- Non capisco perché ogni volta mi
porti qua. Accidenti a te! – sbottò Rocco, mentre insieme a Marco camminava
lungo un viale alberato del cimitero. Ai lati del viale, tante tombe bianche e
nere, molte delle quali portavano degli omaggi dei vivi ai loro cari defunti.
Marco non badò al suo ragazzo che protestava, troppo intento ad osservare le
tombe. Le conosceva ormai tutte una ad una, eppure non si faceva mai mancare la
classica sbirciatina quando passava di là.
- Mi hai sentito? – incalzò Rocco.
- Eeeh.
Eccomi, Rocco. Uffa, certe volte sei proprio pesante, sai? –
- No, sei tu che sei pesante. Ma dico
io, è domenica mattina, potevo starmene a dormire beato e tranquillo e tu mi
butti giù dal letto per dirmi che dobbiamo andare al cimitero??? –
- Sì, perché devo andare a trovare mia
zia Clara e voglio che ti conosca. Problemi? – disse Marco, fermandosi accanto
al suo ragazzo.
Con i fiori in mano, Rocco fece una
smorfia scocciata – Uffa… Anche presentarmi ai morti, devi? Io a volte non ti
capisco… -
Senza preoccuparsi delle sue lamentele,
Marco minimizzò – Andiamo, brontolone. Se fai il bravo, più tardi a casa ci
aspettano mamma e papà con gli gnocchi al burro e salvia. Eh? –
Rocco non lo degnò di risposta, così
Marco per ripicca gli rubò il mazzo di fiori che teneva in mano e aumentò il
passo. A Marco piacevano i cimiteri. Pensare a tutta quella gente, che
finalmente non aveva più problemi, che riposava tranquilla senza doversi preoccupare
più di nulla… E poi gli piaceva guardare le date di nascita e di morte, e
calcolare quanti anni quelle persone fossero rimaste sulla terra. A volte erano
ultranovantenni e addirittura centenari, altre volte erano addirittura neonati.
La vita va, la vita viene. C’è chi vive fino ai cento e più anni, e c’è chi
muore non appena viene dato alla luce. Inoltre alcune tombe erano dei veri e
propri musei fotografici. Alcune portavano addirittura più di due fotografie
del defunto, e a Marco piaceva osservarle tutte, immaginando in quale epoca
fossero state scattate. Un giovanotto ventiseienne amante del passato: ecco
come amava definirsi. Forse per alcuni sarebbe potuto sembrare un nostalgico,
ma… cosa c’era di più bello dei ricordi? I cari, adorati ricordi… che quando
vengono ripuliti e adattati dalla mente umana, sembrano delle gioie, mentre
quando li si è vissuti, magari si pensava che fossero i momenti più brutti
della vita.
- Eccoci – disse Marco, in prossimità
di una tomba di marmo bianco, con l’immagine a colori di un’anziana signora.
Con la ritualità tipica di chi va a
trovare un parente defunto, Marco si chinò e posò i fiori, prendendo il vaso
con quelli vecchi e porgendolo a Rocco – Amore, cambieresti l’acqua e
butteresti i fiori vecchi per me? –
- Uff … va bene… - disse Rocco, e si
allontanò con il vaso di fiori secchi e morti.
- Ciao zia – disse Marco, toccando la
fotografia sulla lapide – Sono venuto a trovarti, sei contenta? Mi manchi, sai?
Penso sempre a quando ero piccolo, quando mi raccontavi di filosofia e dei miti
classici… Oh, quello che hai visto è Rocco. Il mio fidanzato. – Marco fece un
sorrisino – Non ti dispiace… vero? – In quel momento la sua espressione cambiò
da felice a sconsolata. Non era per niente sicuro che a sua zia fosse piaciuta
la rivelazione di avere un nipote omosessuale.
Alzando lo sguardo, vide qualcuno in
lontananza. Un gran ciuffo di capelli biondi, vestito con un abito molto
elegante, che si aggirava nel viale adiacente. Era un bel ragazzo dagli occhi
chiari, che Marco era sicuro aver già visto da qualche parte, anche se non
ricordava bene dove. Pensò di alzarsi un momento e andare a controllare, ma …
- Ecco la tua acqua – sopraggiunse
Rocco, tenendo il vasetto con l’acqua buona nella mano destra.
- Grazie amore – disse Marco, senza
staccare gli occhi di dosso al ragazzo ben vestito, che lentamente si stava
allontanando.
*****
- Dico sul serio, Paolo. Non sto
scherzando. La vita sulla terra è una schifezza. C’è talmente tanto
opportunismo e schifo che un’anima sensibile come la mia non riesce a trovare
requiem. –
In piedi davanti al loculo del suo
amico, Manuel chiacchierava tranquillamente, come se questi fosse lì con lui ad
ascoltarlo.
Aver perso Paolo era come aver perso un
fratello, che, era sicuro, mai più avrebbe ritrovato in nessun’altra persona.
Paolo per lui era tutto. Un amico, un confidente… un ragazzo adorabile. Manuel
adorava come riuscivano a conversare di tutto, senza falsi moralismi né
barriere mentali, e adorava come Paolo sorridesse alla vita, nonostante questa
l’avesse costretto su una sedia a rotelle per colpa di una malattia
degenerativa che aveva fin da bambino. Per Manuel era una persona perfetta, che
gli infondeva pace e tranquillità, virtù che adesso gli era difficile trovare
nelle altre persone, così becere e prive di sensibilità. Persone che si
avvicinavano a lui solo con l’intento di portarselo a letto o di approfittare
del suo denaro. Persino i pochi amici con cui usciva, non riuscivano a
convincerlo: sempre così superficiali e lagnosi che ogni volta che li
ascoltava, Manuel avrebbe voluto dir loro “Brutti imbecilli, avete due gambe
che funzionano ed un cervello in ottimo stato! Che cosa cazzo avete da
lamentarvi, idioti?!? …Se fosse qui Paolo, vi farebbe cambiare lui!”
- Mi fanno schifo. Tutti. Tutti quelli
che ho intorno, mi fanno schifo. Tu mi manchi tanto, Paolo… Non puoi immaginare
quanto… - disse queste ultime parole con la voce strozzata dalla commozione,
mentre allungava la mano a toccare la foto del ragazzo, ritratto sorridente
come lo era sempre stato.
- Chissà come si sta lassù, invece?
Bene, non è vero? …Non sai quante volte ci ho pensato. Ultimamente me lo chiedo
spesso, che cosa siano veramente la vita e la morte… e penso di desiderare
quest’ultima, alla vita… - Sospirò, asciugandosi gli occhi inumiditi dalle
lacrime. Restò a guardare ancora un po’ il loculo, poi si decise a baciare la
foto del suo caro, fargli un saluto e tornare da dove era venuto.
Poco più in là, Marco cercava il
ragazzo elegante con lo sguardo, senza tuttavia trovarlo. Infine lo vide che si
stava allontanando verso l’uscita del cimitero, ma pensò di non rincorrerlo.
Credere di averlo visto una volta, tanto tempo fa, non era un buon motivo per
andare a seccare le persone. “Chissà cosa ci è venuto a fare qui.” Pensò Marco,
scuotendo la testa. Improvvisamente, con la coda dell’occhio vide quello per
cui il ragazzo era venuto. Il loculo. Si avvicinò e lo guardò.
L’iscrizione sul marmo diceva “PAOLO
SCORDAMITI – 17/09/1980 – 06/06/2003”. Sotto la fotografia del ragazzo, c’era
una piccola targhetta di porcellana, con sopra un’iscrizione.
Persone
belle nella vita se ne incontrano poche. Tu eri bellissimo, e dolce. Amico mio,
che un giorno mi tendesti la tua mano, guidaci ancora mentre viviamo su questa
terra, affinché il tuo ricordo nelle nostre vite non si affievolisca mai.
Firmato,
M. C.
Marco lesse e rilesse più volte quelle
righe, provando una stretta al cuore. Parole bellissime, degne di dedica forse
ad un amante, non certo ad un amico. Per molti l’amicizia era un concetto
strano, come l’amore. Eppure entrambi nascevano spontaneamente, e altrettanto
spontaneamente vivevano. A Marco si inumidirono gli occhi, e dovette asciugarsi
con un fazzolettino, mentre pensava a quel ragazzo tumulato in quel loculo: lo
sapeva di essere fortunato, ad avere un amico così caro?
Il suo pensiero fu interrotto da Rocco,
che chiedeva attenzione. Era quasi l’una, e cominciava ad avere fame.
- Sì amore, adesso andiamo a pranzo! –
disse, ma prima di tornare verso Rocco, si baciò le dita e toccò la fotografia
del ragazzo.
- Bè? – esordì Rocco non appena lo vide
arrivare. – Hai salutato il tuo amico? –
- Sì. Fatto. – disse Marco, e con un
sorriso prese il braccio del suo fidanzato – Vieni, andiamo a casa. Specialità
di oggi: gnocchi burro e salvia! –
- Finalmente! Ho una fame che non ci
vedo più… - disse Rocco. Marco lo baciò dolcemente sulla guancia e lui si
limitò a dire – Non in pubblico… -
- Ma dai, non c’è nessuno. –
- Comunque sia, non farlo più, d’accordo?
–
- Uffa… va bene… - mormorò Marco, e un
po’ incupito si avviò insieme a Rocco verso l’uscita.