Capitolo II.
Lisa
non fece altro che parlare della festa in maschera di Franzoni per
tutta la mattina: cosa avrebbero indossato, come si sarebbero truccate
e pettinate, che scarpe avrebbero scelto. Cecilia provava
disperatamente a seguire la lezione di storia contemporanea, ma con un
borbottio continuo di sottofondo, persino il professore faceva fatica a
spiegare, lanciando di continuo occhiatacce alle due ragazze.
- Ci divertiremo, me lo sento. Ah, giusto; non sai nemmeno cosa voglia
dire divertirsi! – le
mormorò in un orecchio, provocando uno sbuffo irritato
dell'amica.
- Ora basta, – sussurrò
Cecilia, che prese a riordinare le poche penne sparse sul piccolo
tavolino a scomparsa davanti a sé. Racimolò i
fogli mezzi scarabocchiati nel tentativo di prendere appunti e li
ficcò nella tracolla colorata. Due ragazzi la guardarono con
astio, mentre li costringeva ad alzarsi per uscire dalla fila, ed era
certa che il suo movimento repentino non sarebbe passato inosservato
nemmeno al docente, che detestava vedere gli studenti abbandonare la
lezione anzitempo. Pazienza, perlomeno si era liberata del
chiacchiericcio fastidioso di Lisa e dei suoi vaneggiamenti su trucco e
parrucco per la serata.
Il chiostro dell'università era ampio, soleggiato e
soprattutto poco frequentato, eccezion fatta per gli studenti di
passaggio. Era il posto perfetto per ripassare prima di un esame, per
gustarsi un libro nelle pause pranzo... o per fare spiacevoli ed
inattesi incontri. Melissa Cedreo e Gisella Ferris rappresentavano al
meglio l'espressione cervelli in fuga, con l'unica e determinante differenza
che i loro neuroni non erano espatriati all'estero, ma semplicemente si
erano dissolti nell'aere, polverizzati da un'inalazione intensa e
prolungata di solvente per unghie o di fissante per capelli. Entrambe
ventiduenni di belle speranze – un
marito vecchio e ricco sarebbe stato il top –, trascorrevano le giornate in
facoltà alla ricerca di volantini di feste universitarie,
trovando il tempo di sedersi in aula solo nei momenti in cui la
stanchezza di camminare su trampoli s'impossessava dei loro corpi
martoriati da lampade solari e diete dimagranti. Melissa, poi, aveva un
ulteriore tarlo: era la sorella di Maria Carolina, l'adorabile compagna
di Ferdinando, padre di Cecilia. Questo creava tra le ragazze una
specie di vincolo parentale indesiderato da ambo le parti, una sorta di
rapporto zia-nipote che era al limite dell'incredibile. Inutile
precisare che nessuno avesse interesse nel rendere pubblica una tale
complicata situazione familiare, perciò la
miglior cosa da fare era ignorarsi il più possibile e
sperare che, alla prossima cena a casa Molinari, l'altra non ci fosse.
- Ti sei fatta scaricare persino dalla tua amica stracciona?
La voce fastidiosamente acuta di Gisella la raggiunse, ma lei finse di
non coglierla. Scendere al livello delle loro provocazioni sarebbe
stato troppo nocivo per l'umore già terribilmente provato
del suo lunedì mattina.
- Lasciala perdere, Gis, – la
rimproverò Melissa, turbata dal dover anche solo parlare con
una persona tanto indesiderata.
- Sarà meglio che non ci siate da Fil stasera, non vorrei
che ci fosse odore di rotture di scatole sin dall'entrata, – la
minacciò l'altra.
Benissimo, ora Cecilia poteva dire di avere un'altra ragione per volere
disertare la festa: un'intera nottata in compagnia delle due vipere con
cui Lisa e lei erano in aperta lotta praticamente da sempre era da
considerarsi suicidio o quanto mento eutanasia. L'inimicizia e
l'acredine che intercorrevano tra le quattro ragazze avevano origine
così lontano nel tempo – probabilmente
si erano azzuffate per la prima volta mentre la cicogna le smistava
alle rispettive madri – da
risultare difficile persino dire quali fossero le vere ragioni che le
avevano spinte a detestarsi; differenti stili di vita, opposto
approccio alle persone e la presenza o meno di materia grigia erano, a
grandi linee, le diversità che le portavano ad un reciproco
odio.
Le due se ne andarono presto, ancheggiando sui tacchi e lasciando uno
sgradevole ricordo della loro presenza nella giornata della ragazza che
se ne stava a gambe distese sotto il pergolato, arresa alla serataccia
che l'aspettava.
Un turbine colorato arrivò trafelato fino a lei, non prima
di aver urtato una decina di persone: Lisa l'aveva raggiunta di nuovo,
piena di idee ed indirizzi per trovare un costume a buon mercato per la
sera. Aveva deciso che si sarebbero travestite da cortigiane
ottocentesche, possibilmente con una grande maschera a celare il viso
per scongiurare la malaugurata ipotesi di incontrare Niccolò
o le due galline appena schivate.
Cecilia capì che il proprio pomeriggio di studio sarebbe
saltato, non appena Lisa trasse dalla tasca una lista stropicciata di
negozi da vedere. Tra una piega e l'altra, si potevano leggere siti
internet da consultare e la bozza di una mappa per raggiungere una
piccola bottega nella città antica, il quartiere che
corrisponde grossomodo alla Verona di epoca romana.
- Sale in zucca, vicoletto della Polvere 13, - lesse la
biondina ad alta voce. Non aveva mai sentito di quel negozio e nemmeno
di quella stradina dal nome curioso. – Lo
conosci?
L'amica alzò le spalle e scosse la testa, ma
consultò il piccolo schizzo che aveva scarabocchiato sul
foglio, spiegando come avesse trovato tutte le indicazioni su di una
pergamena ingiallita attaccata alla bacheca della facoltà.
- Sembrerebbe vicino a vicolo San Sebastiano, sono solo dieci minuti a
piedi da qui, – proseguì.
S'incamminarono, una sorridente ed iperattiva, l'altra che avrebbe
volentieri attinto ad un po' della sua energia per trovare la voglia di
travestirsi. Era solo una stupida festa in maschera, che prendeva a
tutti?
La giornata era calda e tranquilla, il traffico scorreva senza intoppi
tra i semafori e le strade affollate del centro e l'atmosfera autunnale – le
foglie colorate a foderare i marciapiedi, le prime brezze fredde a
solleticare il viso – sembrava
essere rimandata almeno di un paio di settimane.
La parte vecchia di Verona era quanto di più bello e
suggestivo Cecilia avesse mai visto nella vita; ogni edificio, ogni
finestra e persino ogni sampietrino per terra aveva da raccontare
qualcosa, un evento, una persona, una storia. Non poteva frenare la
propria immaginazione di fronte a tanti spunti e allora la fantasia
correva ad altre epoche, dove un'altra lei, – magari
stretta in un corsetto ricamato ed una gonna ampia, i capelli
arricciati in boccoli dorati schiacciati da un cappellino e un
ombrellino a proteggerla dal sole – stava
passeggiando piano, godendosi il tenero calore del pomeriggio.
La gomitata nelle costole di Lisa la fece tornare al presente. La
guardò con stizza, mentre, sempre senza aprire bocca, le
indicava un vicoletto che non ricordava di aver mai visto prima,
nonostante passasse di frequente da quelle parti.
Una piccola insegna lilla recitava Sale in zucca, ma la scritta era poco visibile, coperta
da una folta edera rampicante che cadeva da entrambi i lati del
cartello rettangolare. C'era una sola vetrina, dove due ampi costumi,
uno da ranocchio e uno da principe azzurro, erano stati stipati con
malagrazia sopra due grucce. Entrarono un po' timorose, accolte da un
parquet scricchiolante e da una fragranza di lavanda, spruzzata da due
angioletti appesi alle pareti. Non appena mossero un passo all'interno
del modesto spazio, sovrabbondante di costumi di ogni sorta – da Batman a Pippi Calzelunghe, da un
dragone cinese a due candelieri – la
loro vista fu sopraffatta da tutto quell'affascinante disordine di
stoffe, nastri, pizzi e merletti. Una grande cassettiera occupava
un'intera parete ed alcuni tiretti erano rimasti aperti, traboccanti di
bottoni e cerniere che ne impedivano la chiusura.
- Ti ho trovato, canaglia!
Una signora cicciottella, alta poco più di un metro e
quaranta, balzò in piedi da dietro il bancone, lanciando per
aria una striscia di tulle e centinaia di paillettes color bronzo e
stringendo tra l'indice e il pollice di una mano una gemma verde.
Cecilia fece un balzo all'indietro spaventata e Lisa afferrò
l'unico appendino disponibile come arma di difesa. Si calmarono solo
quando la donna regalò loro uno splendido sorriso
rassicurante sul volto paffuto. La osservarono meglio: indossava un
maglione azzurro acceso e una sottana scura, sotto un grembiule
bucherellato da aghi e spilli; in testa, i capelli rossicci erano
raccolti in uno chignon arrangiato rapidamente, sostenuto da uno
spillone di legno un po' più lungo di quelli che le ragazze
avevano sempre visto in commercio. Al collo portava un medaglione
rotondo con dei ghirigori floreali che le poggiava sul seno prosperoso.
- Ehilà! – le
salutò cortese. – Sono
Fatima, buongiorno.
- S-salve, – tentò
Cecilia. – Vorremmo dei costumi.
- L'avevo capito, sapete? – strizzò
loro l'occhio e allargò le braccia, come a dire che non
aveva altro che vestiti da offrire alla clientela. – Tu,
Lisa, da cosa vorresti travestirti? Un procione a quadri, un unicorno
arancio, un panda a pois...? No, aspetta, forse sei più tipo
da pipistrello rosa con le ali cosparse di brillantini?
Cecilia era esterrefatta, avevo un mucchio di domande da fare a
proposito di quella stramba signora: come diamine faceva a sapere il
nome della sua amica? Dove diavolo era stato quel negozio negli ultimi
vent'anni e, cosa più importante, chi mai poteva comprare un
costume da pipistrello rosa pieno di glitter?
Lisa, però, non sembrava altrettanto scossa dall'alone di
mistero che attorniava la figura di Fatima; al contrario, si era fatta
coinvolgere dal modo di fare disinvolto e non convenzionale della
negoziante, che la stava facendo piroettare da un lato all'altro della
bottega. Le mostrò con cura tutto ciò che poteva
offrirle, a seconda della sua corporatura e dei suoi tratti somatici;
la ragazza risolse di affittare un lungo abito verde acqua con dei
volants attorno al collo ad abbellire una severa giacca chiusa da
cinque bottoni. Dietro la schiena e ai due polsi dei piccoli fiocchetti
arricchivano la stoffa, leggermente più chiara sull'ampia
gonna, che presentava dei drappeggi appena accennati.
Fatima insisté perché Cecilia ne affittasse una
copia quasi identica, azzurra come i suoi occhi, con l'unica variante
di un semplice corpetto a vista, sotto un elegante bolero blu. La
biondina non ne era molto convinta, ma quando la donna le propose una
maschera argentata con un bordino celeste e due farfalle ai lati, non
ebbe più dubbi: ciò che più le
interessava era far sparire la sua faccia dalla festa, per evitare
Niccolò, Gisella, Melissa e l'eventuale presenza di ex
compagni di liceo. Non le era chiaro chi altro potesse rimanere – viste
le scarse conoscenze di Franzoni –, ma avrebbe passato tutto il tempo con
Gianluca, Carlo e Lisa, perciò non valeva nemmeno la pena di
pensare ad altre persone.
Pagarono ciascuna il proprio costume e salutarono educatamente la
proprietaria del negozio, prima di voltarle le spalle e raggiungere la
porta.
- Riportatemeli prima di mezzanotte, mi raccomando, o rimarrete nude, – urlò
Fatima dal bancone. Le due ragazze si voltarono verso di lei e si
scambiarono un'occhiata perplessa; Lisa, la più razionale
delle due, pensò alla tempistica: come avrebbero mai potuto
riconsegnare i vestiti puliti e stirati solo un'ora dopo l'inizio della
festa? Cecilia, invece, sprofondò nello sconforto,
immaginandosi la scena di se stessa nuda di fronte a
Niccolò. Beh, non che fosse proprio una fantasia, era
più un ricordo; c'era già stata in passato e non
era finita bene, perché purtroppo anche qualcun'altra aveva
avuto la stessa idea. – Oh, suvvia, sto scherzando!
La signora ridacchiò sotto i baffi, mentre Lisa si sforzava
di sorriderle, sistemando gli occhiali che le erano scivolati lungo il
naso. Quella Fatima era davvero strana, non c'erano dubbi. Le
salutò con un bacio volante e lanciò loro, nel
vero senso della parola, un biglietto da visita. Cecilia lo
afferrò al volo e lo guardò, mentre la porta si
richiudeva alle sue spalle.
"Sale
in zucca"
di Fatima Turchetta
Vicolo
della Polvere, 13
Quando
c'è il bel tempo, Verona.
Seguiva una piccola miniatura del faccione rotondo della proprietaria,
il cappuccio di quello che pareva un mantello lilla in testa e un bel
sorriso materno.
Quando
c'è il bel tempo? Pensò la ragazza, sempre
più perplessa, girando il cartoncino per vedere se anche
sull'altro lato ci fossero delle stranezze. Rimase quasi delusa nel
constatare che il retro era candido come la neve, intonso. Lo
passò all'amica che lo reclamava e ripresero a camminare
verso vicolo San Sebastiano per arrivare alla fermata dell'autobus.
- Fa molto Ok, il prezzo è giusto la posa della signora, non credi? – commentò Lisa, sghignazzando e
restituendole il foglietto. Cecilia fece per cacciarlo in uno scomparto
della borsa, ma si raggelò quando vide che nella stampa ora
Fatima le stava facendo l'occhiolino, un pollice della mano verso
l'alto. Ma non stava sorridendo fino a qualche istante prima? Che c'era
ora, la festa di Franzoni le dava pure le allucinazioni?
I vestiti, impacchettati da uno strato di cellophane per preservarli,
pesavano una tonnellata ed erano molto più voluminosi di
quello che avevano pensato. Le ragazze s'infilarono a fatica dentro il
bus ed andarono filate verso casa di Lisa, perché
quest'ultima era davvero molto inquieta riguardo l'ultimo problema da
affrontare in previsione del party: la questione scarpe.
Cecilia non aveva nulla di adatto da indossare sotto un costume da dama
ottocentesca e la sua amica di certo non le avrebbe permesso di fare
una ricostruzione storica approssimativa, abbinando al pregiato damasco
del corpetto ricamato, un paio di ballerine del 2011 grigio
metallizzate. Nemmeno le babbucce di Scooby Doo le sarebbero piaciute,
probabilmente...
Trascorsero tutto il pomeriggio a passare in rassegna mentalmente
ciò che era sistemato e ciò che ancora era da
perfezionare. Cecilia passò da casa solo per lavarsi veloce;
di recente, meno restava in quell'appartamento da sola, meglio stava.
Sua madre non c'era mai, troppo impegnata tra lavori ed amante, e Van
Gogh ormai si rifiutava di sorbirsi le sue continue paranoie,
rifugiandosi in un angolino dell'acquario. Cosa poteva esserci di
peggio di non essere ascoltata da un dannato pesce?
Si fecero i boccoli a vicenda, incastrando i capelli tra le forcine e
l'elastico della maschera, perché di certo non correvano il
pericolo di volersele togliere. L'unico inconveniente rimaneva ancora
la decisione circa le calzature.
- Ho trovato! Saranno perfette per te! – strillò dal nulla un'entusiasta
Lisa. Aprì due ante del grosso armadio in ciliegio della sua
camera e prese a trafficare nella caotica moltitudine di vestiti e
accessori. – Eccole!
Sei fortunata, a me non vanno più.
Cecilia guardò la scatola che l'amica le porgeva, pensando
che evidentemente non condividevano lo stesso concetto di fortuna. Non aveva bisogno di togliere il
coperchio per ricordare quale orribile paio di scarpe fossero state
accuratamente sistemate all'interno. Due stivaletti color cuoio, alti
qualche centimetro sopra la caviglia, stringati, con un insulso
tacchetto di due dita. Lisa aveva gridato al miracolo quando li aveva
scovati in un mercatino vintage, durante un viaggio a Roma, ma il solo
miracolo che aveva visto Cecilia era che qualcuno avesse avuto il
coraggio di indossarli. Era proprio un tiro mancino quello che il
destino le stava facendo: sarebbe stata lei a calzare quei... cosi, perché di sicuro non avrebbe
mai avuto il fegato di dire a Lisa che quelle scarpe erano quanto di
più brutto ci fosse al mondo. Non che temesse di ferire i
sentimenti dell'amica – non
era nemmeno sicura ce li avesse, i sentimenti –, ma avrebbe fatto la parte dell'ingrata,
considerato come l'altra si fosse prodigata per la riuscita della
serata.
- G-grazie, – disse
quindi, in un tono a metà tra una domanda ed
un'affermazione. Cercò di mantenere un sorriso smagliante
anche nel momento in cui fu costretta ad aprire la scatola; non era mai
stata brava a fingere, però si fece forza e
lasciò l'aria schifata ad altre occasioni dove, era certa,
non sarebbe stata così condiscendente con il vestiario di
Lisa.
Impiegò il maggior tempo possibile ad infilarsi quei dannati
scarponcini, crogiolandosi nella magrissima consolazione che li avrebbe
utilizzati solo per una sera e, tutto sommato, forse gli altri nemmeno
li avrebbero notati, sotto tre strati di stoffa pesante. Purtroppo,
Lisa finì di truccarsi alla svelta e la costrinse a
sfoggiare gli stivaletti con qualche minuto di anticipo. E ora se ne
stavano lì, splendidi nel loro aspetto orripilante
– visivo e olfattivo, perché sapevano di pelle
vecchia, tattile e persino uditiva, perché scommetteva che
quelle suole dell'anteguerra avrebbero cigolato a meraviglia sul
pavimento di prezioso marmo di villa Franzoni. In compenso, il vestito
le stava discretamente, le metteva in risalto gli occhi e la
scollatura, e i capelli sembravano tenere la piega.
Tinky Winky e Dipsy – rispettivamente
Gianluca e Carlo – passarono
a prenderle con i canonici dieci minuti di ritardo. Erano semplicemente
ridicoli in quei costumi da Teletubbies e ciò che
più faceva sganasciare le due ragazze era che i due
sembravano a perfetto agio, conciati da mostriciattoli.
Lisa impiegò tre secondi esatti per far evaporare Rastrelli
dal sedile anteriore, con la scusa del vestito ingombrante e la
minaccia di fare di luiun
novello Farinelli. La faccia perplessa del ragazzo la indusse a fornire
ulteriori chiarimenti.
- Cielo, dimentico sempre la tua ignoranza. Carlo Broschi, in arte
Farinelli, è il più famoso cantante lirico
castrato della storia, – gracchiò
acida, ma l'espressione confusa non sparì dal volto del suo
interlocutore.
- Vuoi trasformarmi in un cantante lirico? – chiese,
ingarbugliato tra i concetti mal spiegati, a suo dire, di Lisa.
Cecilia appoggiò la fronte sul vetro freddo del finestrino e
roteò gli occhi: sapeva con certezza che la lentezza di
comprendonio dell'uno e l'alterigia dell'altra avrebbero presto portato
ad una discussione di ben poco spessore culturale.
- Ti voglio castrare, idiota! – sbottò
infatti lei, dandogli a fatica uno scappellotto sulla nuca. Finalmente,
il concetto chiaro e tondo raggiunse l'unico neurone solitario rimasto
ad abitare il cervello di Carlo, che ridusse gli occhi a due fessure e
fece correre veloce il criceto per rispondere all'offesa.
- Vai a cagare, saputella del cavolo! – sbraitò
infine. E la trivialità fu servita.
Lisa, come al solito, non si scompose ed attinse al suo vasto
repertorio di curiosità inutili saccheggiate da ogni singola
pagina di Wikipedia.
- Martin Lutero ha scritto le 95 tesi sul
water; soffriva di costipazione cronica, poverino. Perciò,
mi risulta difficile intendere questa tua frase come un'offesa.
Rastrelli... andrà meglio la prossima volta, dai! – lo
canzonò.
Carlo la guardò in tralice e se i suoi occhi avessero potuto
ucciderla, lo avrebbero fatto: Lisa sarebbe morta incenerita in un
nanosecondo. Fortunatamente per lei, la mole imperiosa di casa Franzoni
era comparsa nel campo visivo dei quattro nell'auto, ricordando loro
che era arrivata l'ora di scendere e godersi la festa.
La villa era fastidiosamente opulenta, nell'architettura pretenziosa di
stile neoclassico e nell'entrata degna di un palazzo reale. Nel
curatissimo giardino, i fiori estivi tardivi e i primi boccioli
d'autunno riempivano l'aria di un fresco e delicato profumo.
All'interno, l'arredamento era costoso e lussuoso in ogni dettaglio,
dal caminetto antico impreziosito da intarsi elaborati, ai quadri
d'arte moderna e contemporanea. Era stomachevole l'aura di
superiorità intrisa in ogni muro, nel lampadario di
cristallo che creava effetti colorati a contrasto con le luci
artificiali, nel divano di pelle italiana su cui ci sarebbero state
comodamente sdraiate almeno sei famiglie. Ma ormai le due damigelle e i
due Teletubbies erano giunti a destinazione, nell'immenso salotto colmo
di gente, e il gioco di maschere e costumi stava per iniziare. Non
rimaneva che ballare.
Lo so, nessuna traccia di
Matteo, ma, già dall'inizio del prossimo capitolo, il
protagonista sarà lui.
Preciso una cosa: forse qualcuna storcerà il naso di fronte
all'uso di parolacce e situazioni ambigue (che leggere da qui in
avanti). È una fiaba, ne sono conscia. Ma è anche
una rivisitazione in chiave moderna e i protagonisti sono ragazzi.
Perciò, sì, dicono parolacce, oltre a fare 'cose
normali', come uscire in compagnia e andare all'università.
Trovo più realistico che abbiano anche atteggiamenti
'negativi', piuttosto che proporvi dei personaggi che sono perfetti. Se
non è quello che cercate, mi dispiace. Questa è
la mia scelta, voi siete liberi di fare la vostra.
Ringrazio Nessie e SunshinePol per l'aiuto con la stesura e il
betaggio, IoNarrante per il bellissimo banner e voi che avete
letto e recensito.
P.S.Non abituatevi ad aggiornamenti fuori programma: ho idea che questo rimarrà un caso isolato.
Buona serata,
S.