Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: yeahbuddie    16/02/2012    5 recensioni
C’era il sole, che splendeva caldo e luminoso nel cielo azzurro, senza neanche un accenno di nuvola; il mare era di un colore tra il turchese e il celeste, mentre la sabbia fina era chiara e morbida, umida sotto il tocco dei piedi bagnati dalla schiuma che si formava sulla riva. Era il paradiso, nel vero senso della parola, e in ventiquattro fottutissime ore, avrei finalmente potuto respirare di nuovo quell’aria fresca e salata che tanto mi mancava.
Ventiquattro ore.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
do you ever feel like breaking down?
do you ever feel out of place?
like somehow you just don't belong,
and no one understands you.
simple plan - welcome to my life



«Hai fame?» Chiese Will d’un tratto, ancora sulla strada per la mia nuova casa.
«Da morire.»
«Allora non ti dispiacerà fare una piccola deviazione!» Esclamò sorridente, svoltando a destra all’improvviso, facendomi quasi morire d’infarto. Quasi. 
Mentalmente, aggiunsi anche di non andare spesso in macchina con lui in futuro: se guidava così, sarebbe meglio andare a piedi, anche se fossi dovuta andare in Finlandia. 
Continuammo per quella direzione per altri dieci minuti buoni, finché non arrivammo davanti ad un ristorante italiano, che aveva il nome di “Nando’s”.
Entrammo e ci sedemmo senza troppi preamboli, e non persi tempo ad afferrare il menù. Sperai solo che i soldi non fossero un problema per loro, o che quel posto non fosse caro.
«Io prendo una brioche e del succo al pompelmo.» Ordinò Sarah, mentre Will sfogliava il menù come me.
«Frittelle con triplo sciroppo e succo alla pesca!» Esclamammo entrambi, nello stesso momento, facendo partire una specie di risata di gruppo. 
«A quanto pare, andrete più che d’accordo voi due!» Disse Sarah sorridendo, per poi dare un buffetto sulla guancia a Will.
Sì, saremmo andati più che d’accordo, se Will non avesse finito lo sciroppo al cioccolato. Odiavo quando succedeva, all’orfanotrofio ne tenevo sempre delle scorte nel cassetto del mio armadio, in caso volessi fare i famosi “spuntini di mezzanotte”.
«A patto che non finisca tutto lo sciroppo» rispose Will, guardando il menù quasi affascinato. Bene, oltre che prendere la stessa ordinazione ed essere golosi di sciroppo, leggeva anche nel pensiero?
C’era qualcosa però, in quell’uomo, che mi spingeva a conoscerlo, e ad essere gentile. Avrei dovuto conviverci per molto, molto tempo, e il fatto che mi andasse a genio erano molti punti a suo favore, decisamente. 
«Non lo farò se non lo farai neanche tu.» 
«Affare fatto.» Disse deciso, allungando la mano per segnare il nostro patto. Ricambiai la stretta, e non appena arrivarono le nostre ordinazioni, mi buttai letteralmente sulla mia.
Non ero una che di solito si sbrodolava mangiando, cosa che in quel momento successe parecchie volte, ma non m’importava. Stavo letteralmente morendo di fame, e dopo novanta giorni di reclusione e con del cibo paragonabile a cacca e plastica, chi poteva biasimarmi? 
«Scusate..» dissi un po’ in imbarazzo, quando finii il tutto in non più di cinque minuti. Avevo ingurgitato il bicchiere di succo ancor prima di mangiare le frittelle, il che mi fece quasi strozzare con quelle, ma alla fine ero sopravvissuta.
«Non preoccuparti,» rispose dolcemente Sarah, «Possiamo capire la fame.»
Ecco, perfetto, allora non era un problema spendere altri otto dollari. «Potrei ordinarne un altro piatto?» Chiesi quasi con nonchalance e con la bocca appiccicosa per via dello sciroppo al cioccolato. Mi pulii con un fazzoletto, mentre Will finiva di ingurgitare le sue frittelle e Sarah ordinava un altro piatto per me. 
«Grazie.» Le sorrisi a trentadue denti, non appena il cameriere posò il piatto di frittelle al cioccolato davanti ai miei occhi affamati.
 
Dieci minuti dopo, Will aveva pagato il conto ed eravamo tornati in macchina, e a quanto aveva detto, saremmo arrivati in men che non si dica. Io mi limitai a rispondere con un sorriso, guardando poi il panorama fuori dal finestrino, mentre pian piano ci avvicinavamo alla nostra meta: la mia futura nuova casa.
Quando arrivammo e Will parcheggiò l’enorme macchina, non mi sorpresi. La casa era come l’avevo immaginata in quei quindici minuti di viaggio: grande, con un bel giardino e ben arredata, anche se non eravamo ancora entrati all’interno. Il sole caldo della California risplendeva sul prato verde intenso, e passava attraverso le finestre a forma di oblò del piano di sopra. 
Da bravo galantuomo, Will prese la mia valigia, mentre io fissavo affascinata la loro dimora, curiosa di entrare. 
L’interno non era meno bello dell’esterno, al contrario, era davvero meraviglioso e da veri ricconi di Beverly Hills. Non che Will e Sarah fossero i soliti viziati e ricconi Californiani, perché non lo sembravano affatto, ma la casa era come tutte le altre case di quella grande e famosa città. Era ben illuminata e per l’arredamento avrei giurato che si fossero rivolti a qualche agenzia d’arredo, finché non vidi il plastico di una casa in costruzione su un enorme tavolo di legno massiccio nel salotto. Se Will dirigeva una scuola di musica, molto probabilmente Sarah costruiva case, il che, molto probabilmente, le aveva permesso di costruire ed arredare la sua.
«Questa è la tua camera.» Annunciò Will una volta che fummo al piano di sopra, in una stanza opposta a quella che mi aveva mostrato come la loro. «Scusa per le pareti azzurre, in realtà aspettavamo un bambino, ma poi abbiamo scelto te e quindi..» 
Sembrava che stesse parlando di Pokémon anziché di ragazzi, ma non me ne curai ed entrai nella mia nuova camera, guardando ogni angolo di essa, ovviamente bene arredata. 
C’era una scrivania di un legno beige sul muro opposto a quello in cui si trovava un grande letto a baldacchino, ricoperto da all’incirca una quindicina di cuscini, dello stesso colore della trapunta. Era un letto a baldacchino, di quelli che si vedono nelle camere delle ragazzine viziate – lo avevo visto in alcuni film adolescenziali – di quelli che avevo sognato di avere. Le tende del letto però erano bianche, perciò aggiunsi alla mia lista mentale di comprarne di nuove, celesti.
«Mi piace il celeste, è il mio colore preferito.» Ammisi, sorridendo al riccio sulla soglia della camera.
Will sorrise, incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi allo stipite della porta. «Dovremmo fare conoscenza come si deve, se vogliamo andare d’accordo e non litigarci lo sciroppo.» 
Concordo. Quell’uomo mi piaceva sempre di più, ci sapeva fare (almeno così sembrava) e beh, a me non piaceva mai nessuno al di fuori di Paul, Margaret e sì, Ryan e Jack.
Mi avvicinai a Will, porgendogli una mano mentre sorridendo dissi: «Sono Allyson, Munroe.»
Lui ricambiò la stretta, sorridendomi di rimando. «Will, Will Smith.»
Scherzava? Scoppiai a ridere, e se non avessi digerito la colazione qualche minuto prima, probabilmente gliel’avrei sputacchiata addosso tra le risate.
«Stai scherzando? Mi pareva che Will Smith fosse di colore e un po’ tanto più alto di te.» Scherzai, misurando la sua altezza con la mano. «E forse anche più carino. E più ricco, e famoso. E pure..» 
«Okay, ho capito! Non sono alla sua altezza, ma se proprio vuoi saperlo, il secondo nome di Sarah è Jessica.» M’interruppe sorridendo, per poi accigliarsi un poco quando si accorse che non avevo afferrato il concetto. «Il suo cognome è Parker.»
Okay, dov’erano le telecamere nascoste?
«Scherzi, vero? Sarah Jessica Parker e Will Smith?» Chiesi incredula, per poi scoppiare in una fragorosa risata. «Magari uno dei due ha anche un parente che si chiama James Bond, no?» Continuai, ancora ridendo. 
Era un po’ strano che entrambi avessero nomi di celebrità, era alquanto bizzarra come cosa, ma allo stesso tempo divertente.
«Va bene, ti lascio riprenderti e sistemarti,» annunciò di nuovo, non smettendo di sorridere mentre indietreggiava. «Ti chiamiamo quando è pronto il pranzo, a meno che tu non scenda prima.»
Annuii, e non appena fu fuori dalla stanza, feci un giro lentamente, percorrendola tutta con lo sguardo. 
Era grande, più o meno due volte quella che dividevo con Mary all’orfanotrofio, ed era accogliente. Mi dispiaceva un po’ il fatto di avere una sola misera valigia con cui riempire quella stanza, ma forse sarei riuscita a rimediare quando avrei trovato un lavoro. Perché l’avrei fatto. Avevano deciso di adottarmi ed ora sarebbero stati i miei nuovi genitori, certo, ma avevo diciassette anni e non volevo dipendere da loro. Non volevo dipendere da nessuno in realtà, e non volevo far pagare tutto quel che facevo o compravo a Will e Sarah, gli ero già grata abbastanza per avermi tirata fuori da lì.
Non ci misi molto a disfare la mia unica valigia, così, dopo aver tirato fuori da lì il mio cellulare preistorico e averlo messo in carica, mi stesi un po’ sul letto alto e comodo, rilassandomi del tutto.
Forse mi addormentai, o forse era semplicemente il tempo che passava in fretta quel giorno, ma passai lì sopra ben due ore, finché non salì Sarah a chiamarmi per il pranzo.
Prima di scendere al piano di sotto feci un giro per la casa, passando in rassegna tutte le stanze al piano di sopra – due bagni, la stanza di Will e Sarah, le due camere per gli ospiti ed uno sgabuzzino – e il piano di sotto – un enorme salotto con tanto di tv al plasma da almeno cinquanta pollici, una spaziosa e luminosa cucina, un’altra camera per gli ospiti, un altro bagno, la sala hobby (non che “sala musica”) e la veranda illuminata dal sole, che portava al grande giardino.
In sintesi, era tutto meraviglioso, sia all’interno che all’esterno, e di sicuro non ci avrei messo molto ad abituarmi a quello stile di vita. L’unica pecca era che in quell’enorme giardino non c’era una piscina.
Pranzammo in fretta, Sarah e Will avevano fatto a turno in cucina preparando un’insalata di riso coi fiocchi, seguita da pesce e carote. Io ovviamente avevo finito tutto ciò che c’era nel piatto, mi era mancato il vero cibo e non ero mai stata una schizzinosa. Mangiavo sempre tutto, dal pesce alle verdure, e dalla frutta ai dolci, e per mia fortuna non mettevo mai su un chilo.
Dopo il pranzo che direi ottimo, Will si chiuse nello studio di Sarah – che non avevo notato prima – a fare non so cosa, mentre Sarah mi chiese di aiutarla con il plastico mentre guardavamo il dvd di “Scrivimi una canzone”, con quel grand’uomo di Hugh Grant. 
Non ero brava in cose artistiche, perciò Sarah mi diede istruzioni ben precise, quali tenere fermi dei bastoncini di legno mentre lei li dipingeva di bianco. 
Lavorando in due finimmo all’incirca venti minuti dopo l’inizio del film, perciò riuscimmo a godercelo fino all’ultimo, e non appena finì, Will spuntò nel salotto avvisandoci che sarebbe andato a fare la spesa, così ci unimmo a lui. 
Erano le 17,00 quando arrivammo a destinazione, e dopo aver passato in rassegna ogni negozio del centro commerciale in cui si trovava il supermercato, tornammo a casa. 
Non era molto lontano da lì, più o meno venti minuti di macchina, in quanto la casa si trovava nel centro di Beverly Hills. Il centro commerciale aveva lo strano nome di “Styles”, forse riferito allo stile che aveva il posto, e mi ricordai di farci un salto più spesso, in quanto ci fossero dei negozi che mi avevano affascinata, quali H&M, Bershka, ed altri con nomi strani e improbabili. 
Al supermercato avevo pregato Will di poter fare scorta di schifezze varie, quali Haribo, Haribo ed Haribo, e lui aveva acconsentito al mio primo “ti prego”, così lo ringraziai tante volte quanto lo avevo pregato, e gli promisi che l’avrei ripagato non appena avessi potuto.
Le Haribo erano le mie caramelle preferite, e non potevo farne a meno. Le avevo scoperte un giorno di due anni prima, quando le avevo trovate nell’ufficio di Afrodite e per fame e curiosità ne avevo assaggiata una, mentre ovviamente lei non c’era.
Da quella volta, andai tutti i giorni nel suo ufficio di nascosto, sperando di trovarci quelle caramelle – cosa che feci – e prendendone a manciate un po’ per volta. Magari era da malati, ma amavo davvero quelle robe dolci e gommose, e poi, dovevo pur passare il tempo in qualche modo, no? 
Ora che ne avevo l’opportunità, ne feci scorta. Presi vari pacchi di rotelle alla liquirizia, di orsetti gommosi e di marshmallow, completando l’opera con i ciucci zuccherati. Ero golosa, forse una delle persone più golose al mondo, ma non avendo problemi col peso non me ne curavo, né tantomeno delle carie, in quanto avevo sempre avuto una dentatura perfetta, da far invidia ad una star di Hollywood.
A cena, mangiammo dell’insalata con contorno delle cotolette, per non andarci giù pesante dopo il pranzo, e non appena finimmo corsi su in camera, dopo aver dato la buonanotte ai due che avevano in progetto di guardare un film romantico. Erano carini, e sembravano fatti apposta per stare insieme, il che mi fece sorridere per il resto della serata, dato che non avevo mai visto né vissuto qualcosa che si avvicinasse almeno un po’ a quel sentimento chiamato amore.
Dopo aver chiuso la porta e spalancato le ante dell’armadio, tirai fuori il pigiama, posando i vestiti che avevo indossato al posto di quello, e mi buttai letteralmente sul letto, sotto le coperte. La California sarà anche calda e soleggiata, ma la sera era piuttosto fresco.
Quando chiusi gli occhi, erano più che sicura che il mio cervello sarebbe partito per la tangenziale, immaginando come sarebbe stata la scuola di musica, o come sarebbe stato anche solo risvegliarsi in quella nuova casa, con delle persone che si prendevano cura di me e che soprattutto non mi trattavano con ribrezzo. Invece, mi addormentai subito dopo.
 
Non sognai nulla quella notte, forse perché avevo finalmente dormito in un vero letto e dovevo riabituarmici, o forse perché semplicemente non dovevo sognare, ma quella mattina mi svegliai riposata, e felice.
Guardai l’ora sul display del cellulare antiquato, che segnava le nove in punto, così mi stiracchiai tranquillamente, per poi alzarmi e dirigermi in bagno portandomi dietro i pochi accessori che avevo. 
Entrai nel bagno accanto alla mia stanza, non volevo svegliare Will e Sarah facendo rumore in quello accanto alla loro, in caso stessero ancora dormendo. E poi quello era più comodo per me. Era anche piccolo ma allo stesso tempo spazioso, per cui avrei tranquillamente potuto metterci la mia poca roba. 
Lavai faccia e denti in fretta, e dopo aver dato una smossa ai capelli già mossi, uscii e tornai in camera, scegliendo a caso dei vestiti. Tolsi i pantaloni a quadri del pigiama e indossai dei jeans chiari, sostituendo poi la maglietta bianca del pigiama con una canottiera nera, con sopra una di quelle maglie larghe che lasciavano scoperta una spalla, di colore grigio, e completando il tutto con degli stivaletti neri, che erano anche l’unico paio di scarpe che avevo. Erano un po’ da rockettari forse, ma erano alla moda, e pure che non lo fossero a me piacevano lo stesso. 
Quando scesi al piano di sotto, trovai Sarah in cucina, intenta a preparare la colazione mentre guardava la tv. 
«Che cos’è?» Chiesi riferendomi al programma che stavano trasmettendo, in cui c’erano dei vecchietti intenti a ballare in coppia, che a quanto pare erano più arzilli di me. 
Sarah sussultò per la sorpresa, e nello stesso istante entrò Will dalla porta di casa, con un giornale. 
«Non farmi mai più una cosa del genere» rispose la bionda portandosi una mano sul cuore. «Comunque, “Appuntamento al buio”, è il mio programma preferito.» Sorrise.
Appuntamento al buio? Da quando in qua facevano certi programmi in tv? E soprattutto, da quando in qua uomini e donne di mezza età partecipavano a cose del genere? Avrebbero dovuto stare a casa con la famiglia, magari occupandosi dei nipoti o lavorando all’uncinetto – le donne – oppure giocando a bocce – gli uomini. 
Io alla loro età sarei stata fin troppo vecchia per ballare in quel modo, ma soprattutto sarei stata troppo pigra per alzarmi dalla poltrona su cui avevo sempre immaginato di essere sempre seduta all’età di novant’anni, o magari su una sedia a dondolo di quelle antiche. Mi meravigliò un po’ che Sarah guardasse certi programmi che secondo me erano alquanto stupidi, ma forse non era così male, almeno si poteva ridere dietro quei vecchietti.
«Questo Natale nevicherà.» Proruppe Will, interrompendo i miei pensieri riguardo al programma, e facendo voltare Sarah verso di lui, che si sedette su uno degli alti sgabelli di fronte al piano della cucina su cui lavorava lei. 
«Siamo appena agli inizi di settembre e già danno notizie riguardanti dicembre?» Gli chiese lei, incredula, continuando a preparare quel che dovevano essere squisite frittelle.
Will alzò le spalle, continuando a leggere l’articolo. 
«Sarebbe bello se nevicasse,» m’intromisi, avvicinandomi a Sarah per darle una mano. «Non ho mai visto la neve.»
«Beh,» rispose lei, illuminandosi con un sorriso più che gentile. «Allora sì, sarebbe bello.»
Will sorrise, e dopo aver richiuso il giornale, mi squadrò pensieroso.
«Ti andrebbe un giro turistico?» Chiese poi.
«Dove?»
«Per la scuola, pensavo di farti fare un giro turistico.» Mi sorrise a trentadue denti, mostrando due fossette ai lati della bocca che non avevo notato prima.
«Fico.» Risposi abbozzando un sorriso, che entrambi ricambiarono. Un giro turistico sarebbe andato più che bene, anche se non sapevo ancora quando avrei dovuto cominciare a seguire le lezioni. Forse però la scuola non era ancora neanche iniziata, in quanto eravamo ancora al cinque di settembre. 
«Quando cominceranno le lezioni?» Chiesi sedendomi accanto a lui, cospargendo le mie frittelle di sciroppo al cioccolato.
«Oggi.» Okay, questa non l’avevo prevista però. Vedendo la mia espressione corrucciata, Will sorrise ancora e continuò. «Ma tu sei un’eccezione, puoi iniziare domani.»
Non che un giorno in più cambiasse tanto, ma almeno avrei potuto prepararmi psicologicamente a quel che avrei dovuto affrontare, come la scuola, i compagni di scuola che non avevo mai avuto, e soprattutto la musica. Non avevo mai frequentato niente del genere, e non ero nemmeno una cosiddetta musicista, semplicemente mi piaceva suonare il piano. Non sapevo cantare, o meglio, sapevo farlo dato che lo facevo solitamente sotto la doccia, ma non ero minimamente intonata, né tantomeno avrei potuto diventare una cantante. Magari c’erano corsi di specializzazione per soli pianisti; in quel caso, avrei frequentato le lezioni senza problemi.
«Va bene.» Risposi solamente, prima di addentare le mie frittelle.
Stavolta masticai lentamente, senza abbuffarmi né sbrodolarmi, e riuscii anche a finire il bicchiere di succo dopo aver finito le frittelle. 
Quando finimmo tutti e tre la colazione, Will mi disse di aspettarlo in macchina mentre prendeva la sua roba, e lo vidi parlottare con Sarah prima di raggiungermi. Erano allegri, perciò non dovevo aver fatto niente di male, non ancora almeno.
«Allora, ti farò fare un giro per le aule di musica..» cominciò una volta entrato in macchina, ma si interruppe non appena vide il mio sguardo terrorizzato. Non volevo essere presentata per ogni classe, perché avrei sicuramente finito per fare qualche figuraccia delle mie. «Non preoccuparti, ti porto in quelle in cui non si stanno svolgendo delle lezioni.» Disse sorridendo, tranquillizzandomi.
Perfetto, niente figuracce.
«Ti farò vedere anche l’aula magna, l’aula concerto  in cui ovviamente si svolgono i concerti, e tante altre cose. Ti piacerà.»
Annuii convinta, e premetti il tasto di accensione sulla radio, che si accese subito trasmettendo “This love” dei Maroon 5, uno dei miei gruppi preferiti. 
La canticchiai a bassa voce, sentendo addosso lo sguardo di Will, e quando mi voltai a guardarlo lo vidi sorridere, di nuovo. 
«Canti?»
No, non canto. Canticchio. «No, non sono capace.» Risposi scrollando le spalle, per poi voltarmi verso il finestrino. 
«Non dire che non sei capace, anche perché non è vero.» Cominciò di nuovo, guardando dritto davanti a sé, voltandosi di tanto in tanto. «Se ti piace cantare, fallo e basta. Non importa che tu sia stonata o intonata; canta. E poi, hai una bellissima voce.»
Per la seconda volta nel giro di quarantotto ore mi chiesi dov’erano le telecamere nascoste. Io non sapevo cantare, quindi perché dovevo farlo? Per rovinare l’udito a qualcuno o magari perdere la voce? Certo, mi piaceva farlo, ma non ero esperta in materia e comunque non ero neanche intonata. E non mi piaceva la mia voce, era orribile. Sembrava quella di un’oca in procinto di morte, e odiavo il fatto che ogni qual volta fossi stanca, la mia voce cambiasse quasi radicalmente, passando da quella di un’oca a quella di una fumatrice accanita senza voce. Non c’era niente di bello in tutto ciò, affatto.
Lasciai perdere il discorso e continuai a guardare fuori, senza più cantare però. Will fece lo stesso, forse intuì che non ero d’accordo o che non volevo parlarne, ma comunque non aprì bocca finché non arrivammo a destinazione.
«Aspettami un attimo qui» disse non appena parcheggiò nel grande parcheggio di fronte alla scuola. «Devo parlare con uno dei professori prima che entri in classe e fugga da me.» Sorrise, scendendo dalla macchina e chiudendo la portiera. La radio era ancora accesa, ed ora in stazione c’era una qualche canzone di Usher che non conoscevo; probabilmente era uscita durante il mio periodo di reclusione.
Mossi un po’ la testa a ritmo, attenta a non farmi vedere da nessuno degli studenti o dei professori che si trovavano nel parcheggio, finchè un qualche coglione non mi fece quasi morire d’infarto. 
Qualcuno aveva tamponato la macchina, e sperai con tutto il cuore che non ci fosse nemmeno un graffio, o avrei scommesso che Will si sarebbe incazzato di brutto. Sembrava un tipo tranquillo e sempre allegro, perciò non volevo vederlo arrabbiato per qualche idiota che aveva avuto la patente con i punti del latte.
Scesi dalla macchina infuriata, sbattendo la portiera ed andando incontro a chiunque fosse così idiota da tamponare la macchina del preside.
«Ma sei matto?!» Sbottai al tipo, un ragazzo riccio che sembrava avere più o meno la mia età. Era sceso dalla macchina per controllare il danno, e quando gli sbraitai contro si grattò la testa, fingendosi confuso. Ma confuso un corno, se non sai guidare non farlo!
«Sto parlando con te, brutto idiota!» Urlai avvicinandomi a lui, che alzò lo sguardo verso di me, guardandomi spaesato. «La patente l’hai trovata nell’ovetto Kinder per caso? Impara a guidare, o non portarla proprio la macchina!» Urlai di nuovo, incrociando le braccia sul petto e facendo voltare qualche studente verso di noi, mentre fulminai con lo sguardo il ragazzo davanti a me.
«E’ tua? La macchina?»
Certo, specifichiamo pure che stiamo parlando della macchina, perché per un momento pensavo davvero che stessimo parlando di elefanti col tutù. 
«No, è di quello che tu chiami preside.» 
Non urlai, ma il mio tono era comunque alto, e sentendo la parola “preside”, il volto del ragazzo passò dal finto confuso a terrorizzato. Bene, non mi dispiaceva per lui.
«Merda.» Disse poi, mettendosi le mani tra i capelli. 
Un ragazzo lo affiancò, spuntando dal nulla tra il gruppetto di studenti attorno a noi, il quale si era drasticamente dimezzato non appena avevo parlato del preside, ovvero Will.
«Harry, che succede?» Chiese confuso l’altro ragazzo, poggiando una mano sulla spalla dell’amico. 
«Succede che sono nella merda, è la macchina di Smith!» 
Bene, se era nei guai, ero davvero ma davvero contenta per lui. Così imparava a guidare prima di prendere un volante tra le mani, la prossima volta.
«E lei chi è?» Chiese ancora l’amico, stavolta riferito a me. 
Non l’avevo notato prima, ma aveva degli occhi meravigliosi. Erano di un colore tra il castano-dorato, ed erano liquidi e profondi come il miele. La pelle ambrata era chiaramente dovuta alla sua origine, si vedeva lontano un miglio che non era dovuta al sole, mentre i capelli erano di un nero corvino, pettinati alla perfezione in una cresta all’antica, che era più o meno un incrocio tra John Travolta in “Grease” e Bruno Mars. 
Avrei scommesso che qualsiasi ragazza si sarebbe sciolta sotto quello sguardo, compresa me, ma in quel momento non potevo permettermi quel lusso. 
Ero arrabbiata con quel tipo, Harry, per aver tamponato la macchina di Will. Mi piaceva davvero quell’uomo, e nonostante non sapessi se era uno di quegli uomini che tenevano così tanto alla propria macchina da dargli un nome, non volevo che spendesse soldi per riparare ad un tamponamento, in quanto dal giorno prima aveva una persona in più di cui occuparsi, il che voleva dire soldi in più da spendere. 
Io non ne avevo mai avuti, voglio dire, nell’orfanotrofio non c’era nessuno che ci desse la paghetta settimanale, né tantomeno avevamo un lavoro. Per cui non andavamo mai in giro a fare compere, neanche per un gelato. Ero abituata a quello stile di vita ormai, perciò non volevo far spendere soldi a Will oltre il necessario, nonostante il giorno prima mi fossi letteralmente buttata nel reparto dolci del supermercato.
«Sarà meglio per te che trovi una buona scusa, Will non sarà felice di vedere quel che hai fatto.» Dissi con tono solenne, indicando i segni lasciati sul portabagagli, dovuti allo strusciare della macchina del ragazzo, probabilmente intento a girare.
«Will? Chi sei, sua figlia?» Chiese il riccio curioso.
«E a te che frega? Pensa alla macchina piuttosto.» Risposi scocciata, quando notai Will parecchie macchine più in là farmi cenno con la mano di raggiungerlo. Annuii, e dopo aver lanciato un’occhiataccia al riccio – che ricambiò – me ne andai sorpassando lui e il moro, che continuava a guardarmi, sorridendo.
Sentii Harry dirgli un “che diavolo sorridi tu?!” con fare scocciato, e mi scappò un sorriso.
Sperai sinceramente che Will se la prendesse per la botta subita, ero sicura che non era la prima volta che quel ragazzo tamponava qualcuno. 
Will sembrava non essersi accorto della scena successa pochi minuti prima, perché continuò a parlottare con un professore, sorridendomi quando lo raggiunsi. 
«Allyson, lui è il professor Morgan, e sarà il tuo professore di canto.» 
Canto? Dio, ti prego, no. Non bastava essere quella nuova? Okay, era il primo giorno delle lezioni, per cui non ero proprio nuova nuova, ma ero comunque nuova, e bastava quello per essere esclusa da tutto e da tutti. Se mi fossi messa a cantare sarei rimasta sola per l’eternità, avrebbero cercato tutti di starmi lontana il più possibile grazie alla mia voce.
Oltretutto non mi piaceva quando la gente mi chiamava con il nome intero, preferivo Allie, anche se accettavo che mi si chiamasse Allyson in caso di presentazioni o eventi formali, come quello.
«Ti divertirai alle mie lezioni.» Mi sorrise il professore, che sembrava anche lui un brav’uomo. «Chiamami Mike, lo preferisco.» Allungò una mano verso di me perché la stringessi, e così feci, ricambiando il sorriso.
«E lei mi chiami Allie.»
«E tu non darmi mai del Lei.» Disse allargando di più il sorriso, ritirando poi la mano. 
Aveva i capelli un po’ lunghi, che portava legati in una specie di piccola coda disordinata, ed aveva una barba che gli si addiceva davvero. Doveva avere all’incirca trentacinque anni, e già dal fatto che si facesse chiamare per nome e non si facesse dare del Lei, sembrava saperci fare coi ragazzi, come Will. 
Saremmo andati d’accordo sicuramente, e sicuramente mi sarebbe piaciuto stare in quella scuola, se fossero stati tutti così. Ci sarebbero stati studenti come quel tipo di prima, Harry, ma bastava ignorarli in modo da non finire nei guai, e tutto sarebbe andato bene. 
Salutammo il professore, che sembrava essere in ritardo per la sua prima lezione, e senza dire un’acca riguardo al tamponamento, seguii Will verso l’entrata della scuola. 
Se non avesse saputo di quanto accaduto prima dal ragazzo riccio, avrei finto che era accaduto durante il nostro giro turistico, buttando poi la colpa su Harry. 
«Tieni.» Disse Will, bloccandosi sulla soglia dell’entrata, da cui stavano entrando alcuni studenti in ritardo. 
Tirò fuori il portafogli dalla tasca dei jeans, e ne estrasse una carta dorata. 
«Cos’è?» Domanda stupida. Era una carta oro, una di quelle che avevano le ragazzine viziate dei film adolescenziali, una di quelle carte che non avrei mai immaginato di vedere neanche da lontano.
Quasi strabuzzai gli occhi quando me la porse, e mi affrettai a chiudere la bocca che si era aperta da sola alla sola vista della carta.
«E’ una carta di credito, e ti servirà dopo il giro turistico.» Mi sorrise gentilmente, richiudendo il portafogli e mettendolo di nuovo in tasca, non appena presi in mano la carta, guardandola ad occhi sbarrati.
«Io e Sarah ne abbiamo parlato questa mattina, e sarebbe bello se tu avessi un’ampia scelta di vestiti tra cui scegliere, per il tuo primo giorno di scuola, non credi?»
«No! Voglio dire, sì.. cioè, sì, sì!» Mi sentivo stupida a balbettare così, ma non potevo farne a meno. Cazzo, era una carta oro! Ci stavano almeno dieci mila dollari lì dentro, e non sapevo se sarei riuscita a gestirli. Non che li avrei spesi in negozi costosi quali Dolce&Gabbana, ma se qualcuno mi avesse rapinata? O se l’avessi persa? Forse stavo delirando, ma non avevo mai visto una cosa del genere, non sapevo gestire dieci dollari, figuriamoci una carta con almeno cinquanta volte il triplo.
Will rise, divertito per la mia espressione, e cercai di tornare in me, respirando mentalmente.
«Quindi.. dovrei farci compere? Quel che le ragazze chiamano shopping?»
«Esatto.» Sorrise di nuovo, sistemandosi la cartella in pelle sotto un braccio.
«Non appena abbiamo finito il giro, puoi prendere la mia macchina ed andare al centro commerciale.» Spiegò. «Possibilmente a quello in cui siamo andati ieri, dato che è l’unico che hai visto fin’ora, non vorrei che ti perdessi.»
Ci avrei messo un po’ a trovarlo, ma avevo notato un tom-tom nella Land Rover di Will, perciò non mi sarebbe stato difficile tornare in quel centro commerciale. Styles, giusto?
«Aspetta, hai detto la tua macchina?» Sì, aveva detto proprio quello. «E tu? Come farai a tornare a casa? Devo passare a prenderti dopo lo.. shopping?»
«Quante domande!» Rise, poggiando una mano sulla mia spalla per calmarmi. «Non preoccuparti per la macchina, mi darà un passaggio Jack, tu pensa solo a divertirti e a comprare ciò di cui hai bisogno.»
Ciò di cui ho bisogno? Di che avevo bisogno? Ero appena stata adottata, finalmente, vivevo in una casa meravigliosa e con due persone stupende, e oltretutto avrei potuto suonare il piano quanto e come volevo nella mia nuova scuola. Potevo chiedere di più? 
Non avevo mai creduto nel fato, tantomeno nella fortuna, ma dovevo ammettere che la ruota stava girando dalla mia parte. Finalmente un periodo felice. Certo, si sa che le cose belle non durano a lungo, ma per me erano appena iniziate, perciò me le sarei godute finché avrei potuto. Ero stata abbandonata, rinchiusa in un posto con persone che non ne potevano più di me, ed ero finita due volte in prigione. Che poteva succedermi di peggio?
Entrammo finalmente nella scuola, Will salutando studenti e professori che incrociavamo, ed io tenendo gli occhi fissi sulla carta, che stringevo con foga quasi avendo paura che scappasse via.
Quella che avevo davanti, si prospettava una giornata coi fiocchi.
 
 
 
 
MYSPACE
ehilà. chiedo umilmente perdono per questo schifo di capitolo, ma come avevo annunciato nel precedente, qui appaiono per la prima volta due dei cinque coglioni, e penso che abbiate capito che si tratta di zayn ed harry, no? sono solita a scrivere capitoli lunghi (se avete letto la mia altra fan fiction “he’s what makes world beautiful” lo sapete) ma dato che erano più le persone che mi dicevano che erano troppo lunghi di quelle che mi dicevano che andavano bene così, ho deciso di farli più corti per questa fan fiction, ed oltretutto ho anche ingrandito la scrittura, per piacere di molti. (?) chiedo scusa ai “fan” della fan fiction citata prima, so di essere davvero tanto in ritardo nel postare il nono capitolo, ma è andata a farsi fottere la chiavetta, e usando il wifi del vicino che ogni tanto viene e ogni tanto va, non so quando potrò aggiornare, anche se sto già scrivendo il terzo capitolo di questa e il nono dell’altra. sto anche una merda per il fatto dei one direction a milano, ma anche se cerco di non pensarci non ci riesco, ed ho pure litigato con mia madre ma vabè, non vi interessa. comunque spero apprezziate i miei sforzi nel non soffermarmi sulle descrizioni, perché non volevo annoiarvi, quindi non so, spero vi piaccia D: fatemelo sapere con una recensione se volete, mi illuminano le giornate e dopo ieri ne avrei proprio bisogno. 
grazie a chi si legge i miei papiri e sopporta l’attesa <3
ps: non l'ho mai detto, ma in tutte le mie fan fiction, i ragazzi hanno tra i 17 ed i 18 anni, come la/le protagonista/e, e le canzoni che cito sopra, non riguardano il capitolo, cioè ogni tanto si ma ogni tanto metto quelle che mi ispirano il capitolo u.u non vi interessa ma volevo precisare ahahah ciao uwu
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: yeahbuddie