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Autore: Bale    10/02/2012    1 recensioni
Un finale alternativo per l'episodio 5x18 - Fino alla Morte
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Emily Prentiss
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioveva.

Un lampo illuminò la cucina, facendomi trasalire.

Mi accarezzai il ventre. Fu un gesto spontaneo, istintivo.

Stavo preparando la cena.

Jonathan sarebbe arrivato a momenti.



Due sere prima mi ero presentata a casa sua.

Ero arrivata all’improvviso, senza avvisare.

Ero disperata per la scelta di fronte alla quale Hotch mi aveva messa.

Non ero abituata ad essere felice. Era successo tutto così rapidamente da non essermene neanche resa conto.

Per una volta che ero riuscita a toccare il cielo con un dito, qualcuno aveva subito provveduto a farmi scendere, facendomi toccare bruscamente il suolo.

Mi ero fatta male, è vero; ma mi sarei rialzata più forte di prima.

Avevo bussato senza esitare.

Jonathan aveva aperto la porta con un sorriso, aveva atteso ciò che avevo da dire.

Non aveva avuto una reazione convenzionale, una di quelle che si vedono nei film; ma dopotutto Il Profeta non era per niente un tipo convenzionale.

Gli avevo dato la notizia senza preamboli, ero stata diretta.

Non volevo girarci intorno, doveva saperlo e basta.

“Aspettiamo un bambino”, gli avevo detto.

Avevo usato il plurale per fargli capire che per quel bambino non ancora nato, la presenza del padre era importante tanto quanto quella della madre che lo portava in grembo.

Aveva sorriso, un sorriso diverso dal solito.

Non aveva fiatato.

Era rimasto lì a contemplarmi, con lo sguardo fisso nel mio e la mano sul mio ventre.

Mi aveva un po’ insospettito quella improvvisa perdita della parola, ma dopotutto ognuno reagisce a suo modo e, di fronte ad una notizia come quella, non ci si può certo aspettare la comprensione immediata di ciò che la maternità e la paternità comportano.

Con un bambino arrivano gioie e dolori, arrivano le responsabilità.

Quella mano sul ventre, per me, significava già tanto.

Mi trasmetteva calore, amore, felicità.

Quella sera mi disse che mi amava.

Fu schietto, autentico, semplice.

Mi rese felice.



A distanza di due sere, invece, ascoltando la pioggia che batteva sui vetri, provai un leggero senso di inquietudine.

Era come se qualcosa di brutto stesse per succedere, anche se non riuscivo proprio ad immaginare cosa poteva rovinarsi ancora.



Jonathan arrivò in ritardo.

Era fradicio, era triste.

-Cos’hai?-   gli chiesi, mentre lo aiutavo a togliersi il giubbotto.

Evitò il mio sguardo e non rispose. Iniziai seriamente a preoccuparmi.

-Io non lo voglio questo bambino-

Lasciai andare il giubbotto, spalancai la bocca. Ero certa d’aver inteso male.

Mi guardò trasalire senza fiatare.

Si limitò a raccogliere il giubbotto e ad appenderlo all’attaccapanni.

-Che cosa hai detto?-   chiesi incredula.

Pensai che doveva essere un brutto sogno.

-Tu sai perché sono stato in galera, vero?-

-Hai ammazzato un molestatore di bambini-   risposi quasi meccanicamente.

-Già-   confermò lui.

-E questo che cosa c’entra con il nostro bambino?-

-C’entra-

Andò in salotto e si versò del vino.

Si lasciò cadere sul divano e con lo sguardo mi invitò a fare lo stesso.

Lo raggiunsi inebetita, con la bocca ancora spalancata.

-Non posso permetterlo, non posso lasciare che un bambino indifeso viva in un mondo così crudele.
Nel nostro lavoro vediamo cose orribili. A quanti genitori abbiamo dovuto comunicare la morte del figlio?
Quanti bambini stuprati e ammazzati abbiamo visto? Quanti cadaveri minuscoli e inermi abbiamo visto negli obitori?-

-Io…io non posso darti torto-

Jonathan sollevò lo sguardo.

Un sinistro scintillio animava i suoi occhi.

Sembrava quasi felice di sentire che gli dessi ragione.

-Mi stai chiedendo di abortire?-

Ancora una domanda schietta. Non c’era affatto bisogno di mezzi termini.

La sua risposta fu inghiottita dal suono del campanello.

Qualcuno bussava, qualcuno mi separava da quel parere che ero tanto curiosa di sentire.



Andai ad aprire, rigida come un automa, fredda come il ghiaccio.

Era Hotch.

Era bagnato anche lui, ma era stranamente tranquillo. Sembrava quasi sereno.

Gli feci cenno di entrare. Presi la sua giacca e lo condussi in salotto.

-Salve-   lo salutò Jonathan, con voce roca.

Hotch rispose con un cenno.

-Vorrei parlarti-   disse rivolto a me.

-Io vado di sopra-

Rimanemmo da soli, io e quell’uomo che, da qualche ora, non era più il mio capo.

Mi guardò dritto negli occhi, riuscì a trasmettermi uno strano senso di calma.

Si mise una mano in tasca e ne estrasse il mio vecchio distintivo.

-Sono stato un idiota-   disse.

Mi porse i documenti, ma io non li afferrai.

Mi limitai a fissarlo incredula.

-Vivi la tua storia d’amore, cresci il tuo bambino. Nessuno te lo impedirà. Non permetterò a nessuno di farlo-

Quasi mi commossi. Afferrai i documenti e, con un gesto inaspettato persino per me stessa, abbracciai Aaron Hotchner.

Riuscii a sussurrare un misero ringraziamento.

Lui mi carezzò il volto e sparì nell’ingresso.
   
 
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