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Autore: LoveShanimal    09/02/2012    1 recensioni
“E.. – lui sorrise, con quel sorriso ingenuo che lo caratterizzava, almeno a quel tempo. L’ingenuità lo abbandonò tempo dopo – mi prometti che non mi lascerai mai? Che staremo insieme per sempre?”
Lei arrossì.
“Te lo prometto, Shannon.”
Ps. Ispirata ad una storia vera :)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 2: Life.
4: Crash, crash, out of control.

 

La donna guardò fuori dal finestrino.
La giornata per lei non era cominciata bene. Si era svegliata in ritardo, si era bruciata con il caffè, e la sua auto non si decideva a partire da sola.
Aveva dovuto prendere un taxi, e per di più era finita nel bel mezzo del traffico mattutino.
“Perché non sono rimasta a dormire stamattina?” borbottò.
“Come scusi?” chiese l’autista che, annoiato, lanciava occhiate alla bella donna nel sedile posteriore.
“Nulla, parlavo tra me e me..”
Da poco aveva terminato il contratto come manager di un gruppo, che l’aveva si, arricchita ulteriormente, ma l’aveva tenuta occupata per più di un anno e mezzo ed era tornata a casa dimagrita, stremata, ma soprattutto con meno sanità mentale di come era partita.
Si era riproposta di rimanere un mese intero nel letto, a mangiare, curarsi la pelle e vedere qualche film, e, cosa più importante, dormire.
Andare a dormire presto e svegliarsi tardi, nascondersi dal freddo nel piumone, e condurre una vita tranquilla. Di avventure spericolate, anche se, doveva ammettere, divertenti, ne aveva vissute abbastanza.
I suoi progetti si volatilizzarono tre soli giorni dopo il suo rientro a casa.
Riuscì a dormire tanto solo per due giorni – il primo, purtroppo, venne dedicato alla pulizia della casa – e poi arrivò la telefonata che cambiò tutto.
Stava bevendo una cioccolata calda, quando il cellulare che usava per le telefonate di lavoro iniziò a vibrare.
“Dannazione!” imprecò. Si era dimenticata di spegnerlo.
Corse a prenderlo, e rispose.
“Pronto?”
“Deborah?! Sia ringraziato il cielo!” era sollevato.
“Lucas? Lucas! Da quanto tempo non ci sentiamo?” era piacevolmente colpita: se avesse dovuto tirare ad indovinare, lui sarebbe stato una delle sue ultime possibilità.
“Lo so, credimi, lo so! Lavorare con le rock star è bello, fino a quando non ti tolgono anche il tempo per respirare!”
“Non me lo dire. Ho appena finito un anno e mezzo, e più, di contratto. Ho visitato ogni angolo di questo pianeta! Per fortuna è finita. Un altro mese, e mi sarei suicidata!” la donna rise,  e si accorse subito che l’uomo dall’altra parte della cornetta invece che accompagnarla, si era zittito.
“Ehm.. a proposito di contratti..” l’uomo, nel suo lussuoso appartamento, si era appena messo le mani tra i capelli, disperato. Quella era la sua ultima possibilità, e perderla significava perdere il lavoro.
“No, ti prego Lucas, no. Non firmerò nessun contratto per almeno un anno!” le peripezie di un tour non erano cose da poco, lo sapeva bene.
“Ma non è un tour intero! Sono solo quattro mesi! Dalla prossima settimana, a dicembre. La band si prenderà una pausa, poi, non preoccuparti. Ti prego, Deborah, sei l’unica mia speranza! Il vecchio manager ha abbandonato la barca, mi ha abbandonato e adesso non so cosa fare. Avrò fatto una cinquantina di chiamate solo oggi: tutti occupati. Non trovo uno schifo di manager disposto ad aiutarmi. E se non lo trovo, sono fottuto. Non posso insistere con gli altri.. tu invece sei mia amica, te lo chiedo come un favore personale. Ti prego!” il tono della sua voce era alto, sfiorava addirittura l’isterico.
“Ma Lucas.. sono appena tornata..” nella mente della donna apparvero tutte le volte che l’amico l’aveva aiutata nel corso degli anni. Dalla scuola, fino al lavoro. Gli doveva tanto, dopotutto..
“Ti prego, Deborah, sono disperato..”
Dopo ancora tre o quattro battute di questo tipo, la donna accettò, più per pietà che per convinzione.
“Grazie, sei un angelo!”  l’uomo iniziò a saltare, ballare, ed esultare. Sentendolo, la donna pensò ‘posso resistere per quattro mesi!’
“Spero che sia una band di donne. O almeno, almeno con una sola donna. Ti prego, dimmi di si. Magari i Paramore, che Hayley Williams la conosco già e poi amo i suoi capelli!” rise.
“Mi dispiace per te, ma è un gruppo tutto al maschile!”
“Ah. Bene.” Gli uomini erano permalosi, facevano solo casino ed erano invadenti. In più, anche a quarant’anni suonati non sapevano cosa fosse l’indipendenza.
“Mi dici almeno chi sono, così mi cerco qualche informazione su internet!” continuò, esasperata.
Lui, che stava ancora esultando, fu preso da sconforto. Quella era la parte più difficile.
“Ehm. Uhm. Devo andare!” non ebbe il coraggio di dirglielo, sapeva che, non appena avesse detto il nome della band, lei si sarebbe tirata indietro.
Deborah, perplessa, rispose: “Ma mi devi dire solo il nome!”
“Non posso.. mmh.. non ho tempo. Domani alle nove al mio studio, sii puntuale!”
E senza neppure aspettare una risposta, riagganciò.
“N-O-V-E?” urlò lei, al telefono, quando ormai la conversazione era già terminata.
Provò a richiamare più volte quel numero, ma non vi fu alcuna risposta.
 
 
 
Ma Deborah non era l’unica, quella mattina, ad avere qualche problema con la sveglia.
“Bro?! BRO!” Jared afferrò il cuscino da sotto la testa di Shannon, che continuò a non svegliarsi. Allora, cercò di tirare le coperte, ma il fratello, ormai abituato a quelle scenette mattutine, lo precedette e le tenne strette, a coprirlo fino a sotto il naso.
“Abbiamo un appuntamento con il nostro nuovo manager, te ne sei dimenticato? Sbrigati!” non ricevendo risposta, riprese il cuscino in mano e lo buttò più volte in testa al fratello.
“Ma stai fuori?!” gridò lui di rimando, portandosi le mani alla testa.
Jared ne approfittò di questo momento di distrazione, per afferrare le coperte e togliergliele di dosso.
“Alzati. Immediatamente. Sono le nove meno un quarto e facciamo tardi. Io sono pronto, Tomo è pronto. Non voglio dare una brutta prima impressione. Quindi alza il culo e sbrigati.” Lo guardò spazientito.
“Ma tanto capirà comunque che sei un’idiota, non rompere!” si strofinò gli occhi, proprio come un bambino.
“O ti alzi adesso, o vado a prendere un secchio di acqua gelata e giuro sul mio blackberry che ti faccio il bagno.”
Shannon riuscì solo a sbuffare.
Senza alcuna voglia, si alzò e strappò di mano il cuscino al fratello, rilanciandolo sul letto e borbottando qualcosa come ‘pericolo pubblico’. Andò in bagno a farsi una doccia veloce.
Quando scese al piano di sotto, non vide Tomo da nessuna parte.
“Tomo?” lo chiamò, ma non ebbe risposta.
L’occhio gli cadde sull’orologio, che segnava le sette e mezzo del mattino.
Si bloccò.
“Jared, SEI MORTO!” sentì al piano di sopra il rumore di qualcuno che stava correndo, e senza aspettare un secondo, si lanciò verso le scale. Salì i gradini a due a due, talmente veloce da rischiare di inciampare e di sbattere contro quelli successivi.
Lo vide correre nella sua stanza, e lo seguì veloce.
Jared chiuse la porta a chiave prima che il fratello potesse bloccarla con un piede.
“Maledetto!” strillò Shannon, battendo un pugno sulla porta.
“Attento che la sfondi!” disse l’altro, tra le risate.
“Non importa, tanto la stanza è la tua. Basta che riesco ad entrare così ti posso fare il culo a strisce!”
Dalla stanza provenivano solo risate.
L’unica cosa che calmò la situazione fu l’arrivo di Tomo. Portò al piano di sotto il maggiore dei fratelli Leto così da fare colazione, e dopo due minuti anche Jared li raggiunse.
Fischiettando, come se nulla fosse successo, scese le scale e andò verso il frigo.
“Buongiorno Tomo!” disse raggiante.
Shannon, che ancora non aveva mandato giù il suo scherzetto, prese un limone dalla cesta sul tavolo e lo lanciò sul fratello.
Lo colpì in pieno petto.
“Ringraziami -  disse, vedendo l’espressione attonita dell’altro – te lo stavo per lanciare al centro del tuo bel faccino, ma ho provato pietà: non posso sfigurarti proprio oggi, darei una brutta prima impressione. Non appena il nostro nuovo manager capirà che sei insopportabile, sarà lui stesso a darmi un limone in mano.” Dedicò al fratello un sorriso decisamente bastardo.
“Dai, sbrighiamoci che facciamo tardi. Cinque minuti e dobbiamo partire, altrimenti ci mettiamo nel traffico. Chiaro?” parlava al plurale, ma si rivolgeva solo al fratello, che di rimando lo guardava storto.
Shannon si avviò al piano di sopra, calmo. Ancora non era a conoscenza delle sorprese che quella giornata gli riservava.
 
 
Lucas si aggiustava la cravatta, e sebbene l’estate fosse completamente passata e ormai le giornate si settembre si succedessero umide e per niente calde, lui stava visibilmente sudando.
La sua fronte era ricoperta di un velo di sudore, era aggrottata e aveva per di più le maniche della camicia arrotolate fino al gomito.
“Lucas, calmati, per favore. Non c’è nessun motivo per sudare così, non ti uccideremo se non andrà bene. Tanto, alla fine, possiamo cavarcela un po’ di tempo senza un manager!” cercò di sdrammatizzare Tomo.
Tre paia di occhi si girarono verso di lui, fissandolo sconcertati.
“Lo sai che cosa è successo l’ultima volta che abbiamo lavorato senza un manager? Jared ci ha fatto firmare un contratto per cinque dischi, sebbene sapesse che per i nostri tempi cinque sarebbero stati impossibili da pubblicare, e per poco non pagavamo trenta milioni di dollari. Non siamo fatti per stare senza un manager, no..”
Neppure Jared, che era stato così accusato dal fratello, potè controbattere: avevano bisogno di un manager qualificato, maschio o femmina, bello o brutto, simpatico o bastardo, ma ne avevano bisogno.
“Ma almeno potrebbe essere puntuale ?” disse Jared, leggermente infastidito.
“È una persona serissima, fidati, soprattutto quando si tratta di lavoro. Avrà un ottimo motivo per questo ritardo. Poi ci si aggiunge anche il fatto che è appena uscita da un tour di più di un anno con un’altra band, e ovviamente con la stanchezza, il rientro, avrà tantissime cose da fare..”
Intanto che Lucas giustificava la donna, lei era appena scesa dal taxi dopo tre quarti d’ora di attesa bloccata nel traffico.  Il tassametro era salito a livelli indicibili, il tassista aveva cercato di fare conversazione – per altro pessima – ed era in ritardo il giorno in cui avrebbe dovuto firmare un contratto con una band di cui non sapeva nemmeno il nome.
Corse nel grattacielo, a cui riuscì solo a dare solo un’occhiata esternamente, e si avvicinò velocemente alla reception.
“Mi scusi, mi chiamo Deborah Cooper. Ho un appuntamento con Lucas Coleman.”
La signorina guardò l’agenda davanti a sé senza alzare lo sguardo.
“Deborah Cooper.. si, eccola.
Decimo piano, quarta stanza a destra appena esce da quell’ascensore.” Le indicò uno dei tre ascensori davanti a loro, la donna la ringraziò e si diresse nella direzione indicata dal dito della ragazza, in fretta.
“Decimo piano, quarta stanza a destra.” Si ripeteva fra sé.
L’ascensore era quasi pieno, ma fortunatamente il bottone del decimo piano era già premuto.
Non appena le porte si aprirono, si buttò sulla destra, contando le porte.
Uno, due, tre..
Arrivata davanti alla quarta, si bloccò.
Prese un bel respiro, si aggiustò la gonna, si stirò con le mani la giacca, si tastò la testa per accertarsi che la pettinatura non si fosse rovinata, e prese un altro bel respiro.
Preparò un sorriso che sembrasse vero, ed entrò.
“Buongiorno, scusate il ritardo, il traffic..”
Le parole le morirono in gola.
Erano i 30 seconds to Mars, quelli.
Non sapeva cosa fare. Quell’istante si prolungò, diventando infinito.
Aveva preso il decimo piano, come aveva detto la ragazza della reception. Aveva preso la quarta stanza a destra, come aveva detto lei.
Gli occhi le si spalancarono, il sorriso si spense, e le gambe tremarono sui tacchi alti.
Dall’altra parte della stanza, le altre quattro persone presenti, ebbero altrettante diverse reazioni.
Lucas fu percosso da un brivido.
Aveva sperato fino all’attimo prima che la donna non si presentasse, che quel momento non arrivasse mai.
Jared rimase incredulo. Incredulità che si trasformò in un attimo in rabbia.
Shannon vide riaffiorare davanti ai suoi occhi ricordi passati, di tempi lontani, in cui era perdutamente innamorato e non era stato ancora deluso. Ricordi di amore, di felicità, di speranze.
Ricordi che aveva voluto comprimere in una parte remota del suo cervello, che sempre gli venivano a fare visita, ma che non erano mai esplosi con tanta violenza come in quella volta.
E Tomo, ignaro di ogni cosa, riuscì ad avvertire solo quella tenzione che c’era nella stanza, quella tensione che a momenti sarebbe esplosa, senza alcun controllo, travolgendo tutti, anche lui che in quel quadretto si sentiva completamente fuori luogo.
  
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