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Autore: Eikochan    17/02/2012    0 recensioni
Immaginatevi un ragazzo del Ventunesimo secolo dotato di cellulare con touch screen, Ipod, computer e Internet -un ragazzo come voi, insomma- che si ritrova faccia a faccia con una bionda sfacciata e apparentemente pazza che, in tunica ecrù e sandali alla schiava, parla come gli antichi Romani. Che danni potranno mai combinare messi assieme?!
Si ritroveranno a sfidare gli amici, la famiglia, la legge e la propria origine per mantenere quell'amicizia -o forse è meglio dire quell'amore?- che sfida tutti i canoni normali della società.
Perchè la scelta giusta il più delle volte non è mai quella più semplice.
Piccolo Nota Bene: non è una storia che parla di salti temporali, giusto per mettere in chiaro.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo I:

 
Ai suoi piedi c’era un ragazzo della sua età circa, aveva le mani sporche di sangue e la guardava con una delle facce più stupide che avesse mai visto. Decise comunque di essere cordiale.
“Ave”
“Ave che?” disse l’altro, alzandosi in piedi. “Ditemi che non sono finito in un manicomio” aggiunse poi tra sé e sé guardando la tunica ecru della ragazza e i sandali alla schiava che portava ai piedi.  Senza aspettarsi risposta inziò a guardarsi intorno.
“Come ti chiami, forestiero?”
“Alessio.” Le rispose  “Te, forestiera?” aggiunse con un risolino mal celato.
“Dafne. Della gens Gaiae.”
“Ma in che lingua parli? Lo sai vero che il Medioevo è passato da una vita*?” Le domandò stralunato e piuttosto perplesso.
“Medioevo?”
Ma non aspettò risposta: si era dedicata allo strano vestiario dello straniero.
“Ma come sei vestito?! Non ho mai visto nessun tessuto simile a questo.” La ragazza iniziò a tastare i jeans dell’altro.
Punto sul vivo per il commento agli amati jeans Alessio la rimbeccò.
“Ma guardati te piuttosto come sei vestita! Sembri uscita dal mio libro di storia..”
La bionda lo guardò scrutandolo bene con i grandi occhi azzurri: sembrava occupata ad esaminare la cosa più curiosa mai capitategli fino a quel momento, penso Alessio, senza sapere che effettivamente era proprio così.
“Da dove vieni?” gli chiese, dopo l’esame dettagliato a cui l’aveva sottoposto.
“Vicino a Napoli.” Poi, vedendo l’espressione confusa della ragazza, aggiunse “In Campania.”.
“Ah. Ed è tanto lontana questa Campania?”
A questa domanda Alessio non potè trattenere lo stupore e la guardò con tanto d’occhi.
“Questa è la Campania!” quasi strillò, da quanto era esasperato. “Io e te” sbraitò, accompagnando alle parole i gesti  “siamo in Campania!”
Sorvolando sull’irascibilità di quello sconosciuto dagli occhi verdi, Dafne si accinse a contraddirlo cortesemente.
“Penso che tu sia un po’ confuso.” Gli sorrise timidamente. “Noi siamo a Nuova Pompei.”
“Ma tu non sei normale.” Si alzò di scatto, guardandosi intorno alla ricerca di una telecamera nascosta. Doveva essere finito in una candid camera, oppure era uno scherzo di Gian.. quel coglione sarebbe stato perfettamente in grado di fare una messa in scena del genere, anzi era tipico di lui.
“Va bene, bello scherzo. Su tirate fuori la telecamera.. ormai la figura del cretino l’ho fatta.” Stava parlando ad una telecamera non ben definita e Dafne lo guardava con lo stesso sguardo riservato, di solito, ai pazzi. “Se sei stato tu Gian questa volta me la pagherai!”
“Scusa ma a chi stai parlando?”
Furono interrotti dal suono della campana che segnava la sesta ora del giorno.
“Devo andare Alessio.. altrimenti arriverò in ritardo per il pranzo.” Gli fece un piccolo inchino. “E’ stato un, hem..piacere conoscerti”
“Piacere mio, Dafne.”
Salutò quella strana ragazza, poi si girò e tornò da dove era venuto mentre lei correva via.

 

Erano passate due ore da quando aveva incontrato quel buffo ragazzo e non riusciva a toglierselo dalla mente. Con quei vestiti cosi strani, con quel taglio scomposto, con quegli occhi verdi a metà tra la strafottenza e la dolcezza. E quei discorsi campati per aria, parlava di cose che non aveva mai sentito in tutta la sua vita. Era troppo curiosa. L’unica cosa che sapeva era che si chiamava Alessio e veniva da un posto chiamato Campania.
Fu indecisa se parlare o meno dell’incontro ai propri genitori per tutta la durata del pranzo, ma qualcosa dentro di lei –una specie di istinto- le suggeriva ininterrottamente che quella non si sarebbe rivelata una scelta vincente. E cosi stette zitta, mentre la curiosità la divorava da dentro, come un tarlo.
Una volta finito di mangiare tornò in camera e si cambiò la tunica ecru che indossava quella mattina con un vestito bianco che scendeva leggero fino alle ginocchia poi prese l’occorrente per la lezione di cucito del pomeriggio –e che sperava la distraesse dai pensieri che le frullavano senza sosta in testa- e si portò appresso il solito mantello azzurro: quel pomeriggio aveva intenzione di andare a trovare Diana appena finita la lezione.

Alla fine aveva la lezione si era conclusa tardi e il sole iniziava già a calare nel cielo, ma non per questo rinunciò ad andare a trovare l’amica. Come al solito le venne ad aprire il proprietario del lupanare che, con uno sproloquio molto fastidioso di ossequi, la portò nella stanza dell’amica.
La rossa stava ancora dipingendo il paesaggio che aveva visto il giorno prima: era dannatamente bello.
“Disturbo, Diana?” si intrufolò timidamente nella stanza.
“No, tranquilla Dafne.” L’amica posò il pennello e abbracciò la bionda che intanto le si era avvicinata.
“Guarda cosa ti ho portato..” disse aprendo la sacca di cuoio che portava a tracolla. “Ho finito il vestito che ti avevo promesso due settimane fa!” ed estrasse un vestito drappeggiato lungo  fino a metà polpaccio e stretto sotto il seno, di un verdino tenue che richiamava il colore particolare degli occhi di Diana.
“Non ci credo! E’ semplicemente stupendo!” la rossa si sporse ad abbracciare di nuovo l’amica. “Ti adoro. Diventi ogni giorno più brava.”
“Grazie, Diana.”
“Scommetto che in poco tempo aprirai un tuo negozio o diventerai la sarta della famiglia imperiale!”
“Ahah.” La bionda divenne tutta rossa. “Non esagerare adesso. C’è gente molto più brava di me in giro.”
Inziò a giocherellare con il bordo della mantella, immersa nei pensieri; non sapeva se dire o no di Alessio all’amica. Alla fine decise per il si: in fin dei conti si era sempre rivelata un’alleata leale.
“Diana, ti devo dire una cosa. Ma promettimi che non lo dirai a nessuno.”
“Tranquilla. Sarò muta come una carpa!”
“Me lo assicuri? E’ davvero una cosa importante” la pregò l’amica scatenando il panico interiore in Diana.
Poi Dafne raccontò in breve l’incontro di quella mattina.
“Che strano tipo questo Alessio.” Commentò la rossa alla fine del racconto, internamente grata che l’amica non fosse in un pericolo imminente ma comunque turbata che il tutto si potesse rivelare qualcosa di losco e pericoloso.
“Non hai mai sentito parlare di questa Campania?” gli chiese l’altra.
“No, mi dispiace, tesoro. Lo sai che non sono mai andata a scuola, io.”
“Ti giuro, sto impazzendo dalla curiosità!” saltò su l’altra con voce sconsolata.
La rossa guardò fuori dalla finestra e solo allora si accorse delle strade praticamente buie.
“Penso che ti convenga tornare a casa. Tanto io ora devo prepararmi per il turno di stasera.”
“Già. Meglio avviarsi fra poco cala la notte.”
“Mi viene male se penso che oggi mi tocca un novellino.” Si lamentò l’altra, con voce sconsolata, mettendo via il vestito regalatoli dall’amica e prendendone un alto. “Non capisco perché i padri portino i figli diciassettenni al lupanare per fare la prima esperienza. Dopotutto avranno tutta la vita davanti per venirci, una volta che si saranno accorti che tutta questa storia del vero amore non esiste.”
Sorvolando sul pensiero dell’amica –che cozzava apertamente con il proprio- Dafne si avviò verso la porta e salutò Diana. Poi si avvio ,praticamente di corsa, verso casa; ci mancava solo che per concludere la giornata un maniaco le spuntasse da dietro l’angolo.

 


Nel ritorno verso la tenda Alessio si premurò di osservare e appuntare mentalmente tutti i punti di riferimento che gli potessero servire per ritrovare quelle strane mura in futuro; una parte inconscia di lui era estremamente convinta che quel lavoro di orienti ring gli sarebbe servito molto presto. Quando arrivo alla tenda scoprì che tutta la compagnia lo stava cercando, chi organizzando spedizioni nel bosco, chi chiamandolo a gran voce mentre gli altri lo chiamavano insistentemente al telefono. Appena lo videro comparire tra le foglie e gli arbusti si prodigarono tutti in una serie di insulti fantasiosi e più o meno offensivi.
“Tu, essere ignobile, dove diavolo ti eri cacciato?” ad esempio questa fu l’insulto più gentile che gli fu rivolto
“Scusate. Sono andato a farmi una passeggiata e mi sono perso.” si scusò, grattandosi la testa, come faceva sempre quando si sentiva in colpa
“Ti abbiamo chiamato ventisette volte, potevi usare il cellulare no? O ti serve solo per bellezza?” pure Chiara, la sua migliore amica, lo aggredì.
Alessio scosse la testa: Chiara sapeva applicare divinamente il concetto dell’iperbole quando voleva: dubitava fortemente che di trovarsi realmente ventisette chiamate perse, una volta recuperato il cellulare.
“Era scarico!” Piccola bugia per salvarsi la pelle. “Ma smettetela di aggredirmi, cosa devo fare? Uccidermi per espiare questa terribile colpa?!”
“Magari coglione.” Sussurrò Gian passandogli vicino. Tipico di Gian, lo insultava per non far trasparire che in realtà si era preoccupato pure lui: non avrebbe dimostrato affetto nemmeno sotto tortura.

 Una volta arrivati in città tutti i dissapori della mattina erano ormai stati sepolti e dimenticati. Scese dalla macchina, salutò gli amici ed entrò in casa, salutò quindi la madre e si preparò un panino che portò in camera. Non riusciva a smettere di pensare allo strano incontro della mattina, li nella camera sdraiato sopra il letto, gli sembra tutto un sogno. Poi d’improvviso gli venne l’illuminazione: Google.
Ingoiò in fretta l’ultimo boccone e si mise alla scrivania. Tamburellava impazientemente sul modem mentre aspettava che si aprisse la pagina web del motore di ricerca. Poi si mise a pensare e a ricordare il nome di quella città che le aveva nominato lei, Nuova Pompei, a quanto ricordava. Digitò veloce le parole e premette il tasto invio.
“Sia lodato l’inventore di Google!” pensò.
 La prima pagina trovata fu Wikipedia, l’aprì e lesse il lungo testo.
Alla fine della lettura guardò stupito il monitor perso nei proprio pensieri: che storie! A poca distanza da lui esisteva un mondo totalmente differente e lui non ne era minimamente a conoscenza. 
Decise di stampare la pagina e di portarla l’indomani a quella strana ragazza. Sempre se l’avesse mai ritrovata. Contento del risultato, si sdraiò sul letto ancora vestito e si addormentò di botto.




“Hei mamma!” si era messo le scarpe da ginnastica e aveva sulle spalle uno zaino, si sentiva un po’ ridicolo: nemmeno stesse partendo per lo Zimbabwe!
“Dimmi, tesoro.” Gli rispose quell’adorabile signora di mezza età che era sua mamma.
“Posso prendere la tua auto? Vado al centro commerciale fuori città con Chiara.”
“Ok va bene, ma vedi di tornare per cena: non sei mai a casa in questi giorni!” gli rispose accondiscende ma ferma come sempre.
“Tranquilla, ma’. Un bacio!”
Scese in garage e si mise al volante della mitica Panda rossa, vecchia ma indistruttibile. Infilò il cd dei suoi rapper preferiti e partì alla volta della radura in cui si era accampato il giorno prima. Una quarantina di minuti dopo era arrivato; ora il problema era riuscire a trovare la strada giusta nell’intricato intreccio del bosco.  Dalla radura aveva preso la stradina sterrata che portava verso il bosco inoltrato -di questo ne era totalmente sicuro- e prese a percorrere di nuovo il tragitto; dopo cinque alberi segnati in blu doveva girare alla sua sinistra e andare diritto fino al masso con la forma di un orso.
Alla vista della strana roccia tirò un sospiro di sollievo, ora da li doveva continuare a destra e poi teoricamente si sarebbero dovuto scorgere in lontananza le mura. E infatti dopo venti minuti di camminata le mura si stagliavano possenti davanti a lui. Iniziò a cercare la pietra sporgente e finalmente, dopo cinque minuti di ricerca disperata, la trovò e premendola si aprì un passaggio nel muro.
Abbassò il capo e si ritrovò di nuovo in quella strana via acciottolata ma inciampò in un sasso –come il più imbranato degli sfigati- e finì addosso a una ragazza.
“Oh scusa!” disse, girandosi.
“Ancora tu! Allora hai proprio intenzione di uccidermi!”
Era assurdo, aveva rincontrato di nuovo Dafne. Ogni tanto il destino ci si metteva proprio.
“Ciao. Dafne, vero?” le sorrise.
“Indovinato.” Nonostante il saluto rocambolesco era contenta di aver rincontrato quel ragazzo.
“Senti, ho scoperto qualcosa sulla tua città”. E le fece leggere l’articolo di Wikipedia che aveva stampato. Naturalmente la bionda ci capì ben poco.
“Ma cosa significa questo?”
“Significa che la tua città è rimasta ai tempi degli antichi romani. Ma al di fuori di queste mura c’è tutto un altro mondo: da dove vengo io gli uomini possono volare in grandi uccelli di metallo. Il cibo d’estate lo conserviamo in frigorifero: un grande armadio che produce freddo.  Di notte andiamo a ballare nelle discoteche e a bere nei bar.”
“Come potete volare?” Dafne era rimasta colpita particolarmente dal fatto del volo, era sempre stato uno dei suoi sogni quello di poter toccare le nuvole.
“Si!” poi all’improvviso ad Alessio venne un’illuminazione. “Se vuoi ti posso portare nel mio mondo e mostrarti tutte queste cose.”
Dafne in realtà non sapeva se accettare, il ragazzo le sembrava totalmente sciroccato. Ma la curiosità -e qualcosa negli occhi verdi del moro- la indusse ad accettare. “Va bene. Verrò a vedere il tuo mondo!”
“A una condizione però” le rispose allora Alessio “che tu mi mostri il tuo.”
“Affare fatto!” e si strinsero la mano, quella era definitivamente l’inizio di un contratto e, forse, di un’amicizia.
“Troviamoci qua, domani, alla stessa ora. Ti porterò dei vestiti: per prima visiterai te il mio mondo.”
“Va bene, a domani Alessio.”
“A domani Dafne.”

 
Il giorno dopo Alessio era appoggiato al muro, la testa bassa, in attesa di Dafne. Portava con sé un sacchetto con dei vestiti trafugati alla sorella e che, a occhio e corce, dovevano essere circa della taglia della ragazza. Erano ormai dieci minuti che aspettava, e si stava sempre più convincendo che non si sarebbe mai più presentata quando, in un turbino di capelli biondi, le si parò davanti.
“Ciao Alessio!” lo saluto sorridendo allegramente.
“Ciao Dafne!” alzò la mano in segno di saluto. “Sei pronta a vivere il mio mondo?” le chiese ridendo.
“Prontissima.”
Uscirono dal passaggio nel muro, che ormai Alessio stava imparando ad usare perfettamente, e si inoltrarono nel folto della foresta.
“Vai dietro a quel cespuglio a cambiarti d’abito.” Alessio si rivolse a Dafne indicandole un gran cespuglio folto al lato del sentiero. “Ti giuro che non guardo!”
La ragazza ridendo prese la borsa che il ragazzo le porgeva e corse dietro il cespuglio.
Osservò la borsa dubbiosa, era chiusa e non aveva la minima idea di come aprirla, probabilmente doveva tirare la linguetta metallica posta a un estremità. Provò, senza sapere bene cosa aspettarsi, e come per magia la borsa si aprì. Estasiata, tirò fuori un vestito con delle spalline sottili, un paio di strane calzature e una cosa che non capì a cosa servisse: sembrava una canottiera corta con le spalline e strani ferri, poi all’improvviso capì: si doveva mettere sul seno. Lo indossò e si guardò, con enorme piacere si accorse che quell’aggeggio era miracoloso: non solo sembrava che avesse una taglia in più ma dava anche una forma migliore al tutto. Si infilò poi il vestito e infine le scarpe.
“Eccomi!” comparve da dietro il cespuglio sorridendo.
“Stai bene vestita cosi!”
“Grazie” gli rivolse un sorriso ancora più grande. “Visto che devo imparare tanto inizia col dirmi il nome di quello che mi sono messa addosso!” Prese l’orlo del vestito e continuò “Questa è una veste suppongo.”
“In realtà “veste” è un termine ormai antiquato nel nostro mondo.. chiamalo vestito.” L’altra annui e poi indico le scarpe.
“Queste si chiamano ballerine!” rispose Alessio che si sentiva sempre di più un’ –impreparato- insegnante di moda.
“E questo qui?” Chiese abbassandosi un po’ il vestito. Guardò il ragazzo che era diventato tutto rosso.
“Che c’è?” Non capiva cosa avesse fatto di male.
“Hem, Dafne, quello si chiama reggiseno e non andrebbe fatto vedere in pubblico.”
“Ah, ops.. scusa” E rise, imbarazzata, con la sua risata cristallina.
“Forza andiamo”
Dopo aver camminato nel bosco incolto per più di mezz’ora e dopo tre, clamorose, cadute della ragazza finalmente erano arrivati a destinazione.
“Cos’è?” Dafne si teneva a debita distanza dall’autovettura del ragazzo, intimorita.
“E’ una macchina.”
“A cosa serve?”
“Serve per andare in giro.. è tipo come montare in sella a un cavallo. Solo che ci stanno cinque persone e va molto più veloce.”
“Io non ci salgo su.. su quella cosa.” La ragazza ancora non si fidava ad avvicinarsi.
“E allora puoi tornartene alla tua città perché senza di questo non ci muoviamo!”
Per Alessio ci vollero rassicurazioni su rassicurazioni per convincerla a salire e una volta che la ragazza, titubante, si fu seduta al suo fianco le mostrò come allacciarsi la cintura di sicurezza e infine mise in moto. Sentendo la macchina tremare sotto di se Dafne si girò a stringere un braccio al ragazzo, terrorizzata.. ma mai quanto come quando essa partì: lanciò un gridolino terrorizzato e chiuse gli occhi.
“Tranquilla, non scoppia mica.”
Un po’ rassicurata aprì gli occhi e guardò il paesaggio sfrecciarli attorno; emozionata non staccava gli occhi dagli alberi che le scorrevano veloci. Improvvisamente ad Alessio venne un’idea: abbassò del tutto il finestrino.
“Come hai fatto?”
“Con questo pulsante” e glielo indicò. “Si chiama finestrino” E senza aspettare continuazione la bionda si sporse e tentò di tenere gli occhi aperti e di respirare nonostante il vento che le sferzava il volto e i lunghi capelli biondi.
In poco tempo arrivarono in città e li Dafne sembrò impazzire: ad ogni cosa -che ad Alessio sembrava banale- guardava emozionata e curiosa, tempestandolo di mille domande. Le cose che la colpirono di più però furono i semafori; rimaneva incantata a guardare quelle luci colorate spegnersi e accendersi, poi la sua attenzione fu catturata dalle biciclette, dalle moto, dai vestiti delle persone e dalle case cosi diverse dalle sue. Alessio rispondeva con pazienza alle domande a macchinetta che gli rivolgeva, mentre cercava un parcheggio: di certo si prospettava una lunga giornata.

 

SPAZIO AUTRICE:

E il secondo capitolo è stato postato con un’ immenso ritardo: o, per meglio dire, è stato ri-postato: ho fatto dei cambiamenti alla struttura e alla grammatica! Nonostante il poco successo –ahimè- del primo capitolo, questa storia mi stuzzica parecchio e la continuerò lo stesso XD Sempre con aggiornamenti traballanti (ho altre storie con più seguaci che aspettano capitoli da tempo, ormai!)
Se vi è piaciuta fatemelo sapere con un commento, se ci sono cose da migliorare… vale lo stesso discorso.

NB:
* Si, Alessio non è mai stato un grande portento in storia: tipico di lui confondere Antica Roma e Medioevo. Capitelo XD

Equivale a mezzogiorno nel conteggio delle ore degli antichi romani.

 
Detto questo..
Baci, Eikochan.

 

 

 

   
 
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