.
Valeria



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