Anime & Manga > Detective Conan
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Autore: Aya_Brea    06/02/2012    7 recensioni
"La figura alta ed imponente di Gin era ferma affianco al letto della piccola scienziata, teneva le mani infilate nelle tasche dell’impermeabile ed i suoi lunghi capelli d’oro seguivano la direzione del vento. Dal suo viso imperturbabile non trapelava alcuna emozione, ombreggiato com’era, dall’argentea luce lunare. I suoi occhi verdi brillavano come quelli di un felino."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Take your time - you'll be fine
Yeah there is nothing wrong with this
you ain't committing crime
You search for something never found
Along these lines
Someday you may turn aruond and terrify
You can't deny - You crucify
Would you get down in the gutter
Swallowing your pride"




(Would you love a Monsterman - Lordi)


 



I raggi del sole entravano prepotentemente dalla finestrella semichiusa e da essa proveniva un ventaccio decisamente freddo. Kogoro non si era preoccupato neanche quella notte di chiudere bene le ante o di abbassare la serranda: a giorni alterni tornava a casa ubriaco fradicio, si lasciava ricadere mollemente sul divano e si addormentava.
Ran ormai, ci aveva fatto l’abitudine, ma quella mattina dovette svegliarlo di soprassalto. Al notiziario stavano informando di un omicidio avvenuto in una delle città limitrofe e la ragazza era stata particolarmente colpita dalla notizia, poiché stavolta, la vittima era una giovane in procinto di laurearsi.
“Ma è terribile.” Esclamò Ran, fra i borbottii contrariati e assonnati del padre, che si stiracchiava. Si sentivano le sue ossa scricchiolare.
“Bambina mia, che vuoi farci, la vita è così.” Il solito tono superficiale.
“Papà, devi farti assegnare quel caso. Non so perché ma ho come l’impressione che ci sia qualcosa sotto di molto più grande.”
“Ti preoccupi troppo. Non ti faranno più del male.” Kogoro la guardò, lei si rese conto che gli occhi di quell’uomo erano rossi e gonfi.
“Quella ragazza deve avere la giustizia che merita, sei l’unico che può restituirgliela!” Ran sembrava parecchio presa, entusiasta, concitata e al contempo così piena di rabbia, una rabbia in corpo che le avrebbe consentito di mandare tutto in mille pezzi. Voleva tanto ritrovarsi faccia a faccia con i tre uomini che l’avevano picchiata.
 


Kogoro dunque, riuscì a farsi assegnare quel caso e così si diresse presso l’hotel dove era stato compiuto l’omicidio. Ovviamente Conan non perse l’occasione per seguire i Mori, anche nella consapevolezza che il padre di Ran era un perfetto incapace. All’apparenza quell’assassinio non destava particolare curiosità nello spirito d’indagine del Detective, e finché il piccolo percorse il giardino dell’hotel, con le mani nelle tasche, il suo interesse non venne risvegliato, rimase sopito. Ma nell’esatto momento in cui Kogoro spalancò la porta della stanza incriminata, qualcosa nella mente di Conan cominciò a mettersi in moto: al suolo v’erano le indicazioni precise di dove fosse stato ritrovato il corpo, non v’era nulla di strano in quella camera d’albergo. Sembrava un omicidio nella norma, talmente “banale” nella sua dinamica, che Kogoro sbuffò, spazientito.
“Potrebbe trattarsi di un regolamento di conti, di criminalità organizzata. Secondo le ricostruzioni, il killer deve aver agito a sangue freddo.” Le solite deduzioni scontate di Kogoro, pensò Conan, che al contrario, gironzolava furtivo, con gli occhietti chiusi in un paio di fessure. Mentalmente stava ricostruendo il delitto, ma tra le tante modalità con cui era stato compiuto, non riusciva a capacitarsi del movente: perché uccidere una studentessa?
Gli bastò compiere un altro giro “clandestino”, mentre Kogoro era distratto: questi stava quasi per uscire, aveva già gettato la spugna.
La schiena del giovane detective fu percorsa da un leggerissimo brivido, i suoi occhi si spalancarono, le pupille fissavano quello strano oggetto vicino al muro, presso l’uscita della stanza. Quello, fu l’elemento che gli fece rivalutare completamente il caso, fu il piccolo particolare che ribaltò la prospettiva con cui aveva affrontato sino ad allora, la morte di quella giovane studentessa.
C’era un mozzicone di sigaretta, proprio a qualche metro da lui.
Una sigaretta, della cenere. Come aveva fatto la polizia a non accorgersene?
La sua mente cominciò a lavorare rapidamente, pareva che il piccolo stesse visualizzando di fronte ai suoi occhi una serie di numeri impazziti, cifre che gli annebbiavano la vista. Era un calcolatore. Ben presto quel caos immane divenne limpido, quei simboli presero forma ed acquisirono un senso.
Aveva visto una sigaretta simile, presso il capannone dov’era stata ritrovata Ran. E non poteva appartenere che ad un uomo. Gin. L’unico dotato della spavalderia e della strafottenza che gli permetteva di tralasciare un dettaglio così significativo. L’unico che si fregiava della nomina di ‘intoccabile’. Forse, era un segno distintivo dell’Organizzazione.
Il piccolo cercò dunque di richiamare l’attenzione di Kogoro.
“Non rompere Conan, abbiamo finito qui, non c’è nulla di particolare, andiamo a casa.”
“C’è un mozzicone di sigaretta lì per terra, la polizia deve averlo dimenticato.”
Conan teneva il braccio teso e indicava con l’indice la posizione esatta di quella prova.  A quel punto, il padre di Ran dovette nuovamente ammettere, seppur con una buona dose di risentimento, che quel nanerottolo aveva ragione. Quel dettaglio poteva essere utile.
Se la scientifica avesse confrontato i risultati dell’analisi del Dna compiuti su entrambi i mozziconi, la risposta ai dubbi di Conan, sarebbe emersa chiaramente dal fondo del baratro.
Doveva trovare Shiho.
 

 
Riaprì gli occhi di scatto, la sensazione gelida che avvertì lungo la schiena fu la prima cosa a provocarle fastidio. Dove diavolo era? Una luce accecante le impediva di tenere gli occhi aperti; quando finalmente quella sottospecie di faro venne spostato, Shiho poté riaprire le palpebre. Percepì immediatamente di essere legata ad un lettino metallico, quattro cinghie le costringevano gli arti contro di esso, una fascia più larga le avvolgeva la vita. Era immobilizzata, qualsiasi suo tentativo di muoversi fu pressoché inutile.
Le voci giungevano ovattate alle sue orecchie, dei brevi e regolari ticchettii provenivano dagli schermi intorno a lei. Comprese di essere monitorata di tutte le sue funzioni vitali: battito cardiaco, pressione, ossigeno, qualsiasi parametro che potesse essere misurato.
Non ricordava molto di quel che era successo prima che si risvegliasse in quella sala operatoria, ma alcuni flash nella sua mente apparvero nitidi. Passavano rapide le immagini di Veronika, dell’albergo, del sangue che si spandeva sulla moquette, di Gin e del suo stramaledettissimo partner, Vodka. Il viaggio nel bagagliaio della Porsche era stato orribile: aveva avuto la sensazione di essere stata sepolta viva.
Quella posizione stava diventando scomoda e lei pensò che quel risveglio sarebbe rientrato sicuramente fra i più brutti della sua vita. Da dimenticare, decisamente.
Un paio di dottori giunsero presso di lei, che con occhi impauriti li fissava mentre si scambiavano con noncuranza degli strumenti di lavoro.
“Il soggetto si è svegliato.”
Il soggetto? Si riferivano dunque, a lei? Come potevano affibbiarle quell’appellativo con tanta tranquillità e superficialità? Era forse… una cavia?
“I battiti sono buoni, respira regolarmente. Ha reagito in maniera ottimale al farmaco per immetterle nel sangue la sostanza di cui abbiamo bisogno.”
“Perfetto.”
Le grandi pupille di Shiho saltavano da una parte all’altra del lettino, con agitazione e frenesia. “Aspettate, che diavolo volete fare, che state facendo?” Si stupì di come la sua voce fosse roca e al contempo debole.
“Abbiamo dovuto immettere nel tuo sangue delle proteine in grado di riconvertire quello che il tuo corpo stava ormai assorbendo. L’antidoto.” Il medico posò lo strumento con cui le aveva controllato la gola. “Sei forte, Shiho Miyano. Una persona normale sarebbe morta.”
“Devo sentirmi onorata?” Controbatté lei, sprezzante.
Il dottore si sfilò la mascherina dal viso e si sedette sullo sgabello al fianco della ragazza. “E’ qualcosa di cui vantarsi.” Ella posò il suo sguardo sulle sue mani che continuavano ad armeggiare dentro ad alcuni cassetti, poi ne sfilò una siringa.
“Ed ora?”
“Un prelievo. Grazie alla terapia avremo l’antidoto con un semplice prelievo. L’Organizzazione fa passi da gigante Miyano. E tutto questo lo dobbiamo a te.” Tornò a sedersi nuovamente, in procinto di preparare l’ago.
Nel momento in cui la siringa penetrò nella sua carne, lei si sentì persa per sempre, vincolata a quegli uomini senza scrupoli, non aveva via di scampo.
Non seppe perché, ma quel prelievo le sembrò un insolito rito di iniziazione: il suo sangue era divenuto di loro proprietà.
 

 
Quando gli uomini dell’Organizzazione la portarono nel suo laboratorio, ella si sentì priva di forze, le gambe le cedevano, inoltre quei brutti ceffi non le riservarono un briciolo di gentilezza, ma anzi, la trattarono come se fosse un oggetto, strattonata a destra e a manca senza alcun riguardo.
Shiho sentì la porta chiudersi alle sue spalle, si guardò intorno con circospezione. Allungò una mano verso l’interruttore e così quella stanza fu illuminata. Il pavimento era ricoperto di piastrelle bianche, al centro vi era un grande tavolo in metallo e sopra troneggiavano varie strumentazioni, serpentine, pipette, provette: al centro, la miniatura della doppia elica del DNA. Tutto intorno vi erano dei mobili, dei lavandini, uno spazio per un computer. Erano tutti oggetti e arredi completamente nuovi di zecca, tirati a lucido.
Shiho rimase affascinata, i suoi occhi furono rapiti dalla bellezza e dal fascino di quel laboratorio: l’attrattiva classica che gli oggetti sapevano esercitare su soggetti particolarmente predisposti.
La ragazza prese a perlustrare ogni angolo, aprì ogni cassetto, ogni armadio, ogni sportello.
D’un tratto però, quella trepidazione per cui si sentì immediatamente in colpa, cessò.
Le porte si spalancarono nuovamente e comparve l’alta figura longilinea e slanciata di una donna. Aveva lunghi capelli biondi, mossi, le cui punte si adagiavano morbidamente sulle spalle. Entrò nel laboratorio ostentando un portamento elegante e raffinato, come d’altronde, attestava anche il suo abbigliamento ricercato, di buon gusto. Indossava una gonna lunga a tubino di colore bordeaux ed una giacca nera.
Shiho non l’aveva dimenticata.
“Bentornata, cara. Spero che quei due non ti abbiano sconvolta eccessivamente con le loro maniere rudi e brutali.” Si riferiva a Gin e a Vodka.
“Vermouth.” Shiho trasalì, strinse i denti ed immediatamente passò sulla linea difensiva. Quella donna era insopportabile ed il ticchettio delle sue scarpe col tacco le dava ai nervi, le perforava i timpani. “Avrei preferito che affittassero un calesse o una carrozza, ma a quanto pare hanno ritenuto più idoneo il bagagliaio di una Porsche.”
La donna giunse al centro della sala e una volta appoggiatasi contro il bordo del grande tavolo, incrociò le braccia al petto. Il suo sguardo enigmatico e magnetico si posò sulla piccola scienziata, il cui visino era pallido, sbattuto: anche il naturale colore dei suoi occhioni appariva sbiadito e spento.
“Ti vedo molto sciupata. Mi auguro che tu possa riprenderti in fretta.” Con quel tono, la frase aveva l’aria di essere una minaccia. “Non abbiamo molto tempo e di scienziati scansafatiche non ne abbiamo bisogno. Mi fido di te. Fa la brava. E ricordati che ti teniamo sott’occhio.” Si scostò agilmente dal tavolo per potersi poi allontanare. Spinse la maniglia della porta e le rivolse un ultimo sguardo accompagnato da un sorriso smaliziato. “Nessuno strappo alla regola, niente passi falsi. Il posto affianco alla bara di Akemi potrebbe essere il tuo.”
Quell’ultima frase risuonò glaciale come una solenne sentenza, il volto di Shiho si era rabbuiato, i suoi occhi erano coperti dai capelli che le solleticavano le palpebre. Deglutì. Non ebbe la possibilità di rispondere poiché Vermouth aveva già richiuso la porta.
‘Shinichi. Dove sei?’ Pensò.
Quel laboratorio aveva perso tutto il suo fascino.
Si sentì terribilmente sola.
 

 
Quei giorni trascorsero lentamente e lei non aveva fatto altro che lavorare, chiusa nel proprio laboratorio. Le avevano riservato uno stanzino buio dove poteva dormire, ma il resto delle giornate lo passava fra le sue mille provette, fra liquidi che talvolta evaporavano contro le sue previsioni, fra esseri infinitesimali che misteriosamente comparivano sul vetrino del suo microscopio elettronico, batteri che si riproducevano, travasi e miscugli. Tutte le ore, tutti i minuti e tutti i secondi. Il tempo veniva scandito inesorabile dall’orologio che se ne stava appeso al muro e quel ticchettio lento e regolare risultava amplificato in quella sala così silenziosa; certe volte diveniva talmente martellante da essere insopportabile.
Shiho Miyano si sentiva un topolino in gabbia e per qualche istante pensò di essere lei, la cavia degli esperimenti di qualcun altro. L’unica cosa che le permetteva di mantenere quel filo sottile con la vita al di fuori del laboratorio, era quel dannato orologio. Se non ci fosse stato quel quadrante bianco con dodici numeri neri e due lancette, la differenza fra il giorno e la notte non sarebbe neanche esistita: invece, grazie al posizionamento di quelle asticelle, la sua immaginazione vagava ancora, il filo non si era ancora spezzato e nella sua mente c’era ancora qualcosa che la facesse sentire umana. Umani. Cos’è che ci rende davvero umani? Differenti dalle altre creature, differenti da un serpente, da un cane, da un passero. Forse il linguaggio, forse, l’essere uno “zoon politikon”, un animale politico, sociale, appunto. E lei non si sentiva affatto così, ma piuttosto si sentiva un automa, un piccolo ingranaggio di una lunghissima catena di montaggio. Shiho racimolava tutta la forza di volontà che aveva in corpo e con altrettanto coraggio tratteneva le lacrime. Doveva essere in grado di cavarsela da sola.
 

 
Il giovane Detective meditava e Ran, osservandolo, si rese conto che la sua mente stava vagando altrove, probabilmente in un’altra dimensione e ciò era evidente dal suo atteggiamento, così simile a quello di Shinichi. Il piccoletto palleggiava abilmente e teneva le mani in tasca, i suoi occhietti fissavano un punto imprecisato della stanza. Un sorriso le illuminò il volto, segnato dai numerosi tagli che si era procurata durante l’aggressione di quei tre uomini.
“Ehi Conan, la scientifica ha appena chiamato, dicono di aver trovato una corrispondenza fra il Dna lasciato sulla sigaretta dell’albergo e quella rinvenuta nel capannone.”
A quella notizia, il signorino Edogawa scattò verso di lei ed il pallone rotolò ai piedi di Ran.
“E’ senza dubbio lui.” Disse con particolare entusiasmo; Ran non capì bene, poiché quell’esclamazione aveva l’aria di essere un pensiero pronunciato inavvertitamente a voce alta.
“Lui chi?” Come da lei previsto, infatti, lo vide ridere e grattarsi il capo con una mano. Dio, certi suoi comportamenti le davano da riflettere. Quegli occhietti sorridenti, quelle labbra, quelle espressioni, persino le piccole rughe che si formavano quando aveva il viso contratto in una risata.
“Ma no, sta tranquilla! Nessuno. Intendevo dire che magari è lo stesso uomo.”
“Sicuramente. Sono loro, Conan. Papà deve sbatterli in galera il prima possibile.”
Ran non aveva la più pallida idea di che pasta fossero fatti i loschi figuri con cui avevano entrambi a che fare, ma lui si limitò ad annuire e a contemplare il suo visino, sincero e ricolmo di quella bonaria ingenuità che lui amava tanto.
 
 

Shiho indossò malvolentieri il suo camicie bianco, poi si richiuse la porta del laboratorio alle spalle e riprese quel che aveva interrotto la sera addietro: aveva rischiato di addormentarsi fra le provette, facendosi carico del rischio immane che avrebbe provocato, se l’avesse fatto.
La notte non riusciva a dormire, ma non era comunque esonerata dall’obbligo di dover lavorare. Così ogni sacrosanta mattina si trascinava controvoglia in quella sala. Non vedeva anima viva da giorni, ma a lei, quei giorni, sembrarono mesi. Avrebbe pagato a peso d’oro, il sorriso di qualcuno, una chiacchiera, un caffè. Ed invece, nulla. Nulla di tutto ciò.
Volse distrattamente il capo alla telecamera, posizionata in corrispondenza dell’angolo in linea con l’entrata. Dalla lente convessa, quell’occhietto rosso la spiava. Probabilmente dietro a quel dispositivo c’erano gli occhi indiscreti dell’Organizzazione che la fissavano ininterrottamente per assicurarsi che non facesse passi falsi.
Improvvisamente i suoi occhi si illuminarono, schizzarono sul computer portatile che stava sul tavolo centrale. Si avvicinò ad esso, nel tentativo di frenare la smania e l’adrenalina che le percorreva ogni centimetro del suo corpo: ogni movimento doveva risultare ai loro occhi, il più naturale possibile.
Prese fra le mani il computer e lo aprì sul piano che si trovava al di sotto della telecamera.
In quel punto preciso, il  suo cono visivo era oscurato e lei lo sapeva bene. Voleva sfruttare il breve istante in cui la sua immagine veniva offuscata anche presso i monitor che la controllavano. Doveva fare in fretta.
La rete dell’Organizzazione non le consentiva di visitare delle pagine web, ma riuscì comunque ad aprire un sistema per poter spedire delle mail. Le pupille di Shiho e le sue dita sottili lavoravano rapidamente, cercò di controllare il tremolio ansiogeno che si era impadronito di lei. Lo sguardo scattava fulmineo dalla tastiera al monitor, anche se era veloce nel digitare i comandi, improvvisamente le sue azioni sembrarono dilatarsi per via dell’agitazione.
Nella barra del destinatario compariva una mail che lei non conosceva, su quella sottostante, quella del Dottor Agasa. Nel riquadro ancora più in basso invece, il testo del messaggio recava un indirizzo. Lei diresse il cursore sul tasto ‘Invia’ e il click del mouse risuonò sordo.  Comparve un riquadro con la barra di caricamento, il suo cuore prese a palpitare, ne sentiva quasi i battiti che si susseguivano irregolari, l’uno dopo l’altro. In quell’istante udì chiaramente dei passi farsi più decisi, qualcuno stava raggiungendo il laboratorio.
“Dai, muoviti.” Sussurrò lei fra sé. Si sentiva morire. L’avrebbero uccisa.
Le porte si spalancarono, lei aveva dato un colpo secco al computer e l’aveva chiuso.
Non sapeva neanche se il messaggio fosse stato definitivamente inviato.
Sulla soglia comparve la figura austera del biondo. Gin.
La sigaretta che aveva fra le labbra sembrava aver fatto il suo corso nei polmoni di quell’uomo, tanto che lui la afferrò e la gettò al suolo, spegnendola definitivamente con la suola della scarpa.
Shiho aveva ancora un groppo alla gola che la opprimeva e la sensazione che la faceva rabbrividire, era probabilmente la stessa che prova un ladro colto in flagrante.
“Sono esattamente cinque minuti che armeggi in maniera sospetta.” Borbottò lui mentre aveva cominciato ad avanzare di qualche passo. Portò nuovamente le mani nelle tasche del suo lungo impermeabile scuro e Shiho non mancò di notare quel suo gesto; ogni qualvolta passava all’offensiva, quel movimento presagiva qualcosa che a lei non faceva piacere.
“Ti danno anche la ciotola con i croccantini o ti limiti ad abbaiare e sbavare?”
La risata sommessa di Gin proruppe nell’insolito silenzio creatosi fra i due. “Hai poco da scherzare, Sherry. Ti sto osservando da giorni.”
La ragazza deglutì, il suo sguardo scese lungo il corpo dell’uomo, che avanzava verso di lei. La sua camminata era lenta e flemmatica, controllata. Misurata.
“Non hai proprio nulla da fare.” Commentò Shiho, sprezzante. Era troppo vicino, avrebbe voluto scappare ma la distanza fra loro si accorciava sempre di più.
“Non ho specificato per quanto tempo.” Gin abbandonò l’atteggiamento ironico, quella risata dovuta alle sue provocazioni aveva lasciato il posto ad un’espressione seria e minacciosa. I suoi occhi verdognoli esaminavano il corpicino di Shiho. “Perché scappi? Hai paura?” Sussurrò, poi trasse un leggerissimo sospiro. “Allora, cara. Che stavi facendo?”
“Stavo lavorando.” Shiho si impettì, tentò in qualsiasi modo di non far trapelare la paura che se la stava divorando dall’interno.
“Sei sicura?” Il suo tono concitato, il suo sguardo invadente ed il flessuoso agitarsi dei suoi capelli, le fecero dimenticare completamente la dislocazione dei mobili del laboratorio. In breve, infatti, si ritrovò contro uno di essi. Premette la schiena contro il bordo e ebbe la sensazione di essere realmente in trappola, fra le fauci di quel mastino.
Gin le arrivò di fronte, la sua stazza era decisamente più imponente rispetto a quella della ragazza, che oltretutto, era magra per costituzione.
La scienziata non sapeva come sbrigliarsi dalla rete in cui era caduta accidentalmente, lui era così vicino, gli occhi di Gin non accennavano a staccarsi dal suo viso.
Doveva fare una pazzia, forse avrebbe funzionato. Forse no. Era una follia. Un azzardo che non si sarebbe perdonata.
Istintivamente Shiho gli afferrò i lembi dell’impermeabile e incrociò il suo sguardo. Impassibile.
“Mi sento così sola, Gin.” Le sue mani si strinsero a quel tessuto morbido, tremava. Da una parte, era vero. Si sentiva abbandonata.
L’uomo si inumidì le labbra ma rimase in silenzio.
L’atmosfera era così pesante e rarefatta che gravava su di lei come un macigno. Stava facendo la figura dell’idiota.
“Mi hai sentito?” Balbettò ancora.
Lui esitava, non parlava. Quando inspirò venne pervasa dal suo profumo di uomo. Shiho stava sostenendo il suo sguardo da una decina di secondi ormai. A quel punto lo vide avvicinarsi e sfilarsi una mano dalla tasca, in un gesto lento gliela appoggiò sulla guancia.
Poi piegò il capo e si avvicinò all’orecchio di Shiho, il cui corpo venne premuto ancora di più contro il mobile.
Un lungo sospiro. La ragazza percepì il calore del fiato sul collo.
“So riconoscere le tue malefatte da adolescente innamorata, non hai bisogno di spingerti a tanto.” Le parole sussurrate del biondo raggiunsero le orecchie della piccola e lei non poté far altro che socchiudere gli occhi e sperare che quel momento finisse.
“So che mi stai nascondendo qualcosa.” Quelle labbra le sfioravano l’orecchio, lei trattenne il respiro, immobilizzata. “E non mi piace affatto.”
Il contatto finalmente si concluse, Gin si allontanò con nonchalance e Shiho avvertì chiaramente la scia di fumo che si era lasciato alle spalle.
Che stupida. Pensare di dissuaderlo con quei mezzucci. Voleva piangere e quell’uomo le faceva schifo.
Quando spinse la maniglia per uscire, lo sentì pronunciare un’altra frase, una di quelle ad effetto, una di quelle che ti lasciano pietrificato.
“E’ solo questione di tempo.”
Poi la stanza piombò nuovamente in un abisso silenzioso, i passi che si allontanavano si fecero sempre più lontani.
L’orologio non aveva cessato di scandire il tempo.
 
 

Conan correva, la meta indicata nella mail era vicina; svoltato l’angolo, i suoi occhi si spalancarono vistosamente: perché Shiho l’aveva condotto lì?
Era sicuro che si trattasse di lei, anche se quel messaggio era firmato con un nome falso. Ma si trattava dello stesso nome che la ragazza aveva registrato alla reception dell’albergo. Era un chiara richiesta di aiuto.
Aveva la certezza del coinvolgimento di Ai in quella faccenda e non poteva perdere tempo.
Ma perché allora, si ritrovava di fronte al mostruoso complesso di un semplice centro commerciale?





 





Eh già, perché Tonnan si trova lì?! u.u 
Eccomi finalmente, dopo tanto tempo. E' che questa settimana è stata piuttosto pienotta ed inoltre ha nevicato il finesettimana e non potevo non uscire con tutta la città piena di neve *-* Che incanto!!! :) 
Per il resto, finalmente eccomi qui, col nuovo chappy. 
Vorrei ringraziare come sempre tutti coloro che commentano e recensiscono *_* Mi rendete immensamente felice >.< Mando un grande bacione a Iman, Alice (che mi sopporta tutti i giorni con questa ff e con le mie sclerate su di essa), poi Lisa se riuscirà a leggere (prima o poi dovrai farlo eh u.u) e la mojuzza se leggerà :) <3
Poi passiamo agli amici virtuali qui su EFP :)
Ringrazio caldamente coloro che la seguono *_* Cioè:
Bankotsu90, ChibyRoby, chicc, I_Am_She, Kuroshiro, Layla Serizawa, Red Fox, Spencer Tita, Violetta, _Flami_
:) Poi ancora chi ce l'ha fra le preferite:
A_M_B, chiyo, Imangaka, I_Am_She, Shinku Rozen Maiden, Yume98 (troppo carina a metterla fra le preferite <3), _Flami_ (spero faccia una coltre di neve che non finisce mai, così non vai a scuola neanche tu ahaha XD)
Infine ringrazio particolarmente chicc che mi ha inserita negli autori preferiti :) 
Spero che continuerete a leggere fino alla fine questo mio delirio mentale XD

Un bacione a tutti *_* 
<3<3<3 
Grazie, anche solo se leggerete :)

  
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