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Autore: star1488    06/02/2012    0 recensioni
La vita è come una partita a scacchi in cui dominano il bianco e il nero.
E’ una strada in salita, ripida e contorta. L’uomo è come una marionetta, intrappolato nella rete dei suoi stessi desideri e delle sue stesse paure. La vita può essere paragonata ad un circo; il circo dei nostri sogni, perché l’uomo o combatte contro il tempo e contro sé stesso per rendere concreti i suoi desideri o semplicemente scappa nascondendosi nella finzione; una maschera d’ipocrisia che nasce dalle nostre più profonde paure. La vita è come il circo e se non si ha un equilibrio, cadere nel baratro è davvero facile.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La vita è il circo dei sogni

 

La vita è come una partita a scacchi in cui dominano il bianco e il nero.

E’ una strada in salita, ripida e contorta. L’uomo è come una marionetta, intrappolato nella rete dei suoi stessi desideri e delle sue stesse paure. Ci pone delle scelte e spesso ci si trova davanti ad un bivio, in cui si deve scegliere tra ombre e luce, perché entrambe fanno parte del nostro essere. Siamo noi a decidere quale delle due far prevalere.

La vita può essere paragonata ad un circo. Il circo dei nostri sogni, perché l’uomo o combatte contro il tempo e contro sé stesso per rendere concreti i suoi desideri o semplicemente scappa, nascondendosi nella finzione; una maschera d’ipocrisia che nasce dalle nostre più profonde paure. La vita è come il circo e se non si ha un equilibrio, cadere nel baratro è davvero facile.

 

Prospero continuava a camminare per la stanza, sommerso dai pensieri.

Si fermò davanti alla finestra che mostrava il paesaggio notturno al di fuori del suo ufficio. Neve candida e bianca cadeva al suolo, lentamente, come una pioggia di coriandoli pronta a riportarlo con la mente al passato. Un passato che con tutto sé stesso aveva cercato di dimenticare. Il suo sguardo perso nel vuoto, contemplava silenziosamente quel paesaggio divino; fiocchi di neve bianca in contrasto con il nero della notte. Per tanto, troppo tempo, aveva cercato di dimenticare quell’amore malato, così doloroso, che lo aveva lacerato nel profondo. Quell’amore a senso unico, che solo lui aveva realmente provato, perché la donna che tanto aveva amato in realtà lo aveva solo usato. Era andata via, lo aveva abbandonato. Era stato così cieco. A lungo aveva evitato questa realtà, fingendo che nulla fosse accaduto, perché lui era il mago della finzione. Era il suo mestiere. Fingere e portare una maschera di felicità dinanzi agli spettatori, gli era sembrato facile, naturale, quasi veritiero. Abituarsi alla finzione è facile, ma soprattutto pericoloso. La finzione è una rischiosa abitudine. Lui era il mago dell’illusionismo, era l’illusionista di sé stesso. Un amaro sorriso gli comparve sulle labbra. I suoi pensieri furono interrotti dai piccoli tonfi che le scarpette della bambina provocavano sulla facciata laterale della scrivania per il dondolare delle sue gambe a mezz’aria. Quasi si era dimenticato della presenza della piccola nella stanza. La bambina che aveva portato con sé quella lettera che ora giaceva sulla scrivania, sua figlia. Si, Celia era sua figlia, frutto del suo amore per quella donna che nella lettera minacciava il suicidio. Prospero si sentiva morire, provava un forte dolore all’altezza del cuore. Quella donna lo aveva illuso, abbandonato e non gli aveva mai nemmeno fatto vedere sua figlia. Provava rancore, rabbia, disgusto, paura, così tanti sentimenti contrastanti che lui stesso stentava a riconoscere.

  « Maledizione! » Un forte tonfo sulla scrivania lasciato dai suoi pugni. Prospero non era riuscito a contenere la rabbia, il capo chino sulla scrivania e le mani strette a pugno su di essa. Dopo un attimo di smarrimento, sollevò il capo per guardare la bambina, preoccupato probabilmente di averla impaurita con quel suo gesto istintivo. Per la prima volta, Prospero guardò davvero attentamente quella piccola figura, che a sua volta lo osservava scrupolosamente. Gli ricordava tanto sua madre, la pelle chiara, diafana come quella di una bambola di porcellana, leggermente colorita sulle gote.

 I capelli le ricadevano sul viso in morbidi ricci ribelli, ma gli occhi, lucidi e verdi erano lo specchio dei suoi. Sembravano impauriti, pronti ad esplodere in un mare di lacrime. Celia velocemente cercò di scendere da quella sedia troppo grande per lei, voleva uscire da quella stanza e andare a nascondersi chissà dove.

 Era impaurita, spaesata, ancora non riusciva a capire perché fosse stata separata da sua madre. L’unica certezza che aveva, era che quell’uomo che aveva dinanzi, fosse suo padre o almeno così le avevano detto. Non fece in tempo a scendere dalla sedia, che prontamente le grandi mani di Prospero, coperte da bianchi guanti, la bloccarono tenendole il viso. Gli occhi di Prospero erano fissi in quelli della piccola.

« Scusa, non volevo spaventarti! » Prospero era sicuro di aver spaventato la bambina con quel suo gesto. Non era sua intenzione intimorirla e farla scappare, era solo arrabbiato, con il mondo, con sé stesso. Celia annuì leggermente e le mani di Prospero si staccarono lentamente dal viso della bambina. Notò subito sul suo volto dei piccoli segni rossi che i guanti gli avevano provocato. Il mago continuava a guardarla e quei segni rossi sul viso, erano un segno tangibile del contatto che per la prima volta aveva avuto con sua figlia. Quei segni rossi, erano stati provocati dalla sua stretta, dalla paura che la piccola potesse scappare e andare via da lui ancora una volta. Sarebbe stato solo, ancora. Avrebbe perso oltre alla donna che aveva amato, anche l’ultima parte che gliela ricordava, che ricordava lui, il suo amore. Tante volte nei lunghi anni, Prospero aveva desiderato che la sua magia, quella capace di strappare un sorriso a tanta gente, fosse vera, reale. Avrebbe tanto voluto poter cambiare lo scorrere del tempo, gli eventi, ma se ciò fosse stato possibile, ora non avrebbe davanti quella piccola creatura, la sua bambina. Una bambina di cui sapeva solo l’esistenza, ma che non aveva mai potuto incontrare, amare, come solo un padre poteva fare.

 Ora ne aveva la possibilità, Celia era tutto ciò che di più caro gli era rimasto, così come lui per lei. Con occhi lucidi, sfilò dalle mani i guanti, sotto lo sguardo attento della bambina e dopo essersene sbarazzato, lentamente riavvicinò le sue mani sul viso della piccola, accarezzandone la pelle con i polpastrelli.

Avvicinò il suo viso e chiudendo gli occhi baciò la fronte della piccola, la sua piccina.

« Papà » Celia si aggrappò con tutte le sue forze ai gomiti del padre, stringendo tra i pugni la sua camicia, come se avesse paura di essere abbandonata, di poter perdere anche lui. La piccola contenta del gesto d'affetto dimostratogli dal padre, si sentì finalmente amata, accettata e protetta. Mai una semplice parola era riuscita a scaldare in quel modo il cuore di Prospero. Per la prima volta aveva sentito quella parola pronunciata dalla bocca della sua bambina. L'abbracciò di slancio, stringendola a sé, finalmente aveva ritrovato sua figlia e mai e poi mai l’avrebbe lasciata sola. Finalmente aveva qualcuno da amare e proteggere con tutto sé stesso.

  
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