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Autore: Milako    15/09/2006    10 recensioni
Ciò che Tolkien non ci ha mai rivelato.
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
Capitoli:
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Disclaimer: i personaggi presenti in questa storia appartengono a Tolkien e a chi ne detiene i diritti. Non scrivo a scopro di lucro e nessuna violazione del copyright è intesa. Per citare/riprendere/tradurre questa storia in toto o in parte dovete avere il mio esplicito permesso.

Quenta Silmarillion
La storia dei Silmaril
________________________

Capitolo I
Dell’inizio dei giorni
ovvero: se il buongiorno si vede dal mattino…

In quel tempo i Valar diedero ordine alla Terra; "ordine", tuttavia, è una parola non dico grossa, ma quantomeno colossale se riferita al macello che esisteva ai tempi in Arda.
E del resto come avrebbe potuto essere altrimenti, in un regno che aveva Manwë al comando?

Il sovrano dei Valar, difatti, era solito dedicare tutte le sue energie ad attività quanto mai sane e costruttive, alle quali abbiamo già accennato in precedenza: bere, fumare, giocare d’azzardo e organizzare festini. Poteva mai, povera stella, badare alle regolari questioni amministrative presenti in ogni stato? Ovviamente no; di conseguenza Arda era abbandonata allo sfacelo totale.
E, no, se ve lo state chiedendo, non era affatto colpa di Melkor.

…D'accordo, d’accordo, diciamoci la verità: il diabolico fratello di Manwë ci metteva pure la sua candida manina, distruggendo quelle quattro cose buone che i Valar riuscivano a tirare su, ma gran parte del "merito" era da attribuire proprio ai Valar.

La permanenza in Arda non li aveva migliorati di una virgola, come audacemente sperato da Ilúvatar… tutt’altro.
Ottusi, ripiccosi e bastardi da fare schifo, i Valar impiegavano le loro giornate in continui tentativi di ingannarsi a vicenda: in particolare, la frode di territori era ormai all’ordine del giorno.

Ah, le prime gioie della proprietà privata…!

Gli oceani di Ulmo si espandevano clandestinamente sopra le pianure di Aulë; le piantagioni di Yavanna erano insediate dai pascoli dei cavalli di Oromë; Manwë spazzava via con i suoi venti dozzine delle odiatissime stelle di Varda… perfino Mandos e Lórien, che erano fratelli e in teoria si dovevano volere tanto bene, spintonavano di continuo i limiti dei rispettivi possedimenti, che confinavano fra di loro.
‹‹Mi serve spazio, Mandos, il mio circolo ricreativo per tossicomani ha bisogno di grandi prati e tanta aria; non posso ammucchiarli tutti come in un hotel giapponese! Hai presente quanti ne arrivano ogni giorno?›› si lagnava Lórien. ‹‹Aulë la deve finire di far coltivare tutte quelle piantine a sua moglie, non si può vivere così…››.
‹‹Sì, a te serve spazio›› rispondeva Mandos, ‹‹ma a me ne serve di più. Non hai idea di quanti morti ci dovranno stare, qui dentro… Aaaah, Alqualondë! Il Doriath! La Nirnaeth Arnoediad!›› profetizzava con la bavetta alla bocca e gli occhi iniettati di sangue.
‹‹Che fa, la finiamo con tutta questa cagnara?››* borbottava irritato Manwë. ‹‹Qua c’è gente che cerca di lavorare!››. Tuttavia mentiva spudoratamente: in giro non c’era l’ombra di un lavoratore nemmeno a pagarla oro, e lui non faceva di certo eccezione.

Sì, in teoria Manwë era Re… ma in realtà il vero Sovrano di Arda era il Caos assoluto.

In tutto questo, l’unico che non causava problemi era il buon Melkor. Nel momento stesso in cui Manwë era salito al trono, lui - avendo forse fiutato le disgrazie che ne sarebbero venute - prese armi, bagagli e servi e se ne andò in un luogo remoto chiamato Utumno. Lì costruì una cupa fortezza, vi si rifugiò e se ne rimase buono buono con i suoi uomini di fiducia a rimuginare su piani visionari di conquista del mondo, e usciva soltanto qualche volta per rovinare le fatiche dei Valar (e quindi, poveraccio, non usciva praticamente mai…).

***

Nel regno dei Valar, intanto, la situazione degenerava.

Dal momento che nessuno era intervenuto a placare la disputa territoriale dei fratelli Morte&Miraggio, questa aveva cominciato ad assumere proporzioni sempre più vaste. Manwë, precursore di tanti futuri capi di governo, se ne sbatteva alla grande, lasciando che fossero gli stessi interessati ad arrangiarsi.
E gli interessati si arrangiarono: di necessità virtù!
Gradualmente si armarono di lupare, scacciacani, sfollagente e cecchini, rivendicando i loro confini più o meno civilmente. A quel punto molti dei Valar si allarmarono e divennero inquieti; all’unanimità decisero di inviare un portavoce a Manwë, affinché la situazione non sfociasse nell’irrimediabile.
‹‹Ok…›› disse allora Aulë, rivolto agli altri Valar ‹‹…chi va da Manwë?››. Tutti deglutirono alla prospettiva di un incontro ravvicinato con il loro poco amato Re, che ultimamente - forse anche a causa dell’abuso di sostanze strane - era caduto preda di qualcosa che assomigliava tremendamente alla demenza senile (o alla demenza e basta).
‹‹Beh, mandiamo un Maia, no?›› propose saggiamente Yavanna.
E manco a dirlo, tutti i Maiar presenti nel raggio di dieci chilometri si eclissarono all’istante.
‹‹Vigliacchi… sempre pronti a leccare, ma per una volta che c’è davvero bisogno di loro…›› sibilò Oromë, sdegnato.
‹‹E dai, compatiscili… a me fanno pena, mandiamo sempre loro! Beh, allora…›› Aulë si voltò verso i compagni ‹‹…dovrà andare uno di noi. Il volontario faccia un passo avanti››.
Nel mezzo secondo che seguì, i Valar si guardarono con aria complice e fecero tutti un saltello all’indietro. Aulë alzò le sopracciglia e si guardò intorno con aria prima basita, dopo sospettosa, infine esasperata.
‹‹E che strazio, mi fate ‘sto giochetto del passo indietro da millenni, non sarebbe ora di crescere un po’?!›› gemette.
‹‹Non è colpa di nessuno di noi se sei fesso, Aulë›› rispose Oromë cercando in tutti i modi di mantenere un brandello di serietà, sebbene si stesse spezzando le costole nel tentativo di non ridergli in faccia. ‹‹E poi, dai, lo sai… tu sei il più saggio e il più diplomatico, e ci vai così d’accordo con Manwë, quale ambasciatore migliore di te?›› si affrettò ad aggiungere, seminando con precisione millimetrica piccole dosi della ruffianeria delle origini.
Aulë non sembrò pienamente soddisfatto dalla spiegazione, tuttavia, rassegnato, si volse in direzione del Palazzo di Manwë, lasciando finalmente i suoi (presunti) amici liberi di sghignazzare di tanta irrimediabile ingenuità.

***

In quel momento il Re dei Valar si trovava nelle sue stanze, intento ad ultimare la sua beauty-routine quotidiana.

‹‹Specchio, servo delle mie brame… chi è il Re più bello del Reame?›› chiese ammiccando al proprio riflesso nello specchio.
‹‹Eeeh, ci fosse tutta ‘sta gran varietà di scelta…›› sospirò lo specchio.
‹‹Eh?››.
‹‹Ho detto che sei l’unico babbeo dotato di corona in tutto il mondo... Ci fosse un altro Re stai certo che parteggerei per lui, così, soltanto per farti dispetto›› sogghignò lo specchio.
‹‹Ah… eh?››.
‹‹Lascia stare, rinuncio perfino a sfotterti, non c’è gusto››.
‹‹…Comunque non mi hai risposto. Ti rifaccio la domanda: specchio, servo delle mie brame, chi è il Re più bello del Reame?››.
A quel punto, se avesse potuto, lo specchio avrebbe alzato le spalle e scosso la testa, sospirando esasperato. È ingiusto che agli specchi siano preclusi certi diritti, soprattutto agli specchi che hanno a che fare con Re megalomani che non si stancano di fare la stessa domanda tutto il giorno, tutti i giorni. Lo specchio mise da parte quel poco di dignità che gli restava e rispose:
‹‹Ma sei tu il Re più bello del Reame, Manwë…››.
‹‹Ah! Lo sapevo! Nessuno mi può resistere, nemmeno gli specchi!›› gongolò lo stupidissimo Re, mentre lo specchio si appuntava mentalmente di tentare il suicidio il prima possibile. ‹‹E ora dimmi: mirror, mirror on the wall… true hope lies behind the coast?››*.
‹‹Sì, sì, come vuoi tu, guarda…›› rispose lo specchio, con una pazienza invidiabile. ‹‹Ma ora fammi la carità, piantala di citare i Blind Guardian, che probabilmente nemmeno sai chi sono… Piuttosto, alleggeriscimi la sofferenza: hai un brufolo sul naso››.
‹‹Oh›› disse Manwë, avvedutosi della pustola.
Si stava appunto preparando a giustiziarla come si conviene, quando un orripilato Aulë tossì leggermente per segnalare la sua presenza. No, non aveva proprio lo stomaco necessario a sopportare tutto questo.

Seguì un breve silenzio imbarazzato, durante il quale Manwë dovette lottare contro se stesso per assimilare la figura di merda; Aulë dovette trattenersi per non vomitare; mentre lo specchio dovette farsi forza per non scoppiare a ridere.

‹‹Emh… Aulë, amico mio!›› borbottò infine Manwë alzandosi e andando incontro all’ "amico" (che dal canto suo in quel momento rinnegava qualsisi legame di amicizia col Re). ‹‹Qual buon vento ti porta qui?››.
‹‹…il vento non è MAI buono: lo governi tu!›› precisò lo specchio. Manwë decise di ignorarlo, mentre Aulë indietreggiava quanto più discretamente possibile dalla mano tesa del Re.
‹‹Oh… Eh, ambasciata, Manwë›› riferì nervosamente.
‹‹Ambasciata? E da chi, scusa?››.
‹‹Dai Valar…›› rispose Aulë, pregando che l’altro non chiedesse delucidazioni.
‹‹Ah… sì, capito…››.
‹‹Oh, bene, allo – ››
‹‹…ma in genere non mandate i Maiar per queste cose?›› inquisì il Re. Aulë imprecò mentalmente.
‹‹Ehr… i Maiar… hanno detto che andavano un attimo a comprare le sigarette, ma non sono ancora tornati!››.
‹‹Oh, capisco, capisco... e quindi hanno mandato te›› annuì Manwë, apparentemente soddisfatto della spiegazione. Aulë non proferì verbo, non potendo capacitarsi di tanta imbecillità: gli aveva rifilato la stessa scusa che Manwë stesso usava da millenni per scappare da Varda, e quello non aveva dubitato nemmeno un momento per errore! Vergognoso, semplicemente vergognoso.
‹‹E dunque? Che notizie mi porti?››.
‹‹Mandos e Lórien si ammazzano, Re››.
‹‹Eh››.
‹‹E…?››.
‹‹E allora?››.
‹‹Come "e allora"?›› sbottò Aulë.
‹‹Lo fanno sempre, mi sarei aspettato qualche novità…››.
‹‹Sì… stavolta usano anche i kalashnikov!›› ironizzò il Vala.
‹‹Oh! Vedere! Vedere!›› esclamò tuttavia Manwë correndo ad affacciarsi alla finestra, speranzoso.
Aulë rimase fermo a fissarlo, indeciso se spingerlo fuori dalla finestra; accoltellarlo ora che non guardava o aprirgli il cranio per controllare cosa c’era dentro, se mai ci fosse stato qualcosa. Lo specchio espresse la sua preferenza per la terza opzione; tuttavia il buon Vala, che forse in tutto il regno era l’unico con una briciolina di giudizio, fece appello a tutta la sua forza e andò a riprendere il Re.
Questi, tuttavia, non sembrava intenzionato a mettere in azione il misterioso contenuto della sua scatola cranica, cosicché il povero Aulë, come risorsa ultima, invocò il nome di Ilúvatar.
Ma così, tanto per abitudine, mica perché ci sperava veramente...

E allora Ilúvatar, che fino a quel momento se ne era stato tranquillo a spiare col cannocchiale le disavventure dei Valar, parlò.
Attenzione, però: non lo fece né per pietà né per amore paterno. In realtà ci godeva da morire a vedere Aulë che sprecava la sua voglia di vivere appresso a quel babbeo… ma ci sono dei casi in cui è necessario l’intervento della Divina Provvidenza, e mettere Manwë in condizione di pensare è uno di quei casi.
L’Onnipotente si schiarì la gola. La sua voce tuonò all’improvviso nelle orecchie dei due Valar.

‹‹Manwë!››.
‹‹Eh? Chi è?››.
‹‹Sono io, Eru, Ilúvatar!››.
‹‹Oh… Eh… Ilúv… Ah! Padre! Che meraviglia!›› replicò Manwë quasi istintivamente.
‹‹Padre!›› urlò invece Aulë, alzando le mani e il volto al cielo, quasi in lacrime, sinceramente commosso. ‹‹Ma allora esisti davvero! Ti giuro che da quando Manwë è Re non ci credevo più… Oh, Ilúvatar, Eru, Yaveh, Buddah, Allah, Tizio, Lenin o come vuoi essere chiamato, grazie, grazie!››.
Tuttavia Ilúvatar lo ignorò quasi del tutto, preferendo dedicarsi al difficile miracolo di mettere in moto il criceto che abitava la mente di Manwë.
‹‹Manwë, figlio mio, ora ascoltami›› gli disse con tutta la pazienza possibile. ‹‹Con attenzione, però, eh? Non al solito tuo che fingi di ascoltare e invece pensi al Fantacalcio!››.
‹‹Uh-uh›› bofonchiò il re, ferito nell’orgoglio.
‹‹Ecco… bravo. Dunque, hai presente Mandos?››.
‹‹Mandos? Mandos chi?››.
‹‹Manwë…››.
‹‹Ok, scherzavo, ce l’ho presente…››
‹‹Eh. Che Vala è Mandos?››.
‹‹Il Vala dei Morti…››
‹‹Eh. E qual è la sua parola preferita da ancora prima che mettesse il suo primo dentino?››.
‹‹Ehr… "sangue"?››.
‹‹Bravo. E se gli si lascia uno sfollagente, un kalashinkov o un’arma qualsiasi in mano, che cosa succede?››.
‹‹…››.
‹‹Dai, te lo dico io: l’ecatombe, succede››.
‹‹Oh››.
‹‹"Oh" non corrisponde nemmeno lontanamente a quella che dovrebbe essere la risposta adeguata alla mia affermazione, Manwë›› commentò stizzito Ilúvatar.
‹‹Ma…››.
‹‹No, tappa la fogna e lasciami finire, se mi interrompi non ti do la paghetta.›› Manwë tappò la fogna immediatamente. ‹‹Bravo, gioia di papà. Allora… io sono l’Onnipotente e tutto il resto, giusto?››.
‹‹Emh… giusto?›› chiese il Vala voltandosi verso Aulë in cerca di suggerimento.
‹‹Era una domanda retorica…›› sospirò Ilúvatar, mentre lo specchio gli offriva tutto il suo sostegno ("Pensa a me, io ci ho a che fare ogni giorno…").
‹‹Comunque… sì, sono l’Onnipotente. La sai tutta quella tiritera sul mio disegno imperscrutabile e tutto il resto, no? Te l’hanno insegnata a catechismo, la devi sapere per forza. Ecco. Siccome io ho deciso che in questa storia il ruolo del pazzo sterminatore fratricida spetta a *qualcuno* che nascerà fra circa un paio di millenni…›› cominciò, ma a quel punto anche Aulë lo interruppe.
‹‹Chi? Chi è?›› chiese curioso.
‹‹Non te lo posso dire… il disegno è imperscrutabile!›› nicchiò Ilúvatar.
‹‹Ma io lo voglio sapere!›› si intromise Manwë.
‹‹Ecco, bravo! Ora non ce lo dice per dispetto!››.
‹‹Esatto… dai, mi fate pena, però…›› disse l’Onnipotente, che in fondo in fondo aveva pur sempre un cuore di padre. ‹‹E va bene, vi anticipo qualcosa, però poi tacete e mi fate finire il discorso››, concesse. I Valar esultarono.
‹‹Dunque… Il pazzo sterminatore fratricida avrà un’infanzia così tragica che pure Remì, Georgie, Lovely Sarah, Candy Candy, Heidi, Harry Potter, la Piccola Fiammiferaia e tutti i personaggi di Dickens lo guardano, scuotono la testa e dicono: "Che ragazzo sfortunato". Sarà di carattere gentile, solare e disponibile come un’ulcera particolarmente violenta; e nel tempo libero farà figli come un coniglio, salvo poi portare tanta di quella sfiga da farne morire sei su sette. Ho detto››.
Aulë e Manwë si guardarono poco convinti. Ilúvatar tornò allo scopo principale del suo intervento divino.
‹‹Dicevo… Manwë, capisci bene che, essendo il ruolo dell’assetato di sangue già occupato, Mandos non può usurparlo come invece brama follemente, con tanto di rivoletto di bava all’angolo della bocca. E considerato che tu sei il Re, tocca a te impedire che questo accada. Ora ti metti la corona sul tuo capoccione vuoto, vai là e fai sì che Morte & Miraggio la piantino di scannarsi per quei due pugnetti di terra. Altrimenti…››.
‹‹…mi tagli la paghetta?››.
‹‹No. Ti stacco Sky›› tuonò Ilúvatar, e non parlò più, lasciando il silenzio nella stanza e nel cuore di Manwë.
…Che obbedì.

***

‹‹Eh?›› Aulë aveva ascoltato le richieste di Manwë con crescente incredulità. ‹‹Scusa, puoi ripetere? Vuoi due pali alti tremila metri e pesanti seicento tonnellate l’uno… e li vuoi con le lucette in cima? Manwë…›› disse il Vala con appena un filo di voce ‹‹…capisco l’idea di delimitare in modo definitivo i confini delle Aule di Mandos e dei Giardini di Lórien, d’accordo. Ma lasciatelo dire: ci sono almeno altre due dozzine di modi per farlo! Che so, una staccionata, un cancello, le transenne, del filo spinato, un muro… e tu no! Tu te ne esci con i pali luminosi! Ma posso sapere da dove ti è uscita quest’idea?!... Oddio, per la verità ce l’avrei un’ipotesi, ma siamo in prima serata…››.
Manwë, stravaccato in poltrona intento ad arrotolare erbe di dubbia origine, guardò l’amico con una faccia che sottintendeva qualcosa tipo "io-sono-un-genio-e-tu-sei-scemo".
‹‹Ah, Aulë, Aulë… mio buon Aulë…›› esordì, costringendo l’altro a farsi forza per non azzannarlo al collo ‹‹…possibile che ti debba spiegare tutto io? Come si vede che non sei Re! Beh, ma dimmi… hai parlato di staccionate e cancelli. Ma ai costi di manutenzione ci hai pensato?›› chiese, e a quel punto Aulë sgranò gli occhi.
‹‹I costi di manut – ››.
‹‹Sì… e il pensiero di aprire cantieri per tutti quei chilometri di confine mi fa stare male, non puoi capire›› concluse il Re con tono teatrale e l’espressione criptica alla Elijah Wood. ‹‹Naaah, naah, molto meglio i pali! Uno a nord e uno a sud: solidi, visibili, luminosi anche al buio…››.
‹‹…e in vendita nei migliori negozi di giocattoli››.
‹‹Cosa?››.
‹‹Niente. Piuttosto, scusa se ti ribadisco il concetto, Manwë, ma vorrei ricordarti che io sono l’unico artigiano di Arda. Non è che ti passa per la testa che l’impresa vada un po’ oltre le mie possibilità?››.
‹‹Uff. Stai sempre a lagnarti, sei una piaga. Cosa vuoi che ti dica? Fatti aiutare da Tulkas, no?››.
Aulë aprì la bocca per ribattere, ma non ne aveva nemmeno la forza.
Dire "Fatti aiutare da Tulkas" equivaleva più o meno a "Legati una pietra al collo e gettati da un ponte": quale, quale aiuto avrebbe mai potuto fornire l’Idiota che Ride Sempre? Al pensiero di quest’eventuale collaborazione, i nervi di Aulë sussultarono in segno di protesta.
Tuttavia, prima che Manwë se ne potesse uscire con qualche altra stronzata, il Vala si volse all’opera.

Quelli, per Aulë, sarebbero stati i giorni in cui avrebbe rischiato maggiormente di diventare un serial killer.

‹‹Duemilanovecentonovantanove… duemilanovecentonovantanove e mezzo… tremila! Finito il primo! Tulkas, passami le luci››.
‹‹Ah ah, ah ah ah!››.
‹‹…Tulkas, le lucette, per favore››.
‹‹Ah ah ah ah ah, oddio, ah ah ah!››.
‹‹T-Tulkas…››.
‹‹Mppphh…. Eh eh eh eh!››
‹‹…Tulkas?
♪ ››.
‹‹Mpphh… Sì?››.
‹‹Vaffanculo››.
‹‹…Ahahahah!!!››

‹‹Oooh! Finito? Era ora, finalmente!››.
Manwë e i Valar erano giunti ad osservare l’opera di Aulë completa. Questi aveva la faccia di uno che desidera davvero, davvero morire.
Sì, aveva finito… ma i rimasugli del suo sistema nervoso non ne erano entusiasti.
Non è tanto per il lavoro in sé e per sé, considerò Aulë, è più che altro la frustrazione di avere assecondato i deliri di Manwë. Oddio, anche Tulkas tanto bene non mi ha fatto, lui e la sua perenne risata…
E avrebbe continuato così ancora per molto, diventando sempre più pericolosamente simile a Mandos, se la voce di Manwë non lo avesse riscosso da queste riflessioni.
‹‹…sì, insomma, io dico che si poteva fare di meglio, ma alla fine non è malaccio. Bene, popolo, ora sapete cosa vi dico?››.
I Valar lo guardarono speranzosi; tutti tranne Aulë che tremò, impallidì e cominciò a sudare freddo. No, no, ti prego, sono stanco morto, fa che Manwë non se ne esca con la sua ennesima, interminabile…
‹‹…FESTAZZA!!!››.
‹‹WOOOHOOOO!!!››

***

Così accadde che Manwë diede un festin… ehr, una grande festa sull’isola di Almaren. Tutti i Valar furono entusiasti e si affrettarono ad accorrere con le loro schiere, portando tutto il necessario: cibo, alcolici, erbe, travestiti, luci psichedeliche e, cosa fondamentale, gli ultimi successi dei loro cantanti preferiti, quali Lady Gaga, Britney Spears, Eminem e tutto il panorama musicale dal pop più tristemente commerciale in giù, fino alla musica house.

E la festa cominciò, fra grandi risate e grandi vaccate.

Ad Utumno, però, la pace stava per essere rovinata.
Melkor, fedele alle sue abitudini, stava giustappunto esaminando l’ennesimo delirante schemino di conquista del mondo, quando qualcosa turbò il suo superudito.
‹‹Sauron?›› disse.
‹‹Comandi, patrone…››.
‹‹Sauron, dimmi… non senti anche tu un terribile suono?››.
Il Maia alzò le sopracciglia, si guardò attorno e spalancò i padiglioni auricolari.
‹‹Ebbene?››.
…No, per la verità lui non sentiva proprio niente. Era tuttavia nel suo interesse essere d’accordo col "patrone".
‹‹Certo, patrone, un suono veramente orrib – ››.
‹‹Sauron… questo- questo è l’ultimo cd del Festivalbar!›› sputacchiò Melkor, cominciando ad alterarsi. ‹‹E io non avevo forse dato disposizione che nella mia reggia si ascoltasse solo musica dal rock in su?››.
‹‹Patrone, vero è! Mi pare strano forte. Volete che faccio un giro di ricognizione? Ho il vostro permesso di sistemare personalmente il colpevole?›› rispose Sauron cominciando ad imbracciare la fedele lupara.
‹‹…Sauron?››.
‹‹Patrone?››.
‹‹Quante volte te lo devo ripetere che qua le tue origini mafiose non sono gradite?›› tuonò Melkor alzandosi in piedi e sovrastando Sauron di un paio di metri. ‹‹Fammi la cortesia, sopprimi le radici sicule e togliti questo cappello ridicolo!››.
‹‹La coppola fa molto "signore Oscuro", patrone. E anche i baffetti…›› ribatté Sauron lisciandosi i baffi con aria trasognata.
‹‹Sauron, levati da davanti i miei occhi, và…›› bofonchiò Melkor crollando esausto su una sedia. I muri della sicilianità di Sauron erano difficili da abbattere persino per lui. ‹‹Comunque no, non hai licenza: ci penserò io al colpevole o ai colpevoli. Ora vai››.
‹‹Come comanda vossignoria. Baciamo le mani!››.

Il luogotenente di Melkor si recò sulla torre più alta di Utumno. Scrutò l’orizzonte per un po’… e alla fine pensò che questo al "patrone" non sarebbe piaciuto proprio per niente.

‹‹Allora, Sauron?››.
‹‹Patrone, veramente, ve lo dico da figlio: sedetevi››.
‹‹Sono seduto, Sauron››.
‹‹Allora alzatevi, patrone››.
Melkor fu fortemente tentato di tirare una capata alla parete. Ma qual era, qual era la cattiva azione che aveva fatto per meritarsi il luogotenente mafioso e tardo?
Si fece un veloce esame di coscienza: ok la sua fedina penale non era proprio immacolata, ma essere punito con una piaga come Sauron, francamente, gli sembrava un po’ eccessivo. Gemette e fece segno al sottoposto di proseguire.
‹‹Allora, patrone, io ve lo dico, però ricordatevi che io non c’entro niente, ah››.
‹‹Sì, ma a me sta venendo l’ulcera solo ad ascoltarti, se continui ancora un po’ non avrò nemmeno la forza di incazzarmi, credimi…››.
‹‹Patrone, il terribile suono non viene dalla reggia››.
‹‹E fin qua c’ero arrivato anche io… nessuno ad Utumno è tanto idiota da ascoltare quelle porcherie e sperare di passarla liscia. Da dove viene allora?››.
‹‹Viene precisamente da quel posto in cui ci vive quello che voi non volete che nominiamo, patrone››.
‹‹Chi, Lord Voldemort?›› ironizzò Melkor. ‹‹Sauron, fammi la carità, parla potabile!››.
Sauron mugugnò qualcosa, a disagio.
‹‹Eh?››.
‹‹Ci vivono… quelli come voi che però voi siete meglio assai!››.
‹‹Cosa vai blaterando, Sauron?›› indagò Melkor, troppo esaurito perfino per mettersi a decifrare i deliri del suo sottoposto. Tuttavia il Maia si rifiutò di dire altro, così l’inevitabile risposta prese forma nella mente di Melkor.
Era evidente: Manwë e i Valar si stavano dando alla pazza gioia nel bel mezzo dell’ennesimo festino. In genere Melkor se ne sarebbe fregato alla grande, ma era inaccettabile che quell’orribile musica penetrasse fin dentro le torri di Utumno!
Così Melkor, che in fondo era un animo candido, decise di andare a salvare il mondo da quello scempio. A modo suo…

Manwë era molto soddisfatto: la festa procedeva alla grande!
Si guardò attorno e fece una rapida stima: metà dei partecipanti erano già avvinazzati che era una meraviglia; un po’ tutti erano già alla loro ventesima canna; i travestiti stavano riscuotendo enorme successo… per finire, il tutto era accompagnato dalle soavi note dell’house più scadente in circolazione.
Mentre i Valar davano sfogo al loro entusiasmo nei modi più fantasiosi e disparati, il solo Aulë se ne stava seduto in solitudine, in un luogo relativamente riparato. Era riuscito a strisciare via dai meandri del festino e adesso desiderava solamente un po’ di pace e di silenzio per il bene del suo sistema nervoso sull’orlo della crisi. Stava per l’appunto cercando di isolare la sua mente dagli echi del casino poco distante, quando una nera figura gli passò di fronte.
Il Vala, preoccupato, si fece piccolo piccolo e tentò di non farsi vedere: non si sa mai che Manwë avesse mandato qualcuno a cercarlo!
Tuttavia si stupì quando sentì la nera figura scandire chiaramente: ‹‹Che musica di merda!››.
Il buon Aulë, che in cuor suo era sempre stato d’accordo con quel parere, fu colto da sorpresa. La nera figura ne udì il sussulto e si voltò, rivelando il proprio volto.
‹‹Melkor? Tu qua?›› chiese Aulë, con gli occhi a palla.
‹‹Purtroppo…›› rispose l’altro. ‹‹Ti trovo male, Aulë››. Il Vala chiuse gli occhi e scosse le spalle, come a dire ‹‹Vorrei vedere te…››.
Melkor tornò a puntare lo sguardo verso le luci del festino con aria profondamente disgustata. Il Vala era preda di sentimenti contrastanti: era in presenza di Melkor, il pericolo pubblico numero uno al mondo, nonché suo personale rivale, arcipuffolina! A rigor di logica avrebbe dovuto assalirlo oppure chiamare i soccorsi, o alla peggio scappare. Tuttavia un sentimento di speranza di impossessò di lui.
‹‹Ti prego…›› disse ‹‹…fa’ qualcosa, fermali! Non posso sopportare questa musica ancora a lungo!›› biascicò gettandosi ai piedi di Melkor. Questi lo guardò stupefatto e incredulo: a che cosa porta la disperazione! Si divincolò poco gentilmente dalla presa di Aulë e si diresse con passo minaccioso verso il luogo della festa, deciso più che mai a fermare quello scempio.

Sbarazzatosi in un batter d'occhio del Maia addetto alla musica, Melkor staccò lo stereo. Guardò gli altri per un attimo… e quell’attimo fu sufficiente a scatenare il panico.
Tutti i Maiar scapparono all’istante, gran parte dei Valar, nella confusione, rovesciò tavoli, mobili, cibo e casse; Manwë, improvvisamente conscio del suo ruolo di Re, cercò di mantenere la calma, ma nessuno lo stette a sentire; Nienna piangeva e con lei tutte le Valiër; Tulkas rideva (ma quello sempre), Mandos ne approfittò per tirare fuori la scacciacani e sparare a salve; Yavanna cercava disperatamente di mettere in salvo tutte le piantine che poteva; Oromë non trovò di meglio da fare che suonare il suo corno…
Melkor continuò a guardarli, chiedendosi seriamente se fossero scemi o cosa. Lui non aveva mosso un dito: si era limitato a staccare la musica, in fondo era quella che gli dava fastidio! Scosse le spalle e fece per andarsene, abbastanza schifato, ma la voce di Manwë lo trattenne.
‹‹Beh? Tu spunti qui, fai tutto sto casino e ora pensi di andartene come se nulla fosse? In guardia!››.
Melkor lo guardò, appuntandosi mentalmente di non dubitare mai più della cretinaggine dei Valar.
‹‹A parte il fatto che il casino lo state facendo tutto da soli…›› rispose accennando con la testa ai Valar in preda alla follia ‹‹…comunque sono di fretta. Ho lasciato Utumno in mano a Sauron e non sono tanto tranquillo…››.

Ad Utumno…
‹‹Allora, ripetete con me, d’accordo? Uno, due tre…››.
‹‹…Questa è una proposta che non si può rifiutaaare!››.
Sauron guardò gli Orchetti che stava istruendo, sinceramente commosso. Oh, il "patrone" al ritorno sarebbe stato così contento!

‹‹…Ho una pessima sensazione›› disse fra sé e sé Melkor. ‹‹Me ne vado, alla prossima!››.
‹‹M-ma come?›› chiese Manwë non potendosi capacitare di tanta fortuna. ‹‹Te ne vai così, senza distruggere niente, senza fare del male a nessuno, senza spargimenti di sangue, senza…››.
‹‹Mi sembra che vi facciate già abbastanza male da soli›› obiettò Melkor alzando un sopracciglio. ‹‹In ogni caso, che ti devo dire? Se ci tieni così tanto non ho il cuore di rifiutare…››.
Detto ciò, il Vala oscuro estrasse un mazzo di chiavi e cominciò a graffiare tutti i cd. Il panico dei Valar raddoppiò. A quel punto però Melkor, genio del male, ci prese gusto. Si voltò verso giganteschi i pali luminosi.
‹‹E questi che vaccata sono? Bah, non mi piacciono, troppa luce…›› e con uno schiocco delle dita i pali caddero rovinosamente al suolo. Soddisfatto se ne tornò in Utumno, lasciando grande rovina dietro di sé.

Ebbe così termine la Primavera di Arda. La dimora dei Valar su Almaren venne completamente distrutta ed essi non avevano luogo in cui stare sulla faccia della Terra. Lasciarono quindi la Terra di Mezzo e si recarono nella Terra di Aman, la più occidentale di tutte le regioni ai confini del mondo.

Le leggende e i racconti degli Elfi (di cui io, ribadisco, non mi fido. N.d.A.) narrano che nella terra chiamata Aman i Valar costruirono la propria città, che chiamarono Valinor. Essa, stando alla leggenda, era la più beata e la più splendente fra tutte le città mai costruite in Arda… però, considerato chi ci abitava e chi l’aveva costruita, tutti noi abbiamo il sacrosanto diritto di dubitarne fortemente.

Uno dei più antichi miti trasmessi attraverso i racconti degli Elfi è quello che narra la creazione dei due Alberi Sacri di Valinor.

‹‹Sì,›› raccontavano le mamme ai piccoli elfini prima di metterli a letto ‹‹e allora Yavanna cantò e sul colle Corollairë nacquero due grandi alberi, uno d’oro ed uno d’argento…››.
Tuttavia i piccoli elfini, pignoli, giustamente chiedevano: ‹‹Mamma, come fanno due alberi a nascere da un canto? Non si può! Lo dice pure la filastrocca: per fare l’albero ci vuole il seme, per fare il seme, ci vuole il frutto…››.
‹‹Oh, che strazio: dormi!›› rispondevano le mamme, e così sia gli elfini sia il legittimo dilemma restavano senza risposta.

Ora, è vero che sul colle Corollairë c’erano due alberi d’oro e d’argento, ma la verità sulla loro creazione è ben meno poetica della versione ufficiale. Ve la racconteremo.

Varda Elentári e Yavanna Kementári erano, come sappiamo, grandi amiche e strettissime comari. Avevano una piaga in comune: i loro mariti erano sempre nei sobborghi di Valinor ad ubriacarsi e a scommettere. Così, per ingannare le ore di solitudine, le due Valiër usavano trascorrere molti pomeriggi assieme.
Un dì che Yavanna era andata a far visita a Varda alle sue Aule sul Taniquetil, le due amiche decisero di andare in terrazza.
Erano per l’appunto immerse in uno dei loro discorsi su quanto fossero zotici e villani i rispettivi mariti; su come non ci fossero più le mezze stagioni; su come fosse noiosa la vita a Valinor; sullo smalto che si scheggia e sulle doppie punte che spuntano sempre, quando Yavanna – forse istigata dal marito, forse proprio fine di natura sua – voltò il capo e sputò i semi del frutto che stava mangiando giù dalla terrazza.

Quei semi, pregni del potere di Yavanna, precipitarono intatti lungo tutti i quattromila metri del Taniquetil e andarono a schiantarsi sul colle Corollairë, alzando un gran polverone. Quando la nube si diradò, al suo posto c’erano due alberi meravigliosi.

Uno, maschio (e devo capire da cosa i Valar ne hanno dedotto il sesso. N.d.A.), aveva foglie verde scuro sopra e argento sotto e da ognuno dei suoi innumerevoli fiori cadeva incessantemente una rugiada di luce argentea.
L’altro, femmina (e anche qui, il mistero…
N.d.A.) esibiva foglie di un verde delicato come quello del faggio appena intagliato (eh?); i loro bordi erano di oro luccicante e dai suoi rami dondolavano i fiori in grappoli di fiamma gialla, ognuno a forma di corno scintillante che versava sul terreno una pioggia dorata. Essi vennero chiamati Telperion e Laurelin (in realtà avevano altri cinquemila nomi ciascuno, un po’ come Aragorn, ma noi li chiameremo convenzionalmente così. N.d.A.).

Tutti i Valar furono profondamente affascinati e ammirati da queste meraviglie; Yavanna stessa non poteva capacitarsi di come avesse fatto a creare tanta beltà sputando dei semi. Tuttavia in giro raccontò che gli Alberi erano nati alla melodia del suo magico canto e Varda, la sola a conoscere la verità, custodì gelosamente il segreto, sobillata anche dalla fornitura mensile gratuita di una cassa della magiche piantine di Yavanna.



Note:

Voi non potete capire quanti problemi mi ha dato questo capitolo. Ci ho messo secoli a finirlo e tutt'ora non ne sono molto soddisfatta, ma non sarei davero riuscita a fare di meglio. Passiamo ai credits:
*‹‹Che fa, la finiamo con tutta questa cagnara?›› --> Si ringrazia Attilio La Rosa, il mio professore di matematica, per questa perla di comicità... XD
*‹‹E ora dimmi: mirror, mirror on the wall… true hope lies behind the coast?››--> citazione da "Mirror Mirror" dei Blind Guardian.
*‹‹Dunque… Il pazzo sterminatore fratricida avrà un’infanzia così tragica che pure Remì, Georgie, Lovely Sarah, Candy Candy, Heidi, Harry Potter, la Piccola Fiammiferaia e tutti i personaggi di Dickens lo guardano, scuotono la testa e dicono: "Che ragazzo sfortunato".›› --> questa battuta, che io adoro, viene da http://dialetticamente.splinder.com, ad opera di Dama Gilraen. Mi auguro che non mi si accusi di plagio: non avrei saputo come esprimere meglio l'idea... ;_;
Mi premuro di rendere grazie a Hikari, la mia sorellina/beta-reader personale/Supporto Morale, che si sta sorbendo tutti i miei deliri e le mie paranoie riguardo a questa parodia ^*^.

Una bacione grande a tutti quelli che mi hanno recensito finora ^^

Milako.

   
 
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