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Autore: Chia_aihC    12/02/2012    1 recensioni
«Mi ucciderai?» sibilò di nuovo, dopo un lungo silenzio da parte del suo carceriere.
Ancora silenzio.
«Sì, credo di sì.»
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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13. Il capo del Concilio

 
«Alam, ti prego...» sussurrò Anghel, tenendo stretto il vampiro.
Sentiva che persino i muscoli del braccio fremevano, scattavano e vibravano a ritmo del suono gutturale che usciva dalla sua gola, del suo ringhio.
Il salottino era arredato in maniera disgustosa, con poltrone piene di pizzi e merletti e con zampe di leone al posto dei piedi; tavoli esageratamente elaborati di legno scuro aiutavano gli imponenti scaffali di ebano colmi di tomi rivestiti di cuoio a incupire ancora di più l’ambiente. Anghel si trovò a pensare che persino in una stanza spoglia dipinta di bianco l’atmosfera non le sarebbe risultata più luminosa, ma forse avrebbe aiutato.
«Bene... a quanto pare, dopo tutti questi sforzi, bastava semplicemente aspettare che fossi tu a venir da noi, vampiro.»
A parlare era stato un uomo sull’ottantina, vestito in un abito gessato che lo faceva sembrare simile a Nosferatus nella sua forma peggiore: la pelle scarna delle guance e del collo, i radi capelli bianchi sulle tempie e le lunghe dita affusolate che si sfregava in continuazione. Stava godendo... sì, esattamente così. Si stava crogiolando della presenza di Alam al suo cospetto e soprattutto, secondo Anghel, del fatto che vi fosse stato costretto contro la sua volontà.
Bruno li aveva condotti nella sede del concilio dei tamer che si trovava a Parigi, in periferia. E aveva avuto ragione: Alam non era per nulla contento di trovarsi in quel posto! Non che avesse effettivamente protestato, non le aveva nemmeno rivolto la parola da quando l’aveva svegliato per farlo scendere dalla macchina.
L’enorme palazzo nella periferia sud della città aveva un parco sufficientemente grande tutt’attorno perché potessero crescere alberi così alti da nascondere la vista della città da qualunque angolazione si cercasse. Inoltre, i garage erano sotterranei e nemmeno il più piccolo raggio di sole avrebbe trovato un passaggio per illuminare gli ambienti umidi che li ospitavano. Un luogo perfetto, per i passaggi di vari tamer accompagnati dai loro vampiri. Dai garage si accedeva direttamente all’enorme casa. Anghel non l’aveva vista dall’esterno, ma non le sarebbe stato difficile immaginarla. Purtroppo era stata troppo occupata a controllare Alam per prestare attenzione ai vari corridoi dai vetri offuscati e alle pareti intarsiate e riccamente affrescate.
Aveva scosso Alam dal suo torpore diurno dicendogli dove Bruno li aveva condotti e gli occhi del vampiro erano subito diventati neri, completamente neri, senza nemmeno la più piccola traccia di bianco, esattamente come quando era eccessivamente affamato. E aveva iniziato a digrignare i denti e a ringhiare sommessamente.
«Ti prego Alam. Non c’è altro posto!» aveva sussurrato lei, spaventata dalla possibile reazione di Alam.
Era scappato dal concilio per chissà quanti anni, sicuro non meno di undici. E lei lo aveva consegnato a loro senza nemmeno interpellarlo. Era stata una sciocca ma ormai era tardi per qualsiasi ripensamento. Erano lì, scortati da Bruno e Jahèl. Come potevano scappare ora? La sua unica speranza era che, forse, avrebbero ottenuto alcune informazioni utili.
Poi erano stati condotti da due individui, umani secondo la giovane, nello studio di questo strano individuo. Era il più anziano membro del concilio, il capo. Si chiamava Pierre-Auguste Lacroix e, da quando erano entrati, il ringhio di Alam era stato un sibilo costante che aveva accompagnato il risolino del capo del concilio. Parlava correttamente l’italiano, con un accento chiaramente francese. Anghel aveva sempre pensato che il modo di arrotondare le consonanti fosse molto elegante, a volte a livelli insopportabili certo, ma sempre affascinante. Non vi era nulla di attraente in quella voce, solo superbia. Non le piacque per niente! In quell'istante percepì forte la sensazione di esser stata imprigionata.
Bruno e Jahèl si trovavano alle loro spalle e, ai lati della porta, c’erano i due uomini che li aveva accompagnati sin lì dal parcheggio, silenziosi fino alla nausea.
«Monsieur Lacroix...» iniziò Bruno a parlare, ma subito un cenno del capo di Lacroix lo fece tacere.
«L’ordine del concilio non era forse chiaro, monsieur Leonardi? Quale parte del comunicato non vi è pervenuta? Quella in cui si ordinava loro di tenere nella sede di Venezia i due soggetti ora davanti a me?» tagliente, Anghel si sentì fendere da quel suono.
Capì improvvisamente il perché dell’atteggiamento di Alam. Istinto. Puro e semplice istinto. Quella persona non poteva portare nulla di buono.
Gli occhi scuri e piccoli del capo del concilio tornarono su di loro, lasciandosi dietro un povero Bruno spaurito.
«E’ stata una mia scelta. Non hanno potuto opporvisi.» rispose Anghel, sempre stringendo il braccio ad Alam.
«Forse voi non capite, mademoiselle, la gravità della vostra condizione e la rarità dell’esemplare che portate con così poca grazia al vostro braccio!»
«Alam non è un “esemplare”!» sbottò lei, incapace di trattenersi.
Sentì che Alam si voltava di scatto a guardarla ma non osò alzare lo sguardo su di lui. Persino lei si era spaventata udendo il suono della sua voce, perché per un solo secondo le parve che non le appartenesse completamente. Non era stato un urlo, la sua voce aveva semplicemente riempito la stanza: ferma e chiara, imponente... non se l’aspettava e come lei nessun altro. Il silenzio calò pesante su tutti loro.
Lentamente, il volto di Lacroix sembrò tornare la maschera severa di sempre. Con una piccola luce di dubbio nello sguardo, pensò Anghel. Una maschera che tremava...
«Capisco benissimo la situazione, signore! La mia vita nel giro di un mese è cambiata in modo così drastico che fatico a ricordare come fosse prima. Io stessa son mutata irrimediabilmente. La mia famiglia è stata sterminata e sono braccata. Crede che non comprenda bene la situazione? Son quasi morta, non lo dimentico...» disse, cercando di mantenere un tono calmo. «E mi è stato detto che il controllo del fuoco che ha Alam è una dote rara e ricercata. So bene anche questo! Ma se lei si aspetta che io stia ferma ad aspettare in una prigione quale una delle vostre sedi, è un illuso!»
Lacroix rimase in silenzio per diversi istanti, continuando a guardarla immobile. Poteva quasi battere Alam per inespressività. Tutto quel che lei doveva fare era non cedere e non abbassare lo sguardo.
«Non posso certo appoggiare la sua decisione, modemoiselle... questo almeno deve capirlo. Un vampiro come Alam potrebbe essere molto pericoloso se desse il suo appoggio alle persone sbagliate!»
«Gradirei che si spiegasse.» sussurrò lei.
Lacroix sospirò, impercettibilmente.
«Sia. Ma noi due... soli!»
Anghel deglutì. Sola con quel Nosferatus del ventunesimo secolo? Non era esattamente quel che si aspettava... soli voleva dire completamente soli. E questo comportava che anche Alam sarebbe dovuto uscire. Alle sue spalle sentì le altre quattro presenze aprire la porta e lentamente uscire. Strinse lievemente il braccio del vampiro.
«Vai Alam... vai con loro...»
«No.» ringhiò, inarcando la schiena e stringendole i polsi, come quando la caricava sulle proprie spalle.
«Ti porteranno in un luogo dove potrai riposare. E ti verrà fornito un adeguato nutrimento. Al tuo tamer non verrà fatto alcun male.» disse Lacroix, perentorio.
«Alam, non mi succederà nulla. E poi verrò subito da te, te lo prometto!» disse lei, girandosi a guardarlo.
Aveva ancora le iridi dilatate e nessuna traccia di bianco o di verde nello sguardo. I denti erano ben in vista, chiari e affilati, brillavano nella luce artificiale. Poi un altro ringhio alle sue spalle. Anghel si voltò. Un vampiro maschio, dall’aspetto simile a un ragazzo di quindici o sedici anni, si era profilato sulla porta dello studio, anch’esso pronto all’attacco, rivolto verso Alam. Alam si girò, lento. Anghel guardò il nuovo vampiro. Occhi rossi... rossi su capelli rossi e lentiggini sulle guance. E odore di terra e fiori e campi. E sangue. Non ne ebbe paura. Non come si aspettava almeno. Forse era la presenza di Alam, la certezza della sua protezione, a rendere il vampiro meno pericoloso. Ma ne dubitava fortemente. Jahèl era più inquietante di certo.
Alam ringhiò ancora più forte.
«Maintenant ça suffit Claude! Il accompagne le vampire dans la pièce à l'étage supérieur et nourris-le. c'est un ordre! Vogliate perdonare Claude, s’innervosisce molto se un vampiro mi ringhia contro incessantemente. E, dal momento che è ancora mattina, è ancora più irritabile. Claude... veloce!» la voce di Lacroix era stata, se possibile, ancora più insopportabile e dura mentre parlava a quello che doveva essere il suo vampiro.
Ma Claude non sembrò badare al duro trattamento che gli venne riservato. Subito cercò di recuperare una posizione eretta e trattenne il ringhio.
«Alam, per favore! Non mi capiterà nulla.» sussurrò allora lei al vampiro.
Alam la guardò a lungo, impenetrabile come sempre. Almeno abbandonò la posizione d’attacco: con uno scatto liberò il braccio dalla stretta di lei e si allontanò assieme a Claude.
«Non gli succederà nulla, puoi star tranquilla. E ora siediti pure, Anghel Weeder, e parliamo un po’ con calma.»
Anghel girò la testa di scatto. Aveva sentito bene? Dottor Jakiel e Mister Hide si erano trasferiti in Francia? Dov’era finito il tono brusco e altezzoso di pochi istanti prima? Come mai ora sembrava solo un vecchietto stanco e buono? Si sedette, con l’impressione di aver stampata sul volto l’espressione più stupida del mondo.
«Dovrai scusare il mio modo di poco prima. È necessario. Mia cara, sai forse quanti anni ho? Ottantaquattro. Appena compiuti, tra l’altro.»
Anghel fece un lieve cenno del capo, non capendo dove diavolo voleva condurre quel discorso.
«Immagino che, molto superficialmente, ti sia stato detto cosa mai è il concilio dei tamer e di cosa si occupa. Bene. E saprai anche che questo non è il primo tentativo di mettere in piedi il concilio. Dopo il primo, decaduto nel corso della rivoluzione francese, ci son stati molti sforzi di ricreare tale organizzazione. Pressoché inutili. Capi senza polso fermo, senza idee, senza... i giusti mezzi per prender decisioni di fondamentale importanza, anche scomode se si vuole. Cosa fare dei vampiri rimasti senza tamer? Come spartire i compiti? Come soddisfare le famiglie più antiche? Questo è il quinto tentativo... e spero ardentemente funzioni. Gradisci del tè? Un caffè?»
«No grazie, prosegua...»
«Non si sa come mai nessuno dei tentativi sia mai andato in porto. Solo supposizioni, ipotesi senza prove.»
«Qualcuno sta cercando di distruggere anche questo concilio, non è vero?»
«Molto sveglia... sì, provano da anni a disintegrarlo; e penso che i tuoi problemi e i miei si riconducano alla medesima causa. Non scherzavo dicendo che Alam, nelle mani sbagliate, può risultare la più temibile arma che si conosca.»
«Capisco. E mi vuole qui, vuole qui me e Alam per... proteggere noi e se stesso, dunque?»
«Qui, a Venezia o in qualsiasi altra città ci sia una sede del concilio, sì. Mi permetterai di essere egoista, mademoiselle, ma ho faticato anni per creare un’ombra di equilibrio tra le famiglie più potenti ancora ancorate a vampiri. Quando abbiamo saputo dell’esistenza di Alam ci siamo... spaventati, sì. I vampiri che manipolano il fuoco...»
«Sono estremamente rari... lo so...»
«Ma non solo! Possono avere capacità inimmaginabili! Il tuo Alam, pensa solo che da ben trent’anni sta eludendo le nostre spie! Sì, son trent’anni che io personalmente sono a conoscenza dell’esistenza di Alam e gli do la caccia. Ho spesso mandato Claude a cercarlo, a braccarlo. Senza risultato ovviamente. Claude è molto antico, nonostante il suo giovane aspetto. Ha all’incirca millesettecentosette anni. È nato intorno al 302 dopo cristo. Ha vissuto... una vita impossibile da immaginare per un semplice essere umano come me!» sorrise, gli angoli della bocca sembravano punti di cucitura pronti a saltare e a scoperchiare la maschera di cera che era quel volto spigoloso. Ma al contempo, mentre parlava del vampiro dai capelli rossi, sembrò addolcirsi in modo insondabile.
Lacroix si alzò e si avvicinò agli scaffali dei suoi libri, passando le lunghe dita scarne su quelle copertine antiche.
«Sono il tamer di Claude da quando ho trentacinque anni. Ormai direi che mi conosce in maniera spaventosa. Per questo non è un problema per lui che io sia duro a volte. Sa che devo mantenere un polso fermo di fronte ai sottoposti del concilio se non voglio esser considerato fragile... o troppo vecchio. Il concilio non è ancora abbastanza saldo da potersi permettere elezioni per nuovi capi... ma tornando a noi!»
Anghel era frastornata da quei cambiamenti d’umore. Un istante prima autoritario, poi dolce e poi triste e malinconico... forse era veramente troppo vecchio.
«Capisci che Alam può costituire un pericolo immenso per noi. Non per te, certo. Ma per noi sì. È bene che sia sempre sotto sorveglianza e te con lui! Non credo affatto che tu sia una minaccia per noi. La tua famiglia non è sicuramente discendente di casate maggiori e non sapeva nulla dell’esistenza di vampiri, come tu hai detto poco prima.»
«Non credo che rinchiuderci sia la soluzione.»
«Certo. Posso comprendere il tuo punto di vista. Ma fino a quando non troviamo i responsabili di quel che è accaduto alla tua famiglia e a te, credo sia la soluzione ideale per la sicurezza di tutti!»
Anghel si alzò a sua volta, camminando lentamente per la stanza, cercando di decifrare i titoli dei grandi manoscritti, alcuni in latino, altri in greco, altri in francese, altri ancora in caratteri che non riusciva a riconoscere. Pensava velocemente.
«Questa non è la sede dell’ultimo effettivo concilio, quello crollato nel 1789, vero?» disse, senza guardarlo in faccia.
«No. La sede antica non si trovava a Parigi. Noi, per quanto in periferia, siamo ancora all’interno del comune, la sede del 1789 era situata sempre qui, nell’Ile de France. Si trovava in una casa di campagna, un’ampia tenuta a pochi chilometri da Pontoise, a Nord di Parigi. Venne distrutta, in quell’anno, e ora di essa non restano che le rovine. Appare come una cascina disabitata, da quel che so nei paesi d’intorno girano molti racconti di fantasmi, storie per tener lontani i bambini. È pericolante, instabile. Restaurarla sarebbe stato uno spreco di soldi inutile. Non penso che tornarvi potesse essere una soluzione intelligente: essa rappresenta il fallimento del concilio. Noi dobbiamo creare qualcosa di nuovo!»
Una fenicie... poteva essere una scelta, invece.” pensò Anghel, ma prima di girarsi a guardarlo, cercò di stamparsi un sorriso gentile sul volto.
«Devo prima discuterne con Alam. Già l’ho condotto qui senza nemmeno consultarlo. Io e Alam siamo in due... non son da sola. Ho sbagliato a lasciarmi portare qui senza domandare la sua opinione, se permettete ora vorrei andare a parlargli.»
«Certamente. Lo troverete al piano superiore. Fuori dovrete prendere il corridoio a destra e salire le scale che vi troverete sul fondo. La stanza sarà la prima del piano, alla vostra sinistra. Mi vorrete scusare, se non v’accompagno, ma al momento ho alcune faccende da sbrigare che richiedono la mia attenzione. Mademoiselle...»
Anghel fu più che lieta di uscire dallo studio e allontanarsi. Qualcosa non la convinceva in quel posto, a iniziare proprio dal vecchio Lacroix.
«Allora... è riuscito a convincerti almeno lui che è più sensato rimaner con noi?»
«Bruno! Mi hai spaventata!» la giovane si girò di scatto.
Bruno era appoggiato ad una colonna levigata vicino a un’enorme vetrata nera. Sembrava sparire in mezzo ai disegni che coloravano il corridoio. Gli era passato accanto senza nemmeno accorgersi della sua presenza.
«Dove stai andando così di fretta? Non hai esattamente l’aspetto di una rassegnata che si dirige a riposare.»
«Sto andando da Alam. Ho bisogno di parlargli.»
«Da Alam?!» Anghel rimase immobile e si voltò a guardare il giovane.
Eppure sì, era proprio Bruno senza alcun dubbio! E allora perché? Perché improvvisamente si sentiva minacciata più dalla presenza di quell’uomo che dal vampiro millenario che le aveva ringhiato contro meno di un’ora prima?
«Sempre da Alam... cosa ti fa quel mostro per meritarsi tutta la tua dannata attenzione? Ti fai succhiare il sangue da lui e questo ti eccita immensamente?» la voce di Bruno era bassa, un sibilo cupo.
«Bruno, non capisco dove tu voglia andare a parare ma non mi piace per niente il tuo tono! Quindi è meglio che me ne vada!» cercò di dare alla propria voce la nota decisa e sicura che era riuscita a creare poco prima nello studio di Lacroix.
Inutilmente.
Bruno esplose in una risata che le fece venire i brividi.
«Sono anni che non faccio altro che lavorare per e con i vampiri! Mi hai chiesto come sono morti i miei genitori? Sì, sono stati uccisi da vampiri! Vuoi sapere come, non è vero?» mentre ringhiava queste parole la spinse lentamente contro la parete, incastrandola tra una piccola colonna e una statua raffigurante il giovane Bacco.
«Non lo voglio sapere! Voglio andare da Alam e basta!» balbettò.
Le parole sbagliata. Bruno sbatté una mano contro il muro, accanto alla sua testa. Era forte. Non si aspettava che potesse essere tanto forte. Dov’era il ragazzo gentile e timido che le aveva fatto compagnia a Venezia durante il giorno?
«Sì che lo vuoi sapere! Avevo dieci anni ed ero in vacanza a Venezia, da mio zio. I miei genitori dovevano raggiungerci in fretta di prima mattina, un viaggio notturno dalle Marche. Un incidente d’auto è stato detto... ma nei loro corpi non era rimasta quasi una goccia di sangue! Mi hai chiesto se odio i vampiri, secondo te quale potrebbe essere la risposta?» sibilava, Anghel poteva vedere la tensione che gli faceva esplodere i muscoli del collo, la mano accanto alla sua spalla era bianca talmente forte il giovane la stava stringendo.
«Ma... ma non tutti...»
«Cosa? Non tutti cosa? Apri gli occhi, persino il tuo adorato Alam ha ucciso molte persone, infinite! Sono solo bestie che pensano unicamente a nutrirsi! E noi non siamo che il loro gregge! È stupido pensare di avere un qualche controllo su di loro! Andrebbero rinchiusi tutti... e uccisi!»
Anghel non sapeva più cosa dire, aveva paura. Il corpo di Bruno era troppo vicino al suo, le bloccava la vista del corridoio. La colonna, fredda sulla sua spalla, era troppo solida. Avrebbe voluto Alam accanto a sé.
Lo sentì sbuffare, come una risata amara che non era riuscito a trattenere:
«Sei veramente una stupida, Anghel Weeder. Una vera stupida!» sibilò.
Mi mangerà...” pensò immediatamente lei, vedendo per un istante i denti di Bruno serrarsi e irrigidirsi. Invece il giovane, con uno scatto, si allontanò da lei, lasciandole lo spazio per andarsene e per respirare. Ad Anghel parve di trattenere il respiro da troppo tempo, così tanto che i polmoni le fecero quasi male al primo fiotto d’aria che vi entrò.
«Vai dal tuo mostro personale, Anghel, finché puoi.» concluse allontanandosi nella direzione opposta a quella che monsieur Lacroix le aveva indicato.
 
***
 
Non gli piaceva.
Non gli piaceva per nulla!
Guardò il boccale di vetro colmo di sangue che quel vampiro dai capelli rossi gli aveva dato poco prima di andarsene e sentì la salivazione aumentargli considerevolmente. Aveva fame, troppa, ma Anghel non era con lui! Chissà dove si trovava ora, sentiva chiaro allo stomaco qualcosa che gli torceva le interiora, e le braccia e le gambe come pervase da formiche che si divertivano a correre avanti e indietro. Doveva fare qualcosa, assolutamente! E doveva nutrirsi.
Guardò nuovamente il boccale. Rosso. Scuro. Odore di umano... rabbrividì, leccandosi le labbra secche e sentendo i canini appuntiti reclamare carne.
Di scatto si alzò dal letto su cui si era appena seduto e riprese a misurare a grandi falcate il perimetro della stanza, non riuscendo a fissare altro che il sangue immobile e ancora caldo che riposava sul tavolo. Ma di Anghel nessuna traccia.
Doveva bere ma non si fidava, non voleva mangiare quel che altri avevano preparato per lui, nel sangue poteva esserci qualsiasi cosa. Eppure aveva così tanta sete...
Prese il boccale e guardò attento il liquido che conteneva, muovendolo lentamente, osservando il cupo variare del rosso, quasi nero nell’oscurità della stanza. Lo guardò a lungo, striare le pareti di vetro del bicchiere, cercando una traccia, un segno per vedere se conteneva o meno sostanze aggiunte, sostanze inodore persino per lui...
Buon profumo, buono... il sapore...” pensò distratto, incantato da quelle sfumature vermiglie. Si portò il bordo del bicchiere alla bocca.
E poi la sentì.
Sentì il suo cuore, il cuore del suo tamer, battere furiosamente da qualche parte nella grande casa, lo sentì palpitare impazzito, incapace di resistere e desideroso di scappare. “Pericolo!” pensò. E bastò questo. In un solo fluido movimento, gettò il calice sulla parete opposta, fracassandolo, e scattò verso la porta, ben deciso a scardinarla o bruciarla se si fosse dimostrato necessario.
Ma non ce ne fu bisogno.
Appena la mano si chiuse sulla maniglia d’ottone, subito la porta venne aperta e il volto di Anghel si stagliò davanti al suo.
«Alam!» esclamò sorpresa.
Un ringhio basso, appena percettibile, gli uscì incontrollato dalla gola alla vista dei capelli scarmigliati di lei e del vano tentativo di mantenere un’espressione impassibile. Con forza la prese per un braccio e la trascinò in camera, chiudendosi la porta alle spalle. Sempre tenendola stretta, la gettò contro il muro, ignorando le proteste e le domande che a raffica uscivano dalla sua bocca. Non gli avrebbe detto la verità, se gliel’avesse chiesta. Il suo inutile tentativo di apparire calma gli bastava come prova. Ora doveva controllare che stesse bene!
Così prese a spogliarla.
«Alam, smettila! Che fai? Che ti prende?» gridò lei, cercando di difendersi, di staccarsi dalla sua presa.
Non voleva sentire ragione. Non ora! Fino a pochi istanti prima era successo qualcosa che l’aveva spaventata e ora stava tentando di tenerglielo nascosto! Non fu difficile levarle la maglia e i pantaloni.
«Alam, ti prego fermati!» la voce iniziò a incrinarsi, non più sicura e decisa come aveva tentato di rimanere fino a poco prima, ora era qualcosa di più simile a vetro infranto.
Ancora il cuore di lei si mise a battere, veloce, troppo rapido, come aveva battuto fino a qualche istante fa. Non importava. Non si fidava di quel posto, né di quegli umani. Le avevano fatto qualche cosa e lui l’avrebbe scoperto e avrebbe trovato il modo di trascinarla via da lì. Non dovevano rimanere in quella casa! Ben presto, anche l’intimo si trovò accasciato sul pavimento, gettato di lato con noncuranza. Ora Anghel stava piangendo, senza ritegno. Le lacrime le inondavano il viso, finendo anche sulle mani di Alam, che ora aveva preso a controllare ogni centimetro della pelle del suo tamer con lentezza. La frenesia e la rabbia che lo avevano colto vedendola sulla porta parvero sciogliersi lentamente, man mano che faceva scorrere le proprie dita sul corpo di lei, cercando anche il più piccolo segno di una puntura recente che non avrebbe dovuto esserci. Anche Anghel sembrò calmarsi un secondo. Il pianto divenne silenzioso, le braccia abbandonate lungo il corpo, un singhiozzo ogni tanto. Alam alzò la testa per cercare i suoi occhi e la vide immobile, il capo alzato verso il soffitto, ma non lo guardava: le palpebre abbassate, le ciglia brillavano delle lacrime che vi erano rimaste intrappolate, la bocca tremava quasi impercettibilmente, la pelle fremeva sotto le sue dita. Ma a parte questo non vi era nulla sul suo corpo, non era stata aggredita. Allora si sedette per terra, poggiando la schiena contro il letto, sospirando. E la guardò. Lei non si mosse per tutto il tempo in cui rimasero così, non disse nulla né fece il più piccolo movimento. Solo il suo addome si alzava e si abbassava lento, costante, e il suono del suo respiro, lieve, quasi impercettibile. Solo questo riempiva la stanza. Non vi era altro. Rimasero così, il vampiro immobile, accasciato a terra, che osservava impassibile la ragazza nuda contro la parete. Poi Alam si alzò, lentamente per non turbare la quiete della stanza, la stasi che si era creata dopo la sua precedente frenesia. Guardò di sfuggita l’angolo in cui aveva gettato il bicchiere, il sangue ormai seccato sul pavimento e contro la parete, i cocci di vetro ancora sparsi ovunque, l’odore era diminuito considerevolmente, ma ancora gli produceva un certo languore. Decise d’ignorarlo. Prese invece la coperta dal letto e, con delicatezza, l’avvolse attorno alle spalle di lei. Anghel sembrava una bambola di plastica nelle sue mani. Si lasciò coprire, sempre con gli occhi chiusi e il respiro regolare, come stesse dormendo, le lacrime avevano lasciato scie di sale sulle sue guance e non rimanevano che poche tracce del pianto. La condusse verso il letto e si sdraiò, tenendola in braccio, avvolgendola nella coperta di lana e con le proprie braccia. Il suo tamer. La sua Anghel...
«Non finger più, con me.» sussurrò ad un certo punto.
Solo allora lei aprì gli occhi e si mosse, alzando piano la testa, i capelli ancora scompigliati che le vorticavano attorno alla fronte, strani disegni come arazzi scuri sulla pelle bianca.
«Va bene... non cercherò di nasconderti più nulla...» sussurrò lei, scostando lievemente il capo per mettersi più comoda.
«Cos’è successo?» chiese allora, dal momento che nessuno l’aveva ferita in alcun modo ma che, senz’ombra di dubbio, si era spaventata immensamente.
«Bruno...» sussurrò lei, senza aggiungere altro.
Non era necessario. I muscoli di Alam iniziarono a vibrare, avrebbe staccato la testa a quell’umano, voleva vedere il suo sangue imbrattargli le mani e il corpo e osservarne i riflessi alla luce, voleva saperne il sapore e inebriarsi della sensazione di essersi nutrito di lui. Ricordava lo sguardo che gli aveva lanciato la notte precedente, nel villaggio francese in cui si erano fermati, ricordava perfettamente l’odio che quel misero uomo provava per lui. E si chiese quanto fosse compiaciuto di averlo condotto lì, utilizzando Anghel e approfittandosi del suo momento di debolezza... ringhiò al pensiero di quel volto che sorrideva.
«Alam, non mi ha fatto male...»
«Lo so.» ringhiò lui in risposta.
«Alam... possiamo rimanere nella stessa stanza, secondo te? Tu dormi di giorno, io di notte... non ci lasceranno uscire, ci nutriranno loro...» balbettò lei, nascondendo sempre più il volto nella sua spalla.
La sentì tremare, come se quel che stava per dire le costasse un’immensa fatica.
«Alam, dobbiamo rimanere qui...» disse ancora, dopo un attimo.
Alam s’irrigidì. Se l’aspettava, certo, ma non gli piaceva. Non si fidava del vecchio dal sangue rinsecchito, non del vampiro con i capelli rossi che l’aveva scortato fino a quella camera, tenendosi sempre pronto a saltargli addosso. Non si fidava del giovane umano che voleva sembrare aggressivo nei suoi confronti, né di Jahèl, che lo guardava in modo indecifrabile e che lo aveva braccato per molti anni.
«Per quanto dobbiamo star qui!» ringhiò, stringendola di più.
«Per il tempo necessario, Alam... per il tempo necessario...»
E lui capì quel che lei stava cercando di dirgli.
«Sia...»

 

  
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