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Autore: AntheaMalec    12/02/2012    2 recensioni
C'era buio, c'era malinconia nelle pareti di quell’appartamento. C'erano parole stroncate sul nascere e singhiozzi soffocati da una mano tremante. Era morto da molti giorni ormai, così tanti da averli tracciati come cicatrici sulla pelle -e nel cuore.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Es-senza di te.

I was so alone and I owe you so much…

 

 

C'era buio, c'era tristezza, c'erano lacrime. 

Appariva una notte come tutte le altre, per uno che non sapeva osservare, ma io avevo imparato. 

Avevo imparato ad osservare dal migliore -il migliore uomo, il migliore amico. 

C'era buio, c'era malinconia nelle pareti dell'appartamento. 

C'erano parole stroncate sul nascere e singhiozzi soffocati da una mano tremante. 

Era morto da molti giorni ormai, così tanti da averli tracciati come cicatrici sulla pelle -e nel cuore

Bruciava ancora come se fosse appena accaduto e qualcosa dentro di me mi faceva credere che quelle fiamme non avrebbero mai smesso di bruciarmi le viscere. 

C'era buio, nel soggiorno del 221 B di Baker Street e non soltanto perché la luna aveva preso il suo legittimo posto nel cielo, ma perché nessuno riusciva ad illuminare una stanza come faceva Sherlock Holmes. 

C'era un velo di solitudine posato sopra ogni cosa, un velo che gravava anche su di me, minaccioso. 

Erano passati minuti interi da quando era caduto, minuti che pesavano come montagne. 

Erano passate ore intere da quando l'avevo visto disteso, senza vita, ore che pesavano come pianeti. 

Tutte le notti facevo lo stesso, medesimo incubo -la caduta, insieme a lui, per sempre. Ero arrivato più volte a sperare che fosse reale, ero arrivato a desiderare di morire, così da far cessare ogni pensiero, ogni lacrima. Erano passati molti giorni da quando era morto -definitivamente, completamente e non riuscivo ancora a farmene una ragione. 

Così mi ritrovavo ogni notte sulla poltrona dove solitamente lo osservavo, tra una pagina e l'altra di qualche quotidiano, e piangevo. 

Ero un uomo ma tremavo come un bambino. 

Rifiutavo l'idea che mi avesse lasciato, odiavo l'idea che avesse deciso per conto suo, che si fosse lasciato morire. 

Non sarebbe dovuta finire così. 

E me lo ripetevo, me lo ripetevo incessantemente, rannicchiato sulla poltrona, come se questo potesse farmi stare meglio, potesse farmi superare tutto. 

Eppure non riuscivo a dirgli addio, perché questo avrebbe significato lasciarlo andare e, così, dimenticare. 

Non volevo dimenticare nulla di lui, che era stato la mia ancora e la mia ferita allo stesso tempo. 

Un uomo che non lasciava spazio a stupidi grigi in una gamma infinita di colori. 

C'era tristezza in me, John Watson, che era sopravvissuto alla guerra, ma non ai sentimenti. 

Quelli letali, che ti spezzano il cuore.

Addio John.

Addio John.

 A volte mi sembrava di impazzire, come se avessi superato quel limite di sopportazione umana che un uomo può raggiungere. 

C'era rabbia, anche, dentro di me. 

Quella rabbia soffocante, cieca. 

Verso me stesso, che non l'avevo protetto, che l'avevo visto cadere e non riuscivo a perdonarmelo, con lui, che mi aveva lasciato, che si era buttato e che mi aveva lasciato solo, esposto.

C'è qualcosa che non gli ha detto ma che avrebbe voluto dirgli?’

‘Si.’

‘Che cosa?’

‘No, non posso, mi dispiace, non ce la faccio.’

E c'erano anche parole mai dette, parole che non erano state dette per stupidi ideali e pregiudizi o per orgoglio, forse. 

E c'erano abbracci mai scambiati che soffocavano i polmoni e minuti persi per litigi inutili. 

Fuori dalla finestra si intravedevano le primi luci di un nuovo giorno e gli occhi ancora rossi e doloranti per il pianto appena commesso -di nascosto, da codardo. 

Un nuovo giorno, altre ore, altri minuti, altri momenti inutili a commettere gesti noiosi. 

Monotona, scontata, ecco com'era la vita senza Sherlock Holmes. 

Mi alzai in piedi, accarezzando distrattamente il violino poggiato sulla scrivania, nella sua perfetta immobilità. 

Un respiro, un altro, e poi scacciai via con forza le lacrime, testimonianza di una fragilità sciocca, una fragilità che non mi era permessa, che io non mi permettevo. 

Un dottore, un soldato. E sarei stato forte, per lui, un'altra volta, per ricordare ogni giorno, ma per non crollare mai se non al buio, di notte. 

Per tremare, ancora una volta, come un bambino, solo.

 


I don’t have friends, I’ve just got one.

‘Nobody could that clever‘ ‘You could’

You are amazing, you are fantastic!

 

Goodbye John.

   
 
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