Seguiva
attentamente, assieme agli altri, le
operazioni di salvataggio, mentre premeva le mani una contro l’altra,
con forza,
sentendosi assolutamente impotente.
L’ansia
le impediva di respirare: la
soffocava.
Non
riusciva a pensare ad altro che non fosse
Harm in mezzo alla tempesta. Solo, travolto delle onde, al freddo, al
buio…
Non ce la faceva a sopportare l’idea che
sarebbe stato solo. Ma non sarebbe stato solo, ci sarebbe stata
Skates con lui… O forse no. Non importava… era lei che voleva
disperatamente essere con lui, poterlo aiutare, nonostante fosse un
pensiero
assurdo: in mezzo ad una tempesta, anche se fossero stati insieme, come
avrebbe
potuto aiutarlo? Ma, irrazionalmente, pensava che bastasse il fatto di
potergli
essere accanto per dargli la forza di sopravvivere. Essergli accanto
com’era
stata in Russia, e in tante loro avventure: nonostante i pericoli, loro
due assieme
erano sempre riusciti a cavarsela. E, invece, non essergli vicino, non
essere
assieme a lui, poteva ucciderlo. Ma, soprattutto, non essergli accanto
stava
uccidendo lei.
Voleva
che fosse tra le sue braccia, al
sicuro, al caldo, senza paura.
“Oh Harm, perché siamo stati così
stupidi? Ero
così arrabbiata con te, che non ti ho neppure salutato, non ti ho
neppure
augurato buona fortuna! E ora… ora questo! Come farò a sopravvivere, se
tu
morirai?” pensò, mentre la voce del pilota che stava
portando i soccorsi
arrivava tramite il collegamento viva-voce, che lei aveva preteso nella
saletta
del ristorante.
“Vedo
una zattera, signore… Ora scendo!” stava
dicendo la voce.
“Quanto
si sente fortunato, tenente?”
chiedeva, nel frattempo, il comandante Ingalls all’altro capo.
“Moltissimo,
signore!” rispondeva nuovamente
il pilota dell’elicottero di soccorso.
Sarah
strinse ancora più forte le mani. Forse
lo avevano trovato!
“Signore, ti prego, fa che sia
lui… fa che sia
vivo “ implorò nella sua mente: chissà se dopo sarebbe
tornata a respirare? Le
sembrava di essere in apnea, come probabilmente lo era stato Harm, e
forse lo
era ancora.
“Uniti anche in questo”
pensò. “Come ho potuto
anche solo pensare di poter vivere la mia vita senza di lui? Pur
sposando Mic,
tuttavia, Harm ci sarebbe stato: avrei potuto parlargli, avrei potuto
vederlo.
Avrei potuto continuare a vedere i suoi occhi, il suo sorriso. Questo
avrei
potuto sopportarlo. Ma se dovesse morire…”
“…E’
il tenente Hawkes, signore “, stava
gridando di nuovo la voce al telefono.
“E
il capitano Rabb? Nessuno ha visto il
capitano Rabb? ” chiese, ansioso, il comandante.
“Signore,
il tenente Hawkes non ha visto
l’eiezione del capitano Rabb!” rispose di nuovo il pilota.
Non
c’era.… Harm non c’era! Non lo avevano
trovato. Non sapevano neppure se fosse riuscito ad eiettarsi.
“Qui
sta ballando tutto, signore…” di nuovo la
voce del pilota.
“Va
bene, tenente, rientrate pure. Ma prima
fate ancora un giro su tutta la zona”.
L’ordine
del comandante Ingalls fu, per Sarah,
come un colpo in pieno petto.
“Ma…
signore, il Capitano Rabb potrebbe essere
ovunque…” gridò al telefono.
“Ha
centrato perfettamente il problema,
colonnello MacKenzie! Però non posso rischiare l’intero equipaggio per
un solo
uomo. E’ la procedura…” rispose il comandante.
“Al diavolo la procedura!”
Tutti si voltarono, ammutoliti, a fissarla: non era da Mac usare espressioni del genere.
“Allora
lo
lascerete lì?” chiese, severa.
L’ammiraglio
intervenne deciso, troncando con
autorità le proteste di Sarah: “Comandante, nessuno vi sta accusando di
non
aver fatto il possibile… Quando riprenderete le ricerche?” chiese.
“Appena
il tempo migliora… ” e con questa
risposta del comandante della Patrick Henry, l’ammiraglio chiuse la
comunicazione. Poi, con lo sguardo severo e preoccupato, guardò Mac
che, con le
lacrime agli occhi, scappava dalla sala, lasciando tutti i presenti che
la
stavano fissando senza parole.
Mic
le corse dietro e la trovò in una sala
adiacente: stava guardando fuori della finestra.
“Non
dovresti stare qui sola, Sarah, ma di là,
con tutte le persone che ti vogliono bene. Hanno trovato Skates, vedrai
troveranno anche Harm” le disse dolcemente.
Sarah
non rispose… continuava a guardare fuori
della finestra.
Mic poteva ancora credere che fosse così sconvolta a causa dell’amicizia che li legava da anni, anche se gli sembrava, in ogni caso, una reazione troppo eccessiva, per un amico. Gli venne un dubbio alla mente: chissà se ci fosse stato lui, al posto di Rabb… Lei sarebbe stata così sconvolta?
Perché
gli venivano alla mente pensieri
simili?
Al
diavolo quell’uomo! Ogni volta che
cominciava a sentirsi sicuro dei sentimenti di Sarah, quel dannato
yankee
riusciva a combinarne una delle sue e lei era sempre confusa. E quando
Mac era
confusa, lui si sentiva ancora peggio. Avrebbe dovuto esserci
lì Renee, a soffrire
così per Rabb. Del resto, era la sua donna. Era stata Sarah, però, ad
insultare
quasi il comandante Ingalls, ed era stata lei a scappare sconvolta
dalla sala.
Un
sussulto delle sue spalle gli fece
sospettare che stesse piangendo. La fece girare lentamente verso di sé
e la
guardò in volto. Il viso di Sarah era sconvolto dalle lacrime e
dall’angoscia:
Mic non era preparato a quello che vide. Lei cercò di nascondere in
parte la
sua espressione, ma non fu svelta e abile a sufficienza e Mic riuscì a
cogliere
tutta la sua disperazione. Quel viso rigato di lacrime era il
volto di una
donna innamorata che temeva per la vita del suo uomo, e non quello di
un’amica
in ansia per la sorte del suo migliore amico.
E
quelle lacrime erano per il capitano Harmon
Rabb, non per Mic Brumby.