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Autore: Eirien    08/02/2012    4 recensioni
La notte degli inganni ha avuto ufficialmente tre vittime: il Gran Sacerdote Shion, Aioros di Sagitter, la sanità mentale di Saga di Gemini.
Questo, perché non tutti sanno che due giorni dopo Mitsumasa Kido è andato in cerca di un Cavaliere d'Oro. E che si può vivere due volte lo stesso destino, anche se una volta sarebbe già troppo.
Genere: Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Chameleon June, Nuovo Personaggio, Phoenix Ikki, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Track #06: Hammer To Fall TRACK # 06:

HAMMER TO FALL

Here we stand or here we fall
History won't care at all
Make the bed, light the light
Lady mercy won't be home tonight
Yeah, you don't waste no time at all
Don't hear the bell but you answer the call
It comes to you as to us all
Hey, we're just waiting
For the hammer to fall

(Queen)

L'elicottero della Fondazione Grado stava sorvolando le pendici del Monte Fuji, in vana ricerca di un punto d'atterraggio adatto. A bordo, oltre il pilota, alcuni giovanissimi guerrieri, un insolitamente taciturno Takumaru Tatsumi e, incredibile ma vero… Saori Kido.

— Non era necessario che ci accompagnassi, Saori. — Kelly era stata la prima a interrompere il pesante silenzio che era caduto tra loro sei non appena avevano visto comparire all'eliporto quella che era considerata quasi all'unanimità la loro somma aguzzina e persecutrice.

Saori sollevò uno sguardo pensoso sulla sua vecchia compagna di giochi. — Perché non avrei dovuto? —

“Già, perché? Perché nessuno di loro ti vorrebbe qui, Saori. Perché ti considerano soltanto una ricca e viziata figlia di papà, e chissà che non abbiano ragione. E perché, se adesso stanno rischiando la vita per recuperare quella maledetta armatura, non lo fanno certo per te. Lo fanno per se stessi, per il proprio orgoglio, per non dare una soddisfazione al loro nemico. Quasi tutti…” L'attenzione di Kelly si spostò su Michael. Sedeva in perfetto silenzio ormai da più di un'ora, stringendo convulsamente tra le mani la sua Catena di Difesa. “Mi gioco la ferraglia che porto addosso che ha intenzioni simili alle mie… più o meno…”

Saori la stava fissando ancora, in attesa di una risposta. Una risposta che trascendeva il momento, ed entrambe lo sapevano. Kelly sentiva chiaramente la sua delusione per la freddezza che le aveva dimostrato da quando era tornata a Tokyo, come se in fondo l'avesse considerata qualcosa di più di una dama di compagnia provvisoria. Ma neanche una volta, in tutti quei giorni, Saori le si era avvicinata, parlandole come se contasse qualcosa. Forse si aspettava una complicità da vecchie amiche, che lei proprio non trovava motivo per concederle. E, quasi a ribadire quella distanza, aveva sempre tenuto ostinatamente la maschera sul viso anche quando si erano trovate da sole. Il vuoto di quei sei lunghi anni di attesa, speranza e dolore le aveva cambiate, pensava. E allontanate senza speranza.

— Questa gita è molto pericolosa — si decise a rispondere Kelly, secca ma non scortese, o almeno ci sperava. — Potrebbero attaccarci da un momento all'altro. Almeno tu che non eri obbligata a venire potevi restare a casa. —

La verità era che non si era mai sentita tanto nervosa in vita sua. Gli ultimi cinque giorni passati sul K2 le avevano regalato una forma smagliante, che non avrebbe mai pensato di poter raggiungere. Ma che cosa avrebbe fatto di cotanta potenza di fronte a un nemico cui non poteva e non voleva far del male, questo era tutto da vedersi.

Per fortuna, Saori interruppe le sue riflessioni prima che toccassero corde troppo dolenti. — È proprio questo che mi preoccupa. Non riesco a capire dov'è che Ikki vuole incontrarvi. Temo una trappola. —

— Già. Ha scelto proprio un bel posticino per farci la festa… — si intromise Seiya, incrociando le braccia dietro la testa con il fare impertinente che lo caratterizzava.

L'erede dei Kido guardava lui, ora. — Lo sai, vero, che non voglio che tu muoia? Piuttosto vorrei che tu recuperassi tutti i pezzi della Veste Sacra. —

— Tanto per saperlo, Milady… — Seiya sottolineò la parola con un'ironia che a Kelly ricordò all'improvviso le sue memorabili discussioni con il Colonnello Wood. — È più importante riportare a casa la nostra pelle o tutti i pezzi di quell'armatura? —

Saori parve esitare per un attimo di troppo. — Bè, veramente… —

— Naturalmente è la Veste Sacra la cosa più importante! — si risentì Tatsumi con saccente superiorità.

— Tutte e due… — sussurrò in fretta Saori, cogliendo tutti alla sprovvista. Kelly la guardò sorpresa, ma tutto sommato sollevata. Nonostante la maschera, Saori comprese, e tentò di abbozzare un sorriso che, data la situazione, non le riuscì bene come aveva sperato.

Kelly incrociò le braccia, e stese le gambe nel tentativo di sgranchirsi. Ripassò mentalmente il da farsi. Doveva trovare Dave prima che potesse fare del male agli altri. Possibilmente sbarazzarsi di quei quattro buffoni che si era portato da Death Queen. E poi? Intrattenere un'amichevole conversazione sul tempo nelle zone tropicali? Spiegargli i vantaggi di un trasloco a Villa Kido?
Anche senza ripeterlo ad alta voce, le sembrava un piano ridicolo.

"Devi mantenere la calma, se non vuoi che ti uccida.” Camus, novello Cavaliere del Disco Rotto, glielo aveva ripetuto sino allo sfinimento.

— Per te è facile parlare… non è amico tuo! — sibilò la ragazza a bassa voce.

— Altair, hai detto qualcosa? — Hyoga guardava sua sorella incuriosito e preoccupato. Ora cominciava anche a parlare da sola? La osservò distogliere lo sguardo, imbarazzata. Da quando era tornata dal Karakorum la sentiva estranea, persa in un mondo suo, in cui lui non era gradito.
Non la riconosceva più.
“Perché, tu ti riconosci? Hai visto il luogo in cui riposa tua madre, l'unico vero motivo per cui aspiravi all'armatura, ma non ti ha portato il sollievo che avevi sperato. E forse hai perso così tanto tempo a rincorrere i morti da non sapere più trattare con i vivi.” Erano cambiati, tutti loro. “I bambini di sei anni fa sono andati, per sempre. E non credo sia stato un bene.” Pensò ad Ikki. Per qualcuno non lo era stato di sicuro.

— No, nulla. — Kelly gli aveva risposto sentendosi vagamente ridicola. E sempre più agitata. Quanto avrebbe avuto bisogno, ora, di una buona risata…



— Ragazzina, se non la smetti penso che ti surgelerò… —

Lo sguardo di Camus non prometteva niente di buono mentre sollevava con grazia il palmo sinistro, sul quale si stava materializzando una piccola sfera di ghiaccio. Aveva indosso l'espressione più truce del suo repertorio.
Un vero peccato che l'effetto generale fosse vanificato dal sapone che gli colava giù per il braccio, sposandosi alla perfezione con il grembiule a cuori rossi e bianchi che gli cingeva delicatamente i fianchi inequivocabilmente maschili.
Kelly aveva fatto capolino dalla porta della cucina soltanto qualche secondo prima, in tempo per assistere al più comico spettacolo dei suoi ultimi sei anni. Un convulso di riso ne era stato l'inevitabile risultato. E adesso il prode Signore dei Ghiacci la stava fissando, pericoloso come non mai, attraverso le migliaia di bollicine sollevate in aria dalla sua incurabile inettitudine nelle faccende domestiche.
E lei ci stava provando, davvero, ma non poteva farne a meno, non riusciva a smettere, come se quella risata avesse aspettato troppo tempo per uscire.

— Il tuo senso dell'umorismo è già surgelato, però. Se avessi la decenza di guardarti allo specchio, forse mi faresti compagnia… — era riuscita a soffiare, tra un singulto e l'altro.

Camus aveva spostato lo sguardo sul proprio girovita. L'aveva colto a rabbrividire. — La mia decenza ringrazia, ma si sente abbastanza ridicola così. —

Aveva approfittato di quell'attimo di distrazione per asciugarsi discretamente gli occhi con il dorso della mano. Era un spasso provocarlo, e non se lo era mai potuto permettere. — Via, maestro, non sottovalutarti. Gli uomini che lavano i piatti rimorchiano di più, non lo sapevi? —

Camus l'aveva fissata come se si stesse chiedendo dove fosse la miccia per farla saltare in aria. — Se mai il Sacerdote dovesse chiedermi di addestrare un'altra marmocchia come te — aveva lasciato cadere, funereo — Credo che mi toglierò la soddisfazione di mandarlo al diavolo, finalmente. —

A quello sguardo, capace come nessun altro di ghiacciarle la risata in gola, Kelly non aveva impiegato molto a farla finita. Aveva sorriso appena, con circospezione, slacciandogli il dannato arnese. — Comunque, ero venuta a darti il cambio. Se vuoi, c'è della birra irlandese in frigorifero. —




La voce del pilota la fece sobbalzare. — Ci siamo quasi. — lo sentì gridare, al di sopra del frastuono della cabina di pilotaggio. — Ci abbassiamo quanto più possibile. Non c'è modo di atterrare, ma potrete lanciarvi sulla neve fresca. —

“Fantastico, ci mancava lo snowboard in armatura…” Come se l'avesse sentita, Saori rialzò la testa, rivolgendole un'occhiata colma d'ansia. Kelly le prese la mano e gliela strinse con calore, sperando che in qualche modo percepisse il suo sorriso celato dalla maschera. “Forse ho sbagliato tutto con te…” Rimasero in silenzio. Senza neppure accorgersene, Kelly si era nuovamente immersa nei suoi pensieri. Saori rimase a lungo a guardarla, mentre cominciava a capire che, per qualche strano presentimento, temeva più per la sua vita che per quella di tutti gli altri.

— Altair, ti prego, sta' molto attenta… —

La sua vecchia amica la prese per mano, guidandola verso il fondo dell'elicottero. Si fermò, le spalle rivolte agli altri passeggeri. Sollevò la maschera con un sorriso birichino, strizzandole l'occhio.
Saori si sentì come se un enorme peso le fosse appena caduto dal cuore.


~.~


Dannato cervello, drogato di preoccupazione, proprio non voleva saperne di lasciarlo in pace. Se non fosse stato per quello, non sarebbe stato di nuovo sveglio, nel letto comodo e fresco di bucato dell'Undicesima Casa.
Qualcuno era entrato per pulire, durante la sua assenza. Gli abiti erano stati ripiegati, la polvere debellata fino all'ultimo granello, le lenzuola sostituite. Anche se aveva più volte ribadito di non aver bisogno che nessuno rimettesse a posto la sua piccionaia rotonda sul tetto del Tempio dell'Acquario, sembrava che ci fosse sempre qualche servitore sommamente lieto di ignorare le sue disposizioni. Spuntavano come funghi, ne era sicuro, non appena fiutavano la sua assenza. La cosa l'aveva infastidito, ma non preoccupato, finché non si era chiesto se il numero spropositato di ancelle e servitori che infestavano il Santuario non fosse altro che un elaborato piano di Saga per tenerli tutti d'occhio.
Da quando ci aveva pensato, non era riuscito più a trovare pace neppure nella sua camera.
Era in tutt'altro posto che era riuscito a sentirsi a casa, dopo tanto. E no, non aveva proprio voglia di riflettere su cosa potesse significare.



— Birra irlandese? — s'era sciacquato le mani alla velocità del suono, tentando di non mostrare troppo sollievo. E neanche le chiazze d'acqua sulla maglietta poco meno che fradicia, la ragazzina s'era divertita abbastanza per una sola serata.

— È un bel posto, Dublino — aveva lasciato cadere lei, vaga, canticchiando appena tra spugne e detersivi. Mentre si voltava a sistemarsi il grembiule, Camus si era ritrovato a pensare a quanto quella serata fosse stata simile, e diversa, dalle tante che avevano vissuto insieme in quella baita piena di spifferi, non appena lei era diventata abbastanza grande da divorare i suoi libri, quasi tutti, e discuterne la sera davanti al fuoco. Era un passatempo di cui non si stancava mai, neppure quando la testa le ciondolava e gli occhi le si chiudevano. Lo faceva per educarla, si diceva, perché un Cavaliere doveva essere pronto tanto al combattimento quanto alla strategia, avere conoscenze ampie e una mente aperta…
“Quante scuse.”
Si sentiva solo, punto e basta. E lei lo ascoltava, era sveglia e le sue domande lo riempivano di un giustificato e ben celato orgoglio. Stava bene con lei, con quella ragazzina che, ogni giorno, gli ricordava tutto ciò che era stato lui, quando Shion era vivo e lui stesso soltanto un apprendista con la testa piena di sogni cavallereschi. Al punto che il buco che lei aveva aperto quando se n'era andata gli aveva fatto così male da non permettergli più di restare in quella baita che gli ricordava la sua sconfitta più grande. Quando aveva abbandonato il K2, convocato dal mentecatto dopo mesi di silenzio, era convinto di aver perso su tutta la linea. Era rimasto al Santuario, in attesa di un segno che lui per primo non credeva sarebbe arrivato davvero.
E poi la sua allieva era tornata, proprio quando non aveva più trovato scuse con se stesso per aspettarla. Ma era diversa, adesso che ricordava chi era, e chi era stata. Tutto era diverso, ora, con quella piccola donna, divertente e allarmante al tempo stesso.
“Tutto diverso, ora.”
Una volta, lei non si sarebbe lasciata sorprendere a fissarlo in quel modo irritante, con la cucina che riluceva alle sue spalle.
“Ha già finito?”

— Non ti ricordavo tanto veloce nelle faccende di casa — aveva tirato fuori in fretta, tanto per togliersi d'imbarazzo.

Lei s'era asciugata le mani nel grembiule si era avvicinata, la destra sollevata scherzosamente a tastargli la fronte. — Ti senti bene, maestro? I complimenti non sono mai stati il tuo forte… —

— E ora ricordo anche perché… — aveva borbottato, schivandola e puntando al divano.

Kelly stava ancora ridacchiando, mentre lanciava il grembiule nel cesto dei panni sporchi. Poi, aveva esaminato il frigorifero con aria critica. — Perché non hai preso niente? —

Si era stretto nelle spalle. Dopotutto, quella non era casa sua. — Ti stavo aspettando. —

— Un vero gentiluomo… — Aveva scorto un sorrisetto, mentre gli porgeva la lattina nera. La ragazzina ne aveva aperta un'altra per sé, accoccolata dall'altro lato del divano.

Quella birra era davvero buona. Camus si era rilassato, gli occhi socchiusi, intento a gustarsi quel sapore corposo e un po' amaro. Gli ricordava un po' l'avere a che fare con lei, che gli teneva testa, lo punzecchiava e lo sfidava sempre, gli ricordava in cosa aveva sbagliato e in cosa poteva ancora vincere con le parole, i gesti e gli sguardi. Come in quel momento, con quello sguardo in tralice, dietro una lattina che non aveva ancora l'età per vuotare.

— Non pensi di essere un po' troppo giovane per darti all'alcool? —

Era quasi rassicurante sentire la sua stessa voce sostenere quell'ovvietà… Ma in fondo non era vero, neanche un po'.
“Se sapesse che avevo dodici anni la prima volta che ci siamo sbronzati, io e Aioros…”
Kelly aveva piegato appena gli angoli della bocca, un sorso buttato giù quasi per sfida.

— A nessuno di noi è stato permesso di essere troppo giovane. Né qui, né… altrove. Tanto vale approfittarne — aveva replicato, l'amarezza velata appena dal tono pratico.

Altrove… ripensando agli anni trascorsi sul K2, o, molto più indietro, al suo stesso addestramento, Camus non aveva potuto che darle ragione. Aveva pensato alle interminabili giornate trascorse tra sudore e sangue, senza la certezza di sopravvivere fino al tramonto, o alle prove, dolorose e infinite, a cui soltanto i più dotati e cocciuti sopravvivevano. Il suo stesso calvario, che quasi aveva dimenticato, ricompensato dalla soddisfazione di servire la Dea per cui era nato, e da quella corazza che viveva e respirava con lui, come una seconda pelle. E guidare il suo primo allievo era stato soprendentemente facile. Ma Alëša Pàvlovic, in fondo, era già grande quando aveva reclamato l'armatura, e con lui era stato più un compagno più abile che un Maestro. La vera prova era stata sottoporre a quella tortura una bambina, com'era stato lui, scommettere il suo ruolo sulla sua capacità di sopravvivere. Quella stessa scommessa che non aveva alcuna intenzione di perdere, ora che la prova più dura si stava avvicinando.
Ma forse lei aveva inteso altro… magari quell'altra vita al di là del Portale. Qualcosa che lui non conosceva, che probabilmente avrebbe fatto bene a non approfondire mai.
Erano rimasti a sorseggiare la birra in silenzio, senza scambiarsi un'altra sola parola. Entrambi alle prese con qualche piccolo demone privato.
Rialzando la testa, il ragazzo si era accorto che lei lo stava scrutando attentamente. Kelly aveva tutta l'aria di aver soppesato per diverso tempo i pro e i contro di quella domanda che le bruciava sulla punta della lingua. Alla fine, come al solito, non era riuscita ad indursi a star zitta.

— Perché mi hai cercato con tanta insistenza, Camus? —


~.~


Kelly si aggirava tra le rocce taglienti della Valle della Morte già da parecchi minuti, circondata da nient'altro che uno stagnante, insopportabile puzzo di morte. Sentiva l'aura del suo amico di una volta, un cosmo carico d'odio, ostilità… e dolore. Un dolore accecante, insopportabile. Lei riusciva a percepirlo, e l'aveva letto nei suoi occhi la sera della sua plateale esibizione al Colosseo Grado.
Negli occhi dell'assassino furibondo che aveva preso possesso del corpo di Dave.
Si era divisa dagli altri appena dopo il lancio dall'elicottero, al polso una piccola campanella di lucido ottone identica a quella dei suoi amici. Aveva sorriso, intenerita, a quella trovata di Michael, ma non aveva potuto impedirsi di pensare che stavano andando incontro ad un carneficina e che il massimo della fortuna cui potevano aspirare era non finire tra i cadaveri.
E non poteva certo lamentarsi di non essere stata avvertita.
A pensarci bene, se l'era proprio andata a cercare.




"Perché mi hai cercato?"

A quella domanda, Camus non si era certo precipitato a risponderle, piuttosto aveva vuotato la sua lattina con estrema calma. Kelly aveva percepito una certa esitazione, come se il suo maestro si stesse chiedendo da che parte cominciare ad abbordare l'argomento. E che proprio lui si stesse abbassando a mostrare un po' di diplomazia la impensieriva più di quanto le facesse piacere ammettere.

— So che il tuo amico… David… è tornato — s'era deciso, gli occhi che la fissavano, attenti alle sue reazioni.

Crack.
Eccola, l'armonia della serata, che andava a farsi benedire. Kelly aveva tirato un lungo sospiro, tamburellando con le dita sulla lattina che teneva ancora in mano. Prendere tempo non era mai stato il suo forte. — Chi te lo ha detto? —

— Le notizie viaggiano veloci, anche al Santuario — le aveva risposto, senza smettere di guardarla, ma con l'aria di non aver gradito di non averlo saputo da lei. —Tu come stai? —

"Ora non vorrai farmi credere che ti importa davvero… E non mi fissare così, non lo sopporto.”

— Non mi ha fatto niente, come vedi. Era troppo impegnato a rapinare Saori Kido delle preziosa reliquia di famiglia. — Sapeva che parlare con così poco rispetto della Veste del suo amico avrebbe fatto andare Camus su tutte le furie, e la cosa cominciava a procurarle un certo qual piacere.

Ma lui non aveva raccolto la provocazione. — Non era della tua salute che mi preoccupavo, sono stato io a metterti l'armatura sulle spalle. Non credo che Phoenix riuscirebbe neanche a torcerti un capello senza il tuo consenso — aveva commentato con indifferenza. Apparente indifferenza. Il realtà, la stava guardando di sottecchi, con tutta l'aria di voler sapere se quel permesso lei fosse disposta a concederglielo. Doveva aver capito fin troppo bene, il bastardo, che non riusciva neanche a concepire l'idea di fargli del male.
Diavolo, lei ci teneva alla pelle, non era così stupida. Ma lo spettacolo di quel mentecatto avvolto nella scorza del suo amico Dave l'aveva scossa tanto che non era riuscita neppure a dargli la caccia insieme agli altri. Niente aveva avuto importanza, da quando aveva compreso che l'avevano spezzato e riplasmato, c'erano riusciti in qualche modo e tutto ciò che era rimasto era…

— Kelly? — Perché non la lasciava in pace?

“Camus, ti prego. Voglio solo bere una birra, fingere di credere ancora che la giustizia si spanda da ogni tuo orifizio e che un tuo consiglio risolverà tutto. Me lo devi, dopo quello che mi hai fatto.”

— Lui non si chiama 'Phoenix' — aveva soffiato, in ritardo.

Camus l'aveva fissata interdetto, ma poi aveva capito. E sospirato. — Non sarà negando l'evidenza che questa cosa si risolverà, Kelly. —

— Lui non si chiama 'Phoenix' — aveva ripetuto, testarda.

"Lo so, ragazzina. Ma non è questo l'importante.”" —Comunque tu voglia chiamarlo, il suo ritorno è un pericolo. E tu… —

— Pericolo? Pericolo? — Kelly balzò in piedi all'improvviso, rossa in viso. — Lui non è 'Phoenix', dannazione! Il suo nome non è Ikki! È David, uno dei miei amici più cari, mi ha salvato la vita così tante volte che non riesco a contarle! E ora è irriconoscibile, ne hanno fatto un malvagio, un bastardo, uno stronzo figlio di puttana! Ha quasi ucciso suo fratello! — stava blaterando, lo sapeva, e neanche credeva che lui potesse capirle, quelle parole insensate. — e tu sei piombato qui solo per dirmi che è diventato una minaccia? — Il sangue le stava colando dalla mano destra, che si era stretta al punto da stritolare all'istante la lattina. Una piccola pozzanghera di birra appena striata di rosso si era formata sul pavimento.
Ma chissene…
Lui. Ecco a chi importava. Quando era sparito? E quando ritornato con la cassetta del pronto soccorso che aveva trovato in bagno il giorno del suo arrivo a Tokyo?
Una sola occhiata, e aveva richiuso il becco. Lui l'aveva forzata a sedere di nuovo, e le aveva esaminato la mano con quella sollecitudine senza fronzoli che una volta la riempiva di ammirazione. Non si era mai perso in chiacchiere, Sua Ragione. E mentre le disinfettava il taglio netto sul palmo lei non aveva potuto evitare di perdersi in quei ricordi agrodolci in cui era ancora una bimbetta con una maschera troppo grande e il suo maestro tutte le sere le medicava le ferite con attenzione e le spiegava dove aveva sbagliato.

— Forse vorresti sentirti dire che andrà tutto bene, ragazzina — aveva detto, con la calma delle occasioni importanti — ma sai bene quanto me che tutti noi viviamo delle vite che non ci appartengono davvero. E David ha scelto una strada che porta alla distruzione. —

— Non è stato Dave a sceglierla, ma Ikki — aveva ringhiato lei, sottraendo la mano alla sua stretta. — Tanto vale che tu lo sappia subito, maestro. Non lo abbandonerò. —

Camus la prese di nuovo per un polso, senza scomporsi. Aveva sempre avuto mani calde, un aspetto di lui che sorprendeva sempre chi conosceva il suo contegno freddo e i posti in cui aveva vissuto. La garza era stata posata con delicatezza insolita sul suo palmo ferito, e il cerotto medico si era appena materializzato a fissarla quando lui aveva replicato, forse in parte divertito:

— Ora ti contraddici, ragazzina. David o Ikki che sia… —

— Già, mi contraddico davvero. Avevo giurato che non mi sarei più fatta infinocchiare dalle belle parole, e ora eccomi qui, a far piani di battaglia con la persona che mi ha tradito più di qualunque altra. —

Camus non aveva mostrato segni di impazienza. Si era alzato con calma, allontanandosi da lei. Kelly l'aveva guardato andare alla finestra, controllare che non ci fosse nessuno. Aveva riposto i disinfettanti, infilato la giacca di pelle. Quando la porta si era richiusa, con un rumore quasi impercettibile, s'era sentita di nuovo sola. Sola, e con la certezza di aver appena spezzato qualcosa di fragile e importante.


~.~


Se n'era rimasto seduto in cima alla scalinata che conduceva al suo Tempio per parecchie ore, immobile come una statua. Perché lo sapeva, dentro non avrebbe resistito. La notte del Santuario, tiepida e profumata, alla fine era scesa a confortarlo, ed era l'unica cosa che gli sembrava di poter sopportare. Se l'era sempre cavata così, di fronte alle ferite, piccole o grandi che fossero, Camus dell'Acquario. Soffocando il dolore nel profondo, fingendo che non esistesse, aspettando il momento in cui si sarebbe estinto da solo, nel tempo, senza alcuna lotta.
Tranne quella che sosteneva ogni giorno per continuare a mostrare una facciata imperturbabile agli occhi del mondo.
Ma stasera mi è andata male…
Aveva fallito miseramente, con quell'uscita teatrale, da animale ferito.
Tutto quello che avrebbe voluto sarebbe stato svegliare Milo, portargli da bere, soltanto per vedere una faccia amica e aspettare l'alba parlando di idiozie come avevano fatto tante e tante volte. No, non poteva, non sarebbe mai riuscito a tenergli nascosto che qualcosa non andava. E Milo, lo sapeva, era già preoccupato per lui. Senza contare il rischio di trovarlo in dolce compagnia. E se non Milo, chi, o cos'altro?
La verità era che non sapeva dove andare.
Per quanto provasse ad impedirselo, non riusciva a smettere di pensarci. Le immagini della bambina e poi della ragazzina in Kashmir si confondevano e si sovrapponevano al viso della giovane donna che lo aveva costretto a guardarla in faccia, a ricordare chi era e cosa aveva fatto. Che per un attimo gli aveva sorriso, uno dei sorrisi più belli che avesse mai visto.
E che lo detestava. Senza possibilità di redenzione. Senza che lui stesso fosse in grado di capire perché era importante che quel sorriso non si estinguesse.
Non c'era alcun senso, in quel peso che sentiva lì, un po' più in alto dello stomaco. Tutto ciò che sapeva in quel momento era che lo stava soffocando, e avrebbe pagato oro per un po' di sollievo.

— Nobile Cavaliere… —

A quella voce incerta, Aquarius era scattato in piedi, tanto rapidamente che il povero ragazzo che l'aveva interpellato era stato sul punto di sciogliersi per il terrore. — No-nobile Cavaliere, il Gran Sacerdote richiede la sua presenza domattina. Al più presto possibile, ha-ha detto. — aveva farfugliato, prima di defilarsi.

Ci mancava solo lui, certo. Camus si era passato una mano tra i capelli, massaggiandosi gli occhi e la fronte.
"Devo andarmene di qua…"

~.~


Era quasi mattina, quando Kelly finalmente era riuscita a scollarsi da quel divano. Destinazione, il cassetto in cui aveva nascosto le foto e gli oggetti che appartenevano alla sua vita precedente. Tutte quelle cose da cui non riusciva a separarsi, ma che per la sua sanità mentale (e per evitare imbarazzanti spiegazioni) era meglio non si trovassero troppo in vista. Aveva agguantato il solito pacchetto di polaroid, scorrendole rapidamente, fino a trovarne alcune che facevano male, quasi da spezzare il cuore. Lei e Mark. Abbracciati, a Mykonos, il giorno prima di prendere il traghetto per Atene. Il giorno prima che la loro tanto attesa vacanza 'tutti insieme appassionatamente' si concludesse con un rapimento… Sembravano così felici, in quegli scatti… avevano appena finito di litigare. Lo sapevano tutti e due che qualcosa non andava, e presto o tardi avrebbero dovuto ammettere che era finita. Che, qualunque cosa fosse, l'amore doveva essere tutt'altro. Dopotutto, ne sapevano ancora così poco…
E, nonostante tutto, l'apparenza era quella di due ragazzini innamorati e felici.
Neanche adesso, sapeva andare oltre la superficie.
I suoi bei propositi, la sua calma maturità erano durati soltanto un paio d'ore. E sua sorella non avrebbe potuto darle della stupida più di quanto non stesse già facendo da sola.
Si sarebbe fatta scorticare piuttosto che ammetterlo, ma Camus aveva ragione a trattarla da poppante. Era ancora una ragazzina, a dispetto di tutte le arie che si dava. E da ragazzina si comportava, come aveva fatto quella sera. Proprio con l'unica persona, in tutta la sua vita, che avesse provato a rimediare al male che le aveva fatto, prima ancora di sentirselo chiedere.
Perché le faceva male ammetterlo, ma Camus aveva sempre e solo agito secondo il suo dovere. Anzi, riflettendoci meglio, era stupefacente anche solo che non l'avesse uccisa su due piedi, non appena lei aveva gettato a terra la maschera, pestando i piedi e ostentando vuote minacce di morte. Così come aveva sottovalutato a bella posta la sua offerta di aiuto, senza pensare che così avrebbe potuto salvare altre vite, oltre la sua.
Lui, che non era tenuto a renderle le cose più facili, l'aveva fatto per lei. Il pensiero di lui che la stringeva e la lasciava sfogare, qualche giorno prima, l'aveva colpita come una mazzata. Era quell'abbraccio che nessuno gli aveva chiesto, il suo modo di chiederle perdono, e lei non aveva voluto capire.
"Devo andare via di qua… mi sento soffocare…"

Spostarsi con la rapidità di un Santo aveva i suoi vantaggi, ma per quell'ultimo tratto del viaggio aveva deciso di prendersela comoda, per pensare con calma. Aveva noleggiato una moto, per percorrere senza fretta la Karakorum Highway, e quando la strada aveva cominciato a diventare impraticabile l'aveva affidata ad una stazione di servizio e aveva proseguito a piedi. La quiete della montagna l'aveva accolta, il freddo familiare delle nevi perenni le aveva dato il benvenuto. Kelly aveva ricominciato a respirare a fondo, tornando nei posti in cui era stata bambina, ragazzina e poi Sacerdotessa di Atena. Aveva superato il campo base, sul lato nord della montagna, badando a non farsi vedere. Aveva superato l'ultimo, sparuto villaggio, un agglomerato di casette che ricordava con i tetti coperti dall'arancione delle albicocche poste a seccare al sole, il cibo per l'inverno che spesso aveva salvato la vita anche a lei e al suo maestro. Aveva sempre creduto che non sarebbe riuscita a rimettere piede in quella catapecchia che l'aveva vista ingannata, e invece aveva scoperto che soltanto scorgerla da lontano le allargava il cuore.
Aveva posato lo zaino sul suo letto, scosso le coperte. Tornando indietro, era stata attirata da una porta socchiusa. Quella porta, che non aveva mai superato, per sei anni. Si era affacciata, restando sulla soglia anche quella volta.
Una tazza vuota era posata sul comodino, e una borsa malconcia sul pavimento.
“Non posso crederci…”
Era uscita di corsa, facendo saettare gli occhi in tutte le direzioni. Il pugno era arrivato con una forza che lei neppure immaginava possibile, facendola ricadere, dolorante, a parecchi metri di distanza.
Non l'aveva neppure sentito arrivare.

— Sono davvero colpito. Se è questo che hai imparato in sei anni, forse dovrei cambiare mestiere. — la sua voce era un capolavoro di fredda ironia.

Kelly si era rialzata, frastornata dall'impatto e quasi accecata dal sangue che le colava sugli occhi. Si sentiva come trafitta da mille aghi ghiacciati.
Aveva raccolto una manciata di neve e se l'era passata sul viso, riuscendo a mettere a fuoco una mano tesa. L'aveva afferrata senza riflettere, e un secondo dopo era stata scaraventata contro una sporgenza rocciosa. Non era riuscita a soffocare un urlo di dolore. Attraverso una fitta cortina di nebbia aveva percepito un nuovo pericolo, e raccogliendo le forze residue si era concentrata, espandendo il proprio cosmo con la forza della disperazione. Aveva bloccato appena in tempo un diretto contro il viso, quando ogni energia l'aveva abbandonata. Si era accasciata al suolo senza un lamento, le ginocchia piegate, i palmi a terra, i polsi che tremavano e minacciavano di cedere.
Sollevando la testa l'aveva visto, calzoni di cuoio, protezioni di pelliccia sulle caviglie, la solita maglietta con le maniche tagliate via, le polsiere che avevano visto tempi migliori. Il suo maestro, uscito dai suoi ricordi di dodicenne. Bello come un'apparizione, affabile come un mal di denti al terzo giorno senza antidolorifici.
E, nonostante tutto, aveva voglia di sorridergli.

— Sei penosamente fuori forma, ragazzina. Cinque giorni sono troppo pochi per quello che ho in mente per te. —

Era rimasta a guardarlo a bocca aperta, mentre non le tendeva la mano, le voltava le spalle e non la aspettava, incamminandosi verso il sentiero che partiva qualche centinaio di metri al di là della loro baracca. Quello per la vetta, dove l'ossigeno era un lusso e la polvere di Diamanti più bella e tagliente ancora.
Kelly si era alzata, la schiena a pezzi e uno strano calore alla bocca dello stomaco.

— Che diavolo sei venuto a fare qui, Camus? — Gli aveva gridato dietro, rendendosi conto un po' in ritardo che una bella valanga sarebbe stata il giusto premio alla sua imprudenza.

Sua Signorilità non si era voltato. E non aveva neanche alzato la voce. — La stessa cosa che sei venuta a fare tu. Ora cerca di non farmi perdere tempo, e forse avrai qualche speranza di non diventare becchime per Fenici. —




“Devo smetterla con le fantasie…”

Kelly scosse il capo, scostando con una mano i lunghi capelli che danzavano al vento, cercando di vincere la nausea che le provocavano le esalazioni mefitiche di quel posto infernale.

— Hai proprio ragione, Camus. Rischio di fare la fine del topo, in questa fogna a cielo aperto. Ma se il prezzo da pagare per la salvezza sarà il sangue di Dave, temo proprio che non mi rivedrai più. —

La ragazza proseguì per la sua strada, allontanandosi dalle aure dei suoi amici, fingendo di non aver percepito la presenza dell'ombra feroce che si trovava appena una decina di metri al di sopra della sua testa. Ikki di Phoenix stirò le labbra in quello che era soltanto un pallido ricordo di sorriso, uscendo dall'ombra. Furba davvero, la piccola Altair. Stava davvero cercando di distogliere la sua attenzione da quegli incapaci? Precauzione inutile. Non sarebbe stato certo lui a perdere il suo tempo con quegli idioti.
"No, mia cara, per adesso ho intenzione di dedicarmi soltanto a te…"
Sentiva che la loro sarebbe stata una partita alla pari. E non vedeva l'ora di incominciare a divertirsi.
Seguì con lo sguardo la figuretta fiera della sua prossima avversaria, un ghigno di pura perfidia stampato in volto.
"Sto arrivando, dolcezza…"

~.~


— Ti devo parlare. —

Camus riaprì gli occhi piuttosto irritato. Il suo buonumore, già seriamente compromesso dalle svariate ore trascorse nel vano tentativo di percepire ciò che stava accadendo sul monte Fuji, subì all'istante un brusco tracollo.

— Quando ti ci metti sai essere davvero opportuno, Milo… — rispose senza voltarsi, una punta d'acido nella voce.

Il Saint di Scorpio non gli badò più di tanto. Aveva messo in conto una reazione del genere. — Ti prego di scusarmi. — replicò, con un tono che dichiarava guerra. — Ma avevo bisogno di parlare con te con la massima urgenza. —

Camus l'incenerì con lo sguardo, ancora più spazientito. L'oro lucente dell'armatura dell'Acquario scintillò al sole incendiario di quella calda mattinata, nascosto a tratti dal candido mantello svolazzante al vento. Diamine, era sgattaiolato sulla cima di quel colle, al confine Est del Santuario, proprio per evitare tutte le seccature evitabili. Invece, ecco che si materializzavano tutte insieme, in compagnia della testa dura di Milo. Non era necessario il settimo senso per indovinare che rischiava di incominciare una lunga e sfiancante discussione. "La mia buona stella mi tiene sempre più compagnia…" E intanto i ragazzini sotto la sua protezione cominciavano a massacrarsi tra di loro. Si lasciò cadere su un grosso masso.

— Sono tutto orecchi… — replicò, con pesante ironia.

Milo lo scrutò a disagio. All'improvviso si sentiva inopportuno e invadente. Ma se il suo amico si era cacciato nel guai non poteva far finta di non accorgersene. Tanto più che non lo avrebbe mai ammesso apertamente.

— Se t'interessa saperlo, ero preoccupato per te. Sei sparito una settimana fa, sei tornato e ripartito all'alba, subito dopo un'udienza con il Gran Sacerdote. Nessuno sapeva dov'eri. Si può sapere che fine hai fatto? —

Camus scrollò le spalle con aria noncurante, liberando le braccia dal mantello. — È per questo che mi hai rincorso per tutto il Santuario? Stai diventando una suocera, Milo. Direi che è ora di trovarti una ragazza. —

Per quanto indispettito da quella sufficienza, il suo amico non poté evitare di sorridere — Non ti conviene aprire questo discorso, e lo sai. Almeno io so ancora com'è fatta una donna… —

— Veramente io speravo in una poveretta capace di sopportarti mezza giornata con i vestiti addosso… — puntualizzò Camus, divertito malgrado tutto. Non era mai stato capace di restare irritato con lui per più di cinque minuti.

Milo sedette al suo fianco. — Come si dice nella tua lingua? Touché… — si passò una mano tra i capelli, incontrando il diadema dell'armatura. Se lo tolse con una smorfia. — Camus, non hai nulla da temere da me. Spero tu lo sappia. —

— Lo so, infatti. — replicò Aquarius, sulla difensiva. — Perché me lo stai ricordando? —

Trenta gradi, come minimo. E quaranta libbre d'oro massiccio addosso. Non era la situazione ideale per discutere; Milo cominciava a pentirsi di aver intavolato quell'argomento. Di fronte alla tranquillità del suo amico cominciava anche lui a trovare i propri timori piuttosto infondati. Dopotutto Camus era adulto e perfettamente in grado di badare a se stesso. Oltre che piuttosto sensibile alle invasioni del suo territorio.

— Sembra che tu stia cercando di nascondermi qualcosa… — riprese, senza grande convinzione.

Camus divenne il ritratto della compassione — Sei paranoico, lo sai? La sera in cui sono andato via avrei voluto avvisarti, ma sapevo che… ehm, avevi ospiti. Sono stato in Siberia. —

— In Siberia. — ripeté l'altro perplesso, rabbrividendo al solo pensiero. Non aveva mai tollerato le temperature inferiori ai venti gradi.

— Il Sacerdote mi ha chiesto di recare una convocazione ufficiale al Silver Saint della Corona Boreale. Pare che gli emissari che ha inviato non siano riusciti a trovarlo. Vive in un posto piuttosto fuori mano, lo sai. E quelle nullità di cui Arles si serve come messaggeri diventano ghiaccioli assai prima di arrivarci. — gli spiegò l'amico.

Milo incrociò le braccia nervosamente. "Le nullità di cui si serve Arles, già." Si chiedeva sempre più spesso, ormai, come avesse fatto il loro Santuario a diventare un luogo frequentato da personaggi senza alcuna qualità. Come quel Primo Ministro Gigars, ad esempio, spuntato da chissà dove per impartire ordini a destra e a manca.
Sorrise spontaneamente. Ricordava ogni particolare della gustosa scenetta che si era goduto tempo prima, al ritorno 'ufficiale' di Camus al Santuario dopo più di sei anni. Chiunque al Grande Tempio, tranne quel povero sciocco, sapeva che l'Acquario non era esattamente un prodigio di tolleranza, soprattutto di fronte alla maleducazione berciante. C'erano volute diverse ore perché la boccaccia del nanerottolo si liberasse dalla morsa del ghiaccio.
Camus nel frattempo lo sbirciava, incredulo di essersela cavata con così poca fatica. Ma, dopotutto, la sua non era una vera menzogna. Era andato davvero a trovare Crystal Saint, come chiamavano adesso il suo primo allievo, ma ciò che né Milo né Saga potevano sapere era che la visita era durata soltanto il tempo di un tè bollente. Voleva approfittare di quella scappatoia per passare un paio di giorni nell'unico posto in cui pensava di poter trovare tranquillità. Per scoprire che, in fondo, la sua idea non era poi così originale.

"Impara a non sottovalutare i segni, Camus di Aquarius. Potrebbe tornarti più utile di quanto pensi…" la voce di Shion, così come le sue parole, pronunciate pochi giorni prima di morire, lo avevano accompagnato in quegli anni difficili. Come la mano che proprio allora si posò sulla sua spalla.
Milo lo stava guardando con un sorriso colpevole. "Non sei tu quello che dovrebbe scusarsi…"

— Ti va un salto ad Atene, stasera? — propose Scorpio, con aria complice.

Atene. Una proposta interessante. Nel loro personalissimo codice, significava carne alla brace, cicchetti di ouzo con Lario Papadopoulos e biscotti al finocchio di sua moglie Ippolita. Da quanto tempo mancava? — Non hai nessuna sulla tua agenda da importunare oggi? — s'informò, già certo della risposta.

Milo sogghignò. Si erano capiti perfettamente. — Oggi preferisco importunare te. — Si alzò, scuotendo via la polvere dal mantello. — Ti lascio ai tuoi profondi pensieri, Signore dei Ghiacci. —

Camus stette al gioco, salutandolo con un regale cenno del capo. Chiuse gli occhi, un po' più sereno, gettando indietro la testa per sentire meglio il vento sul viso. Si concentrò ancora una volta, tentando di capire almeno se la battaglia era incominciata. Prese a badilate in testa l'insana idea di andare a verificare di persona. "Non sei la sua balia…"
Inspirò profondamente, permettendo al suo cosmo di espandersi fin quasi al suo limite. Lo sentì fluire fuori di sé, espandersi verso est, attraversare deserti e montagne. "Dove siete, ragazzini?"
In quel momento lo sentì, come una scarica elettrica. Direttamente al suo cervello, che non era più lì, non era più lui. Paura, rabbia, rammarico e dolore che si arrendevano, spegnevano, dentro un corpo che non era il suo. Scattò in piedi, ma sapeva che era già troppo tardi. Per un attimo eterno restò immobile, senza riuscire ad articolare un solo pensiero, mentre il terrore si diffondeva a ondate lungo tutto il corpo, seguendo il ritmo impazzito del cuore.
Poi, fu come se tutto si fermasse per sempre.

— Non… è… possibile… non… — biascicò, Camus dell'Acquario, le ginocchia che cedevano sotto il peso di quelle sensazioni estranee. Ma non se ne accorse neppure.

Nello stesso momento, sul monte Fuji, una delle spie incaricate di pedinare Ikki di Phoenix partiva di gran carriera per il Santuario, portando ottime notizie per il Gran Sacerdote.
La prima dei cinque traditori era caduta in combattimento.





~.~


Angolo della vergogna ™

Caspita, ieri è stato il compleanno del francese di carta. Nonostante l'apparenza, anche io gli voglio un po' di bene, poveretto. Ha ricevuto un sacco di regali, di sicuro, ma credo nessuno peggiore di questo. Auguri, Camus, e sorridi. Col prossimo capitolo sarai ancora più nei guai.^^
Aggiungo solo un saluto a tutti, a chi ha recensito, a chi magari lo farà in futuro, a chi legge ma non si esprime. I pareri fanno piacere, ma la regina dei sederi piombati sa che a volte penna pesa anche ai più valorosi. A voi, quindi, e se io,il francese di carta e il corteo dell'Eirienverse vi annoiamo... credete, non lo facciamo apposta. :P
P.S. Anche se ha ritenuto opportuno prendersi una pausa da mondo delle fyccine, sappiate che la correttrice di bozze è sempre la stessa, la cara Philos. Con tutto il mio affettto... continuate pure a prendervela con lei :)
   
 
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