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Autore: _Rowen_    12/02/2012    2 recensioni
Onde.
Voleva portarla al mare, sulle scogliere greche, nel sole mediterraneo con l'odore dei pini che si scioglieva nell'aria come miele, ricorpirla di regali, fotografie e ricordi che avrebbe collezionato in eterno. Le avrebbe mostrato il mondo con gli occhi di chi l'ha visto crollare e poi rialzarsi migliaia di volte. Digrignò i denti, non si sarebbe mai aspettato uno schiaffo in pieno viso da un angelo.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Elena Gilbert, Elijah, Klaus
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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La carta da parati era ruvida, scura, un color borgogna che risaltava l'oro della cornice del quadro.

Vi era dipinto un lago dai contorni sfocati che si perdevano tra i rami di un sottobosco autunnale. Un cespuglio di more sradicato, capovolto nell'acqua, aggrappato al drappo che avvolgeva la figura di una ragazza, ritratta di spalle. Il corpo era immerso nel'acqua fino ai fianchi, un accenno di pelle candida sotto il tessuto quasi trasparente che galleggiava sull'acqua chiara. Macchie di colore più nitido, linee più definite che esaltavano la curva di una clavicola perfetta, l'incavo del collo bianco e del mento sfuggente, nascosto dietro una ciocca di capelli corvini. Caroline si allontanò di un passo per cogliere l'opera nella sua interezza. I dettagli, sottili e precisi, avevano qualcosa di familiare.

 

And time goes quicker
between the two of us.
Oh, my love, don’t forsake me
Take what the water gave me.

 

La mani, le cui dita affusolate sfioravano l'acqua increspandone appena la superficie, i capelli, i boccoli scuri che cadevano morbidi sulla schiena pallida, gli occhi chiusi, le labbra, increspate in un sorriso malizioso non erano altro che un ritratto perfetto della ragazza con cui era cresciuta, una copia identica di un'altra epoca, di un'altro mondo. Elena.

Caroline portò una mano alle labbra soffocando un sospiro sorpreso.

Klaus le allungò un bicchere di cognac sorridendole – Non riesco a gettarlo via -.

Caroline afferrò il bicchiere – Chi è? - domandò titubante – Katherine? -.

-No – rispose secco Klaus – è un fantasma -. La lasciò sola davanti al quadro e Caroline intuì che quella era una delle tante cose che non le avrebbe permesso di sapere.

Bevve un sorso. Una delle tante bugie che aleggiavano pesanti intorno a entrambi. Non avrebbe mai funzionato...allora cosa ci faceva lì? Perchè non se n'era andata? Klaus non aveva forse detto che quel bacio non aveva significato nulla?

Diede un'occhiata rapida all'orologio, le sette. Erano passate due ore, nelle quali aveva avuto tempo sufficiente per leggere tutti i titoli della biblioteca privata dei Mikaelson, scorrere i dischi in vinile ordinatamente riposti sullo scaffale, di fianco ad un vecchio giradischi, e giudicare i gusti cineamtografici del killer numero uno di Mystic Falls. Poi, visto che Klaus non intendeva cominciare alcuna conversazione, era passata ai quadri. Non era un'intenditrice, tuttavia quei dipinti possedevano una notevole influenza pre raffaelita. Le linee morbide, armoniose, i colori tenui, la luce...

Un corvo svolazzò scompostamente davanti alla finestra e sparì tra le fornde di un abete nero.

Caroline avvicinò il volto al quadro, cercando il nome dell'autore o, almeno, il titolo dell'opera.

Diede una rapida occhiata alle sue spalle senza trovare Klaus, quindi fece scorrere lo sguardo fino all'angolo in basso a destra e, sopra un cespuglio di mirtilli, in inchiostro marrone, confusa tra i rami punteggiati di bacche, una scritta: “Colpe – Tat...” ma le lettere si perdevano sotto la cornice.

-Caroline? -. Sobbalzò, la voce di Klaus proveniva dalla sala da pranzo, tesa, leggermente più acuta del solito.

Voltò le spalle al quadro e lo raggiunse, bloccandosi sulla soglia.

Le parole le morirono in gola, urlando invece che tra le sue labbra, nei suoi occhi e nell'espressione terrorizzata che le deformò il viso perfetto.

-Ciao Caroline, accomodati, gradisci un po' d'arrosto? -.

Klaus spostò lo sguardo teso da Caroline ad Elijah che, del tutto incurante, portò un bicchiere di vino alle labbra.

 

 

Bonnie giaceva scomposta tra le rocce umide della grotta, il cellulare lampeggiava poco distante dal suo corpo. Abby sanguinava non lontano, di fronte alla bara, accasciata sotto la parete contro la quale era stata scaraventata. Damon cercò di svegliare Bonnie, raccolse il suo telefono e rispose: era Stefan. - Abbiamo un problema Stef -.

 

 

Caroline sentì lo stomaco attorcigliarsi. Era stata una stupida ad entrare. Elijah.

Klaus le aveva mentito, di nuovo. Si vergognò di se stessa, per aver creduto anche solo per un momento che l'assassino avesse un'anima, che avesse abbandonato i suoi schemi perversi e l'omicidio per vivere qualche istante di serenità. Idiota, era un'idiota. Forse era stato quel bacio – pensò – ad averla intontita, scaraventata in una dimensione nebulosa, fluttuante, sospesa a metà tra la realtà e l'illusione di un mondo di ombre salvifiche, un buio invitante rigonfio di promesse.

Indietreggiò di qualche passo, lentamente, tra il terrore per Elijah e la delusione, la rabbia, per Klaus.

Lay me down
Let the only sound.
Be the overflow
Pockets full of stones.

 

Era chiaro, più limpido dell'acqua di sorgente. L'aveva usata come una pedina insignificante. Aveva giocato con lei, coi suoi dubbi e le tracce di umanità che, solide, rimanevano aggrappate alla sua anima. Aveva dormito appena, persino pianto, per una bugia velenosa.

Sentì la bocca riempirsi del sapore acido della vergogna. Si voltò. Ecco il perchè di quell'atteggiamento freddo, distaccato. La stava evitando in attesa di farle scoprire la verità. Era caduta in una trappola talmente comune... Ma certo, il cattivo affascinante che si prende gioco della sciocca ragazzina superficiale. Quale sarebbe stata la prossima mossa? Chiederle di schierarsi col team “Klaus l'assassino”? Ridicolo. Forse non aveva trovato le parole per dirle che un altro omicida sanguinario attendeva nella stanza accanto, pronto ad ucciderla? Rise amaramente. Patetico.

Tornò in sala, afferrò al volo la borsa e, dopo aver dato un'ultima occhiata al quadro appeso alla parete, spalancò la porta con forza e uscì, correndo attraverso il giardino. Non avrebbe indagato oltre, chi fosse la ragazza nel quadro non era affar suo. Sentì le lacrime salirle agli occhi e le ricacciò indietro, non doveva piangere, non di nuovo. Non doveva importarle più nulla.

-Mai più – sibilò a denti stretti. Le tornarono in mente di diamanti che le aveva regalato, un modo come un altro per comprarla, per portarla dalla loro parte. Disgustata solo al tocco di qualcosa che apparteneva a lui, afferrò le sbarre del cancello e si preparò a tirare.

-Mi dispiace – la voce alle sue spalle era poco più di un sussurro, tuttavia non perdeva l'imponenza e la forza severa acquisita in millenni di comando.

Caroline ribattè prontamente -No, non può essere, perchè significherebbe che provi sentimenti – respirò profondamente, il tono spezzato dalla rabbia – e i mostri non ne hanno -.

Klaus appoggò una mano calda sulla sua spalla, ignorando compleatamente le sua parole – Mi dispiace, davvero -.

Il dolore fu insopportabile. Caroline sentì la pelle incendiarsi al contatto della lama, la carne liquefarsi e i tessuti scioglersi, bruciando sotto la pressione della verbena.

Klaus spinse più a fondo il coltello, finchè il corpo della ragazza non si accasciò tra le sue braccia in un sonno doloroso.

La prese in braccio, scostandole i capelli dalla fronte sudata – Perdonami Caroline, ti prego -.

 

The world’s a beast of a burden
You’ve been holding on a long time
And all this longing
And the shields are left to rust.
That’s what the water gave us.

 

Elijah addentò una mela – Ottima cena, davvero -.

Klaus artigliò la tovaglia candida – Sei contento ora, ti sembro abbastanza fedele alla famiglia? -.

-Lei dov'è? -replicò Elijah sorridendo.

-Nelle segrete rispose con voce incrinata – Ma non è questo il punto fratello, ora che sai che puoi fidarti di me, che tutto quello che faccio è per noi, per riunire la nostra famiglia, mi aiuterai ad uccidere Stefan? -.

-Ma certo, fratello – sorrise – certo -.

 

 

La luce della luna si rifletteva sui contorni di una lapide, illuminando un angelo spettrale - le mani giunte in preghiera - di un pallore marmoreo, evanescente.

Giochi di luce e ombra donavano profondità al suo sguardo di pietra che si posava impietoso sulle due figure ferme davanti alla tomba.

-Che posticino allegro...-

-Abbiamo un accordo, Damon? -

-Voglio la tua parola che, al momento giusto, aprirai quelle bare e che non torcerai un capello a nessuno di noi, soprattutto ad Elena -.

Elena.

-Sì – dichiarò Elijah – hai la mia parola -.

 

 

 

Elena posò il telefono sul tavolo – Bonnie è ok, Abby ha solo qualche graffio ma lo spavento è stato enorme...- disse passandosi una mano tra i capelli.

-Già, menomale...ricordano qualcosa di quello che è saltato fuori dalla bara? - domandò Matt.

Elena sospirò – No, nulla, dice che è stato tutto troppo veloce... -. Matt afferrò la giacca e la piccola fetta di torta che volevano portare ad Alaric. La ragazza prese le chiavi di casa – Forse non dovremmo disturbarlo, io...io non me la sento Matt, l'ho praticamente ucciso, io...-.

-Tu gli hai salvato la vita, Elena, probabilmente non vede l'ora di ringraziarti -.

Con un debole sorriso, Elena si chiuse alle spalle la porta di casa.

 

Cause they took your loved ones
But returned them in exchange for you
But would you have it any other way?

You could have had it any other way.

 

Gli incubi la tormentarono per diversi giorni, conducendola negli anfratti più oscuri della città. Vetri rotti sull'asfalto da schivare a piedi nudi. Le strade si perdevano in un labirinto senza fine, un incubo disorientato. Svoltò di angolo in angolo fino a perdere la via nei vicoli bui e nei parcheggi desolati. La luce dei lampioni al neon scintillava sugli aghi delle siringhe disseminate al suolo come in un capo minato. Caroline non aveva paura, aveva fame, una fame impellente che le lacerava la gola. La solitudine, l'assenza di sangue, di cibo, le dava le vertigini, facendola barcollare lungo gli argini del fiume. Si rintanò vicino ad un piccolo molo, dove erano ormeggiate alcune barche di legno marcio per l'umidità. Era tutto così disperatamente desolato, silenzioso, vuoto, morto. Si sentiva l'unico essere al mondo: la consapevolezza l'assalì come una bestia affamata, dilaniando gli ultimi brandelli di speranza, e Caroline urlò, strepitò tirando calci al vuoto, prendendo a pugni il silenzio. L'eco delle sue urla la faceva sentire meno sola. Il dolore era insopportabile, bruciava nella testa, premendo come acido sulle tempie. Si gettò a terra, graffiando il suolo con dita consumate, sanguinanti, mentre la luce dei lampioni si faceva sempre più fioca.

-Non volevo accadesse, credimi, non ne avevo alcuna intenzione -. Parole luminose ripetute all'infinito, fino a confondersi con il gorgogliare incessante del fiume nero e limaccioso. Ricordi. Caroline ricordava quella voce, tuttavia non avrebbe saputo dire a chi appartenesse, morsa dagli spasmi della fame, il sangue era l'unico pensiero che le restituiva l'istinto lucido, brillante, del cacciatore.

 

In un altro mondo, fuori dall'incubo di verbena, qualcuno la cullava asciugandole la fronte febbricitante, nutrendola quel tanto che bastava a non ucciderla, piangendo lacrime bollenti. Aveva dovuto farlo, lei l'avrebbe ostacolato. No, non lei, l'amore che provava per lei gli avrebbe impedito di fare ciò che doveva.

Era il prezzo da pagare per poter finalmente riavere indietro la sua famiglia. Riconquistando la fiducia di Elijah aveva dalla sua un'arma in più per uccidere Stefan e riprendere ciò che gli apparteneva.

-Ancora poche ore, te lo prometto, solo poche ore...- sussurrò.

Lasciò Caroline sul giaciglio improvvisato e, chiudendosi la porta delle segrete alle spalle, avvertì un dolore appena sotto il cuore, una fitta chiara e acuta. Cacciò via quella debolezza: sarebbe stata solo l'ennesima colpa da farsi perdonare.

Elijah attendeva al piano di sopra -Allora, hai un piano? -.

-No – ringhiò Kalus – ma questa sera, in un modo o nell'altro, Stefan Salvatore morirà – concluse e, afferrate le chiavi della macchina, uscì di casa sbattendo la porta.

Elijah rise, povero sciocco fratello, non aveva idea di quel che sarebbe successo quella sera. Quando sentì il rumore del motore sparire nella foresta estrasse dalla tasca un piccolo coltello d'argento e incise il palmo della propria mano, in profondità, finchè il sangue non cominciò a sgorgare con un flusso regolare. Lo raccolse in un calice. Dopo qualche secondo, valutando che fosse abbastanza, tamponò la ferita che, rimarginandosi all'istante, riportò la pelle al solito candore compatto, senza l'ombra di alcuna cicatrice. Prese il calice pieno di sangue, asciugandone il bordo con la punta del dito e, facendo attenzione a non rovesciarne nemmeno una goccia, scese le scale verso le segrete.

Caroline era distesa su una branda, composta come una principessa addormentata, la coperta ordinatamnte distesa sul corpo, fino alla vita.

Elijah sollevò piano il suo capo, i capelli incollati alla fronte e l'espressione tirata.

Accostò il calice alla labbra della ragazza e sorrise: l'unica arma che poteva fermare suo fratello era abbandonata ra le sue braccia, in uno stato di fragile incoscienza. Una ragazza con il potere di fermare un mostro, di giocare con la sua debolezza: l'amore.

Il sangue cadde tra le labbra della ragazza, goccia dopo goccia, donandole di nuovo il colore rosato delle pesche, accendendo i suoi capelli di un biondo irreale.

Gli occhi di Caroline si spalancarono in un blu profondo come il cielo, deformato dallo sguardo ferino del primo sangue ricevuto dopo una settimana di sofferenza.

Dopo qualche sorso ebbe forza sufficiente per reggere il calice da sola e affogare nel nettare porporino dal sapore metallico. Elijah sorrise soddisfatto, se ne andò lasciando la porta della cella aperta, salì al piano di sopra. Prima di uscire di casa diede un'occhiata al quadro appeso nella sala sospirando – La storia si ripete, Tatia -. Chiuse la porta alle proprie spalle: Damon lo attendeva a casa Salvatore. La vendetta profumava di rose.

 

Cause she’s a cruel mistress
And the bargain must be made
But oh, my love, don’t forget me,
I let the water take me .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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