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Autore: Luna Gothica    14/02/2012    2 recensioni
L'antico mondo di Erebus si avvicina alla sua fine, le apparizioni di demoni si fanno sempre più frequenti, gli Infernali stanno per essere evocati, di nuovo.
Ogni regno cerca come può di sfuggire ad una fine inevitabile, dai malvagi vampiri al regno dei saggi, dai paladini ai maghi, dai giullari della notte agli elfi d'Inverno.
Eppure c'è forse ancora qualcuno in grado di salvare Erebus, sempre che riesca a sopravvivere...
Ispirato dal mod di Derek Paxton: Fall From Heaven
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Il Re saggio



«Il messaggero inviato presso i Calabim non ha ancora fatto ritorno, Vostra Grazia.»


Ethne si portò le mani alle tempie, scuotendo i lunghi capelli d'argento. Conosceva quel messaggero, era stato amico di suo padre, durante il suo regno. Flauros non poteva essersi cibato di lui, non avrebbe mai osato. Ma questo era durante il regno di suo padre, Einion il saggio. Ora che lui non c'era più, tutto era differente.


«Cosa intendete fare a riguardo, mia Regina?» continuò il sacerdote. Come suo padre, faceva parte dell'ordine monastico dei Logos, indossava la stessa toga bianca e semplice, senza fronzoli. Ma il suo viso era molto diverso da quello di suo padre.

Ethne rimase in silenzio, lo sguardo rivolto verso il basso.


«Eratos, era un di noi» disse infine. Il sacerdote annuì, seguito da tutti i presenti. Tutti i maggiori esponenti del clero erano riuniti nella sala del trono, assieme ai consiglieri e ai saggi delle città.


«Cosa hanno fatto di lui? Cosa diremo alla sua famiglia? Non avranno mai nemmeno le sue spoglie su cui piangere...»


Tutti chinarono il capo, in segno di rispetto. Ci fu un'altra lunga pausa, durante la quale la giovane regina si alzò dal trono, avanzando verso di loro, torcendosi le mani.


«E' stata colpa mia. E' morto per colpa mia. Non avrei dovuto...»


«Non avevate scelta, mia regina» la interruppe uno dei sacerdoti inchinandosi davanti a lei. Subito tutti seguirono il suo esempio. Ethne sfiorò le loro teste. S'inchinavano a lei. Lei aveva mandato a morire uno dei loro compagni, eppure loro s'inchinavano a lei. Perché lei era Ethne, la figlia poco più che quindicenne di Einion Logos. Regina di Cahir Abbey. Ethne trasse un profondo respiro, ripercorrendo i suoi passi.


«Chiederemo aiuto ai Bannor. Il loro esercito è forte e non ha subito perdite. Sabathiel ci aiuterà, per l'amicizia che lo legava a mio padre. Non manderò a morire altri padri. Altri figli della mia gente.»


«Sì, mia regina» rispose un coro di voci.


«Ordinate ai maghi di rafforzare le barriere intorno alle mura a nord, che possano resistere fino all'arrivo dell'esercito degli angeli. Io mi ritirerò nelle mie stanze.» Così dicendo Ethne si allontanò lungo il corridoio rivestito di marmo bianco, fino a raggiungere i suoi alloggi.


Avrebbe dedicato il pomeriggio a studiare la lingua Lanun. “Per poter trattare con loro, devi parlare come loro.” Suo padre lo diceva sempre. Fin da bambina, aveva fatto sì che fosse istruita nella parola. “La parola di un regno è l'anima di quel regno”, diceva sempre anche questo. Ethne si dispose allo scrittoio e ne estrasse un registro di carta, scritto in una calligrafia minuta e ordinata, quella di suo padre.


Iniziava sempre con "culva", la parola Lanun per ''amore''. Passava in rassegna la sua lista, intonando ogni parola e il suo significato. All'inizio le recitava tutte a memoria, ma ogni settimana ne aggiungeva un paio in più, e doveva leggere il registro che teneva per quel compito, quando si avvicinava la fine della lista.

Erano morti due anni prima. Suo padre aveva promesso a lei e a sua madre che le avrebbe portate a vedere le isole Aeges, ma aveva sempre rimandato. Durante i periodi di guerra, c'era bisogno di lui per la battaglia, in altri momenti era necessaria la sua presenza per mantenere la pace. Gli eserciti che assediavano la capitale si ritiravano una volta venuti a conoscenza della sua presenza, i nemici più ostili erano pronti a offrire la pace quando era lui a portare il trattato fino alle porte delle loro capitali.


Ma i vampiri non scendono mai a patti. Era appena tornato dai negoziati con i Calabim. Avevano accettato il trattato, spinti dalle forti perdite. I loro maghi erano forti, a quei tempi. Avevano tentato di spaventarlo, ma Einion aveva preteso il ritiro immediato delle truppe. Flauros non aveva avuto scelta. Il trattato era stato firmato. Tutti i crimini commessi prima di allora, sarebbero stati perdonati. Prima di allontanarsi, Flauros gli aveva rivolto uno strano e terrificante sorriso.

Quel sorriso tormentò Einion lungo le due settimane di cammino per Cahir Abbey. Mentre in patria si festeggiava il suo trionfo, su di lui incombeva una nuvola scura.

All'epoca ancora non vivevano a palazzo, le strade erano sicure, ed Einion desiderava vivere il più vicino possibile al suo popolo. Quando aprì la porta della casa, fu investito dall'odore della carne putrefatta, che lo penetrò come una lama. Era stato sui campi di battaglia abbastanza a lungo da capire cosa fosse successo, prima ancora di vederlo coi suoi occhi. La maledizione della conoscenza, è che uccide ogni speranza. Sai cosa è successo, cosa sta succedendo e cosa accadrà, a prescindere dal tuo desiderio di restare nell'ignoranza.

Einion iniziò a camminare. Voleva raggiungere sua moglie e sua figlia, ma la certezza di cosa avrebbe trovato non gli permetteva di muoversi più velocemente.

Il sangue era ovunque. Passò di fronte ad una teca di cristallo. C'era il suo viso, impresso col sangue sul cristallo. Non era stata spinta. Qualcuno aveva premuto il suo viso contro la teca, perché l'impronta fosse ben visibile, come il disegno di mille delicate conchiglie rosse.

Era così in ogni stanza. Nel salone, era stata fatta arrampicare fino alle travi del soffitto, e i suoi capelli legati alle corde annodate tra le travi, e poi era stata fatta buttare giù. I suoi capelli erano ancora attaccati al soffitto, assieme a pezzi dello scalpo. I quadri che adornavano il corridoio che portava alla camera da letto erano pieni di parole crudeli rivolte a lui, scritte col sangue. Il suo sangue. Einion cercò di ignorarli.


C'era una luce grigia proveniente dalla camera da letto. Proiettava strane ombre nel corridoio, come una bandiera stracciata che venga sventolata di fronte ad una lanterna. Einion si aspettava di trovarla morta, ma lei era ancora viva, e così sua figlia. Einion guardò sua moglie: la sua pelle era scomparsa, la maggior parte delle sue articolazioni erano state strappate, gli occhi penzolavano dalle orbite vuote. Sua figlia era legata a lei con una corda, una runa sulla fronte le impediva di chiudere gli occhi, così come quella sul petto di sua moglie le impediva di morire. La luce proveniva da quei simboli. L'anima cercava di fuggire, ma la runa la teneva intrappolata, costringendola a sentire tutto quel dolore. Non poteva muoversi, non poteva urlare.

Fu una guardia a trovarli quella sera, non vedendoli presentarsi al banchetto di celebrazione. L'intera città pianse per il suo Re e per sua figlia. I maghi e i veterani di guerra invocavano vendetta, intimavano di rompere la tregua.

Ma Einion disse di no.

Così si rivolse alla folla:

«Se piangete per me, deponete le armi. Se mi amate, non marciate sul campo di battaglia, ma fate ritorno dalle vostre mogli e dai vostri figli. Che i vostri sogni siano di bambini che giocano in cortile e di lunghi anni trascorsi con la vostra famiglia. Vado a seppellire mia moglie, con cui ho trascorso così poco tempo quando era in vita... Ma ora devo pensare a mia figlia, e al futuro del nostro popolo. Non lasciate che il tempo vi sia rubato dalla vendetta.»




   
 
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