Capitolo I:
Ai suoi piedi c’era un ragazzo della sua età
circa, aveva le
mani sporche di sangue e la guardava con una delle facce più
stupide che avesse
mai visto. Decise comunque di essere cordiale.
“Ave”
“Ave che?” disse l’altro, alzandosi in
piedi. “Ditemi che
non sono finito in un manicomio” aggiunse poi tra
sé e sé guardando la tunica
ecru della ragazza e i sandali alla schiava che portava ai piedi. Senza aspettarsi risposta
inziò a guardarsi intorno.
“Come ti chiami, forestiero?”
“Alessio.” Le rispose
“Te, forestiera?”
aggiunse con
un risolino mal celato.
“Dafne. Della gens Gaiae.”
“Ma in che lingua parli? Lo sai vero che il Medioevo
è
passato da una vita*?” Le domandò stralunato e
piuttosto perplesso.
“Medioevo?”
Ma non aspettò risposta: si era dedicata allo strano
vestiario dello straniero.
“Ma come sei vestito?! Non ho mai visto nessun tessuto
simile a questo.” La ragazza iniziò a tastare i
jeans dell’altro.
Punto sul vivo per il commento agli amati jeans Alessio la
rimbeccò.
“Ma guardati te piuttosto come sei vestita! Sembri uscita
dal mio libro di storia..”
La bionda lo guardò scrutandolo bene con i grandi occhi
azzurri: sembrava occupata ad esaminare la cosa più curiosa
mai capitategli
fino a quel momento, penso Alessio, senza sapere che effettivamente era
proprio
così.
“Da dove vieni?” gli chiese, dopo l’esame
dettagliato a cui
l’aveva sottoposto.
“Vicino a Napoli.” Poi, vedendo
l’espressione confusa della
ragazza, aggiunse “In Campania.”.
“Ah. Ed è tanto lontana questa Campania?”
A questa domanda Alessio non potè trattenere lo stupore e la
guardò con tanto d’occhi.
“Questa è la Campania!” quasi
strillò, da quanto era esasperato.
“Io e te” sbraitò, accompagnando alle
parole i gesti “siamo
in Campania!”
Sorvolando sull’irascibilità di quello sconosciuto
dagli
occhi verdi, Dafne si accinse a contraddirlo cortesemente.
“Penso che tu sia un po’ confuso.” Gli
sorrise timidamente.
“Noi siamo a Nuova Pompei.”
“Ma tu non sei normale.” Si alzò di
scatto, guardandosi
intorno alla ricerca di una telecamera nascosta. Doveva essere finito
in una
candid camera, oppure era uno scherzo di Gian.. quel coglione sarebbe
stato
perfettamente in grado di fare una messa in scena del genere, anzi era
tipico
di lui.
“Va bene, bello scherzo. Su tirate fuori la telecamera..
ormai la figura del cretino l’ho fatta.” Stava
parlando ad una telecamera non
ben definita e Dafne lo guardava con lo stesso sguardo riservato, di
solito, ai
pazzi. “Se sei stato tu Gian questa volta me la
pagherai!”
“Scusa ma a chi stai parlando?”
Furono interrotti dal suono della campana che segnava la
sesta ora del giorno₁.
“Devo andare Alessio.. altrimenti arriverò in
ritardo per il
pranzo.” Gli fece un piccolo inchino. “E’
stato un, hem..piacere
conoscerti”
“Piacere mio, Dafne.”
Salutò quella strana ragazza, poi si girò e
tornò da dove
era venuto mentre lei correva via.
Fu indecisa se parlare o meno dell’incontro ai propri
genitori per tutta la durata del pranzo, ma qualcosa dentro di lei
–una specie
di istinto- le suggeriva ininterrottamente che quella non si sarebbe
rivelata
una scelta vincente. E cosi stette zitta, mentre la
curiosità la divorava da
dentro, come un tarlo.
Una volta finito di mangiare tornò in camera e si
cambiò la
tunica ecru che indossava quella mattina con un vestito bianco che
scendeva
leggero fino alle ginocchia poi prese l’occorrente per la
lezione di cucito del
pomeriggio –e che sperava la distraesse dai pensieri che le
frullavano senza
sosta in testa- e si portò appresso il solito mantello
azzurro: quel pomeriggio
aveva intenzione di andare a trovare Diana appena finita la lezione.
La rossa stava ancora dipingendo il paesaggio che aveva
visto il giorno prima: era dannatamente bello.
“Disturbo, Diana?” si intrufolò
timidamente nella stanza.
“No, tranquilla Dafne.” L’amica
posò il pennello e abbracciò
la bionda che intanto le si era avvicinata.
“Guarda cosa ti ho portato..” disse aprendo la
sacca di
cuoio che portava a tracolla. “Ho finito il vestito che ti
avevo promesso due
settimane fa!” ed estrasse un vestito drappeggiato lungo fino a metà
polpaccio e stretto sotto il
seno, di un verdino tenue che richiamava il colore particolare degli
occhi di
Diana.
“Non ci credo! E’ semplicemente
stupendo!” la rossa si
sporse ad abbracciare di nuovo l’amica. “Ti adoro.
Diventi ogni giorno più
brava.”
“Grazie, Diana.”
“Scommetto che in poco tempo aprirai un tuo negozio o
diventerai la sarta della famiglia imperiale!”
“Ahah.” La bionda divenne tutta rossa.
“Non esagerare
adesso. C’è gente molto più brava di me
in giro.”
Inziò a giocherellare con il bordo della mantella, immersa
nei pensieri; non sapeva se dire o no di Alessio all’amica.
Alla fine decise
per il si: in fin dei conti si era sempre rivelata un’alleata
leale.
“Diana, ti devo dire una cosa. Ma promettimi che non lo
dirai a nessuno.”
“Tranquilla. Sarò muta come una carpa!”
“Me lo assicuri? E’ davvero una cosa
importante” la pregò l’amica
scatenando il panico interiore in Diana.
Poi Dafne raccontò in breve l’incontro di quella
mattina.
“Che strano tipo questo Alessio.”
Commentò la rossa alla
fine del racconto, internamente grata che l’amica non fosse
in un pericolo
imminente ma comunque turbata che il tutto si potesse rivelare qualcosa
di
losco e pericoloso.
“Non hai mai sentito parlare di questa Campania?”
gli chiese
l’altra.
“No, mi dispiace, tesoro. Lo sai che non sono mai andata a
scuola, io.”
“Ti giuro, sto impazzendo dalla
curiosità!” saltò su l’altra
con voce sconsolata.
La rossa guardò fuori dalla finestra e solo allora si
accorse delle strade praticamente buie.
“Penso che ti convenga tornare a casa. Tanto io ora devo
prepararmi per il turno di stasera.”
“Già. Meglio avviarsi fra poco cala la
notte.”
“Mi viene male se penso che oggi mi tocca un
novellino.” Si
lamentò l’altra, con voce sconsolata, mettendo via
il vestito regalatoli
dall’amica e prendendone un alto. “Non capisco
perché i padri portino i figli
diciassettenni al lupanare per fare la prima esperienza. Dopotutto
avranno
tutta la vita davanti per venirci, una volta che si saranno accorti che
tutta
questa storia del vero amore non esiste.”
Sorvolando sul pensiero dell’amica –che cozzava
apertamente
con il proprio- Dafne si avviò verso la porta e
salutò Diana. Poi si avvio ,praticamente
di corsa, verso casa; ci mancava solo che per concludere la giornata un
maniaco
le spuntasse da dietro l’angolo.
“Tu, essere ignobile, dove diavolo ti eri
cacciato?” ad
esempio questa fu l’insulto più gentile che gli fu
rivolto
“Scusate. Sono andato a farmi una passeggiata e mi sono
perso.” si scusò, grattandosi la testa, come
faceva sempre quando si sentiva in
colpa
“Ti abbiamo chiamato ventisette volte, potevi usare il
cellulare no? O ti serve solo per bellezza?” pure Chiara, la
sua migliore
amica, lo aggredì.
Alessio scosse la testa: Chiara sapeva applicare divinamente
il concetto dell’iperbole quando voleva: dubitava fortemente
che di trovarsi
realmente ventisette chiamate perse, una volta recuperato il cellulare.
“Era scarico!” Piccola bugia per salvarsi la pelle.
“Ma
smettetela di aggredirmi, cosa devo fare? Uccidermi per espiare questa
terribile colpa?!”
“Magari coglione.”
Sussurrò Gian passandogli vicino. Tipico di Gian, lo
insultava per non far
trasparire che in realtà si era preoccupato pure lui: non
avrebbe dimostrato
affetto nemmeno sotto tortura.
Ingoiò in fretta l’ultimo boccone e si mise alla
scrivania.
Tamburellava impazientemente sul modem mentre aspettava che si aprisse
la
pagina web del motore di ricerca. Poi si mise a pensare e a ricordare
il nome
di quella città che le aveva nominato lei, Nuova Pompei, a
quanto ricordava.
Digitò veloce le parole e premette il tasto invio.
“Sia lodato l’inventore
di Google!” pensò.
La
prima pagina trovata fu Wikipedia,
l’aprì e lesse il lungo testo.
Alla fine della lettura guardò stupito il monitor perso nei
proprio pensieri: che storie! A poca distanza da lui esisteva un mondo
totalmente differente e lui non ne era minimamente a conoscenza.
Decise di stampare la pagina e di portarla l’indomani a
quella strana ragazza. Sempre se l’avesse mai ritrovata.
Contento del
risultato, si sdraiò sul letto ancora vestito e si
addormentò di botto.
“Dimmi, tesoro.” Gli rispose
quell’adorabile signora di mezza
età che era sua mamma.
“Posso prendere la tua auto? Vado al centro commerciale
fuori città con Chiara.”
“Ok va bene, ma vedi di tornare per cena: non sei mai a casa
in questi giorni!” gli rispose accondiscende ma ferma come
sempre.
“Tranquilla, ma’. Un bacio!”
Scese in garage e si mise al volante della mitica Panda
rossa, vecchia ma indistruttibile. Infilò il cd dei suoi
rapper preferiti e
partì alla volta della radura in cui si era accampato il
giorno prima. Una
quarantina di minuti dopo era arrivato; ora il problema era riuscire a
trovare
la strada giusta nell’intricato intreccio del bosco. Dalla radura aveva preso la
stradina sterrata
che portava verso il bosco inoltrato -di questo ne era totalmente
sicuro- e
prese a percorrere di nuovo il tragitto; dopo cinque alberi segnati in
blu
doveva girare alla sua sinistra e andare diritto fino al masso con la
forma di
un orso.
Alla vista della strana roccia tirò un sospiro di sollievo,
ora da li doveva continuare a destra e poi teoricamente si sarebbero
dovuto
scorgere in lontananza le mura. E infatti dopo venti minuti di
camminata le
mura si stagliavano possenti davanti a lui. Iniziò a cercare
la pietra
sporgente e finalmente, dopo cinque minuti di ricerca disperata, la
trovò e
premendola si aprì un passaggio nel muro.
Abbassò il capo e si ritrovò di nuovo in quella
strana via
acciottolata ma inciampò in un sasso –come il
più imbranato degli sfigati- e
finì addosso a una ragazza.
“Oh scusa!” disse, girandosi.
“Ancora tu! Allora hai proprio intenzione di
uccidermi!”
Era assurdo, aveva rincontrato di nuovo Dafne. Ogni tanto il
destino ci si metteva proprio.
“Ciao. Dafne, vero?” le sorrise.
“Indovinato.” Nonostante il saluto rocambolesco era
contenta
di aver rincontrato quel ragazzo.
“Senti, ho scoperto qualcosa sulla tua
città”. E le fece
leggere l’articolo di Wikipedia che aveva stampato.
Naturalmente la bionda ci
capì ben poco.
“Ma cosa significa questo?”
“Significa che la tua città è rimasta
ai tempi degli antichi
romani. Ma al di fuori di queste mura c’è tutto un
altro mondo: da dove vengo
io gli uomini possono volare in grandi uccelli di metallo. Il cibo
d’estate lo
conserviamo in frigorifero: un grande armadio che produce freddo. Di notte andiamo a ballare
nelle discoteche e
a bere nei bar.”
“Come potete volare?” Dafne era rimasta colpita
particolarmente dal fatto del volo, era sempre stato uno dei suoi sogni
quello
di poter toccare le nuvole.
“Si!” poi all’improvviso ad Alessio venne
un’illuminazione.
“Se vuoi ti posso portare nel mio mondo e mostrarti tutte
queste cose.”
Dafne in realtà non sapeva se accettare, il ragazzo le
sembrava
totalmente sciroccato. Ma la curiosità -e qualcosa negli
occhi verdi del moro-
la indusse ad accettare. “Va bene. Verrò a vedere
il tuo mondo!”
“A una condizione però” le rispose
allora Alessio “che tu mi
mostri il tuo.”
“Affare fatto!” e si strinsero la mano, quella era
definitivamente
l’inizio di un contratto e, forse, di un’amicizia.
“Troviamoci qua, domani, alla stessa ora. Ti
porterò dei
vestiti: per prima visiterai te il mio mondo.”
“Va bene, a domani Alessio.”
“A domani Dafne.”
“Ciao Alessio!” lo saluto sorridendo allegramente.
“Ciao Dafne!” alzò la mano in segno di
saluto. “Sei pronta a
vivere il mio mondo?” le chiese ridendo.
“Prontissima.”
Uscirono dal passaggio nel muro, che ormai Alessio stava
imparando ad usare perfettamente, e si inoltrarono nel folto della
foresta.
“Vai dietro a quel cespuglio a cambiarti
d’abito.” Alessio
si rivolse a Dafne indicandole un gran cespuglio folto al lato del
sentiero.
“Ti giuro che non guardo!”
La ragazza ridendo prese la borsa che il ragazzo le porgeva
e corse dietro il cespuglio.
Osservò la borsa dubbiosa, era chiusa e non aveva la minima
idea di come aprirla, probabilmente doveva tirare la linguetta
metallica posta
a un estremità. Provò, senza sapere bene cosa
aspettarsi, e come per magia la
borsa si aprì. Estasiata, tirò fuori un vestito
con delle spalline sottili, un
paio di strane calzature e una cosa che non capì a cosa
servisse: sembrava una canottiera
corta con le spalline e strani ferri, poi all’improvviso
capì: si doveva
mettere sul seno. Lo indossò e si guardò, con
enorme piacere si accorse che
quell’aggeggio era miracoloso: non solo sembrava che avesse
una taglia in più
ma dava anche una forma migliore al tutto. Si infilò poi il
vestito e infine le
scarpe.
“Eccomi!” comparve da dietro il cespuglio
sorridendo.
“Stai bene vestita cosi!”
“Grazie” gli rivolse un sorriso ancora
più grande. “Visto
che devo imparare tanto inizia col dirmi il nome di quello che mi sono
messa
addosso!” Prese l’orlo del vestito e
continuò “Questa è una veste
suppongo.”
“In realtà “veste”
è un termine ormai antiquato nel nostro
mondo.. chiamalo vestito.” L’altra annui e poi
indico le scarpe.
“Queste si chiamano ballerine!” rispose Alessio che
si
sentiva sempre di più un’ –impreparato-
insegnante di moda.
“E questo qui?” Chiese abbassandosi un
po’ il vestito.
Guardò il ragazzo che era diventato tutto rosso.
“Che c’è?” Non capiva cosa
avesse fatto di male.
“Hem, Dafne, quello si chiama reggiseno e non
andrebbe fatto vedere in pubblico.”
“Ah, ops.. scusa” E rise, imbarazzata, con la sua
risata
cristallina.
“Forza andiamo”
Dopo aver camminato nel bosco incolto per più di
mezz’ora e
dopo tre, clamorose, cadute della ragazza finalmente erano arrivati a
destinazione.
“Cos’è?” Dafne si teneva a
debita distanza
dall’autovettura del ragazzo, intimorita.
“E’ una macchina.”
“A cosa serve?”
“Serve per andare in giro.. è tipo come montare in
sella a
un cavallo. Solo che ci stanno cinque persone e va molto più
veloce.”
“Io non ci salgo su.. su quella cosa.” La
ragazza ancora non
si fidava ad avvicinarsi.
“E allora puoi tornartene alla tua città
perché senza di
questo non ci muoviamo!”
Per Alessio ci vollero rassicurazioni su rassicurazioni per
convincerla a salire e una volta che la ragazza, titubante, si fu
seduta al suo
fianco le mostrò come allacciarsi la cintura di sicurezza e
infine mise in
moto. Sentendo la macchina tremare sotto di se Dafne si girò
a stringere un
braccio al ragazzo, terrorizzata.. ma mai quanto come quando essa
partì: lanciò
un gridolino terrorizzato e chiuse gli occhi.
“Tranquilla, non scoppia mica.”
Un po’ rassicurata aprì gli occhi e
guardò il paesaggio
sfrecciarli attorno; emozionata non staccava gli occhi dagli alberi che
le
scorrevano veloci. Improvvisamente ad Alessio venne un’idea:
abbassò del tutto
il finestrino.
“Come hai fatto?”
“Con questo pulsante” e glielo indicò.
“Si chiama
finestrino” E senza aspettare continuazione la bionda si
sporse e tentò di
tenere gli occhi aperti e di respirare nonostante il vento che le
sferzava il
volto e i lunghi capelli biondi.
In poco tempo arrivarono in città e li Dafne
sembrò impazzire:
ad ogni cosa -che ad Alessio sembrava banale- guardava emozionata e
curiosa,
tempestandolo di mille domande. Le cose che la colpirono di
più però furono i
semafori; rimaneva incantata a guardare quelle luci colorate spegnersi
e
accendersi, poi la sua attenzione fu catturata dalle biciclette, dalle
moto,
dai vestiti delle persone e dalle case cosi diverse dalle sue. Alessio
rispondeva con pazienza alle domande a macchinetta che gli rivolgeva,
mentre
cercava un parcheggio: di certo si prospettava una lunga giornata.
E il secondo capitolo
è stato
postato con un’ immenso ritardo: o, per meglio dire,
è stato ri-postato: ho fatto dei
cambiamenti alla struttura e alla grammatica! Nonostante il poco
successo
–ahimè- del
primo capitolo, questa storia mi stuzzica parecchio e la
continuerò lo
stesso XD Sempre con aggiornamenti traballanti (ho altre storie con
più seguaci
che aspettano capitoli da tempo, ormai!)
Se vi è piaciuta fatemelo sapere
con un commento, se ci sono cose da migliorare… vale lo
stesso discorso.
* Si, Alessio non è mai stato un
grande portento in storia: tipico di lui confondere Antica Roma e
Medioevo. Capitelo XD
₁ Equivale a mezzogiorno
nel conteggio delle ore degli
antichi romani.
Detto questo..
Baci, Eikochan.