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Autore: unbound    12/02/2012    2 recensioni
Seconda parte della storia di Kay York, alunna della Vengeance University, e delle sue amiche, Giuls, Alisee, Beatrix e Lisa.
(siete pregati di leggere la prima parte, se no non ci capite una mazza)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La spiaggia era uno spettacolo senza precedenti. 
Il cielo era spoglio, svestito delle sue usuali nuvole minacciose da fine Dicembre, piene di pioggia; nonostante questo suo aspetto disarmante, lasciava intravedere le migliori stelle, brillanti più di qualsiasi diamante.  La mia ossessione per le stelle mi avrebbe accompagnato per tutta la vita, ne ero certa, ma era scientificamente impossibile rimanere indifferenti davanti tale meraviglia.
Eravamo arrivati da poco, erano più o meno le nove della sera e avevamo comprato del cibo take-away al fast food delle vicinanze, stranamente poco affollato. Avremmo consumato la nostra cena lì, in spiaggia, sicuramente il posto migliore per qualcosa di speciale, altro che ristoranti e roba varia. Sì, quel giorno era stato speciale, indimenticabile, indipendentemente dai brutti pensieri che affollavano la mia mente negli ultimi tempi e che premevano sulle mie povere tempie come una tortura senza fine. Era difficile ignorarli, quasi impossibile; facevano in modo di venirti incontro nei momenti meno opportuni, superando prepotentemente ogni tuo pensiero.
Ma, stranamente, quel giorno sembrò incredibilmente facile non permettergli tutto ciò; avevo riso, pianto dalla gioia, passeggiato sulle strade di una delle mie città preferite con le mie persone preferite, visto chitarre mozzafiato e assistito ad un piccolo concerto privato nel negozio musicale migliore che avevo mai visto.
In quel pomeriggio, Brian non aveva fatto altro che suonare le mie canzoni preferite, facendo in modo di mandarmi di tanto in tanto sguardi e sorrisi maliziosi e ammiccanti. Sinonimo indiscusso di perfezione.
Era come se fosse completo con una chitarra tra le mani, come se non aspettasse altro che quello, come se fosse nato già esperto riguardo a quello strumento. Togliendo il fatto che era un mio amico, o più, era ancora il mio chitarrista preferito e non avrei mai smesso di emozionarmi davanti a momenti del genere.
Tra l’altro aveva anche suonato una delle mie canzoni d’amore preferite dei Sevenfold, ovvero Dear God, e fu in quel momento che piansi di gioia come una stupida bambina di fronte ad un magnifico regalo di natale. Più mi ripetevo di non essere piagnucolona, più lo ero; quel ragazzo aveva cambiato la maggior parte di me in meglio, e da questo che si nota l’importanza che, non so se per fortuna o purtroppo, gli attribuivo nella mia vita.
Mentre le sue fan canticchiavano il ritornello, al “we all need the person who can be true to you” aveva alzato lo sguardo, incrociato il mio, sorriso e fatto uno di quegli occhiolini che ti bloccano il cuore e che sfidano la tua salute mentale.
Gli piaceva vedermi in difficoltà, era scientificamente provato.

Ci sedemmo sulla sabbia a gambe incrociate, a cerchio, più vicini possibile per scaldarci più in fretta.
I ragazzi decisero di cercare della legna da destinare al fuoco e lasciarono tutte le ragazze, me compresa, intorno a quello che sarebbe stato un falò spettacolare.
“Divertita oggi?” chiese Beatrix interrompendo il silenzio e stiracchiandosi le braccia con fare soddisfatto. Le sorrisi, ed annuii energicamente.
Sospirammo quasi tutti in sincronia, come se non avessimo argomenti di cui parlare. Fortunatamente, la più logorroica ne trovò uno.
“Johnny mi ha chiesto di chiedervi se volete partire domani, o dopodomani..”disse Giuls, sbirciando nel sacchetto contenente la nostra cena, come se fosse in astinenza. Affamata, ma non era una novità.
Perché non rimanere qui anche per Natale?” chiese Alisee studiandoci ad una ad una e cercando l’entusiasmo di cui il suo viso era illuminato in noi.
Buona idea cazzo! Sarebbe fantastico!” affermò la piccola ragazzina accovacciata accanto a lei, Lisa, stringendo le mani in preda alla contentezza.
Avrei sicuramente passato un Natale migliore se fossi rimasta a Los Angeles con loro, migliore di quello che avrei dovuto affrontare tornando a scuola, con gente snervante alle calcagna.
Te che dici festeggiata?” La rossa mi tirò una pietra minuscola color carbone, io, di risposta, la guardai male.
“Okay.” Dissi infine, stringendomi tra le spalle. Iniziarono ad immaginare il loro Natale lì ed io, divertita, non feci altro che sorridere e tacere di fronte ai loro piccoli cortometraggi mentali.
Che bello, possiamo scopare senza problemi qui.” Gridò Allie prima che i ragazzi si avvicinassero del tutto, ancora più entusiasta di prima. Le diedi uno schiaffetto sulla spalla.
“Che c’è?!”
Tutte risero, ed io mi limitai a fare lo stesso, sebbene il mio sorriso fosse debole a causa della stanchezza.
Dopo un attimo alzai lo sguardo verso il cielo, fissando meravigliata gli astri, e, come sempre, rimanendone rapita; mi ci persi per una decina di minuti, nonostante le mie amiche cercassero di catturare la mia attenzione in tutti i modi possibili. Tutte, a parte Giuls, che mi conosceva abbastanza da essere a conoscenza della mia fissazione e a non interrompere il mio stato di estasi.
Gli unici che riuscirono a distogliermi da quella “meditazione” furono dei passi pesanti che si avvicinavano a noi, seguiti da parolacce ed imprecazioni.
“Cazzo, porca troia, porca puttana, fanculo, merda” ovviamente, chi poteva mai essere?
“Sono spiazzato dal tuo linguaggio forbito.”
“Minchia, stai zitto Sanders, sti tronchi pesano almeno una tonnellata.”
“Gates, sei una femminuccia.”
“Fanculo, Vengeance.” 

Sorrisi, scrollai lo sguardo dal cielo e lo piazzai su di loro, divertita. Non appena lasciarono cadere la legna dalle loro braccia, Jimmy, Johnny e Zacky si gettarono di peso sulla sabbia, stremati, mentre Brian e Matt, al contrario, iniziarono a cercare fonti di calore che potessero sprigionare le scintille necessarie ad accendere il fuoco.
“Legnetti, strofinati. L’ho visto in un documentario!” urlò l’uomo dagli occhi chiari, alzando il dito come se avesse avuto una delle migliori idee. Non fece neanche fiatare l’altro, che aveva cercato di ribattere aprendo la bocca, afferrò due piccoli pezzi di ramo dal grande cumulo davanti a noi ed iniziò a strofinarli con foga ed entusiasmo, che , però, andò sempre di più ad affievolirsi. Passarono minuti, passarono trecento espressioni di dolore e sconforto nel suo viso, ma non passò neanche l’ombra di una minima scintilla.
“Matt.” Sussurrò Brian. Il giovane, accucciato per terra, lo ignorò, concentrato su quello che teneva in mano.
“Matt.”
“Che cazzo vuoi Haner?!”
urlò, lanciando rabbioso i rametti sulla sabbia.
“Ho l’accendino.”
[...]
Se il suo sguardo avesse potuto, l’avrebbe ucciso sotto le peggiori torture.
“Potevi dirlo prima di farmi andar a fuoco le dita, minchione!” Jimmy ridacchiava sotto i baffi insieme a Zacky, mentre Johnny si nascose il viso tra le mani afflitto da tale scena.
“Ma..”
“Niente ma, dammelo
” il cantante gli porse la mano con sguardo severo. Syn, dopo un’occhiataccia, gli lanciò il piccolo affare che uscii poco prima dalla tasca, afferrando poi una Marlboro dal suo pacchetto.
Fortunatamente, Matt spense il suo spirito da avventuriero e si limitò a ricorrere alle soluzioni più semplici, perciò fece in modo che le fiamme cominciassero a bruciare la legna con l’aiuto dell’accendino.
Brian si appollaiò accanto a me, accendendo la sigaretta che aveva tra le dita e avvicinandomi al suo petto. Me ne offrì un tiro che non rifiutai, dopo di che mi strinse a sé dolcemente.
Sanders si sedette per un momento e poi balzò in piedi, per distribuire il cibo. Se Johnny era maniaco dell’ordine, lui era maniaco dell’essere sempre leader. Non era egocentrico, né ipocrita, ma amava ordinare da sé le cose, distribuire le azioni e comandare come un piccolo ambasciatore; avevo sempre percepito in lui un sentimento patriottico, come se volesse sempre essere il piccolo capetto, ma non era uno di quelli che vogliono per forza contrastare tutti e mettere i piedi su ogni testa, anzi. Era semplicemente.. Matt Shadows.
 
Addentai affamata il mio cheeseburger, mentre Haner mi offriva un po’ delle sue patatine fritte che, ovviamente, sbranai, da brava golosa quale ero; di risposta, diede un morso alla meraviglia culinaria che tenevo in mano, senza neanche chiedermelo. Lo guardai male, serrando gli occhi, e lui mi diede un bacio sulla guancia.
“Basta, per favore, troppe smancerie qui.”Disse Baker, lanciandoci addosso una decina di pietre minuscole. Il Gates sbuffò, fece uno scatto come per andargli addosso e, ovviamente, Zacky emise un urlo privo di virilità che ci costrinse a ridere di conseguenza.
Andava tutto bene, troppo bene; che fine aveva fatto il mio adorato –si fa per dire- Karma? Dov’erano le brutte azioni e la sfortuna che sempre mi avevano perseguitato, in 18 fottutissimi anni di vita?
“Regali!”urlò Sullivan, non appena digerì con un rutto sonoro il suo quarto sandwich.
Oh, no, il momento più imbarazzante. 
“Okay! Prima apri il nostro, il nostro!” Allie balzò in piedi, saltellando, come se fosse impaziente. Aggrottai le sopracciglia e accolsi tra le mie braccia il sacchetto che mi tirò, entusiasta come sempre, fissandomi e sorridendomi.
“Come ti avevo già detto, non avevamo avuto tempo di farti un regalo prima di oggi perché qualcuno “non poteva tradire la sua piccola xbox” ieri pomeriggio.” Donò un’altra occhiataccia al ragazzo alle sue spalle, che ,con fare impacciato fischiettò fissandosi attorno.
Dopo un ennesimo rimprovero, decisi di risparmiare il povero Sanders e aprire il pacco; da lì uscii 5-6 tshirt da mozzare il fiato di band decisamente meravigliose: Pantera, Guns N Roses, Iron Maiden, My Chemical Romance, Paramore e Megadeth.
Rimasi incantata alla loro vista, erano praticamente i miei gruppi musicali preferiti e quelle erano magliette davvero favolose.
“Oddio, grazie!”affermai, aprendole e perdendomici dentro con la faccia cogliona di sempre. Alisee saltellò verso di me e mi abbracciò da dietro con fare affettuoso; Sanders si limitò a sorridermi, mostrando le sue fossette favolose e la sua dentatura perfetta. Okay, uno è andato. Quanti ne mancano?
I regali mi avevano sempre imbarazzata, ero solita a riceverne orribili dalla mia famiglia, ma ero sempre costretta a ringraziare e a sorridere, fingendo entusiasmo.
Giuls fissò Syn come se volesse incitarlo a far qualcosa, ma lui scosse la testa e lei si lasciò andare ad una frase sussurrata, della quale capii soltanto la parola “Minchione.”
“Il nostro regalo” puntò Johnny, Sullivan e Bea contenta“ che non abbiamo potuto portare perché.. Emh.. E’ un tantino pesantuccio” si strinse tra le spalle e cancellò la contentezza di poco prima con uno sguardo dispiaciuto.
Però ho qualcosa qui con me, che dovrebbe farti tranquillizzare” sussurrò subito dopo, aprendo il palmo della mano verso Jimmy che le lanciò un mazzo di chiavi. Me le passò, con fare delicato.
Chiavi.
Chiavi?
“E queste chiavi sarebbero..?” chiesi, ancora più confusa di prima.
“Eh, le chiavi per far funzionare il nostro regalo.”
“E questo regalo che cos’è?”
“Mi ucciderai appena lo saprai”
aggiunse, abbassando gli occhi.
“Quanto cazzo avete speso?” 
“Parecchio.”

Odio che la gente spenda soldi per me, porca troia.
“Giuls..”
“Senti non ti lamentare, ormai l’abbiamo comprato e te lo tieni.” 
Avanti Kay, accetta adesso, poi magari ricambierai in seguito, con regali altrettanto costosi. C’è tempo, no?
“Cos’è?”
“Una roba bella!”La guardai male, ed impaziente.
“Non puoi resistere fino a casa di Johnny? Lo trovi lì.” Affermò Jimmy, prendendo un sorso di coca cola dal bicchiere di Beatrix.
“Dai, ditemi cos’è.”
“E’ bella, è ferraglia, ed è fantastica.”
“Avanti, troie.”

“E’ una sorpresa Kay.”Concluse il più piccino dei quattro, sorridendomi.
Okay. Stronzi.” Li guardai male ancora una volta e loro, di risposta, mi mostrarono i loro sorrisi più smaglianti con fare indifferente.
“Sotto a chi tocca.”Urlò Baker, sventolando una patatina al vento per poi sbranarla.
Brian mi staccò dolcemente dal suo petto e, con una corsa poco virile, si fiondò nella Limousine per prendere quello che evidentemente era il suo regalo.
Giuls mi fissava mordendosi le labbra, come se fosse felice per me.
“Che hai te?”
“Niente.”
 
Okay, odio le sorprese. 

Gates ritornò dopo una decina di minuti, con un ingombrante ed enorme pacco tra le mani; era lungo almeno il doppio delle sue braccia, però dava l’impressione di essere poco pesante.
Me lo posò sulle gambe e si sedette di fronte a me, aspettando impaziente che lo aprissi, stringendo le mani intrecciate tra loro.
Non fiatò, non disse praticamente nulla al contrario degli altri, che mi avevano dato le più irrilevanti spiegazioni; lo.. apprezzai? Sì parecchio.
Ero ancora.. Come dire, impacciata nei suoi confronti, nonostante tutto quello che avevamo passato. Anche se era una persona parecchio cara a me, che non so in concreto come definire, non avevo del tutto acquistato la confidenza che, per esempio, avevo con Jimmy o Giuls,con i quali mi ero esplicitamente lamentata per la spesa del regalo. 
Non mi pronunciai sul suo, e, lentamente, aprii il pacco che giaceva sulle mie cosce.
Una custodia, di stoffa.
Era nera, conteneva qualcosa di fragile; non appena la spogliai di tutta la carta di cui era circondata, notai che aveva una forma dannatamente familiare. 
Con la stessa lentezza di prima, aprii la cerniera di quella custodia per cercare conferma alle mie risposte, che trovai con immensa gioia.
Era una chitarra.
Ma non una chitarra qualunque, era quella chitarra.
La chitarra davanti alla quale avevo sbavato per un pomeriggio intero, quella dannatissima Schecter chiara del negozio di musica; non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, ancora una volta, come se fosse una calamita per il mio sguardo.
“Oh, Gates.”Sussurrai, sfiorando le corde con l’indice con estrema delicatezza.
“Ti piace?”chiese, sorridendomi. 
“Direi.. Grazie.”Mi sentivo in difficoltà. Era splendido, non riuscivo a crederci.
Sto sognando? Per favore datemi un pizzicotto.
Grazie di che? Grazie a te, per me non è niente.” Rispose lui, strisciando verso di me.
Dato che eravamo in vena di dolcezza, gli stampai un bacio sulle labbra, concludendolo con uno dei sorrisi più sinceri che riuscii a concepire.
Mi accarezzò la guancia e mi sorrise. Mi sentivo al tappeto. Hai vinto.


“Voi non state bene!”
Garage di Villa Seward spalancato, un telone dalle dimensioni abnormi per terra, una brillante ed accecante Harley Davidson viola, nuova di zecca, lucida come non mai. 
“Voi non state per niente bene!”
Nonostante fossero almeno le tre di notte, urlai dallo stupore e dalla gioia, non riuscendo a darmi freni.
“Ditemi che quella moto non è mia, ditemelo cazzo.” Ero entusiasta. Porca troia se era bella, era decisamente bella, era TROPPO bella per me. Avrei mai avuto il coraggio di guidarla? Dio, era favolosa.
“E’ tutta tua baby, facci un giro.”Sullivan mi diede uno schiaffetto sulla spalla.
“Non ho ancora preso la patente!”
“Ti accompagno io, allora”urlò lui di risposta, rubandomi le chiavi dalla mano. Purtroppo, non ebbe neanche il tempo di piazzarsi sul sellino.
“Hei hei hei hei, dove cazzo vai Jimmy?” Brian lo bloccò, prima che potessi salire anche io dietro di lui.
“Porto Kay a fare un giro, non si può?”
“No, non si può, scendi che ce la porto io a farsi un giro. Domattina, con il sole.”

Sembrava un papà protettivo, fui stranamente lusingata da quell’atteggiamento. Dopo una faccia da cucciolo e un’occhiataccia, Rev se ne andò, con fare offeso, sbattendo i piedi fino all’entrata che portava alla rampa di scale. Non appena scomparì dalla nostra vista, il chitarrista affascinante mi strinse a sé.
“Intanto, devo darti la seconda parte del mio regalo, dolcezza.”
Iniziò a baciarmi il collo e le spalle e, dopo avermi trascinato senza che me ne accorgessi al piano di sopra, riprese ciò che avevamo lasciato in asso il pomeriggio prima.
   
 
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