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Autore: kazuha89    14/02/2012    2 recensioni
perchè non mi hai dato retta? perchè mi hai allontanato? perchè hai voluto combattere da solo? perchè mi hai urlato: heiji, impara a farti gli affari tuoi! perchè, shinichi, dimmi perchè? perchè...quel colpo, che era indirizzato a me..l'hai preso tu?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Heiji Hattori | Coppie: Heiji Hattori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le ore passavano lentamente, come se il meccanismo del naturale scorrere del tempo si fosse inceppato. Come un ingranaggio poco oliato. Come una bicicletta in salita. Eravamo ancora tutti li, nessuno si era mosso. Anche coloro che erano sopraggiunti solo per dovere, come l’ispettore Megure e colleghi, steso il rapporto e constatati i fatti, erano voluti restare,  divorati anche loro dalla preoccupazione per quel bambino, che nella stanza accanto, lottava tra la vita e la morte sotto ai ferri dei dottori.
Io dal canto mio, avevo perso il conto delle domande che mi erano state fatte, e non ne ricordavo nessuna. Mi limitavo a ripetere come un disco rotto le stesse cose ad ogni domanda: non sapevo chi aveva sparato, non sapevo perché avevano fatto fuoco su di noi anche dopo aver visto che c’era un bambino, e non sapevo se effettivamente avessero notato questa cosa o meno. Sapevo per esperienza su pelle che quel tipo di risposta era la quinta essenza dell’esasperazione per un uomo di legge, ma io ero fermo sui miei passi. Avrei tenuto la maschera fino alla fine, l’avevo promesso.
Cinque ore, e ancora silenzio. La tensione si tagliava a fette. Eravamo tutti in uno strano stato di allerta catatonica: apparentemente assenti, ma vigili ad ogni suono o movimento.
Goro aveva consumato il pavimento a furia di misurare la sala d’aspetto avanti e indietro, da destra a sinistra, e ora stava appoggiato alla parete accanto alla sala operatoria mordendo stressato una sigaretta spenta. Sua moglie Eri sorseggiava un caffè preso da una macchinetta, fissando il vuoto. Sonoko tracciava cerchi sul pavimento con il dito, seduta accanto a Makoto, che stava in piedi davanti alla porta del bagno, le braccia conserte. Takagi fissava fuori dalla finestra le macchine giù in strada, mordendosi il labbro per il nervosismo. Sato  gli sedeva accanto, l’aria tesa, graffiandosi le ginocchia. L’ispettore Megure tamburellava le dita sul tavolinetto con fare impaziente, seduto nel suo angolo a rileggere il mio resoconto sull’accaduto.  Kazuha era distesa su tre sedie, con la testa in grembo a Ran e fissava il soffitto, mentre io il dottor Agasa  Ai e Ran tenevamo gli occhi piantati sulla lampadina rossa sopra la porta della sala operatoria. Spegniti, spegniti, maledizione...
E poi eccola. Spenta.
Come un sol uomo, tutti si voltarono a guardare la porta della sala operatoria.
“Heiji...” pigolò Ran venendo svelta da me.
Le presi la mano, e anche Kazuha mi si aggrappò al braccio. Cercavano sostegno da me, ma io in cuor mio tremavo più do loro. Senza sapere perché, guardai Goro. Mai come allora mi ero sentito tanto bambino. Lui parve capirlo. Mi scoccò un’occhiata tesa e mi si accostò, posandomi una mano sulla spalla. Notai che Sato aveva preso le mani a Takagi, e entrambi erano agitati. Megure gli si accostò, tesissimo. Il doc prese Ai in braccio, e lei gli si appoggiò alla spalla, il bel visino ansioso. Sonoko si accostò a Eri, e Makoto posò una mano sulle loro spalle.
“Su, vediamo di calmarci.” mormorò. “Vedrete che sta bene..”.
“Il ragazzo ha ragione. Come dico sempre io, quella peste ci seppellirà tutti, altroché!” disse Goro con aria serena, ma notai varie perle di sudore sulla sua fronte.
Finalmente, il dottore che mi aveva portato via Conan nella home dell’ospedale, uscì dalla sala, l’aria stanca e un asciugamano tra le mani. Appena ci vide, si bloccò. Dopo qualche secondo passato a guardarci uno per uno, disse:
“Mm ..immagino che nessuno di voi sia parente del bambino, vero?”
il tono era inespressivo.
Ran gli si avvicinò un poco, senza lasciarmi la mano.
“Ecco.. la sua mamma lavora all’estero,e  io...io sono la sua babysitter, lui.. sta con me, lui..è stato affidato a me,io.. mi dica, il bambino sta bene, vero?”
Fu come se avessero fatto saltare un idrante di acqua gelida e i presenti si fossero beccati il getto in pieno. Nessuno aveva avuto il coraggio di chiedere per paura della risposta, quando il dottore era uscito, ma tutti la volevano fare, quella domanda, senza però averne il coraggio. Ran però l’aveva fatta. E ora la risposta sarebbe arrivata.
Il dottore la osservò per altri tre - quattro secondi, probabilmente indeciso se violare la prassi di riservatezza del paziente con noi che non eravamo dei parenti. Poi però parve decidere, e sospirò.
“L’intervento è riuscito, se è questo che vuole sapere, signorina. Il piccolo aveva la pleure e il polmone sinistro leggermente lacerati, abbiamo dovuto intervenire chirurgicamente per suturare la ferita. Non ha riportato molti danni al polmone, dato che il proiettile era di piccolo calibro. Ha perforato pleure e polmone e si è fermato. Lo abbiamo estratto facilmente. Tuttavia il collasso polmonare dovuto alle ferite ha causato un arresto respiratorio temporaneo..”
“Arresto? Cioè vuol dire che il bambino non..non respira più?” mormorò Goro bianco come un lenzuolo.
“No, la respirazione autonoma non gli è più stata possibile circa dieci minuti dopo l’inizio dell’intervento. Il bambino non è più riuscito a respirare da solo, pertanto abbiamo dovuto ricorrere ad una ventilazione invasiva, ossia un respiratore artificiale sta fornendo ossigeno ai suoi polmoni. Non abbiamo dovuto ricorrere alla tracheotomia, fortunatamente è bastato l’ inserimento di una cannula nella laringe attraverso la bocca,fintanto che non riuscirà a riprendere la respirazione per conto suo. Comunque sarebbe comunque stato necessario un supporto respiratorio, dopo l’intervento, dato che la pleure è stata danneggiata, e che quindi la respirazione autonoma sarebbe stata un po’ difficoltosa per lui, soprattutto perché è piccolo..”
“Allora adesso sta bene. Appena riprenderà a respirare da solo, starà bene, vero?” chiese Eri, rincuorata.
Un alito di sollievo si sparse per la stanza. Tutti tirammo un bel respiro di sollievo: era salvo, grazie a dio era salvo...
“Vorrei poterlo dire..”
Stop. Tutti ci bloccammo sul posto come in un film quando si preme il pulsante “STOP”.
“Co..cosa?” balbettò Ran, il sorriso gelato in faccia.
“Che vuol dire con “vorrei poterlo dire”? Conan sta bene,vero?” chiese Goro, stralunato. Il momento di serenità sembrava appartenere a secoli prima. Il gelo era tornato rapido come un fulmine. Tutti di nuovo guardavamo il dottore. Lui so passò una mano sulla fronte, apparentemente soppesando le parole.
“Ecco... E’ vivo se è questo che volete sentirvi dire. Tuttavia..”.
Il doc si fece avanti, il nervoso dipinto in faccia, con Ai ancora in braccio.
“Tutta via? Tuttavia cosa? Ha intenzione di farci morire tutti di ansia? Insomma, che accidenti ha il bambino, eh? Sta o non sta bene?” sbraitò.
Il dottore lo guardò fisso. Sospirò.
“No, non sta bene. Io almeno la vedo in questa maniera, poi le opinioni variano, e anche il modo in cui la gente prende queste cose varia da individuo a individuo, perciò quello che penso io non è necessariamente il modo di interpretare la faccenda..”
“Ma che va cianciando, vuole dirci una buona volta come sta di preciso Conan? Prima dice che l’intervento è riuscito, però dice che non sta bene. Poi ci dice che è vivo, ma in quella maniera indecente, e ora se ne esce dicendo “per me non sta bene, ma le opinioni sono tante”. Io non sono un medico, nessuno qui è medico, quindi veda di essere chiaro, prima che perda la pazienza!”
“Goro..” mormorò sua moglie.
Si fece avanti, l’espressione dura.
“Io..io credo di aver capito che cos’ è successo al bambino” disse piano.
Il dottore la guardò, stupito.
“Bene, allora se lo ha capito, può comprendere le mie parole” le disse.
Lei annui.
“Io non l’accuso di nulla, ma vorrei sapere come è successo, se almeno si poteva o no evitare”.
Il dottore sospirò.
“La ferita era piccola, ma non per questo non ha fatto danno. Il polmone, in seguito alla perforazione della pleure, durante l’intervento è collassato, e per questo il piccolo, a un certo punto, ha smesso di respirare. Siamo intervenuti prontamente, come ho già detto, ma  l’emorragia e l’apnea momentanea  hanno portato ad una troppo prolungata assenza di ossigeno al cervello, e in seguito all’ipossia celebrale..”
“Ipossia?” esclamai.
Il dottore annui.
Conoscevo quel termine. Recentemente l’avevo letto in un romanzo. Ipossia è il termine medico usato per descrivere la mancanza di ossigeno al cervello. Ha varie conseguenze, e nel mio romanzo il tipo era finito in...”
“Oddio..no,ti prego..” mormorai ad alta voce.
“Hai capito vero, Heiji?” mormorò Eri.
No, non può essere. Qualcuno mi dica che sto sbagliando...
 “Purtroppo l’ipossia in un paziente cosi giovane ha quasi sempre le stesse conseguenze. Noi abbiamo fatto ricorso immediatamente al respiratore, e gli abbiamo fatto una trasfusione di sangue, ma... l’ipossia ci ha battuti sul tempo e...”
“Basta giri di parole. E’ entrato in coma, fine..”
Ci voltammo. Ai fissava il dottore con aria assente, appollaiata tra le braccia del dottor Agasa, che sembrava sotto shock.
Il dottore la guardò stupito, poi annui.
“Si, circa dieci minuti dopo l’intervento. Mi dispiace, noi abbiamo fatto il possibile..”
Un tonfo sordo. Qualcosa scivolò via dalla mia mano. Mi voltai. Ran era crollata a terra, in ginocchio, lo sguardo vitreo, spento.
“Ran!”
Goro corse da lei e cercò di farla alzare, ma era una bambola di pezza, inerte. Sua madre era ancora al suo posto, le lacrime che scendevano silenziose dietro gli occhiali. Alle mie spalle, sentivo i singhiozzi sommessi di Sonoko e Sato, mentre i loro fidanzati cercavano impotenti di calmarle. Ai fissava un punto lontano oltre la spalla del dottor Agasa, che apriva e chiudeva la bocca senza scaturire un suono. Kazuha appesa al mio braccio, scuoteva la testa incredula...
Ma che.. diavolo!
“Ma la volete piantare?! Perché state piangendo, eh? Non è morto, chiaro, è solo in coma. Dal coma la gente esce di continuo, e parlo della gente comune! Lo conoscete tutti Conan, mi pare, e quindi sapete perfettamente che lui di comune non ha niente,a cominciare  dal nome! E’ una forza della natura, e una cosa stupida come il coma, di certo non avrà la meglio su di lui. Quindi vedete di piantarla con questa valle di lacrime, e piuttosto organizziamoci con i turni da fare qui. Non voglio che quando si sveglia, non ci sia nessuno con lui, perciò ci sarà qualcuno qui 24 ore su 24. Il primo turno posso farlo io, visto che ho dormito un po’ prima, se nessuno ha niente in contrario”.
Tutti mi guardarono scioccati, ma non mi importava. Io non avevo la minima intenzione di mollare e di piangermi addosso, arreso all’idea, perché non era ancora detta l’ultima parola, e a parer mio non sarebbe stata detta mai.
Tutti mi guardavano con una nauseante espressione di pietà, come a volermi dire che ero coraggioso a sperare, ma che ormai era finita, quando Ran improvvisamente alzò la testa e mi guardò. Aveva una nuova luce negli occhi. Sembravano bruciare. Scivolò via dalla presa del padre, e si diresse decisa verso di me. Mi prese le mani.
“Chi è che piange? Chi ha detto che è tardi? Io non ho mai detto una cosa simile! Hai ragione, stiamo solo perdendo tempo. Se permetti, vorrei fare il turno con te, stanotte. Potrebbe spaventarsi, se domani mattina si sveglia e non capisce dov’è, e vorrei essere qui se succede.”
Io la guardai. Era evidente che stava raccogliendo tutto il coraggio che aveva per affrontare quella situazione, e la sua determinazione mi commosse. Non era forte come voleva dare a vedere, ma aveva tirato su le energie da sotto le suole per affrontare quella montagna, ed era riuscita a stare in piedi, per amore del suo piccolo Conan, e io non sarei stato quello che l’avrebbe fermata. Ti ammiro davvero molto, piccola Ran..
“Bene, se per tuo padre e tua madre va bene, si può fare.” Le risposi.
Goro mi guardò per un momento, spiazzato. Poi intercettò lo sguardo della figlia, e capì anche lui quello che avevo capito io.
“Bene. Il prossimo turno lo faremo io e tua madre, allora” rispose rivolto alla moglie. Eri annui, decisa.
“Io e Makoto verremo dopo scuola, a darvi il cambio!” esclamò Sonoko. Makoto annui.
“Sonoko, non voglio che ti disturbi..” disse Ran, colpita.
Lei denegò.
“E’ la mia piccola peste, quella, e non la mollo! Avrà bisogno di qualcuno che gli tiri le orecchie per averci fatti dannare tutti, quando si sveglia, e quel ruolo è mio!”
“E ci vorrà qualcuno che la fermi” disse Makoto alzando una mano e sorridendo.
“Dopo il turno anche noi faremo un salto, vero?” disse Sato rivolta a Takagi.
Lui annui.
“Si, cosi terrete aggiornato anche me, che non potrò venire tutti i giorni..” borbottò l’ispettore Megure. “Però non potrete venire qui sempre, avete i turni da rispettare. Alternatevi con l’agente Yumie e Chiba. Voglio che ci sia sempre almeno un agente in zona. Ricordiamoci che un pazzo stanotte ha sparato a Conan a sangue freddo, e che se anche Heiji e il piccolo non l’ hanno visto, potrebbe temere di essere stato riconosciuto da uno dei due, e quindi tentare di eliminare i testimoni scomodi. Quindi occhi aperti, ma anche massima discrezione. Non commetterà passi falsi, se vede poliziotti qua intorno, e non lo prenderemo mai se capisce chi siete, quindi verrete qui in borghese, sia voi che gli altri. Yumie e Chiba, come voi, conoscono Conan, quindi dovreste sembrare semplici amici in visita molto facilmente. Io verrò con meno frequenza, visto che mi si conosce a causa della tv, ma prometto che io e Shiratori lavoreremo al caso notte e giorno. Quel maledetto finirà in gabbia, dovessi portarcelo a rate. Goro, domani mattina fai in modo di contattare i genitori del bambino. Devono sapere che cosa è capitato...”
“Ah no, li chiamo io, ispettore!” intervenni, prontamente. Mancava solo che si mettessero a cercare i genitori di Conan e saltasse fuori che non esistevano...
“Ma come, li conosci? Io ho visto la signora Edogawa solo una volta, ma non ha lasciato recapito telefonico” chiese Ran, stupita.
“Ah si, la signora ha chiamato Heiji molte volte, vero ragazzo?” disse il doc, dandomi una pacca sulla schiena. “Vedi Ran, Conan chiama spesso sua madre quando è da me, e gli parla sempre del suo amico Heiji, così un giorno Fumiyo mi ha chiesto il suo numero, per capire che tipo fosse. No, Heiji?”
“Si, esatto! La mamma di Conan è contenta che lui abbia me come mentore, dato che somiglio a Shinichi” dissi io.
Ran sospirò, poi sorrise.
“Si, è vero che gli somigli..” disse piano. “Ah..mi chiedo se sia il caso di avvisarlo. E’suo cugino, dopotutto...e i kudo! Lo vorrebbero sapere, credo..”
“Faccio io domani, tranquilla, sbrigo io le telefonate, tu pensa a lui..” le dissi.
Lei mi guardò confusa, poi annui.
“Bene, per stanotte è fatta” disse Goro. “Domani mattina verso le 7, io e tua madre verremo qui a darvi il cambio..”
“No, darete il cambio solo a Ran. Io di qui non mi muovo.” Dissi.
Tutti mi guardarono.
“Heiji, apprezzo l’energia, ma non puoi stabilirti pianta stabile qui..” disse Goro.
“E’ minorenne, gli serve un tutore, e io ne farò le veci. Il tutore può restare in ospedale, se il paziente è minorenne, no dottore?”
Il dottore mi guardò basito.
“ma..sarebbe meglio che un adulto..”
“I genitori del piccolo sono all’estero, dubito che lo possano raggiungere, almeno non subito. Ci vorrà qualche giorno. Lo farò solo finché non arrivano, promesso” lo rassicurai.
Lui mi guardò fisso, poi annui.
“In fin dei conti sei tu che lo ha salvato, meriti questa fiducia. Solo finché non arrivano i genitori, però” precisò.
“D’accordo” dissi, tranquillo.
Un ora dopo, tutto era deciso. La mattina,l’avvocato kisaki e Goro avrebbero dato il cambio a me per permettermi di dormire. Al pomeriggio, Sonoko e Makoto avrebbero dato loro il cambio, così l’avvocato avrebbe solo spostato gli appuntamenti al pomeriggio senza rinunciarci, e cosi pure Goro (povero ufficio, senza la sua mente, sarà il caos, là dentro..)  la sera poi sarebbero venute Ran e kazuha, e infine la notte  il doc (Ai in pratica) e io, che poi sarei stato il jolly, che faceva presenza fissa.
“Sei sicuro che non vuoi che resti?” mi chiese kazuha, prima di salire in macchina.
“No, vai pure a dormire, bambina, ci vediamo domani sera” le dissi.
“Ok, ma al minimo movimento, chiama, qualsiasi ora, ok?” mi rispose lei, salendo sul sedile posteriore.
“Promesso!” le risposi.
La macchina parti, e io rientrai, diretto al reparto terapia intensiva.
“Il dottore dice che non lo possiamo vedere ancora..” disse Ran, mentre prendevamo un caffè dalla macchinetta. Erano passate le due, ma l’adrenalina corsa nelle ultime ore ancora aveva da sciamare.
“Lo so, è normale. Lo hanno operato poche ore fa, è presto. Le ferite sono ancora fresche, potremmo entrando, far passare qualche battere o corpo infetto che causerebbe delle infezioni. E poi è debole, deve riprendersi, meglio non disturbarlo. Scommetto che si sono sbagliati...”
“Che vuoi dire?” mi chiese Ran, bevendo il caffè.
“Non può essere in coma. Secondo me è solo K.O. per via dell’emorragia. Vedrai che dormirà per tutto il giorno e poi si sveglierà come se niente fosse. Mica lo sanno che il cervello inattivo in questione è quello di un genio..” .
“Tu...tu credi questo?”
Io annui.
“Una mente come le nostre, Ran, nemmeno a livello inconscio smette di funzionare. Un cervello normale non salva informazioni, immagini, frasi o elementi come fa il mio o il suo. Non registra movimenti, non coglie sottigliezze o punti inosservati come facciamo noi. Le menti comuni non hanno il raziocino e la lucidità marziale come fanno le nostre. Noi abbiamo un cervello speciale, non siamo come tutti gli altri. Noi due siamo più unici che rari, dei prodigi fin dalla più tenera età. Siamo.. menti superiori”.
Ran mi guardava allucinata.
“Heiji, so benissimo che tu hai questo tipo di caratteristiche ma...Conan è solo un bambino dotato, nulla di più. Se lì ci fossi tu, pure io saprei che domani saresti bello che sveglio, ma Conan... ah beh si anche lui ce la farebbe. Lui che ha davvero una mente come la tua..”
“Lo vedi? Lo dici anche tu..”
“No, non lui Conan..parlo di Shinichi. Lui ha la “mente superiore” come te. Lui è come hai detto tu, non Conan, no?”
“Si..certo..” dissi, ed evitai di guardarla, nascondendomi dietro al fumo del mio caffè.
Per quella notte, e per il giorno dopo, i dottori non ci permisero di vederlo. Dissero che si doveva aspettare che la ferita fosse almeno un po’ cicatrizzata, prima di far entrare nell’ambiente sterile qualcuno, che prima avrebbe potuto introdurre corpi estranei nella stanza che avrebbero potuto infettare la ferita, o peggio compromettere la guarigione  del polmone. Io avevo sperato di non arrivare nemmeno al momento della visita con Conan ancora in quello stato, ma quando le 24 ore passarono, e finalmente ci diedero il via libera, niente era cambiato.
Chi sceglie un mestiere come strada da percorrere, deve essere in qualche modo predisposto per quest’ultimo,non può fare a casaccio, a seconda dell’ispirazione. Uno che sceglie di fare il pompiere, non può deciderlo sapendo di temere il fuoco o le altezze, o magari soffrendo di crisi di panico. Per fare il pompiere ci vuole raziocinio, nervi saldi e un bel po’ di fegato. Uno che decide di fare il medico, non può andare a farlo sapendo che appena vede il sangue sviene, o se decide di diventare medico chirurgo, lo va a fare sapendo di non avere ne nervi saldi ne mano ferma, ne lo stomaco forte. Fai il mestiere per cui sei fisicamente e mentalmente predisposto. Uno che ha un bel po’ di coraggio e nervi saldi può fare il pompiere. Uno con la manina ferma e un bello stomaco, va a fare il chirurgo. Ci si nasce o no, per fare le cose, per quanto le studi. Cosi penso io.
Ma uno che decide di fare il poliziotto, o il detective, sa che non è un mestiere come gli altri. Non puoi nascerci poliziotto, e non puoi imparare a fare il poliziotto. Ok l’accademia e tutte le altre belle cose che seguono, ma il vero mestiere, quello fuori dai poligoni e dalle aule, non lo impari mai del tutto, nemmeno dedicandogli la vita intera. Questo è quello che mi ha detto sempre mio padre: Heiji, io conosco poliziotti che hanno passato una vita a fare i poliziotti, e nemmeno il giorni prima della pensione, hanno mai spesso di sorprendersi, nel loro lavoro. Convinti di aver visto tutto, saltava fuori qualcosa che non avevano visto. Mai, il nostro mestiere fino in fondo, non lo si conosce mai.
Io non avevo mai capito realmente cosa intendesse dire: insomma, visto un cadavere, gli hai visti tutti, per quanto saltino sempre fuori nuove modalità, a volte belle raccapriccianti. Arrestato un assassino, arrestatone dieci, a un certo punto  nemmeno ti scomponi più, no? Io non capivo cosa volesse dire, mio padre. Un poliziotto conosce il suo mestiere, nulla lo deve impressionare, lucidità sempre e solo. Sennò il poliziotto, che lo è andato a fare?
Eppure..
Io ne ho visti cento di cadaveri, ridotti male qualche volta. Ho visto cose che sconvolgerebbero il sonno ai più senza scompormi, rimanendo lucido. Ho patito la paura, ma senza perdere il controllo. E credevo che nulla ormai, potesse più spaventarmi. Sono un detective, no? Sono un futuro poliziotto,no? I poliziotti non hanno paura, no?
Allora perché avevo le gambe che tremavano, davanti a quella scena?
Piccolo. Ricordo di aver pensato solo questo. Poi la mie mente si è inabissata, e non ricordo di aver pensato più a niente.
Si, piccolo. Piccolo il suo viso, quasi nascosto sotto a quei tubi che partivano da una macchina grande il doppio di lui. Piccolo il suo corpo, in un letto che pareva enorme. Piccola la sua testa, su un cuscino che sembrava un materasso. Piccolo il suo petto, che faceva su e giù a comando di quella macchina infernale.
Piccolo io, che lo guardavo tremando, senza poter fare niente. Piccolo quel poliziotto, che il suo ultimo giorno di lavoro dopo anni, è riuscito a sorprendersi ancora nel suo lavoro, che invece credeva di conoscere.
“Amore mio..”
Ran mi proiettò bruscamente nella realtà. Si era avvicinata titubante a letto di Conan, e lo guardava con gli occhi sbarrati. Deglutì, e invocai le forze per poterla imitare.
Oddio. Sembrava tutto cosi surreale, un incubo assurdo, da cui supplicavo di essere svegliato. Ma non c’erano bruschi risvegli, ne fronti imperlate di sudore, ne cuori pronti a schizzare via dal petto per me. Solo la cruda e terrificante realtà.
Meccanico, presi una sedia e feci accomodare Ran accanto al letto, mentre io mi sedetti davanti all’altra sponda. Avevo l’impressione di essere diventato stranamente rigido, nei miei movimenti, come se avessi ruggine sulle articolazioni. Anche deglutire, sembrava una fatica immane.
“Tu credi che possa sentirci?” mormorò Ran. Aveva fatto scorrere un dito nella mano di Conan, e gli carezzava il dorso della mano col pollice. Dio, come aveva trovato la forza di toccarlo? Io lo guardavo come fosse una statua in un museo, e non riuscivo nemmeno a pensare di avvicinarmi. Ma lei invece no. Lei lo coccolava come sempre, come se lui in realtà fosse solo assopito, come i soliti pomeriggi dopo scuola, quando collassava sul divano con gli occhiali di traverso e i fumetti sulla pancia. E ora chiedeva se secondo me, se gli avessimo parlato, ci avrebbe sentito. Iniziavo a chiedermi chi fosse li per far coraggio a chi, tra me e lei.
“Non..non ne ho idea.” Borbottai. Neanche parlare adesso, ed ero sempre stato una serpe, io, in fatto di lingua lunga.
“Io personalmente, non mi sono mai trovata davanti una cosa simile, ma non è che non ne abbia mai sentito parlare, anzi. Ho letto in molte riviste dell’argomento. Sai, il dottore ha ragione: varia da individuo, il modo di prenderla, questa cosa.”
Amen, sorella. E io come individuo avevo scoperto, con mio grande disappunto, che la stavo prendendo di merda.
“Molte persone, ho letto, che sono state in coma, dicono di ricordare delle voci. Non dei discorsi veri e propri, ma le voci si. E ne hanno avuto conferma una volta risvegliati. Però non tutti sentono. Non varia solo l’approccio degli esterni, ma anche quello dei diretti interessati. Sai, il coma ha vari stadi: leggero, meno leggero, poco profondo e..molto profondo. Si, credo che siano questi ultimi due i casi in cui la gente non sente nulla.”
In quel momento, pure io non avrei voluto sentire nulla..che diavolo aveva? Che significava questa leggerezza nel parlarne?
Poi me la vedo osservarmi, e sorride. E adesso che ha?
“Guarda che stai facendo tremare il comodino col ginocchio.” Disse, e indicò il comodino al mio fianco.
Traballava come scosso dal terremoto. Lo osservai. Il mio ginocchio era puntato contro i suoi cassetti..e tremava come una foglia.
“Anche io ho paura, è normale, sai?” Sussurrò lei. Prese la sua sedia, fece il giro del letto e la accostò alla mia. Prese una delle mie mani fra le sue.
“Riderebbe di te se fosse sveglio, sai?” ridacchiò.
Ridendo, aveva passato un dito sul palmo della mia mano. “c’era un mestolo di sudore, sopra.
Lo guardai. Oh si, riderebbe di me,e alla grande aggiungerei. Direbbe che sono il solito emotivo, che  è li che lui si differenzia da me. Si perché ci metterei la mia mano sudaticcia sul fuoco, che lui al mio posto sarebbe il ritratto della serenità. Cercherebbe solo di pensare ai vari personaggi dei romanzi da lui conosciuti che ci erano passati, e il modo in cui ne erano usciti per vedere se poteva provarli con me. Oppure starebbe là fuori a cercare Gin per infilargli i braccialetti. O in extremis, sparargli nel culo..no, quello lo farei io, lui ha troppa classe. Lui gli sparerebbe nel derrière..
Scoppiai a ridere.
“Beh adesso perché ridi?” chiese Ran, stupita.
“Ahaha..no,nulla. E’ solo che hai ragione. Si, lui riderebbe di me, come fa sempre. E non dire di no..”
Mi sporsi verso Conan.
“Perché mentiresti. Si, mi sa che è meglio che tu non mi possa vedere, ora come ora. Tremo come un bambino. Oh che stupido, l’ho detto..beh allora spero tu non mi possa sentire..no, anzi..”
Tesi una mano, e afferrai quelle piccole dita tiepide tra le mie.
“Spero tu mi senta, perché so che tu di ridermi dietro, non ha mai perso un’occasione. Solo perché sai di essere meglio di me. Mi deridi e mi tratti come se fossi io, il bambino, non tu. Sei una peste. Sei uno sbruffone. Sei..sei un bastardo..”
“Cosa?” esclamò Ran.
“Come hai osato farmi una cosa simile? Che cavolo credevi di fare? Sei un moccioso, ficcatelo in quella testa! Non è questione di territorio, tu hai bisogno di me! Non me lo dovevi fare..mi senti, non me lo dovevi fare, Shinichi!”
“Heiji! Ma che ti salta in mente di dire?..e ora che cosa c’entra Shinichi?”
Le mie mani, chiuse attorno alla sua, tremavano. Ma non era paura. Avevo perso il controllo. Merda, che avevo detto?
“No, niente, scusa. Solo che..beh il piccolo emula Shinichi e cosi..beh sto solo facendo scarica badile. In realtà no, non va data la colpa a Shinichi per tutto quello che è successo, è vero..senti, Ran, mi ci vorrebbe un bel caffettone come lo fanno a casa mia. Almeno, se non mi calma, mi scotta la lingua e sto zitto. Ti spiace cercarmi quel dottore del Kansai? Lui sa che ci vuole per farmelo avere..”
Lei mi guardò, sgomenta. Poi però sorrise e annui.
“Certo che si. Vado e torno.” Disse, e uscì dalla stanza.
Salvato in coroner. Ci voleva sul serio una bella scottata alla mia lingua. Ma con la soda caustica, però. Maledetti nervi.
“Maledetti nervi, si..” ripetei anche ad alta voce. “Quanto fiato ha buttato a dirmelo, eh? Sempre la stessa litania: Heiji, controlla i nervi! Tu sei troppo capraio con le cose, non va bene nel nostro mestiere. Delicatezza, urge delicatezza, sia che si stia lavorando su una scena del crimine, sia che si debba presentare un’accusa contro un criminale: sempre e solo delicatezza..oh, amico mio..”
Feci scorrere le due dita contro il dorso del mio indice.
“Non so di nuovo cosa fare, adesso. E tu a riguardo non hai lasciato istruzioni. Sei o no il mio mentore? La tua delicatezza qui dubito possa servire..e quindi cosa, mi chiedo. Cosa serve adesso? Cosa faresti ,tu?”
Gli carezzai una guancia. Era pallido, ma sereno.
“Beh, calma innanzitutto, questo lo so. Poi..poi cercheresti di prenderla con razionalità, so anche questo. He he..poi cercheresti di svegliarmi, credo, o di comunicare con me. Ma come, pagherei per saperlo. Che tu a riguardo ne sappia più di me, ci scommetto la moto. Si, certo, tu mi ci tireresti fuori in un paio di giorni, anche pezzo per pezzo, ma ce la faresti. Solo che qui non ci siete tu e la tua conoscenza da tartaruga millenaria onnisciente. No,qui ci sono io, il toro testa calda con nel cranio il posto materiale per parcheggiare un aerostato..Beh no, dai, non sono poi cosi scemo, al diavolo..solo non ho sangue freddo, tutto qua. Perdo la mia intelligenza affogandola in galloni e galloni di sangue caldo e pulsante, ecco. Però standomene qui a elogiarti e a degradare me, non muovo un granello di polvere. No, devo darmi da fare. Uff, come venirne fuori, però..”
Lo osservai. Sorvolando sul fatto che era intubato e aveva la flebo con il sangue al braccio sinistro, sembrava davvero solo addormentato.
“Che situazione del cazzo..” mormorai. “Che accidenti posso fare? E se non riesci nemmeno a sentirmi? Cavolo, è chiedere tanto, nel 21° secolo, un po’ di certezze da parte della medicina? Diavolo, almeno sapere questo! Si, ok, è in coma, ma vogliamo trovare il modo di capire quanto profondo sia questo stramaledetto coma? Vogliamo fornire ai poveri cristi qui fuori qualche certezza materiale, o li lasciamo mantecare nei dubbi come la carne nello spezzatino? No, scusa,non sei d’accordo anche tu? A quest’ora io pagherei per sentirmi dire da uno di quei tizzi la fuori: si, guardi, secondo la macchina, il paziente a livello inconscio è in grado di sentirla, gli parli pure che magari si sveglia; no guardi, il paziente secondo la macchina non la sente nemmeno per sbaglio, lei in questo momento sta parlando da solo come un matto. Almeno si saprebbe di che morte morire, no? Non si finirebbe qui a fare tentativi a casaccio,no? Uff, che stress..”
Lo guardai: poi gli misi una mano sulla fronte, e presi a mandargli su e giù il ciuffo.
“Kazuha ha ragione, hai davvero un bel visetto, quando ha i capelli via dalla faccia. Almeno, da piccolo ce l’hai. Da grande, sei bruttarello, a mio parere..”.
Ma che mi mettevo a dire?
“Ok, sto delirando..ho appena detto che non so nemmeno se mi senti e che è facile che stia parlando al muro, e mi metto a sfotterti? Ah bene , 24 ore e sto già andando ai matti. Preparati, perché quando ti sveglierai, io indosserò una bella camicia cinghiata bianco latte e..cosa?”
Un dito. Mi bruciassero tutte le fiamme dell’inferno se me lo sono sognato. Aveva mosso un dito. L’indice della mano destra, dall’altra parte del letto.
Lo guardai. Dormiva.
“Mah..forse sono solo i nervi  che scattano..” mormorai, osservandolo. “riflessi incondizionati, niente di più..”
Tric. Un leggero grattare sulle coperte. Mi voltai di scatto. Il suo indice..stava piantato nella coperta!
“No, aspetta, non fare scherzi, sai..”
Corsi alla sponda opposta del letto, e mi piazzai col naso praticamente sul copriletto, a un baffo da quella mano. Ferma.
“Ok..se hai deciso di posticipare il mio internamento facendomi esaurire, ti informo che sei sulla buona strada..oddio, devo calmarmi..le allucinazioni, mi stanno venendo..”
Stavo per rialzarmi, quando..
Tric.
Niente margine di errore. Stavolta non erano i nervi. Lo aveva fatto apposta.
“Ok” Presi quella mano tra le mie. “Ok. Rifallo. Se sei davvero tu e non un tessuto nervoso impazzito..rifallo!”
Non successe niente.
“Shinichi? Se lo hai fatto davvero tu, lo puoi rifare..avanti, rifallo!”
Un breve momento di silenzio e immobilità, poi..
Tric. La sua unghia mi graffiò il palmo della mano.
“Oh mio..cavolo, ma chi sei, Houdini? Sei riuscito a..un momento..Shinichi?”
Per un secondo, lo guardai fisso, sperando quasi si voltasse di scatto e mi facesse: shh! Non dire quel nome, potrebbe tornare Ran!
Ma lui rimase immobile.
“No, non sei sveglio..ma allora come hai fatto a..”
Tic.
Un colpetto, delicato come il tocco di una piuma, ma c’era stato. Aveva picchiettato col dito sul palmo della mia mano.
“Oh dio..ok, fammi calmare. Ok..”
Ero agitato come una scolaretta al primo giorno di scuola. Se era quello che credevo, eravamo arrivati ai confini della realtà.
“Ecco il caffè”
Ran era tornata.
“No! Non muovere un muscolo, ferma! Rimani li..”
Posai la mano di Conan sul palmo bene aperto. Se si fosse mosso, lo avrei visto perfettamente.
“Che stai facendo?” mi chiese Ran.
“Silenzio! Ora non chiedere. E lasciami fare..” mormorai.
Mi avvicinai a Conan.
“Ok. Ascoltami bene. Sei..sei davvero tu?” gli chiesi.
Niente per qualche secondo. Poi..
Tic. Il colpetto sul palmo.
“Oddio, grazie..ok ci sono, fratellino..”
“Cosa significa? che vuol dire quello che stai facendo?” chiese Ran avvicinandosi piano.
La guardai.
“Ran..non mi chiedere come, ma credo..credo che stia provano a comunicare con me..”
Ran sbarrò gli occhi.
“Ok, Heiji, va bene. Dormire poco a volte fa questo effetto, ma adesso ti bevi il tuo bel caffè e..”
“Non sono matto, chiaro? Uff, guarda se non mi credi..”
Mi misi in posizione di nuovo.
“Ok, bello, facciamo alla vecchia maniera: un colpetto si, due no. Va bene?”
Silenzio. Tic. Un colpetto
Ran fissò la mia mano.
“Sarà un nervo, Heiji, non fare il matto, per piacere..”
“Sono i nervi, kud..cioè Conan?”
Silenzio. Tic tic. Due colpi.
La mia tazza di caffè precipitò nel vuoto e andò a schiantarsi al suolo.
“Oddio” squittì Ran.
“Non mi dire che non lo hai mai visto fare, ora che ci penso..” dissi, osservando attentamente Conan.
Lei mi fissò, sconvolta. Poi però annui.
“Si, ma capita in un caso su un milione..”
“Quante volte lo devo ripetere? Questo non è un bimbo qualunque, zucchero. Ok, andiamo al sodo, ora. Da quel che so io, non è molto costante come cosa: potrebbe smettere e non esserne più capace, bisogna far presto..”
Tic. Un colpo.
“Visto? Ho ragione! Ok, scusa se ci ho messo tanto a capirlo, ti ho fatto perdere tempo. Bene, vuoi dirci qualcosa?”
“Chi ti ha sparato?” sussurrò Ran. “E’ questo che vuoi dirci, cucciolo?”
“Lascia perdere, non sa chi era, perché non lo ha visto..”
“Magari si!” rimbeccò lei.
“Se dico di no è no..”
“Ma..”
Tic, tic, tic. Tre colpi.
“No, aspetta, non significa niente. Cosa significa prima no e poi si?”
Pausa. Poi successe una cosa assurda. Ancora oggi mi fa rabbrividire il solo pensiero.
Il dito di Conan prese a picchiettare come in presa a degli spasmi sul palmo della mano.
Ran sospirò.
“Ecco, lo sapevo. Vedi? Sono terminazioni nervose, altro che comun..”
La tacitai con un cenno, senza smettere di fissare il dito che picchiettava. Poi si fermò, e la mano ricadde sul letto, inerte.
Ran mi cinse la testa con le braccia.
“Oh Heiji..” mormorò. “Non serve a niente perdere il controllo. Vedrai, tornerà da noi, ne sono certa.
Io fissavo il vuoto. La cinsi in vita con un braccio.
“No, invece..” mormorai con voce velata.
La porta si aprì mentre Ran mi guardava interrogativa. Goro, due borse scure sotto agli occhi, e sua moglie Eri, visibilmente stanca, entrarono.
“Mamma, papà, già qui?”
Eri si avvicinò circospetta al lettino di Conan.
“Eravamo svegli, e così. Non che si abbia dormito molto, chiaramente..dai, fammelo vedere, va..”
Goro raggiunse la moglie accanto al letto.
“Ciao, canaglietta...” mormorò. Posò una mano sul pancino di Conan, mentre sua moglie gli sfiorava la guancia con le labbra rosse macchiandolo leggermente di rossetto.
“Piccolo amore..sai, vorrei essere io l’avvocato che difenderà quel derelitto che gli ha sparato, una volta preso..”
Tutti la fissammo.
“Mi presenterei in tribunale ubriaca fradicia, cosi lo farei arrestare prima ancora di battere ciglio!” ringhiò.
Goro sogghignò.
“Che cosa dicevi, Heiji?” chiese Ran, dopo un po’.
Io scossi il capo.
“Niente..” mormorai, afono.
Per tutto il giorno la gente fece avanti e indietro. Vennero anche i baby- detective, cupi e dispiaciuti, a salutare il loro amico e collega, armati di palloncini e bigliettini “guarisci presto!” e di oggetti portati per Conan una volta sveglio, come peluche e giochi vari.
Io da canto mio, non parlai a nessuno. La gente la prese come stanchezza, dato che il mio era un turno a circuito chiuso, e mi lasciarono in pace. Solo con una persona, in realtà, avevo intenzione di parlare, e la aspettai tutto il giorno. E finalmente, a serata inoltrata, eccola.
“Oh Heiji, povero ragazzo, che faccetta smunta. Toh, ti ho portato la cena. Tranquillo, ha cucinato Ai..”
Ai camminava lenta alle spalle del dottor Agasa, il viso scuro, l’aria stanca.
“So tutto.” Disse, e mi si sedette accanto. “Ho avuto il messaggio da Ran, che ha chiamato il doc. Ti informo che per una donna di scienza quale sono, la cosa ha più di una spiegazione, se è questo che volevi sentire. Comunque, straordinario il nostro Shinichi, non c’è che dire..”
“A caso..” mormorai piano.
Lei mi guardò.
“Cosa?”
“Ran ha detto che Conan batteva il dito per via dei nervi, vero?”
Ai annui.
“Si, esatto. Può capitare, come ho già detto..”
“si certo..se fossero davvero stati i nervi, si..ma non lo erano”
Ai mi guardò intensamente.
“Come?”
“Non lo ha mosso a caso, quel dito. Gli ho chiesto tre volte se era lui, Ai..”
Lei mi sorrise, amara.
“Lo so che è dura, sto male anche io. Ci si attacca a tutto, in questo stato..”
“tsè..stronzate..” ringhiai.
Lei si voltò. Io fissavo il vuoto, gli occhi sbarrati.
“Lui ha parlato chiaro, bella mia. A Ran saranno sembrati nervi, quelli..ma a me no.”
“Osaka, stai andando fuori di testa?” chiese fissandomi.
Io la guardai. Mi riflettei nei suoi begli occhi chiari. Sembravo un pazzo.
“Dammi la mano.” Le dissi piano.
Lei mi guardò, analitica, poi mi tese la piccola manina esile. Io ci posai un dito, e inizia a picchiettarlo sul suo palmo. Lei in primis mi osservò allibita, poi lentamente, le sbocciò in volto la paura..”
“No..non ci credo..” sibilò.
Io mi fermai.
“Ecco tutto. Ora sei ancora convinta che sia fuori di testa?” chiesi, afono.
Lei si fissò la mano per venti secondi buoni.
“No..” mormorò poi “No..”
Il doc ci aveva osservati in silenzio.
“Posso chiedere di che state parlando? Perché quei gesti?”
“Morse..”sussurrò Ai.
“Come?” chiese il doc.
Lei lo guardò.
“Samuel Morse, dottore. Nel 1835 Samuel Morse inventò un codice ad intermittenza per trasmettere segni di punteggiatura, lettere e numeri..il codice porta il suo nome: codice morse.”
“Morse, ma che..oh cielo..”
Mi raggiunse.
“Vuoi dire che Shinichi ha usato..”
Io annui, amorfo.
Il doc raccolse le forze.
“Oh dio mio, quando smetterà di sorprendermi..allora, il messaggio lo hai preso?
Annui di nuovo.
“Dimmelo, ti prego!” disse con ardore.
Io risi, senza sapere che altro fare. Ero distrutto. In silenzio gli presi la mano, e gli picchiettai il palmo.
“No, fermo, non lo conosco il codice morse..” disse il doc.
Io mi fermai. Lo guardai negli occhi, dolci e spaventati allo stesso tempo.
“Fa..” dissi picchiettandogli di nuovo la mano. “che..sia..nel..mio..corpo..”
Lui mi guardò, poi lentamente spalancò la bocca.
“No..signore,ti prego,no..”
“Si.” Disse Ai, mentre lacrime silenziose colavano sul suo bel viso di bambina. “Ha chiesto di morire nel suo corpo.. sa che non riuscirà più a svegliarsi.”
  
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