Battesimo di sangue
La quiete si ha da sacrificare
alla coscienza e all’onore
[Epistolario, Ugo Foscolo]
Quando la
guardia arrivò trafelata al cospetto del Gran Maestro, Al Mualim
era ancora rivolto alla finestra, con i pensieri che ritornavano costantemente
alle parole e agli sguardi della ragazza di prima.
“Maestro,
siamo sotto attacco!” gridò l’Assassino, poco prima di accasciarsi a terra con
un rantolo strozzato.
Al Mualim vide il pugnale conficcato nella schiena del suo
uomo, dalla cui ferita usciva una chiazza rossa che bagnava la veste bianca e
il pavimento, e provò un impellente moto di rabbia e dolore, compiangendo in
silenzio l’Assassino che aveva combattuto gli ultimi momenti prima del sonno
eterno per metterlo in guardia.
Senza poi
indugiare oltre, Al Mualim scavalcò il cadavere ormai
immobile e si affrettò a uscire per vedere lui stesso la situazione. Non appena
mise piede fuori, un Templare si gettò contro l’anziano Maestro con un grido
animalesco, alzando in alto la spada per eseguire l’ultimo fendente. Che però
Al Mualim non sentì arrivare.
Un Assassino
impegnato lì vicino in un duello impari vide il suo Maestro in pericolo e,
scagliando un violento e impreciso colpo al suo avversario per finirlo, si
avventò contro l’aggressore; il Maestro vide la testa del Templare staccarsi
dal resto del corpo e cadere a terra con un suono cupo. L’Assassino rivolse uno
sguardo preoccupato ad Al Mualim, tentando di
controllare il respiro come meglio poteva.
“Maestro, i
Templari ci hanno attaccato all’improvviso e sono riusciti a entrare perfino
qui!”
“Quanti
sono?” domandò preoccupato il Maestro, gettando un’occhiata fugace d’intorno,
per comprendere al meglio la situazione.
“Una truppa
di venti uomini, ma ne stanno arrivando altri”
“Venti! Non
è possibile che un numero così esiguo sia riuscito a passare!”
Senza
lasciare che l’Assassino finisse il suo resoconto, Al Mualim
gli ordinò con un cenno di ritornare a combattere e, prendendo la spada che
stava per rubargli la vita, si avviò alle porte della fortezza, ridiscendendo
la collina e uccidendo quei pochi soldati che gli paravano la strada.
Giunto nella
piccola piazza, si affacciò per vedere il paesaggio di sotto. Templari e
Assassini combattevano gli uni riversi nel sangue degli altri, coinvolgendo
civili innocenti; cadaveri immobili erano ammucchiati in più punti, quasi
simili a sinistri burattini gettati in un angolo, senza più alcuna utilità.
L’anziano
Maestro sentì una morsa dolorosa al cuore, nel vedere le centinaia di persone
coinvolte in quel massacro inutile. Soprattutto nel constatare che i suoi
uomini avevano la peggio e che i Templari entravano a frotte dalle porte della
città, come migliaia di formiche agitate che si avviavano verso il loro
formicaio.
È il secondo attacco avvenuto in un breve
arco di tempo da parte dei Templari. Che le nostre forze si siano così
indebolite?
Purtroppo,
non poteva certo immaginarsi la vera causa di questo improvviso assalto. Le
fila di questo massacro erano mosse da un misterioso burattinaio, che si celava
dietro le tenebre, attendendo solo il momento adatto per agire e chiudere lo
spettacolo.
E ormai non
mancava molto al triste esito.
Una figura
nera osservava lo scenario di caos da un masso che dava sulle pendici dello
strapiombo, ma che offriva una visuale perfetta dell’assalto. Se uno qualsiasi
preso dalla moltitudine di Assassini e civili avesse alzato gli occhi nella sua
direzione, avrebbe di sicuro riconosciuto in quella figura nera un corvo invece
che un essere umano, giunto fin lì con il ruolo di emissario di morte. Forse,
se qualcuno avesse alzato gli occhi e riconosciuto in quella figura la causa
dell’assalto, sarebbe riuscito a fermare tutto e mandare in rovina i veri
disegni nascosti dietro quelle azioni.
Ma nessuno
lo fece e Fadwa poté agire indisturbata.
Scese dal
masso, facendo attenzione a non perdere l’equilibrio, e toccò terra con un
tonfo leggero, alzando solo una lieve nuvola di polvere. Si guardò intorno e
tese le orecchie, come un animale che avvertiva il pericolo nell’aria, e non
appena ebbe appurato di essere da sola, si avviò senza fretta verso la piazza
poco più in basso della fortezza. Già si pregustava la sua vittoria ormai
certa.
Per un
attimo il pensiero che in mezzo a quella confusione potesse trovarsi
l’assassino di suo padre le fece ribollire il sangue, iniettandole una scarica
di eccitazione e al contempo di ansia; quando l’avrà riconosciuto, non esiterà
a conficcargli il pugnale nel cuore. E a quel punto la sua vendetta si sarebbe
finalmente compiuta.
E poi? Che cosa farò dopo?, si ritrovò a pensare, mentre uno strano e
sconosciuto sentimento la fece tremare impercettibilmente.
Paura. Paura
del futuro.
Perché la
vendetta non era forse stata l’unica cosa che l’aveva tenuta in vita? Non era
forse questa la ragione per cui si trovava lì?
Era
diventata il motivo principale della sua esistenza, fungendo da veleno che lasciava
marcire il suo cuore, e se si libererà di quella – di questo ne era certa –
sarebbe di sicuro morta. Almeno nell’animo.
Delle grida
disperate la riportarono bruscamente alla realtà, cancellando quella nube di
pensieri che le aveva oscurato la mente. Si ricordò di essere a Masyaf, nel mezzo di un assalto, e di averlo causato lei
stessa. Per un po’ si confuse fra i gruppi di abitanti che fuggivano
all’interno della fortezza, cercando con difficoltà di non farsi trascinare dal
fiume umano, ed ebbe il tempo di riorganizzare le idee e di rientrare
lentamente nel suo ruolo. Sfruttare la truppa di Templari appostata poco
distante dalle porte per creare scompiglio a Masyaf e
quindi far uscire allo scoperto gli Assassini e Al Mualim
era stata la migliore delle idee avute finora: quasi si sorprese della rapidità
e della perfezione con cui aveva preso forma il piano.
Facendosi
strada fra la folla urlante, riuscì ad arrivare alla piazzetta dove si
consumavano gli scontri principali. Fra questi, poté riconoscere quello del
Maestro contro un Templare, con quest’ultimo in netta difficoltà davanti alle
abilità dell’anziano Assassino. Fadwa rimase per un
po’ a osservarli, compiaciuta dalla fedeltà degli uomini nel compiere i suoi
ordini. Inoltre provò di nuovo una sincera ammirazione per quell’uomo così
vecchio, che ancora riusciva a tenere in mano una spada.
Bene, e ora da dove inizio?
Con un
ghigno furbo, si calò ancora di più il cappuccio sugli occhi e, celando la
propria presenza, si avviò in direzione delle porte di Masyaf,
evitando di farsi notare ulteriormente da entrambe le fazioni. Portò la mano al
manico del pugnale, sentendo il tocco familiare della lama.
Era ormai
pronta.
Fadwa
ignorò i cadaveri gettati alla rinfusa sulla strada, scavalcandone alcuni e
passando sopra quelli degli Assassini, con un moto di disprezzo e vittoria.
Tentò di frenare quell’onda improvvisa di sentimenti che la travolsero, quando
vide i corpi con gli occhi rovesciati di donne e perfino bambini. Forse quegli
stessi bambini che prima correvano gioiosi nella piazza.
Vide poi due
Templari che, dopo aver ucciso quei pochi Assassini rimasti a difesa delle
porte, festeggiavano la vittoria calciando e dilaniando ancor di più i cadaveri
ormai sfiniti degli abitanti. Oltre a loro, però, la piazza era deserta.
Le loro
risate beffarde le fecero montare la rabbia. Una rabbia cieca, violenta,
dettata da quella poca umanità rimasta in lei.
“Ah,
comandante! Qui abbiamo finito, attendiamo nuovi ordini” disse il primo,
allontanandosi dal cadavere di un uomo, forse padre e marito devoto.
“L’idea
dell’attacco improvviso li ha colti alla sprovvista e ci ha dato modo di
colpirli in modo drammatico: ci metteranno mesi prima di riprendersi!” rise
sguaiatamente l’altro, continuando a lanciare fendenti sul corpo di una donna.
Fadwa
si fermò davanti a loro, osservandoli con un’espressione indecifrabile. Gettò
uno sguardo fugace ai corpi e spostò nuovamente l’attenzione sulle uniche
creature vive rimaste oltre a lei in quel luogo. Poi alzò gli angoli della bocca:
stava sorridendo. Un sorriso inquietante, che poteva sembrare tutto, fuorché
amichevole.
“Ottimo
lavoro, soldati. Adesso potete congedarvi” disse semplicemente la ragazza, con
voce pacata.
Il primo
Templare che le si era rivolto avrebbe voluto ribattere, domandare se poteva
andare a dare una mano ai suoi compagni, ma non ne ebbe il tempo e neppure
l’occasione.
Non riuscì
nemmeno a emettere un ultimo suono, perché il colpo alla gola arrivò improvviso
e preciso, togliendoli la vita in pochi istanti. E in silenzio.
Il Templare
cadde a terra con un tonfo secco, mentre il suo compagno alzò finalmente gli
occhi per puntarli interdetto sul loro comandante. La donna, infatti, reggeva
ancora il pugnale con la lama ondulata macchiata di sangue, alto in aria e
pronto a colpire nuovamente. L’espressione sul suo volto, però, era peggiore di
qualsiasi visione di morte.
Fadwa
gli rivolse uno sguardo freddo, impassibile e privo di qualsiasi interesse
verso la vita umana: lo sguardo di un mostro, o meglio, di un feroce assassino.
Gli occhi vuoti erano scarlatti, brillanti nonostante la fioca luce del
tramonto: dietro quelle iridi, però, c’era un luccichio di follia, o forse di
celato e profondo dolore.
Il Templare
non riuscì a pensare altro su quegli occhi. Aprì la bocca per emettere un suono
inarticolato, portò distrattamente la spada in alto e si ritrovò la donna
subito accanto, con il pugnale pericolosamente vicino alla sua gola. Non riuscì
a dibattersi perché Fadwa non gliene diede il tempo e
in breve anche lui si ritrovò disteso a terra vicino al suo compagno, entrambi
senza vita.
Con uno
sguardo pieno di disgusto, guardò per l’ultima volta il suo lavoro e si voltò
per tornare indietro.
Aveva appena
tolto la vita a due dei suoi uomini, a due suoi compagni. Li aveva traditi e
uccisi senza alcuna pietà. Ciò che provava in quel momento non seppe
spiegarselo, sebbene sentisse una lieve fitta di dolore che si insinuava lenta
fra i nervi, irritandola.
Ho fatto la cosa giusta?
Poi si
ricordò del loro scempio su quei corpi morti e infine si ricordò del motivo per
cui era giunta fin lì: così quel poco di senso di colpa svanì in un istante.
Alcuni
sacrifici erano necessari per raggiungere i propri scopi.
“Abbiate
almeno rispetto per i morti, stolti” dichiarò Fadwa
con voce sepolcrale, continuando a camminare senza più voltarsi, lasciandosi
alle spalle il primo passo del suo tradimento.
Al Mualim sentì tutto il peso degli anni, della vecchiaia,
farsi improvvisamente insopprimibile e per un attimo cedette ai colpi sempre
più violenti e continui del suo avversario. Il Templare se ne accorse e ne
approfittò, colpendolo con una mano guantata di ferro al petto e costringendolo
a indietreggiare. Il prossimo colpo arrivò dritto allo stomaco e costrinse il
vecchio a piegarsi in due e inginocchiarsi a terra dolorante. Gli altri
Assassini, nel vedere quella scena, avrebbero voluto intervenire ma i loro
avversari impedirono ogni mossa che potesse permettere di aiutare il Gran
Maestro.
Il Templare
che lo aveva colpito torreggiava su di lui con aria trionfante e sprezzante,
gesticolando con la spada ormai sicuro della vittoria.
Al Mualim pensò velocemente a come rispondere all’offesa
ricevuta, mentre la consapevolezza della sua debolezza si faceva sempre più
dolorosa da ammettere. E lì, inginocchiato di fronte al nemico, si sentiva
terribilmente impotente. E inutile.
Il Templare
rise sguaiatamente e alzò la spada per conficcarla nella gola dell’uomo. Ma un
urlo strozzato attirò la sua attenzione e si costrinse a volgere le spalle al
nemico, con la certezza che quello non avrebbe più potuto fare mosse avventate.
Ciò che vide di seguito gli fece cadere a terra la spada.
I suoi
compagni cadevano come bambole a terra, tutti trafitti dalla lama rossa e
scintillante di un pugnale finemente lavorato, la cui luce creò un baluginio
sinistro. A reggerlo, un uomo vestito di nero, con il cappuccio calato sul
volto, ma il cui aspetto era stranamente familiare al Templare. L’uomo si voltò
verso il Templare, con i muscoli tirati fino allo spasmo e lo sguardo da
predatore famelico rivolto al suo ultimo obbiettivo.
Il Templare
riconobbe quel colore inconsueto degli occhi e perfino lo sguardo carico di una
freddezza disumana. In altre occasioni avrebbe ammirato la bellezza di quelle
iridi scarlatte, ma non in quel momento.
Perché
quegli occhi furono l’ultima cosa che vide, prima che Fadwa
scattasse verso di lui e, con un agile salto, gli si avventasse contro,
tagliandogli la gola con un unico colpo.
Quando Fadwa si accertò che avesse smesso di respirare, si voltò
verso la folla di Assassini, Templari e civili che si erano ammucchiati lì
vicino. I Templari la guardarono incerti e con la confusione dipinta nei loro
occhi, ma bastò uno sguardo severo e adirato per metterli a tacere e intimarli
dal non chiamarla per nome.
Anzi, quegli
occhi parevano dire: Andatevene, o farete
la sua stessa fine.
Come se
avessero obbedito a un unico ordine, i Templari scesero la collina per fuggire
verso le porte, lanciando di tanto in tanto gemiti spaventati e sguardi persi
per l’improvviso gesto del loro comandante. Non appena tutti se ne furono
andati, gli Assassini e i civili tirarono un sospiro di sollievo e rilassarono
i muscoli. Cosa che fece anche Fadwa.
Ce l’ho fatta: ogni cosa è andata secondo il
piano.
Al Mualim si rialzò lentamente, senza distogliere lo sguardo
indagatore dalla ragazza sopraggiunta come un miraggio. Gli aveva salvato la
vita, e di questo doveva rendergliene merito.
Ma qualcosa
non tornava nella sua nuova ricomparsa.
“Perché i
Templari ci hanno attaccato? E come mai tu
sei ritornata qui?” chiese sospettoso l’uomo, mentre alcuni Assassini andarono
al suo fianco per prevenire qualsiasi caduta.
“I Templari
mi hanno seguito per un buon tratto e sono giunti fin qui. Ho sottovalutato il
loro numero e la loro forza: credevo che fossero molti meno. Ho messo a
repentaglio la vita di molti innocenti” si scusò Fadwa,
abbassando la testa in atto di perdono.
Al Mualim la osservò a lungo, in silenzio, chiedendosi però
dove aveva imparato a combattere a quel modo con un semplice pugnale. Per il
momento, però, preferì evitare la domanda.
“E ora, come
ti senti?” le chiese semplicemente.
Fadwa
parve interdetta.
“In che
senso?”
“Ti sei
vendicata, no? Allora, come ti senti?”
Fadwa
trattenne a stento una risata amara che stava per prorompere dalla sua gola,
imponendosi la calma.
Se solo sapessi la verità, vecchio, non
saresti qui a chiacchierare tranquillo con me…
“Soddisfatta,
penso. Per ora, non provo niente: è come se mi sentissi vuota…” mentì Fadwa, simulando incomprensione e gesticolando confusa.
“La vendetta
non porta a niente e crea solo un enorme vuoto all’interno del proprio cuore.
Cerca di mantenerlo sano e integro, perché un giorno ti servirà”
Dette queste
parole, Al Mualim urlò un paio di ordini ai suoi
Assassini e intimò i civili con voce paziente a entrare tutti nella fortezza,
per curare i feriti e contare le perdite. Poi invitò Fadwa
con un cenno a seguirlo e lei, con celata riluttanza, fece quanto richiesto.
“Dunque, ora
cosa intendi fare?” le domandò Al Mualim, incrociando
le braccia dietro la schiena e osservandola con l’unico occhio sano.
Fadwa
poté constatare con ironia che stava bene, nonostante i colpi ricevuti dal
Templare.
L’aveva
condotta nello stesso luogo in cui si erano incontrati per la prima volta,
qualche ora fa. Oramai, il sole era quasi del tutto tramontato e di sotto,
nella piazza di addestramento, erano accasciati a terra centinaia di feriti che
lanciavano deboli lamenti al vento.
Nonostante
quella fastidiosa canzone, Fadwa si concentrò
sull’uomo di fronte a lei.
“In verità,
non lo so. La mia famiglia non vive più, la mia casa è stata saccheggiata e
distrutta e io sono ancora braccata dai Templari… Non ho un posto dove andare”
disse la ragazza con voce lamentevole.
“Se resti
qui i Templari torneranno a frotte a cercarti e non basteranno nemmeno i miei
uomini a fermarli alle porte, né un tuo intervento miracoloso. Non possiamo
rischiare per te, ragazza!” disse quasi adirato Al Mualim.
E a cosa è servito questo massacro?! Ho
ucciso i miei uomini per un mero rimprovero?
“Tuttavia…”
aggiunse il Maestro prima che lei potesse ribattere, “Ci sei stata di grande
aiuto e le tue abilità si sono rivelate utili nel proteggere alcuni civili.
Inoltre, hai salvato la mia vita e quella dei miei uomini. Di questo te ne
siamo eternamente grati” disse, accennando a un lieve inchino.
Fadwa
rimase colpita da quel gesto e dall’ammissione di un vecchio orgoglioso come Al
Mualim sul fatto che lo avesse salvato da morte
certa. In un certo qual modo, si sentì lusingata e superiore a lui, almeno per
quello.
“E forse
potrai fornirci aiuto anche in futuro. La tua richiesta di prima… Ne sei ancora
convinta? Una volta intrapresa la via dell’Assassino, è impossibile tornare
indietro” le domandò finalmente, osservandola attentamente per cogliere
qualsiasi movimento.
“Sì! Vi
prego, fatemi diventare un’Assassina!” quasi urlò Fadwa,
al colmo dell’eccitazione.
Finalmente
ce l’aveva fatta.
Al Mualim annuì e le si mise davanti, alzando le mani e
ponendogliele sulla fronte. Fadwa si irrigidì a quel
contatto, sentendo le mani rugose e callose dell’uomo sulla sua pelle. Quel
tocco, però, era stranamente gentile e protettivo, come un padre con la propria
figlia. E pensando a questo, sentì un nodo alla gola.
“Dunque, Fadwa, da adesso fai parte della Confraternita. Sei una
Novizia, una bambina che deve apprendere tutto dell’arte dell’assassinio: da
qui inizierà il tuo percorso per diventare un’emissaria di Morte. Qui verrai
chiamata sorella e verrai trattata
come tale da tutti i tuoi fratelli”
Fadwa
rimase in rispettoso silenzio, sentendo l’importanza di quel battesimo
consumatosi nel sangue che però le permetterà di entrare nell’Ordine. La sua
vendetta, ormai, era vicina.
Forse più di
quanto si aspettasse.
“Maestro,
sono tornato” disse una voce dietro di lei, rompendo quello strano incantesimo
che le aveva annebbiato i sensi.
Il Maestro
parve riscuotersi dai suoi pensieri e alzò gli occhi verso la fonte di quella
voce, staccando le mani dalla fronte della Novizia. Non appena lo riconobbe, un
sorriso spuntò da dietro quella barba.
“Ah, Altair,
bentornato! Se tu fossi arrivato prima, magari alcune perdite si sarebbero
potute evitare…”
Anche Fadwa si voltò curiosa verso la fonte di quella voce,
chiedendosi a chi potesse appartenere quel suono roco ma gradevole.
Non appena
vide la figura vestita di bianco, si irrigidì al proprio posto e ogni cosa
parve fermarsi. Il Maestro, la rocca, i feriti lì fuori scomparvero tutti. In
quel frangente c’erano solo lei e l’Assassino.
Altair.
Quello era il nome dell’assassino di suo padre.
Quello era
l’uomo che le aveva riso in faccia, a un passo dalla sua vendetta.
Quello era
l’Aquila che le era sfuggita dalle mani, volando libera nei cieli di Damasco.
Spazio dell’autrice:
finalmente è
comparso Altair! E finalmente la storia prende la sua giusta direzione, e io
sono ogni giorno più soddisfatta del mio personaggio, che di capitolo in
capitolo sta prendendo una forma. Ora che sulla scena è arrivato Altair, le
cose cambieranno radicalmente per la protagonista… Basta, non dico altro!
L’assalto a Masyaf, Al Mualim in difficoltà
(devo ammetterlo, mi sono divertita a dipingerlo così!), la decisione di Fadwa… Ho dovuto lavorarci parecchio su questo passo,
perché pareva non andarmi mai bene, ma penso infine di essere riuscita a tirare
fuori qualcosa di almeno decente…
Inoltre, ho
finito Assassin’s Creed! E questo
è un altro dei motivi per cui ho ritardato a pubblicare il capitolo ^^”. Già mi
manca guidare Altair ad ammazzare la gente XD…
Bene, con
questo sarà meglio chiudere, altrimenti mi dilungo troppo.
Ringrazio
per la recensione: Princess_Slytherin,
Vanny2003.
Al prossimo
capitolo!