Capitolo
17
Un bagliore bianco in un attimo invase il mio campo visivo per poi diventare una distesa bianca. Le sensazioni cominciarono a tornare , mi sentii respirare e ne fui sconcertata.
Poi sentii la mia mano dentro un’altra e ancora non ci credevo. Poco fa non ero morta?.
I miei occhi si aprirono da soli e il bagliore accecante del neon mi abbagliò. Dopo qualche sbattimento di ciglia riuscii a focalizzare la stanza di ospedale in cui mi trovavo e Alexander accanto a me. Poi tornò anche l’udito.
“Isabella” mi chiamò con la sua voce, quella voce. Ero così felice di averlo accanto che il bip della macchina che mostrava il battito del cuore aumentò. “Sapevo di farti questo effetto ma averne la conferma è sempre bello” sogghignò soddisfatto.
Il torpore del mio cervello se en era andato quasi del tutto.
“Pensavo di essere morta” lo dissi così piano che neanche lui l’avrebbe sentito, se fosse stato umano. “Ci sei andata vicino e credimi, l’idea mi straziava.”
In quel momento non potei che pensare di quanto fossi fortunata ad avere un ragazzo che tenesse davvero a me. “Cosa è successo?” chiesi poi, nella mia testa era così tutto confuso. “La belva della morte ti aveva chiusa in una sorta di scudo e aveva iniziato a torturarti.” Disse le ultime parole con della rabbia repressa. “Era orribile stare lì a guardare mentre ti faceva del male e non potere fare nulla “. Questa volta controllava a stento la rabbia. “Ma deve aver abbassato la guardia troppo concentrata a squartarti che lo scudo è caduto e l’ho rispedita negli inferi” “quindi non è morta?” “no ma non ci darà più fastidio” e per la prima volta da quando mi ero risvegliata aveva sorriso e mi aveva dato un bacio. “Da quanto sono qui?” “due giorni e fortunatamente non hai nessun organo ferito” “ma cosa avete raccontato a tutti? E mia zia?” di certo non potevano aver raccontato quello che era realmente successo.
“Eravamo andati lì per goderci il panorama ma tu sei inciampata . . . “ “non dirmi che hanno creduto a una cosa del genere? Nessuno lo farebbe” lo interruppi.
“Sai, possiamo convincere voi mortali di quello che ci pare” concluse allusivo.”Sei scorretto” sussurai con voce sommessa “ e tu per tutti un’imbranata” e rise baciandomi.
Passarono due settimane prima che mi dimettessero ed io non aspettavo altro.
Mi venne a prendere zia Madison, mentre a casa trovai Jason ad aspettarci con la tavola apparecchiata per più persone. “Chi altro viene a pranzo?” domandai mentre mi a zia era volata ai fornelli per riscaldare il pranzo. “Ho pensato di fare un pranzo di conoscenza con Alexander ed ho invitato anche il suo amico e ovviamente tuo cognato. Sono stati così carini in questi giorni” concluse con un sorriso stampato in faccia.
Le avevano proprio fatto il lavaggio del cervello, non mi era proprio sembrato che le stesse simpatico Alexander. “Proprio carini” borbottò Jason a bassa voce sarcastico.
Zoppicai fino alla sedia davanti a lui mi ci si accasciai sopra; non ero tornata con gessi o stampelle ma mi sentivo il corpo costantemente intorpidito dagli antidolorifici , molte ferite a cui dovevo cambiare la fasciatura ogni giorno e diversi lividi fortunatamente non visibili. Avevo perso due settimane di scuola e so che chiunque altro ne avrebbe gioito ma io pensavo solamente alla fatica da fare per rimettermi in pari. Sospirai afflitta, stava arrivando Alexander con la sua allegra combriccola di demoni e con l’aria torva e arrabbiata che aveva mio fratello non sapevo cosa aspettarmi.