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Autore: Samurai Riku    12/02/2012    4 recensioni
Plic, plic. Non percepiva altro, solo quel gocciolio continuo, lento, incessante, quasi ipnotico. Non capiva se era causato dal sangue o dalle lacrime che gli rigavano le guance. Gli bruciavano così tanto gli occhi che nemmeno poteva dire se stava ancora piangendo o se ormai avesse esaurito le lacrime.
Era bagnato e appiccicoso, ma non se la sentiva proprio di spostarsi e andare a pulirsi; era pervaso dalla sensazione che nemmeno l’acqua corrente avrebbe lavato via tutto quel sangue, non se ne sarebbe mai liberato.
Mai.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake | Coppie: Minato/Kushina
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Plic, plic. Non percepiva altro, solo quel gocciolio continuo, lento, incessante, quasi ipnotico. Non capiva se era causato dal sangue o dalle lacrime che gli rigavano le guance. Gli bruciavano così tanto gli occhi che nemmeno poteva dire se stava ancora piangendo o se ormai avesse esaurito le lacrime.

Era bagnato e appiccicoso, ma non se la sentiva proprio di spostarsi e andare a pulirsi; era pervaso dalla sensazione che nemmeno l’acqua corrente avrebbe lavato via tutto quel sangue, non se ne sarebbe mai liberato.

Mai.

Una goccia, un’altra goccia, un’altra ancora, e ancora…

Tutto sembrava assorbito da quel rumore, la stanza era immersa nel silenzio assoluto e nel buio della notte. Quel buio cupo e pesante che si sentiva calare addosso, come un mantello foderato di nero e sangue, talmente spesso da annullare la vista, da annullare i suoi, da annullare la sua persona.

Il battito del suo cuore, prima rapido e martellante, ora si confondeva con il silenzio, rassegnato e pigro. L’unico battuto che sentiva era il proprio. Tendeva l’orecchio, ma niente. Solo quell’ipnotico gocciolio. Il suo cuore era l’unico che pulsava sangue, che diffondeva la vita, quella vita che ora più che mai non capiva e faticava ad accettare.

I pensieri venivano scanditi dalle gocce che colavano dense sulla pozza che si era allargata. Chissà da quanto si trovava lì.

 

Perché?

Rispondimi. Perché?

Apri gli occhi e rispondimi. Spiegamelo, io non capisco.

Ti prego… dimmi qualcosa, ti prego.

Perché? Perché sono solo?

 

Qualcosa lo stava strappando da quell’oblio, allontanandolo dal buio. Un fascio di luce si diffuse alle sue spalle. La pupilla si strinse in quell’abbraccio luminoso, così fastidioso e irritante che trafiggeva il manto delle tenebre.

Si sentì afferrare per le braccia. Non oppose resistenza. Venne alzato a forza, si sentiva un peso morto.

I vestiti gli rimasero appiccicati addosso, inzuppati di sangue.

Una voce lo chiamava, qualcuno lo scuoteva prendendogli il viso tra le mani, ma lui non vedeva niente, non udiva niente.

Si sentiva stretto a qualcuno. Un braccio attorno alla vita, una mano dietro la nuca. Braccia e gambe a penzoloni, deboli, inermi.

Negli occhi v’era impressa l’immagine buia e nitida del corpo sventrato del padre.

 

 

Quel silenzio non gli piaceva, aveva un brutto presentimento.

L’intera casa era immobile, come se il tempo si fosse fermato. Pareva che niente avrebbe potuto infrangere quella dimensione.

Il buio la faceva da padrone, ma la luna quasi piena rischiarava lo spazio nel corridoio e nelle camere aperte, attraverso le porte di carta di riso.

Era preoccupato per Kakashi, non gli piaceva lasciarlo solo in quella casa. È così che si sentiva alla fine, solo. Il padre era preda dei suoi fantasmi e ormai si era ridotto all’ombra di se stesso. Il figlio cercava di farsi forza, ma era solo un bambino, così piccolo.

Voleva vedere come stava, voleva solo accertarsi che stesse dormendo tranquillo, al riparo da quei fantasmi.

Andò alla camera del piccolo, ma era vuota, il futon scomposto. Allora si diresse alla stanza di Sakumo. La porta era chiusa, come sempre, però non poteva pensare ad altro luogo in cui l’allievo avrebbe potuto rifugiarsi.

Fece scorrere la porta, lasciando che un fascio di luce lunare invadesse il locale. Non avrebbe mai potuto immaginare ciò che si aprì ai suoi occhi.

Sakumo stava steso sul pavimento di tatami, riverso su un fianco.

Kakashi era inginocchiato accanto a lui, abbracciato.

E poi sangue… solo sangue.  Nessuno dei due si muoveva.

Il panico lo assalì, stritolandogli il cuore e raschiandogli la gola. Si precipitò nella stanza prendendo il piccolo -Kakashi!! Oh dio, Kakashi!!- lo sollevò da sotto le braccia, allontanandolo e facendolo sedere sulle proprie gambe. Continuava a chiamarlo, ma non otteneva risposta.  Era ricoperto di sangue.

Scostò i capelli scomposti dalla fronte prendendogli il viso tra le mani.

Incrociò il suo sguardo.

Vuoto.

Non riusciva a leggervi nulla dentro.

Appurato che fosse ancora vivo e che non aveva alcuna ferita che giustificasse solo metà di tutto quel sangue, spostò l’attenzione sul padre. Poco distante dal suo corpo brillava flebile una lama.

Strinse a sé il bambino e si alzò, tenendogli la testa contro la sua spalla.

-Sakumo…-

Chiuse gli occhi, rassegnato. Un velo di lacrime rivestì le iridi azzurre.

Uscì dalla camera portando via Kakashi, allontanandolo da quell’inferno.

 

 

 

Minato stava seduto vicino alla finestra della camera, con il braccio appoggiato al bracciolo si sorreggeva la testa. Ormai si era fatta mattina e la calda luce del sole inondava la stanza d’ospedale attraverso le delicate tende chiare.

Eppure gli sembrava che quella luce non fosse mai abbastanza calda.

Aveva appoggiato il portarmi sul comodino a lato del letto, accanto ad un bicchiere d’acqua, pronto per quando Kakashi si fosse svegliato.

Adesso dormiva tranquillo, o almeno così sembrava. Per quanto tempo passasse con lui, per quanto lo conoscesse, Minato non era mai certo di sapere come stava, cosa provava, come si sentiva… quel bambino era una maschera delle emozioni. Da tempo si era chiuso in se stesso, ma con lui era sempre stato diverso… a lui diceva cose che a nessun altro avrebbe mai rivelato, anche piccole banalità, ma a Minato le diceva.  Malgrado ciò non gli sembrava mai di fare abbastanza.

Dopo quella sera non aveva idea di cosa sarebbe successo, se Kakashi avrebbe ancora comunicato apertamente con lui. Continuava a ripeterselo, nella mente c’era spazio per un solo pensiero.

 

Non isolarti del tutto, per favore… non chiudere fuori anche me.

 

Si alzò, andandosi a sedere sul bordo del letto, sistemando le coperte che i ripetuti movimenti del bambino avevano arruffato.

Appena arrivato in ospedale, alla vista del sangue sui vestiti del piccolo, mezza dozzina di infermiere e dottori lo accerchiarono. Affidò a loro Kakashi,  esausto, già preda del mondo di Morfeo, e spiegò la situazione a un medico, in modo che si potesse fare qualcosa anche per Sakumo. 

Una degna sepoltura era l’unica cosa da fare.

Ora gli restava solo da pensare a come affrontare questa storia con Kakashi.

Kakashi si alzò di colpo, con un grido soffocato, gli occhi sbarrati, il respiro affannato.  Focalizzò subito la persona davanti a sé, riprendendo il normale respiro -… Maestro…-

Sorrise per dargli conforto -Ti sei svegliato presto… sicuro di non avere più sonno?-

-Sì… sì.- annuì mesto. Non avrebbe dormito per un bel po’, se lo sentiva… non circondato da tutti quei rumori spaventosi. Si guardò attorno, scrutando la stanza -Dove sono?-

-In ospedale. Ho preferito portarti qui per sicurezza…-

Annuì di nuovo. Scostò la coperta guardandosi le mani. Niente più sangue, né su di lui, né sui vestiti.

Il non vederlo non significava non sentirlo.

Minato gli posò una mano sulla spalla, facendogli alzare la testa di scatto -Ascolta, Kakashi…- non sapeva nemmeno lui cosa dire, cosa poteva farlo sentire anche solo un po’ meglio? -… vedrai che… -

-Dov’è papà?-

Quest’interruzione non lo aiutava di certo.

-Intendo fisicamente. Se ha portato me qui, avrà senz’altro spiegato a qualcuno come stanno le cose.-

Annuì, non riuscì a fare altro. La freddezza logica che dimostrava Kakashi in un simile momento lo spiazzava. Di certo non era un buon segno, non per lui.

-Credo… l’abbiano portato via. Dovrei chiedere…-

-Va bene.-

 

Va bene…?! Non va bene, non va affatto bene.

 

-Come ti senti, Kakashi?-

-Non ho ferite, sto bene.- rispose continuando a guardarlo.

Involontariamente Minato serrò la stretta sulla spalla del ragazzino -No… no, Kakashi… parlo sul serio, dimmi come ti senti.-

Per quanto male potesse fare preferiva chiederglielo ogni giorno piuttosto che vederlo preda dell’indifferenza apatica che avanzava nel suo animo.

Kakashi non rispose. Restò a guardare il suo maestro ancora per un attimo, poi spostò lo sguardo, mantenendo il silenzio.  Non voleva rispondere a quella domanda, non doveva… già da tempo si era ripromesso di non lasciare spazio alle emozioni, di non finirne vittima, com’era successo a suo padre, ed ecco… ecco com’era finito…

 A quel pensiero un tremito incontrollato gli scosse il corpo, facendolo stringere nelle spalle.

 

I ninja non mostrano emozioni, sono inutili… sono dannose.

Sono un ninja, uno shinobi… e gli shinobi non piangono.

 

Un sospiro dischiuse le labbra di Minato -Guardami, per favore.-

Kakashi alzò debolmente lo sguardo.

-Pensaci…  voglio che ci pensi su. Poi me lo dici.-

-… è così importante?- chiese con un filo di voce.

-Sì, Kakashi. È molto importante.- gli porse il bicchiere d’acqua e si alzò -Lo capisci, vero?-

Annuì mesto.

-Torno tra un attimo, tranquillo.- gli accarezzò la testa rivolgendogli un sorriso, poi uscì dalla stanza richiudendo la porta.

-…… importante.-  bevve un sorso d’acqua, giusto per bagnarsi la gola, poi posò il bicchiere sul comodino.  Minato aveva lasciato lì il portarmi.

Come si sentiva… c’era poco a cui pensare. Avvilito, arreso, triste, arrabbiato, disperato, abbandonato. In una parola, solo.

Si guardò ancora le mani e vi rivedeva il liquido scuro che vi scorreva sopra, il peso del corpo inerme di suo padre che non reagiva agli scossoni. Appena la vista cominciava ad annebbiarsi chiuse forte le palpebre, stringendosi le ginocchia al petto e nascondendovi il volto. Rimase in quella posizione per un po’, cercando di riacquistare il controllo di sé, di far cessare i brividi e ricacciare dentro le lacrime.

-Papà…- il maestro lo aveva portato via di casa, lo aveva portato via da suo padre… strinse la stoffa dei pantaloni.

No. Il suo papà se ne era già andato da parecchio.

Questo rendeva un po’ più facile accettare tutto…  lo aveva già abbandonato da tempo.

Voltò la testa, quel tanto che bastava per guardare al di sopra del braccio. Quasi senza rendersene conto allungò la mano afferrando il portarmi di Minato e ne riversò il contenuto sul letto.

Impugnò un kunai, osservando come rapito il riflesso di luce sulla sottile lama nera.

 

Perché lo hai fatto? Lo sapevi… sapevi che sarei rimasto solo. Soffrivi troppo per continuare a vivere? Però adesso sono io che soffro di più. Soffro davvero tanto, papà. Come faccio? Se non ce l’hai fatta tu, io cosa faccio? Potevi restare ancora per un po’… io ti volevo bene.

E tu?

È anche per questo che ti sei tagliato il ventre, non mi volevi più bene? Ho sbagliato qualcosa, papà?

Il ventre… ti sei tagliato il ventre… deve aver fatto davvero male… ma dopo di quello non hai sentito più niente.

Nessun dolore.

Nessuna pena.

Niente.

 Nemmeno la mia voce.

 

Rigirò il kunai, tenendolo con entrambe le mani. La lama rivolta verso di sé. Tremava, tremava e non riusciva a fermarsi, eppure non riusciva nemmeno a distogliere lo sguardo dal pugnale. Il freddo metallo puntato dritto all’addome.

Minato rientrò in quell’attimo e vedendo il bambino in quella posa di morte si sentì  perduto. Se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.

-Kakashi!!- si gettò da lui strappandogli di mano il pugnale, gettandolo lontano. Lo abbracciò forte -Non fare mai più una cosa simile… non farlo più, ti prego!- cercava di rassicurare l’allievo tra le sue braccia, ma la voce spezzata tradiva l’agitazione e la paura che lo scuotevano dentro.

Kakashi restò immobile per un attimo, senza reagire alle preghiere del maestro. Non lo aveva mai visto così in ansia e preoccupato.

-… non… non lo avrei fatto… non avrei fatto niente.- disse con un filo di voce. Minato lo strinse forte a sé e di getto Kakashi lo abbracciò, aggrappandosi alle sue vesti -Mi dispiace… mi dispiace, mi dispiace!!-

-Tranquillo, non hai niente di cui dispiacerti. Mi sono solo spaventato… promettimi che non farai mai niente di simile, Kakashi. Ti prego, promettimelo.-

Annuì, nascondendo il volto contro il suo petto -Sì, prometto. Lo prometto.-

 -Devi essere forte, capito? Il tuo papà… lui ha fatto uno sbaglio, ma non odiarlo. Ti voleva bene, davvero.-

-… allora perché…?-

-Non lo so, io… questo non lo so. Come ti ho detto, devi essere forte, Kakashi. Non sei solo ad affrontare tutto questo.- disse, accarezzandogli la testa.

-Non sono solo…?-

Minato scosse leggermente il capo -Io ti sarò sempre vicino, puoi giurarci. Non ti lascio da solo, ma tu non devi tagliarmi fuori. Mi prometti anche questo?-

Kakashi stette un attimo in silenzio -… sì. Glielo prometto.-

-Grazie.- sospirò un po’ più sollevato.

Kakashi scostò il volto,  poggiando il lato sinistro sul petto di Minato -Maestro…-

-Dimmi, cosa c’è?-

-Mi manca papà…-

Non v’erano parole di conforto per una simile sofferenza; Minato si limitò a stare in silenzio continuando a tenere Kakashi stretto nel suo abbraccio.

Probabilmente ciò che era davvero importante è che lui sapesse di non essere solo e abbandonato a se stesso.

  
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