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Autore: Iryael    09/02/2012    1 recensioni
Nel nostro universo, lei è una ragazza che vive la routine estiva di una qualunque adolescente. Nel suo universo – quello descritto in Endless Empire – lei è l’unica umana esistente, nonché la Creatrice, ossia colei che è onnisciente.
Trascinata dai suoi personaggi nell'universo da lei creato, si trova invischiata in un pericoloso gioco di potere. La linea di demarcazione tra eroi e mostri, tra patrioti e usurpatori avidi di potere, che prima era nitida, sfuma velocemente in una nebula di azioni mirate al successo dei propri interessi.
Tutte le fazioni la vogliono, ma solo per raggiungere scopi diversi. E lei non ha la possibilità di sottrarsi a quel gioco.
Ha creato un universo difficile, Silver, un posto dove non esistono seconde chance.
Cosa sarà disposta a sacrificare per uscirne?
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[Spin-off di Endless Empire di DarkshielD] [Leggibile a sé]
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le parti in gioco diventano tre
Capitolo Terzo
14 Gennaio, ore 19:00 circa
Quartieri della media borghesia, locanda della Volpe Bianca
 
 
Ad accogliere Clock nella locanda ci pensò una Evelyne eccezionalmente allegra. Il giovane si spiegò il suo cambio d’umore dicendosi che doveva essere successo qualcosa d’incredibile, e allargò un sorriso caldo in direzione di quegli occhi vivaci. Si accorse che, per l’occasione, aveva lasciato che due ciocche di capelli biondi le incorniciassero il volto anziché essere raccolte nella solita crocchia.
«Ehi, è successo qualcosa?» domandò, mentre lei lo accompagnava al tavolo che gli avevano riservato. «Stasera sembri davvero in vena di festeggiare.»
«Oh, è così! L’ho vista, Clock!» rispose Evelyne. «È straordinario! Devo assolutamente parlarne agli altri!»
Il giovane lanciò uno sguardo tutt’attorno, nella sala che cominciava a riempirsi. C’erano diverse divise nere presenti e ciò lo allarmò.
«Certo, certo...ma non sarebbe meglio parlarne più tardi?» disse a bassa voce. Evelyne si accorse dell’errore ed abbassò il tono, imbarazzata.
«Mi accompagni, dopo?» chiese, facendo fatica a trattenersi.
«Ma certo, sarà un piacere.»
Roger, che si era sporto dalla cucina per chiamare la ragazza, al vedere la scena sbuffò con aria divertita.
Giovani. Hanno troppa energia!
 
La serata trascorse abbastanza tranquillamente all’interno del locale. Al tavolo vicino al suo due funzionari parlavano dell’improvvisa assenza di un loro collega, tale Enrique Beauford, commentando che fosse strano vista l’inclinazione stacanovista del cazar. Uno dei due ipotizzò addirittura che gli fosse venuto un colpo per il troppo lavoro, l’altro gli rispose che più probabilmente si era ravveduto sulla vita sociale. Ma fu l’ipotesi ventilata subito dopo che richiamò l’attenzione del lombax: «Magari è scappato con la markaziana di due giorni fa.»
«Quella che è apparsa nel cortile all’improvviso?»
«Ho sentito che Yerzek ha mandato lui a interrogarla, e già l’altroieri mattina non c’erano né lui né lei. Lo trovo piuttosto strano, tu no?»
«Io ho sentito che è stato il maggiore Ratchet a farla rilasciare.»
«Davvero? Smithers dice che è apparsa dal nulla, non è un po’ troppo sospetto per rilasciarla subito?»
«Mah, lo sai che il maggiore non è del tutto...presente, a volte.»
Dopodiché la conversazione cadde nel fantasioso e finì per tornare ai danni causati dalla fuga di Alister Azimuth. Clock si diede al suo piatto con la solita scarsa attenzione, ma stavolta dovuta alla convinzione che avesse appena pescato un’informazione preziosa.
Alla fine della serata, Evelyne ottenne il permesso di uscire senza effettuare il solito giro di pulizie, visto che aveva lavorato più alacremente del solito e smaniava per poter andare. Clock l’aiutò ad indossare il cappotto e le assicurò che i capelli fossero a posto prima di lasciare la Volpe Bianca.
 
Camminarono fianco a fianco finché non sbucarono in Kerwan Street, la via principale del quartiere residenziale. Clock porse il braccio ad Evelyne, che lo accettò senza discutere. Non si poteva mai sapere se c’erano dei runners in ascolto, e passare per una coppia avrebbe reso molto più improbabile che le loro conversazioni fossero origliate.
I runners erano arrivati venticinque anni prima, quando Fastoon era stato assoggettato all’Impero. Il loro nome ufficiale era Reepor Runners, e in teoria erano semplici poliziotti. In pratica, però, erano soldati camuffati con un’altra divisa. Non era raro che il loro manganello nascondesse una lama a scatto, per quanto la legge lo vietasse, ed era ben nota la violenza con cui si accanivano su coloro che giudicavano criminali.
Sapere di condividere la strada con loro aveva sempre incusso in Evelyne un profondo senso di timore sin da quando era bambina, quando Roger la metteva in guardia dicendole «Che se non stai attenta loro ti prendono e ti fanno sparire!». Quando lo aveva confessato a Clock, un pomeriggio mentre stavano affrontando proprio Kerwan Street, lui aveva fatto finta di nulla e le aveva porto il braccio. Si era giustificato dicendo «Così non desteremo sospetti.» e da allora era diventata la loro copertura ufficiale. Quella sera, però, sarebbe stata da aggiungere alla lista delle volte in cui erano stati fermati.
La strada era ingombra solo di qualche carrozza e pochi passanti, e i senza tetto si riparavano negli anfratti delle strade vicine, gettando ombre inquietanti alla magra luce dei lampioni. Clock ed Evelyne camminavano sul marciapiede di sinistra, parlando dei fiori più adatti per un bouquet. Conoscendo le difficoltà dell’amico, la ragazza lo stava consigliando sulla composizione più indicata da presentare alla sua fidanzata. Il discorso era quieto e allegro, ma l’aria gelò immediatamente non appena si accorsero del mezzo scuro fermo all’incrocio con Cobalia Street. Due runners infreddoliti li stavano puntando con lo sguardo, ed era chiaro che li avrebbero fermati. Evelyne gemette per il disappunto.
«Tranquilla, andrà tutto bene.» sussurrò l’altro per rassicurarla. Quando furono vicini, il runner più anziano alzò la mano nel tipico ordine di fermata. Com’era accaduto in passato, prima rivolsero un cenno di saluto alla ragazza e poi si rivolsero a Clock.
«I vostri nomi.» ordinò il runner più anziano, sfoggiando un’arroganza consumata.
«Clock Evans; e lei è la signorina Evelyne Taylor.»
Nelle mani del runner più giovane comparve un taccuino e i loro nomi vennero annotati.
«Datemi le vostre piastrine.»
Evelyne si aggrappò con più forza al braccio dell’amico. Non aveva bisogno di fingere per mostrarsi intimidita. Non avevano mai chiesto le loro piastrine in precedenza.
«Messere, con il vostro comportamento state turbando la signorina.» protestò Clock con risolutezza. «Possiamo sapere il motivo di questa condotta brutale in mezzo alla strada?»
«Ringraziate i vostri beneamati ribelli se ora siete qui.» replicò aspramente il cragmita. «Il livello di allerta è aumentato, e questi controlli così conturbanti non sono altro che un modo per evitare che quei cani non si infiltrino tra la popolazione leale a sua maestà. E adesso datemi le vostre piastrine.»
Quando un pianeta veniva annesso all’Impero, a tutti i suoi abitanti venivano date delle piastrine da portare sempre con sé. Erano una sorta di carta d’identità metallica da appendere al collo o cingere al polso a mo’ di braccialetto, e perderle comportava il pagamento di una multa salata. Sopra c’erano incisi alcuni dati essenziali della persona, ed erano fatte di una lega segreta che mai nessuno fino a quel momento era riuscito a contraffare. Per valutare se la lega fosse quella vera, quando Clock ed Evelyne consegnarono le rispettive piastrine, il runner più vecchio le appese al gancio di un macchinario di medie dimensioni posto sulla vettura.
Il gancio faceva cadere i monili tra due sfere d’ottone ricoperte da filamenti di rame, i quali si inoltravano nei cilindri che sostenevano le sfere. Quando il runner mosse in contemporanea due leve, un ronzio cupo provenne dalle sfere. Dopo alcuni secondi la mano del runner si spostò su una manopola e a poco a poco aumentò l’intensità del ronzio. Clock ed Evelyne videro il metallo farsi di una cupa sfumatura verde, poi assumere i toni del viola. Durò sì e no trenta secondi, poi il runner rese loro le piastrine grugnendo qualcosa di somigliante a una frase di scuse. I due giovani lasciarono il crocevia e imboccarono Cobalia Street verso nord, scossi ma soddisfatti.
«Non sapevo che usassero un macchinario del genere per valutare le piastrine.» ammise il tecnico, una volta che furono a distanza di sicurezza. «Quando ci requisiscono le piastrine al lavoro, non ci permettono di guardare.»
«Hai mai visto un macchinario del genere?» chiese la ragazza.
«Dev’essere un emettitore di onde di qualche tipo.» ipotizzò lui. «È il primo che vedo, ma non ci giurerei che al centro di sviluppo non ce ne sia qualcun altro.»
Arrivarono alla fine di Cobalia Street ed entrarono in un vicolo che li condusse nell’area industriale stretta fra la zona militare e il centro cittadino. Quella zona era l’area esterna più simile ad Undertown: tutta un groviglio di vicoli maleodoranti dove i barboni si riscaldavano attorno al fuoco nelle latte. Urina e petrolio impestavano l’aria in egual misura, assieme al latrato dei cani. Inoltrarsi nelle Dark Alley non era piacevole né sicuro, ma era un passaggio obbligatorio per raggiungere la vecchia acciaieria.
Alla fine uscirono in una piazzetta squadrata. Davanti a loro c’era un muro lungo con un unico portone tenuto appena meglio del resto: Clock bussò due volte ed aggiunse un terzo colpo più forte. Una manciata di secondi dopo si aprì una fessura ad altezza d’occhi e una coppia di lucenti iridi azzurre si affacciò.
«Messere, il Decimo ci ritiene pezzenti e ci ha cacciato.» disse Evelyne.
«Il Decimo è solo un cragmita tronfio.» rispose l’uomo al di là della porta.
«Pagherà ogni colpa, statene certo.» completò la ragazza. Dopo aver enunciato l’ultima frase della parola d’ordine, i due sentirono gli scatti di una fila di chiavistelli e poco dopo entrarono nell’edificio. Il lombax che li aveva accolti, dall’accecante vello bianco e grigio, salutò Clock e abbracciò Evelyne subito dopo averli fatti entrare.
«È bello vedervi!» disse accompagnandoli attraverso i sotterranei della vecchia acciaieria.
«Reginald, alla Volpe ci mancano le tue risate.» disse la ragazza. «Quando esci dalla reclusione?»
«Appena il grande capo ci da il via libera.» rispose lui. «Il colpo di Azimuth è stato senza dubbio grandioso, ma uscire adesso non è esattamente furbo.»
«Grandioso? Non si parla d’altro!» esclamò Clock.
I tre entrarono in un magazzino minore dell’ex acciaieria. Era uno degli ambienti più piccoli, dove si conservavano le carpenterie. Sulle scaffalature al muro c’erano ancora i grossi contenitori pieni di viti, ribattini e rivetti di tutte le misure. A terra c’erano grossi teli ripiegati e ovunque si poteva vedere uno spesso strato di polvere. La corrente elettrica era presente ed il posto era illuminato meglio dell’esterno, anche se in quella sala le luci erano state fasciate per evitare che fuori si accorgessero che l’impianto era in funzione.
Reginald guidò gli altri due ad una sala più interna dove Sacha e Tarx giocavano a carte. Il primo era simile a Reginald, anche se aveva gli occhi di due colori diversi, mentre il secondo era un cazar piuttosto massiccio.
«Ehi, galantuomini, abbiamo compagnia.»
I giocatori alzarono gli occhi e li salutarono allegramente.
«Menomale che si vedono visi nuovi. Non avete idea della tristezza che mette vedere Sacha tutti i giorni.» commentò Tarx.
«Ma se siete qui da tre giorni!» protestò Evelyne.
«Questo la dice lunga sulla tristezza che mette, no?»
La ragazza ridacchiò.
«Piuttosto, ditemi che avete delle sigarette. Non ne posso più di fregarle a Nencer.» proseguì il cazar.
«Veramente è Nencer che non ne può più di vedersele rubare da te.» precisò Sacha, incolore.
«Le prime parole vere che ti sento dire.»
All’ingresso della sala comparvero Nencer e Kaden. Appoggiandosi a braccia conserte contro la scaffalatura che faceva da porta, il selker dal pelo bianco aggiunse: «Ci chiedevamo cosa fosse questa cagnara.»
La ragazza non si fece pregare e si affrettò a dire: «Ho avuto un’altra visione. Ho visto la Creatrice.»
«Ma è grandioso! Dai, che forse riusciamo a far girare qualcosa per il verso giusto!» commentò Reginald mentre Clock, non visto, passava un pacchetto di sigarette a Tarx. Il cazar si fece svelto a far sparire il pacchetto in tasca.
«Ma anche con la fuga non ce la siamo cavata male.» obiettò Tarx.
«Infatti ora non ci da la caccia nessuno.» asserì sarcasticamente Nencer. Evelyne notò che Reginald si fece di colpo serio. Tarx lo vide serrare i pugni.
«Quantomeno abbiamo portato la coda a casa.» replicò a difesa del loro informatore. «Vedila così.»
«Oh, certo. Questo è irreplicabile.» commentò il selker, alzando le mani in segno di resa.
«Giusto. Siete tutti interi, siatene felici.» commentò Clock. «E Alister come sta?»
«Giusto, c’è stato qualche miglioramento rispetto a due giorni fa?» rincarò Evelyne. Il lombax dagli occhi dispari si strinse nelle spalle.
«No, nessuno.» rispose scuotendo la testa.
«Madeleine è con loro anche adesso, ma il generale è messo male comunque. Ci vorrebbero delle cure migliori...» tentò di spiegare Reginald.
«O almeno un medico che ci sia sempre, non uno che viene quando può.» commentò Nencer.
«State dicendo che mia sorella è incompetente?» s’inalberò Clock, guardando minacciosamente i due.
«Per carità, Madeleine è bravissima.» si spiegò il selker. «Ma il punto è che lei da sola non basta e noi siamo immobilizzati qui, totalmente incapaci di muoverci. Se ci pescano in questo posto con Azimuth siamo come dei topi in trappola, e allo stesso modo se anche si riuscisse a impiantare una protesi al generale, poi c’è la fase della ripresa da affrontare.»
«E Alister è l’osso più duro di tutta la ribellione, sono sicuro che ce la farà in tempi brevi.» la voce tranquilla e autorevole di Kaden mise fine al discorso. «Evelyne, è un piacere vederti. Clock, grazie per averla scortata.»
«Figurati. È stato piacevole come al solito.»
Kaden annuì e passò lo sguardo sui presenti.
«Immagino che ci siano delle novità di cui discutere. Venite, parliamone prima in privato.»
 
Il lombax li accompagnò in un altro magazzino minore che odorava ancora di solventi.
«Qui possiamo parlare in pace.» disse. «Sedetevi su quelle casse.»
Evelyne si lisciò il vestito prima di cominciare a parlare, come faceva ogni volta che era carica.
«Ho visto di nuovo la Creatrice.» esordì, eccitata. «È libera, ci credete?»
«Libera?» domandò Clock, incredulo.
«Sì, è libera. L’ho vista in una casa borghese in compagnia di un cazar in divisa da imperiale. Fra tre giorni il cazar si vestirà da borghese e usciranno a passeggiare lungo Kerwan Street. Lei cercherà di andare alla Volpe, ma lui non ce la porterà. Però quella sera una carrozza andrà a prenderli per portarli alla villa del maggiore Ratchet, per una cena di gran classe.»
«E non si sono accorti che è un’umana?» domandò Kaden.
«No, lo sanno anche loro che è un’umana, ma per qualche motivo non l’hanno giustiziata...» rispose la ragazza. Poi si fece mogia. «Spero che non si siano accorti di chi è lei. Pare che non abbia rivelato la sua natura, ma se gli imperiali l’avessero intuita e cercassero di farsela amica?»
«Se l’avessero intuito, poco ma sicuro l’avrebbero legata e rinchiusa nella segreta più oscura della 147sima. Stai tranquilla che non sanno chi è...» la rassicurò il capo dei ribelli.
«Aspettate un momento.» li interruppe Clock. «C’erano due imperiali alla Volpe, e parlavano di un cazar. Hanno detto che Yerzek lo ha mandato a interrogare una markaziana comparsa dal nulla e che già l’altra mattina non c’erano né lui né lei. Quegli imbecilli fantasticavano su una fuga d’amore, ma magari questo Enrique Beauford è incaricato di trattenere la Creatrice.»
Il nome citato dal tecnico fece accendere una lampadina nella mente di Evelyne.
«L’ho già sentito.» disse di getto. Kaden e Clock si voltarono contemporaneamente.
«Ne sei sicura?» domandò il capo dei ribelli. Lei annuì: «Non mi ricordo dove, ma l’ho già sentito.»
«Magari nella locanda...» ipotizzò il tecnico.
Kaden concordò: «Plausibile. È uno della 147sima, magari lo hai servito qualche volta.»
Evelyne arricciò le labbra con fare pensieroso, poi si strinse nelle spalle. «Non saprei. Se mi viene in mente ve lo dico.»
Kaden si risistemò la benda sull’occhio destro. «Intanto puoi dirci qualcosa in più su di lei?»
La ragazza mise da parte la faccenda del nome e rispose: «Ha dei lividi in faccia, ma con un cappello non si riconosce a un primo sguardo.»
«Ah. Probabilmente conteranno su quello per farla uscire.» commentò Clock. «Ma non ha senso...»
«Già, non ha senso.» convenne Kaden. «Riassumiamo: si sono resi conto che è un’umana ma la tengono praticamente in libertà, affidata a un cazar che presumibilmente si chiama Enrique Beauford ed è un soldato imperiale. Tralasciando ciò che succederà fra tre giorni, ho dimenticato qualcosa?»
«No, niente.» e anche Evelyne denegò.
«Tutto ciò è strano...è come girare con una bomba innescata in tasca.» andò avanti il ribelle. «Cos’avranno in mente?»
«Se non sanno delle sue potenzialità, l’unica cosa che possono fare è dimostrare che gli umani non sono fantasie.» rispose Clock.
«Non la terrebbero in vita se non avessero un secondo fine.» Kaden si alzò. La velocità con cui era saltato in piedi tradiva uno scatto di nervi. «Vado a chiamare gli altri. Si prospetta un monte da scalare e abbiamo solo tre giorni per riuscirci.»
 
Quando furono tutti presenti nel piccolo magazzino-studio, Kaden prese la parola.
«Evelyne e Clock ci hanno portato delle buone nuove. La Creatrice non è solo viva, ma anche fuori dalla 147sima.»
Nello stanzino si sentirono espressioni più o meno colorite, ma tra tutte fu la voce di Tarx a dominare.
«Perdinci! Com’è possibile?»
«Ce lo chiediamo anche noi, ma tant’è.» replicò sbrigativamente il lombax dal vello biondo. «Evelyne ha previsto che fra tre giorni lei e il suo presunto carceriere, un cazar di nome Enrique Beauford, usciranno per andare nientemeno che alla villa del maggiore Ratchet. Potrebbe essere la nostra occasione per sottrarla all’Impero. Non sappiamo perché andrà a quella cena né se ci andrà di sua spontanea volontà, ma è chiaro che c’è una motivazione. Il mio timore è che vogliano farne un capro espiatorio per le nostre azioni, e a quel punto potete ben immaginare l’impossibilità di un nostro nuovo ingresso nelle carceri della 147sima.»
«Ma perché portarla alla cena?» obiettò Nencer.
«E se fosse una fregatura?» borbottò Tarx.
«Già, quali sono i dettagli?» domandò Reginald.
Evelyne si fece avanti e si schiarì la gola per attirare l’attenzione.
«Saranno in tre: la Creatrice, il cazar e l’autista. Il cazar ha il vello bruno chiaro ed è alto all’incirca come Roger. So che sfoggerà una cravatta viola e un cappotto scuro. Lui sarà costantemente vigile, e con lui ci sarà la Creatrice. Lei sarà vestita interamente di viola. Il cappello le coprirà in parte i lineamenti umani, ma se le guardate il naso non dovreste avere problemi a riconoscerla. Inoltre farà un sacco di domande.»
«Non hai visto qualcosa di più concreto?» chiese Nencer. «Qualcosa di più simile alle tue solite visioni?»
«Beh, sì...» rispose lei. «Ma a quel punto la visione era annebbiata. Ho visto qualcuno fermare il mezzo e ho visto il cazar fare a botte, ma non so con chi. So solo che si batterà con tutte le sue forze e dimostrerà un’agilità straordinaria. Ma anche la Creatrice non sarà da sottovalutare: userà uno stile di combattimento decisamente insolito, ma efficace. Vi converrà usare l’etere per renderla inoffensiva subito.»
«Il che significa che potrebbe essere chiunque di noi a vedersela con il soldato.» disse Kaden. «E significa anche che bisognerà studiare un modo per fermare il mezzo.»
«Bisognerà tenere conto anche dell’autista, se li vanno a prendere. Sarà sicuramente un soldato anche lui.» asserì Tarx. Sacha annuì.
«Ci serve sapere che strada faranno.»
«E anche se saranno scortati.» aggiunse Nencer.
Kaden mise una mano davanti alla bocca e tossicchiò. «Che mi dici del tuo contatto, Reginald?»
«Fuori discussione. Ha fatto anche troppo l’altra volta.» asserì acidamente Nencer, con un gesto secco della mano.
«Neanch’io mi fido di lui.» concordò il lombax dagli occhi azzurri, sventolando la coda come un fustino.
Kaden non si perse d’animo. «E non hai nessun altro aggancio utile?»
L’altro portò una mano al mento e si fece pensieroso. «Ho un conoscente fra i domestici del maggiore, in effetti. Magari stasera riesco a cavargli qualcosa.»
«Ciò implica che dovrai uscire da qui.» Kaden indicò la porta della stanza «Sei sicuro?»
«Sarà solo un incontro casuale nell’atrio del suo bordello preferito.» assicurò l’altro. «I rischi sono minimi. Se mi sbrigo dovrei fare in tempo.»
«Come sai che stasera è al bordello?»
«È una sua abitudine. E comunque è l’unica occasione che ho per incontrarlo, a meno di non farmi assumere dal maggiordomo personale del maggiore.»
«Va bene, esci e divertiti.» dichiarò Kaden. «Ma vedi di tornare con qualcosa.»
«Sì, certo, almeno poi ci fai una recensione sulle ragazze.» buttò lì Tarx. Reginald mostrò un sorriso ambiguo e rispose: «Spiacente, certi commenti li tengo per me.»
* * * * * *
Ore 22:00 circa;
Quartieri della borghesia medio-bassa, casa di Enrique.
 
 
Silver era in salotto in quel momento. La cena era stata abbondante, e le aveva dato modo di scoprire che la carne di leviathan si mangiava. A tavola aveva avuto l’idea di chiedere prima di assaggiare cosa fosse la pietanza in tavola, così aveva avvicinato con diffidenza lo spezzatino che la cameriera aveva preparato. Prima di mangiare il primo boccone aveva accuratamente saggiato la consistenza e l’odore emanato dalla carne, attirando uno sguardo incuriosito dai commensali, che invece masticavano senza farsi problemi. Poi aveva scoperto che il leviathan aveva una carne tenera e dal sapore dolce, e allora aveva spazzolato il piatto senza più alcun tipo di problema, strappando un sorriso a Enrique e un sospiro di sollievo a Camille.
Nel dopocena il cazar si era messo a curare la corrispondenza e Silver era rimasta senza far nulla. Così, lottando con il corsetto che le stringeva sulla cassa toracica, si era accasciata sul tavolino con la testa infossata fra le braccia.
Che palle...chissà se a casa si sono preoccupati.
Ma il Sapere le disse che era impossibile: ogni giorno che passava su Fastoon corrispondeva ad un minuto nel suo spazio-tempo.
Nah, impossibile che si preoccupino per tre minuti. Però potrei sfruttare questo cambio orario quando ho un compito in classe. Se in dieci minuti guadagno dieci giorni, altro che sufficienze!
Il pensiero la fece sorridere. Già si vedeva sparire al suono della campanella, rintanarsi in bagno e attivare l’applicazione del telefono, arrivare lì, studiare e poi ripresentarsi bella fresca di nozioni in tempo per il saggio. Oppure, se voleva farla più sporca, scriversi le domande su un foglietto, sparire a Fastoon, scrivere delle risposte simili a trattati e poi riportarle sul compito.
E con l’esame di maturità? Il tanto temuto spauracchio finale della scuola dell’obbligo? Aveva sempre detto «se ce la faccio, bene; sennò amen», ma con un’arma del genere in suo possesso era impensabile non farcela.
Eh eh eh...
Poi arrivò l’urlo, tanto forte da farla sobbalzare.
«Signorina Silver!» rimproverò Camille. La ragazza scattò ritta sulla sedia e si guardò attorno.
«Eh?»
«Ma vi pare il modo, una signorina dabbene come voi!»
«Che cosa?»
«Accasciarvi così sul tavolo! Mettervi in mostra in maniera così spudorata!»
«Ma mi annoio a morte...» protestò. «E non mostro proprio niente. Più che altro mi addormento.»
La lombax ignorò bellamente la seconda parte e andò avanti.
«Perché non vi esercitate in qualcosa? Non vi dilettate in un’arte? Che so: cucito, canto, disegno...»
Accetti la risposta «arti marziali»?
La ragazza sbatté un paio di volte le ciglia e decise che in quei giorni aveva scandalizzato fin troppo la povera cameriera per dirle anche che in teoria sapeva combattere a mani nude. Così optò per un’altra verità.
«Disegno...»
«Ah, disegnate!» Camille sembrò rincuorarsi subito. «Cosa usate di solito? Matita, carboncino, colori a olio...?»
Silver si costrinse a non scuotere la testa: di certo non poteva dirle che usava tablet e computer. Però con le matite riusciva a cavare qualcosa di buono.
«Matita.» rispose. «Di solito uso le matite colorate.»
«Mi dispiace, quelle non le abbiamo.» Camille abbassò lo sguardo, dispiaciuta. Ma da mortificata tornò subito arzilla. «Che ne dite di disegnare qualcosa in bianco e nero? Mi piacerebbe vedervi all’opera!»
Silver si sentì presa tra due fuochi. Non ne aveva voglia, ma le sarebbe dispiaciuto non accontentare quella donna. Da quando aveva messo i piedi in quella casa non aveva perso una sola occasione per cercare di farla sentire a suo agio.
«Ma io non so se...insomma, alla fine sono solo degli scarabocchi...»
«Eddai, non fatevi pregare!»
Occavoli...
«Beh, sì ma...non ho il materiale.»
«Sono sicura che Enrique non si arrabbierà se userete un foglio dal suo blocco per la corrispondenza. Matita e gomma ve li fornisco io, aspettate solo un momento.» e sparì oltre il salotto. Quando tornò aveva una serie di matite, una gomma biancastra e qualche foglio bianco da lettera. Li dispose ordinatamente sul tavolo e andò a sedersi di fronte a Silver, che guardò i fogli e si fece pensierosa.
E mo’ che gli schizzo? Mica posso fare Sacha o Alister!
Già, che disegnare? I suoi soggetti preferiti erano praticamente tutti fuori discussione!
Ebbe l’impressione che il foglio la guardasse e le chiedesse: e adesso? Così afferrò una matita e pensò ad un motivetto a caso. Nella sua mente si diffuse un motivo dei Nightwish e Silver si chiese cos’avrebbe pensato un telepate se fosse riuscito a captarle i pensieri. Probabilmente sarebbe scappato via in preda al terrore, considerando che in quell’universo l’ultimo ritrovato erano musica classica e grammofoni.
Per qualche motivo la scena la fece sorridere, e trovò la voglia di schizzare quello che si era appena immaginata, con la canzone in testa che la isolava dal resto del mondo. Certo, non era come avere l’mp3 attaccato alle orecchie, ma era un buon surrogato nel silenzio serale.
Le linee si susseguirono una all’altra sul foglio, sporcandolo e riempiendolo con quelle che Silver definiva schifezze. E così alla fine, presa dalla concentrazione, riempì il foglio con schizzi e schizzetti: un lombax in fuga, una gamba meccanica, Camille con una padella in mano, il braccio meccanico del dottor Saak, alcuni chibi negli spazi vuoti tra i vari disegni e infine Enrique che leggeva il giornale, appollaiato sulla poltrona.
Quando rialzò la testa vide che le sue schifezze avevano attirato l’attenzione degli altri due.
«Uno stile particolare, senza dubbio. Spigoloso e longilineo, ma gradevole.» commentò Enrique. «A quale corrente fate riferimento?»
«Ehm...nessuna in particolare.» rispose Silver.
«Signorina, avete davvero un’ottima mano!» commentò entusiasticamente Camille, puntando il dito sullo schizzo che la raffigurava. «Questa sono io, vero? Siete stata così carina! E anche Enrique è stato ritratto splendidamente! È sempre così concentrato quando legge, e voi fate trasmettere concentrazione al disegno!»
«...Mah, se lo dici te...» replicò la ragazza, osservando con occhio critico le linee abbozzate frettolosamente, tutt’altro che fini e aggraziate.
«Siete modesta. Molti desidererebbero saper disegnare come voi.» rincarò Enrique. «Io per primo, se me lo concedete.»
«Ma no, ce n’è di gente che disegna meglio di me...comunque grazie. Fa piacere sentirselo dire!» e sorrise caldamente. Enrique rispose con un cenno del volto e si sedette al tavolo.
«A proposito, noto con piacere che i vostri lividi stanno migliorando a vista d’occhio. Se lo desiderate, fra due giorni potremmo uscire a visitare un poco la città.» disse. Silver si illuminò per la felicità.
«Dici davvero? È magnifico! Non vedo l’ora!»
A Enrique scappò una risata.
«Sarà un onore e un piacere accompagnarvi.» disse, facendo luccicare gli occhi a Camille. «E poi, fra tre giorni saremo ospiti del maggiore Ratchet per una cena importante. Ho appena scritto la lettera in cui confermo la nostra partecipazione, e domani la farò recapitare. Pare che vi parteciperanno anche due alti funzionari della corte imperiale, così da poter valutare con discrezione l’intera faccenda.»
La notizia smorzò l’allegria di Silver, che si ritrovò a pensare all’assurdità della sua situazione.
«Quindi è proprio deciso, diventerò un ambasciatore che lo voglia o no.» disse, puntando uno sguardo quasi triste in faccia al cazar.
«È esatto, signorina.» confermò lui. «Diventerete una grande opportunità per l’Impero e per la vostra specie, quindi non rattristatevi.»
Rattristarmi? Sono disperata! Il mio popolo è in un altro universo, e Tachyon vorrà la mia testa entro venti secondi. E allora sì che ci sarà da ridere.
Ma a Enrique mostrò un sorriso che, per quanto debole, lo rincuorò.
«Via, via, vedrete che una volta a corte passerà la vostra insicurezza. Dovrete solo ambientarvi.»
Silver pensò che sarebbe stata dura.
«Ma sarò sola come un cane.» protestò. «Se ti portassi con me? Dopotutto non so una cippa di voi e di tutte le vostre manie.»
Era una bugia colossale, ma tra tutti i personaggi che aveva creato non le veniva in mente nessuno più delicato del cazar che aveva di fronte. Non voleva ritrovarsi da sola tra i mostri.
«Ah ah! Signorina, che parlata interessante!» replicò Enrique. «Ebbene, a me non dispiacerebbe davvero. Sarebbe un salto economico e sociale davvero notevole, senza contare che con voi ci sarebbe da apprendere sempre. Ne parleremo al maggiore, e sentiremo cosa ne pensa.»
«Evvai!»
Forse è un po’ troppo schietto, ma nell’andare tutto a puttane sarebbe grandioso se non mi lasciasse da sola. Quantomeno per lui non sono un animale da esibizione!
Quanto a Eve, giuro che me la paga. Tirarmi di qua con tre mezze regole senza darmi l’uscita di emergenza! Diamine! Questo è giocare sporco!
* * * * * *
Ore 22:15 circa,
Periferia est della città, quartieri militari.
 
 
Il pub del Beone era di poca strada rispetto alla 147sima. Emerald Yerzek lo sapeva, e capitava spesso che si fermasse a bere qualcosa quando usciva tardi.
Quella giornata era stata un altro susseguirsi di intoppi. Il sostituto governatore chiedeva continuamente novità sulla ricerca del criminale Azimuth, Ratchet era sparito accollandogli tutte le responsabilità della direzione e il suo fido collaboratore Enrique aveva una licenza medica di due settimane.
Senza dire una parola Yerzek zampettò dentro il Beone e si godette la folata di aria calda che lo investì all’ingresso. Ai tavoli vide alcuni dei suoi dipendenti, e gli sembrò che lo guardassero con scherno o rimprovero. Distolse lo sguardo e cercò un posto vuoto tra i tavolini.
Il teracnoide si sentiva addosso le attenzioni del governatorato e delle alte cariche dell’esercito imperiale, primo fra tutti quello viscido di Sindegar Heanp. Il cragmita era un tagliagole, e non si sarebbe fatto di certo scrupoli nei suoi confronti. Emerald temeva i suoi giudizi, e continuava a venirgli in mente l’asprezza con cui lo aveva messo a tacere durante la fuga di Azimuth. Quanto avrebbe impiegato Heanp a sostituirlo?
Zampettò fino in fondo al locale, dove gli era parso di vedere un tavolo vuoto. In realtà, si accorse solo quando fu là che il tavolo era occupato, e l’avventore era nientemeno che Orion Saak.
Quando si parla di coincidenze, pensò Yerzek con sarcasmo. Durante la giornata si era chiesto più volte quale malattia avesse costretto Enrique a casa per due intere settimane, in un momento del genere. Il referto che aveva nel suo ufficio era piuttosto vago in merito.
Saak aveva gli occhi lucidi e svariati boccali vuoti davanti a sé. L’odore dell’alcol era forte.
«Signor Yerzek...» articolò. «Prego, sedetevi.»
Siccome il cazar non era palesemente ubriaco, sarebbe stato scortese rifiutare. Il teracnoide prese posto davanti al medico e scostò un paio di boccali.
«Signor Saak, non mi aspettavo di trovarvi qui.» disse. «Ci sono forse dei problemi?»
«Oh, niente di particolare. Stavo decidendo che fare con mia moglie.» rispose con voce cupa. Yerzek intuì che non si riferisse ad una gita in campagna.
«Non vi soddisfa?» azzardò.
«Preferisce soddisfare uno degli scrittori del suo salotto, quell’ingrata!» Saak si trattenne dal battere il pugno meccanico sul tavolo. Yerzek considerò che la frustrazione e l’essere alticcio non giovassero né a lui né alla sua faccia davanti alla società. Sentì di dover fare qualcosa alla svelta per non esserne coinvolto, e l’unica cosa che pensò fu di portare il discorso altrove. Non era difficile, vista la sconvenienza dell’argomento.
«Gradite parlarne?» chiese accuratamente. Come previsto l’altro fece un chiaro segno negativo.
«Non oserei mai tediarvi con i miei problemi.» spiegò. «E poi, la decisione in fondo l’avevo già presa tempo fa. Mi serviva solo una prova.»
Yerzek annuì e nascose un sospiro di sollievo.
Almeno un problema me lo sono scampato.
«Certo, vogliate perdonare la curiosità.» il suo volto mostrò una finta espressione contrita cui Saak credette. «A dire il vero, vorrei approfittare del nostro incontro e farvi una domanda.»
«Ditemi pure.»
«Sarei curioso di sapere di cos’è malato il mio segretario personale, Enrique Beauford. Il vostro rapporto è piuttosto scarno, e non vorrei che... - »
A interromperlo fu la risata scettica del medico.
«Ma che male e male, il vostro collaboratore è sano come un pesce.» confessò, influenzato dall’alcol. «L’umana che è con lui, invece, ha qualche problemino; ma niente che non si possa gestire se lui trattiene gli istinti.»
Yerzek ignorò l’insinuazione sugli istinti, ritenendo il suo segretario troppo integerrimo per caderne vittima. Pertanto si concentrò sul resto della notizia.
«Oh.» commentò. «Non ne sapevo nulla.»
«Strano, Ratchet mi ha assicurato che vi avrebbe avvisato personalmente.»
Calò un breve silenzio. Il direttore della 147sima decise di prendere con cautela le parole del medico, dal momento che era alticcio. Però decise di portare avanti lo stesso il discorso. Il medico aveva la lingua sciolta, ma non sembrava aver raggiunto il punto di dire castronerie a vanvera.
«Magari non ne ha avuto il tempo, chissà.» ragionò pacatamente. «Ma aspettate, avete detto un’umana?»
«Sì, la signorina che è sbucata dal nulla in piena evasione è un’umana. Ne sono certo, non ho visto i segni delle suture da nessuna parte. Non è una markaziana operata chirurgicamente. È un’umana.»
«Ma gli umani sono estinti da secoli!»
«Eh eh, si direbbe di no...» replicò il medico. «Lei è vera quanto me. Ci sarà da ridere sabato, davanti agli imperiali. Ve lo dico io: il maggiore Ratchet è impazzito. Azimuth gli deve aver fatto del male psicologico, perché altrimenti non cercherebbe di portare quell’umana alla corte imperiale.»
«Signor Saak, la vostra sobrietà sta venendo meno se dite una frase del genere. Il maggiore non commetterebbe un errore che potrebbe costargli la carriera in questo modo.»
Ma il medico non gli diede nemmeno ascolto. Richiamò l’attenzione di una cameriera e ordinò altri due boccali, uno per sé e uno per Yerzek.
«Già...ma allora non ha senso che la faccia nascondere dal signor Beauford.»
«L’editto di Tachyon IV non è stato ancora abolito: nascondere un umano è ancora reato da pena capitale.» obiettò il teracnoide. Saak si strinse nelle spalle.
«Sarà, ma le cose stanno così. E vedrete che quando arriverete a casa troverete anche voi la lettera d’invito per la cena di sabato.» poi alzò il boccale. «Alla salute!»
* * * * * *
Ore 23:35 circa
Sud-ovest del centro cittadino, quartieri residenziali dei militari
 
 
Yerzek rientrò nella sua abitazione con le idee confuse dalle rivelazioni e dall’alcol.
Quella che lui pensava essere una markaziana era un’umana.
Enrique non era davvero malato ma nascondeva l’umana in casa sua.
Ratchet aveva voluto che le cose rimanessero in mano sua e lo aveva tenuto all’oscuro di tutto. Perché?
Nessuno fa niente per niente, diceva spesso suo padre. Yerzek aveva scoperto presto quanto fosse vero, quindi gli veniva da chiedersi cosa ci guadagnasse ad infrangere un editto che avrebbe potuto costargli la carriera e la vita. Quale poteva essere la contropartita di un rischio così grosso?
L’unica risposta che gli venne in mente fu: conquistare un potere altrettanto grosso.
Se insediare a corte l’unica umana esistente – anche solo come animale da esposizione – gli avesse portato la fiducia dell’imperatore Tachyon X, allora avrebbe potuto commettere qualunque azione e sarebbe stato protetto dall’ala benevola del sovrano.
 
Gettò il cappotto su una poltrona e si diresse difilato nel suo studio. Il maggiordomo di solito gli lasciava la corrispondenza sullo scrittoio, e fu lì che trovò un plico di lettere.
Si sedette e si impose autocontrollo.
Vedrai che troverai quell’invito, si disse per incoraggiarsi. Poi guardò le varie buste e si fece scettico: Come no. Vogliono farmi fuori il prima possibile, e Ratchet mi detesta. Non ci sarà.
Come pensava, non c’era nessuna lettera per lui che lo invitasse ad una cena privata.
Si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia. Si sentiva leggermente confuso, era stanco, stufo della sua situazione incresciosa e deluso dal modo in cui Ratchet aveva cercato di tenerlo all’oscuro di tutto.
L’Imperatore non sa come si sono svolti i fatti. Non sa che Azimuth è riuscito a scappare perché Ratchet non è stato in grado di fermare i ribelli. Se lui se lo ingraziasse, le sue colpe sarebbero tutte cancellate. Gli rimarrebbero solo gli onori per aver stanato un’umana e a me rimarrebbero tutti gli oneri del fallimento.
Provò un moto di rabbia profonda.
No, no, NO! Non deve andare così! Se c’è uno che si è fatto il mazzo per far funzionare la 147sima, quello sono io! IO merito gli onori, non lui! IO entrerò nelle grazie di Sua Maestà, non lui!
«E così riconosceranno chi ha lavorato da sempre per il bene dell’Impero e chi con le sue azioni lo ha danneggiato! Gli farò vedere io cosa significa prendermi per scemo!» esclamò con decisione, volgendo poi uno sguardo infervorato fuori dalla finestra, laddove sapeva esserci i caseggiati militari e poi ancora oltre, verso la campagna dove erano state costruite le ville nobiliari. Con uno scatto secco chiuse la tenda.
Aveva già un’idea su cosa fare. Una volta tanto l’insonnia non gli parve un nemico, ma il migliore alleato per la trama che stava per progettare.
«Vuole la guerra? Che faccia! Non sarà la mia testa a saltare, nossignore!»
* * * * * *
15 Gennaio, ore 02:40 circa
Sud-est del centro cittadino, quartieri industriali, ex acciaieria
 
 
Reginald rientrò con aria soddisfatta nel covo. Come previsto aveva rintracciato senza sforzo il domestico e aveva intavolato una discussione proficua.
Oltrepassò a passo felpato il magazzino dove i suoi compagni dormivano e si diresse nello scantinato che Kaden aveva eletto a studio. La luce era accesa, e quando entrò lo trovò chino su una mappa della città. Non attese che gli chiedesse alcunché: «Missione compiuta.» riferì.
Kaden mostrò un sorriso stanco: «Bene, allora siediti e vuota il sacco.»
Reginald eseguì. Si sedette comodamente su una cassa e si tolse il cilindro. «Il cielo benedica il pettegolezzo.» esordì. «Se fosse uno sport non ci sarebbe speranza per chi non fa il domestico.»
L’altro rise. «Che ti ha detto?»
«Sabato 17 ci sarà la cena in questione, che comincerà alle 20:00. Il trasporto sarà organizzato a carico del maggiore; e gli ospiti saranno lady Phyronix con la rispettiva guardia del corpo, il nostro signor Beauford con la Creatrice e due funzionari della corte imperiale.» il nome degli ultimi ospiti pesò come una sentenza. Le iridi di Kaden si allargarono e si restrinsero impercettibilmente.
«Stai scherzando, spero.»
Reginald denegò. «Era tutto eccitato per le visite in arrivo, non credo che mentisse.»
«Se ci sono anche due cragmiti della corte la villa sarà blindata. Dobbiamo impedire che la Creatrice entri in quella casa.» decretò cupamente il capo ribelle. Ignorava che, chino sul suo scrittoio, Yerzek avesse appena raggiunto la stessa conclusione.
«Bel lavoro, Reginald. Vai pure a riposare.»
Il lombax dagli occhi azzurri afferrò il cilindro dalla cassa. «Tu non dormi?» domandò.
Kaden scosse appena una mano. «Ho ancora un paio di cose da sistemare.» si giustificò. «Piuttosto, Evelyne ha ricordato dove ha sentito il nome del nostro cazar?»
«No, non se lo è ricordato. Mi ha detto di dirti che si scusa.» dopo la risposta mascherò uno sbadiglio e si alzò in piedi. «Buonanotte capo.»
«Buonanotte.»
Attese che l’altro uscisse, e guardando la grande mappa cittadina non poté fare a meno di ripetersi le informazioni ricevute.
Che se ne fanno di un’umana alla corte imperiale?
Gli venne in mente il timore di Evelyne.
Sanno davvero chi è? Così fosse, saremmo in grossi guai.
Riguardò la mappa.
Non arriverà a quella villa. La fermeremo prima.
E puntò il dito sulla strada che usciva dalla città, l’unico punto obbligato del percorso.

 

   
 
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