C’era un altro motivo per cui Marco
adorava il venerdì. Dopo una settimana passata a lavorare e stressarsi per via
dei clienti, poteva rilassarsi insieme a Rocco, il suo ragazzo.
Già dai tempi delle superiori aveva
capito che le ragazze non gl’interessavano più, ma solo dopo il diploma e
l’ingresso alla facoltà di lettere si era accorto che solo i ragazzi lo
attraevano.
Il suo primo boyfriend era stato un ragazzo di nome Stefano. Trent’anni, fuori
corso, stava per laurearsi in lettere moderne. Con lui c’era stata una storia
molto intensa, che aveva coinvolto Marco nel profondo della sua anima. Si erano
frequentati intensamente, e per molti mesi, finché non venne il maledetto giorno
in cui Stefano si laureò.
- Vado a lavorare a Roma – gli aveva
detto – Ho vinto una cattedra per insegnare lettere là. – Inutile dire che la
notizia aveva straziato Marco, che per una notte intera e per molti giorni dopo
pianse parecchio. Purtroppo dopo Stefano non c’era stato nessun altro suo
“collega” in aula in grado di prenderlo come aveva fatto lui, così Marco si era
laureato senza farsi troppi problemi in tre anni, ma anche senza allacciare
rapporti profondi con nessuno.
Poi era venuto il lavoro, che per i
primi tempi era stato presso una casa editrice a correggere bozze. Scaduto il
contratto, era stato costretto ad accettare un posto da uno spedizioniere. Il
lavoro di impiegato assistenza clienti non gli piaceva, lo trovava alienante e
meccanico. Però non poteva lasciarlo, conscio del fatto che trovare lavoro era
molto difficile, se non addirittura impossibile, anche per un laureato come
lui.
Mal sopportando tutte queste
condizioni, Marco continuò a fare la sua vita, fino a che un bel giorno non si
recò in biblioteca, dove incontrò Rocco.
Rocco aveva ventisette anni all’epoca.
Era un perfetto geek,
uno di quelli che passano la giornata attaccati al computer. Non ne capiva
niente di miti greci e latini, e la filosofia non gli interessava. Eppure, c’era
qualcosa in lui che acchiappava Marco in maniera indescrivibile. Forse era la
sua aria da sognatore, quello sguardo che sembrava sempre perso nel vuoto ad
attrarre Marco. I suoi occhialini che coprivano gli occhi color castagna, o la
sua capigliatura corta e ordinata.
Ma quella sera c’era qualcosa di
diverso.
- Amore? – lo chiamò Marco.
- Eh? – disse Rocco, abbassando lo
sguardo verso di Marco, che se ne stava accoccolato con la testa sulle sue
gambe.
Marco sorrise. – Cosa c’è? –
- Niente – si affrettò a dire Rocco.
- Non sai nemmeno perché te l’ho
chiesto. –
- Be’, non c’è niente. –
Marco si alzò e lo guardò negli occhi,
accarezzandogli una guancia barbuta. Rocco si affrettò a sorridergli, ma Marco
sentì che quel sorriso non era del tutto sincero.
- Mi sembri distratto stasera. –
enunciò Marco – C’è qualcosa che devi dirmi? –
Rocco sorrise di nuovo, e dolcemente
baciò Marco, che chiuse gli occhi e si lasciò baciare, senza tuttavia restarne
coinvolto più di tanto.
- Che ti amo. – rispose Rocco, e di
nuovo baciò le labbra di Marco, accarezzandogli i capelli.
- Non è una risposta coerente. –
- Uffa, tu e le tue risposte coerenti –
sbottò Rocco, alzandosi dal divano.
- Ti ho chiesto cos’hai e tu reagisci
così! Ma si può sapere cos’hai in testa? -
- Te l’ho detto, niente! Perché deve
per forza esserci qualcosa? Vuoi che ci sia qualcosa? E va bene, se vuoi ti
accontento! –
Marco restò a guardarlo con le braccia
conserte. Poteva sembrare tranquillo e rilassato da fuori, ma dentro non lo era
per niente. C’era qualcosa che non andava, ma non sapeva bene cosa.
- Non occorre che fai il bambino –
rispose Marco – Se non c’è nulla, non preoccuparti. Fai finta che non ti abbia
chiesto nulla. –
- No, non c’è niente. Lo dico e lo
ribadisco. – rispose Rocco, tranquillamente.
Rocco era di spalle in quel momento, e
Marco gli andò dietro abbracciandolo per la vita. Nonostante i suoi ventisei
anni, Marco non era mai cresciuto più del suo metro e sessantacinque, per cui
il suo abbraccio cinse la vita di Rocco, che allungò le braccia dietro di sé a
toccare la schiena di Marco. Restarono così per qualche minuto, fino a che
Rocco non lo prese in braccio e lo condusse in camera da letto.
Fu una notte intensa per entrambi,
carica di una passione che forse non c’era mai stata in quasi un anno e mezzo
di fidanzamento. A Marco piacque essere posseduto da Rocco, che spinse dentro
di lui con forza ed entusiasmo, fino a che non lo sentì venire dentro di sé.
Una volta soddisfatto, Rocco mormorò un “sono stanco”, ma Marco non lo sentì.
Era troppo occupato ad accarezzargli la testa e a godersi il suo peso sul suo
corpo esile.
- Ti amo – gli sussurrò in un orecchio.
Rocco non rispose, era già caduto tra
le braccia di Morfeo.