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Autore: Berty_Poppins    20/02/2012    5 recensioni
Temari ricordava ogni minimo particolare della sua vita, ogni sussurro, ogni colpo, era tutto nella sua testa. Il senso di colpa per non aver fatto niente, per non essere stata una sorella migliore, perchè Gaara era il suo più grande rimpianto ed era in primis suo fratello.
[ Temari-centric, Gaaraohsi, accenni ShikaTema, triste... no sul serio, è triste]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sabaku no Gaara , Shikamaru Nara, Temari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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[...] flashback








I will wander 'till the end of time torn away from you...





[ Non sapeva per quale motivo amasse così tanto il tintinnio del ghiaccio dentro un bicchiere. Click-click-click, non era neanche un vero e proprio click, ma ci andava molto vicino.
Vedere del ghiaccio a casa sua era quasi impossibile, vuoi perchè abitare praticamente in mezzo al nulla con tanta, tanta sabbia attorno non era proprio un sinonimo di fresco&piacevole, vuoi perchè la gente di Suna preferiva bere qualsiasi tipo di liquore al naturale e ciò era sinonimo di molte cose... vodka liscia ad esempio.
Si pensa che il posto in cui si abita condizioni in qualche strano, assurdo modo la propria personalità. Traduzione: se vivi in campagna sei un campagnolo e se vivi in un fottuto deserto automaticamente non sai cos'è la frutta (perchè non crescono molti alberi da frutto nel deserto, al massimo qualche palma o erbetta arida per cammelli) e neanche cosa significhi la parola freddo, figuriamoci conoscere il suono prodotto da qualche cubetto di ghiaccio che tintinna in un bicchiere pieno a metà di che-so-io. Ovviamente erano tutte stronzate.
A lei piaceva quel suono, quel lieve click-click-click che non era un vero e proprio click.
Se ne rese conto una notte non buia e tempestosa, una notte normale sapete?, alla quale lei aveva dedicato un sentitissimo 'vaffanculo' dopo aver capito che non c'era verso di chiudere occhio (davvero quelle erano le notti più odiose di tutte). Insomma non si dormiva e a lei ovviamente era venuta sete -- non per il caldo accidenti, non si deve per forza essere sul punto di crepare di afa per bere! -- quindi si era disordinatamente catapultata fuori dalla sua camera con gli occhi incrostati di rabbia e sonno represso e, si, odio verso ogni essere vivente.
Di tutte le cose che odiava camminare al buio dal corridoio che dalla sua camera proseguiva a non finire fino alle scale era quasi la peggiore. Non aveva particolarmente paura del buio, la infastidiva il silenzio opprimente delle case (o dei palazzi nel suo caso) quando l'orologio segnava le tre e fischia di mattina; non era neanche un silenzio tranquillo quello, si sentivano i rumori più disparati di notte e, frutto della tua immaginazione o meno, era di un fastidioso allucinante. Quasi non respirava per preservare quel minimo di lucidità che le permetteva di camminare a passo sostenuto piuttosto che mettersi a correre come un'assatanata.
Ricordava di essere quasi caduta dalle scale perchè uno spiffero le aveva solleticato il polpaccio destro e diamine lei aveva dieci anni a quei tempi, ovviamente si era completamente cristallizzata nell'atto di scendere uno scalino. Certo morire cadendo le scale non sarebbe stata una fine dignitosa per la figlia del Kazekage, insomma non poteva mica comportarsi come tutti gli altri lei!, aveva una dignità da conservare e i suoi antenati non gliel'avrebbero fatta passare liscia nel caso in cui, diciamo, un vaso caduto dal un balcone le si fosse spiattellato sul cranio o cose così.
Si era risparmiata la rovinosa caduta grazie ai suoi riflessi non certo per culo, ad ogni modo il pericolo era sempre in agguato visto che la sua camera era tre piani più in alto della cucina. Di solito sgraffignava una bottiglia d'acqua a Kankuro che durante la notte si svegliava minimo tre volte per bere ed andare conseguentemente in bagno (il perchè lo facesse aveva molto a che fare con il suo essere incommensurabilmente imbecille, d'altra parte Temari credeva che in realtà suo fratello fosse semplicemente terrorizzato dal pensiero di vedersi spuntare gli occhi sbarrati di Gaara nel bel mezzo della notte proprio davanti la faccia -- il che dava un significato tutto particolare all'azione di andare in bagno), ma quella sera Kankuro aveva chiuso la sua camera (con lui dentro chiaramente) a doppia mandata dopo aver, come dire, assistito ad una delle frequenti carinerie di Gaara nei confronti di un ignaro lacchè di loro padre -- il tipo si era ritrovato con la testa sotto kg e kg di sabbia senza sapere nè perchè nè per come e Kankuro aveva assistito al, ehm, pasticcio con due occhi grandi come palle da bowling.
Il fatto che lui dormisse nella stessa stanza di Gaara ben consapevole del fatto che quest'ultimo non dormisse affatto&mai non aiutava o facilitava per niente nè Kankuro nè altri, Temari men che meno, ma almeno lei aveva il coraggio di dormire con un kunai sotto il cuscino nel caso in cui Gaara avesse perso l'ultima rotella che gli era rimasta.
In realtà non aveva neanche così tanta paura di Gaara, c'erano momenti in cui si scordava completamente della sua esistenza... insomma non è che parlasse tanto e il più delle volte se ne stava immobile nella stessa identica posizione sullo stesso, medesimo punto per ore ed ore. Temari credeva che volesse in qualche strano modo attirare l'attenzione o rendersi totalmente invisibile. Era una contraddizione vivente quel Gaara.
Incidenti a parte era riuscita ad arrivare illesa nell'immenso salone d'ingresso e con passo sempre più felpato si era diretta alla sua sinistra percorrendo la strada che conosceva a memoria. Qualche candela era rimasta accesa e la luce fioca proiettava ombre traballanti sulle pareti, non era preoccupata dalle ombre lei, non aveva paura del buio. Era il silenzio che spostava il baricentro del suo autocontrollo da bambina di dieci anni, sorella maggiore di due fratelli, uno traumatizzato in omnem vitam e l'altro killer occasionale di esimi individui. Lo vedete il baricentro del suo autoncontrollo? E' quel puntino minuscolo lì, per la cronaca.
Generalmente non c'era nessuno a quell'ora indecente in giro per il palazzo, lo staff di norma tornava a casa propria una volta finito il turno e le guardie restavano fuori perchè ovviamente nessuno si sarebbe azzardato di varcare le porte del palazzo quando Gaara era al suo interno, era una specie di insetticida in un certo qual modo... teneva lontano o uccideva.
Ricordava di essere rimasta sorpresa nel vedere le luci della loro sala da pranzo accese, si era già preparata un discorso nel caso in cui ci fosse stato suo padre lì dentro. Invece aveva trovato suo fratello. Il piccolo per essere fiscali, il mezzano era ancora chiuso nella sua stanza a tremare a quanto pareva.
Si era fossilizzata sul posto. Ora, Gaara aveva soltanto sette anni, ma aveva ucciso così tante persone da risultare pericoloso a tutti, persino a loro padre, Temari non era una stupida e in quel momento avrebbe largamente preferito morire di sete piuttosto che fare un qualsiasi movimento che avrebbe anche minimamente potuto attirare l'attenzione di Gaara su di lei.
Non che avesse paura, era la sua faccia, i suoi occhi, il suo silenzio a metterle il gelo nelle ossa.
Ma Gaara l'aveva già vista, i suoi occhi si eramo mossi verso di lei in quel modo agghiacciante e poi erano ritornati esanimi nella loro posizione iniziale. Era seduto tutto storto e c'era qualcosa sotto la sua pelle, Temari ne era assolutamente sicura, che si muoveva come tanti piccoli lombrichi. Si era grattata il braccio improvvisamente invasa da una strana voglia di rumore e se graffiarsi a sangue le avrebbe dato quello che voleva ben venga il dolore e... qualsiasi altra cosa.
Ovviamente a quei tempi era stata solo una bambina e tutte quelle riflessioni scoordinate erano state aggiunte man mano che cresceva... perchè in fondo lei non dimenticava mai niente, aveva tutto nella testa, ogni rumore, ogni colpo, ogni ferita, ogni notte insonne, ogni dannatissima cosa era all'interno del suo cervello e raschiava, raschiava con unghie affilate la sua razionalità pur di uscire. Faceva un male cane.
La fronte di Gaara non era ancora completamente guarita, c'erano ancora i segni delle croste che la sabbia aveva lasciato, ma la parola si distingueva anche al buio. E non era la sua faccia il vero problema, davvero, era la sua pelle quasi rattrappita dall'insonnia e dalla sabbia e da tutto il sangue che... pensava sempre a qualcosa di freddo quando Gaara era a pochi metri da lei. Semplicemente le mandava in fumo il cervello non facendo assolutamente nulla di inaspettato. Da Gaara si aspettava violenza, odio e un silenzio quasi pietoso come se lui volesse metterti davanti la tua stessa inettitudine non dicendoti assolutamente nulla; in verità Temari sarebbe scappata in preda al panico se Gaara avesse alzato una mano per salutarla, se invece l'avesse alzata per colpirla sarebbe stato normale, sicuro e scontato perchè era quello che lei si aspettava da lui... era sempre preparata a quel genere di cose, i suoi muscoli mettevano l'autopilot ogni volta che i suoi occhi scorgevano i capelli rossi del minore dei suoi fratelli. Era normale avere paura di Gaara.
In realtà non ricordava neanche il suono della sua voce e neanche l'ultima volta che l'aveva guardato da vicino. In un certo qual modo si sentiva in colpa e indifesa.
La cosa strana era che non era mai Gaara ad iniziare una conversazione (o dialogo o soliloquio), la gente dopo l'uccisione di loro zio (Temari vedeva ancora il sangue sulla faccia di Gaara, sentiva ancora la sabbia nei polmoni) aveva cominciato a parlare. Baki più di tutti, la maggior parte si limitava a sibilare un 'mostro' rancoroso ogni qual volta Gaara si faceva vedere.
Per Temari era su per giu lo stesso, si sentiva quasi obbligata a parlare, anche solo una parola.
Gaara non le rispondeva mai, però non l'aveva mai messa in pericolo. Nel senso che non le aveva maciullato una gamba con la sabbia o altro, semplicemente non aveva mai cercato di ucciderla, non che le dispiacesse.
Solo che... avete presente il suono del vento sulla sabbia? Quel leggero graffiare che non è neanche un suono, troppo lieve, troppo incostante. Ecco, quel suono accompagnava Gaara ovunque andasse. Lui stava sempre in silenzio, solo quel sibilo graffiato parlava per lui.
Era quello che le metteva i brividi, quella consapevolezza di avere davanti non una persona, ma un demone pronto ad ammazzarti, era quel silenzio innaturale e quella faccia da bambino rattrappita e ferita e morta. Lei non aveva paura del buio.
Di suo fratello si. E dire che il buio è uno sconosciuto, chi lo sa cosa si nasconde dietro l'angolo, mh?, o dentro l'armadio... Tuo fratello dovrebbe essere una cosa sicura, insomma lo vedi tutti i giorni quasi ad averne la nausea, perchè dovresti esserne praticamente terrorizzata?
Logicamente non è possibile. Però succede che ad un certo punto guardi la persona che hai davanti e provi quel senso di repulsione e disgusto che sfocia nella paura più primordiale. In un certo senso è il tuo corpo che ti avvisa, in poche parole ti dice che sei ad un passo così dal crepare sotto tonnellate di sabbia mosse dalla mano di un pupattolo di sette anni con un tatuaggio in fronte e occhiaie nere come la pece. Potrebbe anche essere una scena divertente, perchè in fondo è paradossale, ma Temari si sentiva sempre così quando Gaara si trovava nelle vicinanze. Lo sentiva quasi sotto la pelle, come a monito di star ferma, immobile, zitta.
Eppure c'era anche questa voglia di parlare, di dire qualcosa per vedere se si sbagliava. Perchè forse non era colpa sua se era così, forse si sbagliavano tutti, in fondo come può un bambino ammazzare della gente?
E lei pensava sempre a qualcosa di freddo quando Gaara era a pochi metri da lei. Quella sera si immagino un bicchiere ghiacciato con dei cubetti di ghiaccio dentro che scricchiolavano e si calmò un tantino. Era sempre stata una bambina molto quadrata, di solito pensava sempre prima di agire e non a caso era nata in una famiglia di amigui figli di puttana abilissimi nell'arte di ingannare. Le barriere del suo autocontrollo erano state alzate fin troppo precocemente.
Crescendo Temari si era resa conto di non essere poi tanto diversa da Gaara.
La logica ti uccide.
Non gli disse niente quella notte (il tintinnio del ghiaccio era fin troppo forte nella sua testa per formulare qualcosa di sensato), si limitò a fare marcia indietro con gli occhi puntati sul pavimento. Inciampò rovinosamente salendo la seconda rampa di scale sbattendo dolorosamente il ginocchio sulla dura consistenza dello scalino.
Stranamente non sentì dolore, non sentì più un suono... neanche il battito del suo cuore era percepibile. Ricordava di essersi chiesta il perchè di tante cose quella notte, ma a dieci anni non si hanno poi grandi risposte.




Riemerse dal ricordo con un sobbalzo e il suo antico senso di colpa in fondo alla gola.
Guardò il soffitto per qualche minuto prima di richiudere gli occhi -- aveva timore di rivedere quel bambino seduto tutto storto, aveva paura di risentire il ghiaccio, paura di ricordare la persona che era stata e che continuava ad essere occasionalmente, perchè lei ricordava tutto,
aveva tutto nella testa, ogni rumore, ogni colpo, ogni ferita, ogni notte insonne, ogni dannatissima cosa era all'interno del suo cervello e raschiava, raschiava con unghie affilate la sua razionalità pur di uscire e faceva un male cane, faceva così male da portarla a dimenticarlo certe volte, a sopprimere quelle immagini sotto strati e strati di autocontrollo per paura di scoppiare e gridare e tirarsi via lembi di pelle per estirpare quel verme che le camminava sotto la cute, perchè il senso di colpa non moriva mai, si cibava dei suoi ricordi, ingordo di terrore e pena e odio.
Respirò dal naso e ringraziò tutti i Kami di essere sul pavimento perchè altrimenti avrebbe preso a testate qualcosa.
Non capitava spesso che si sentisse così, da anni aveva in un certo qual modo fatto pace con se stessa e con suo fratello dicendosi che il passato non torna solo perchè tu lo vuoi cambiare o perchè non ti conviene il posto in cui ti ha catapultato, Gaara era cresciuto, era vivo e parlava. Indipendentemente dal demone Temari era riuscita a guardare suo fratello per quello che era, ma ora che il demone non infestava più il corpo di Gaara tutto era diverso. Tutto nel senso di tutto, loro tre erano diversi, il loro legame era nato ed evoluto.
Certo non poteva fermare i ricordi. Nessuno può.
Si passò stancamente le mani ghiacciate sulla faccia e respirò a grandi boccate. Il fatto che quell'episodio non fosse capitato a Suna era confortante, non avrebbe saputo cosa dire a suo fratello Kankuro e neanche come giustificare la cosa a Gaara.
Almeno a Konoha poteva far finta di essere semplicemente di cattivo umore per evitare la gente, le domande. Certo sarebbe dovuta tornare a casa prima o poi, si disse cercando di recuperare almeno una parte della sua serenità mentale (o un livello dignitoso di amor proprio), il pavimento era duro contro la sua schiena estremamente sudata e si stava surriscaldando in fretta; si spostò leggermente di lato, stendendosi su un fianco e si premette una mano sulla fronte artigliando le dita sui capelli umidi e annodati. Chiuse di nuovo gli occhi e fece un ultimo, pesante sospiro che le riempì polmoni e cervello, avvertì quasi il suo sangue ricominciare a scorrere nel verso giusto e il cuore tornare a battere regolarmente senza fare le bizze.
Quando Shikamaru rientrò a casa -- Temari non sapeva veramente che ore fossero nè da quanto tempo fosse rimasta distesa sul pavimento, però i suoi muscoli atrofizzati le dissero che non erano passati solo cinque minuti dall'ultima volta che si era mossa -- lei non ebbe neanche la decenza di ricomporsi o far finta che niente fosse successo. Sapeva che se si fosse rimessa in piedi sarebbe inciampata sul nulla com'era capitato sulle scale del Palazzo di Suna con la differenza che in quel preciso istante non era in vena di ridicolizzarsi o esternare le sue debolezze -- non che di solito le piacesse esternare cose scomode in generale. Il ricordo di suo fratello in quello stato le metteva il gelo nelle vene.
Maciullarsi il cervello a forza di sensi di colpa non era un'azione consigliata, Temari lo sapeva... era da tanto che non si sentiva così.
Sentì Shikamaru entrare nella stanza, non si mosse di un millimetro e neanche spostò la mano dai capelli.
Lui sembrò congelarsi sul posto quando la vide per terra e lei socchiuse gli occhi per fargli capire che non era nè svenuta nè morta, Shikamaru sembrò apprezzare perchè rilasciò un lieve respiro liberatorio - Che ci fai lì?-
Aveva la bocca impastata ed un sapore per niente piacevole invadeva la sua lingua, quindi non sapeva in che modo sarebbe uscita la sua voce, di conseguenza inghiottì più volte prima di aprire la bocca - Diciamo che ho avuto un'epifania.- disse richiudendo gli occhi.
- Durante la quale hai capito che il mio pavimento è molto comodo?-
- E' freddo, tanto basta.- replicò inghiottendo di nuovo - Che ore sono?-
- Le nove e mezza.-
- Di mattina?-
Lui stette in silenzio per qualche secondo - No seccatura.- bofonchiò avvicinandosi a lei - Non sei uscita di casa oggi, non ti ho vista al Palazzo.-
Temari dovette fare mente locale prima di realizzare che aveva saltato una giornata di lavoro per una stupida, inutile reminescenza, soffocò un'arida risata che le costrinse il torace e non rispose per paura di strillare.
Era così patetico essere lei a volte, pensò sentendo un distinto dolore al petto. Dolori intercostali, ragionò lucidamente subito dopo, sono solo dolori intercostali come le diceva sempre Baki quando era piccola. Erano solo muscoli doloranti, niente a che vedere con il suo cuore momentaneamente a pezzi.
Shikamaru si sedette davanti a lei dopo un momento di empasse, le gambe incrociate, i gomiti appoggiati alle ginocchia e gli avambracci mollemente in avanti - Cos'hai?- le chiese osservandola attentamente.
E di sicuro si accorse del sudore che le imperlava la fronte e il modo in cui le tremavano le palpebre - Niente di cui preoccuparsi,- rispose senza energia - ora passa.-
- Suppongo tu sia stata così per tutto il giorno, quando è 'ora' per te?-
- Davvero Nara, non ho bisogno delle tue perle di saggezza per sapere...- si bloccò di colpo, aveva dimenticato cosa voleva dirgli - Lasciamo stare.- continuò fingendo tranquillità.
Lui sospirò rumorosamente - Non posso aiutarti se non mi dici cos'hai.-
- Evidentemente non ho bisogno del tuo aiuto.- replicò bruscamente.
- Evidentemente strapparsi i capelli,- e dicendo questo le disincastrò con delicatezza la mano ancora artigliata sulla sua testa - non è sinonimo di 'benessere' seccatura.-
Strofinò la guancia sul pavimento ed improvvisamente non ebbe più neanche la forza di negare.
Negare, negare, negare. Sempre e per qualsiasi cosa. Era stufa, era stremata. Glielo disse e lui stette ad ascoltare con ancora la sua mano tra le dita. Le disegnava cerchi sul palmo, tracciava i contorni di ogni dito, di ogni linea, di ogni pezzo di carne. E ascoltava.
La logica ti uccide.
Alla fine Shikamaru si sollevò sulle ginocchia e le circondò con semplicità la vita tirandola su quasi di peso, lei traballò un attimo, ma la presa di Shikamaru era solida nonostante la delicatezza delle sue dita sulla schiena sudata.
Si sentì in imbarazzo ovviamente, non era uno spettacolo in quel preciso momento, era sudata, appiccicosa e con un alito terribile, in più non era neanche così tanto lucida come aveva creduto mentre se ne stava distesa sul comodo sostegno del pavimento.
Appoggiò la fronte gelata sulla sua spalla ed artigliò le dita sul davanti della sua maglietta scura - Cosa...?-
Lui le solleticò l'attaccatura dei capelli con il naso, sfiorando poi con un lieve schiocco di labbra la sua tempia - Ti porto in bagno. Hai seriamente bisogno di una vasca piena di bolle e... uno o due tubetti di dentifricio, credo.-
- Molto elegante Nara, davvero.- bisbigliò.
Lui le baciò semplicemente la fronte e se la trascinò fino al piano di sopra.





Shikamaru l'aveva quasi buttata di peso nella vasca subito dopo averle fatto lavare i denti. Era ancora leggermente intorpidita perchè in effetti era da troppo tempo che non si sentiva in quel modo e ovviamente tutti i pensieri che aveva in testa non sapevano di panna&fragole, anzi erano acide e stantie quasi. Sapevano di marcio e lei detestava avere quel genere di pensieri in testa.
Gli fece spazio quando capì che anche lui voleva farsi il bagno, per starle vicino o per lavarsi non era importante.
Quando Shikamaru si fu comodamente sistemato -- schiena appoggiata alla vasca, braccia buttate di lato e lei in mezzo alle gambe con tanto di sigaretta fumante infilata tra le gengive -- e lei ebbe appoggiato la schiena al suo petto cominciò ad avvertire un leggero miglioramento delle sue abilità cognitive. Ad esempio riusciva a guardare la parete senza provare lo strano istinto di prenderla a testate. Essere un individuo senziente è una gran bella cosa per certi versi, gli altri -- quelli che cerchi in tutti i modi di nascondere agli altri e a te stessa in primis -- potevano benissimamente andare a farsi fottere.
Cercò di smettere di pensare nel momento stesso in cui Shikamaru aprì la bocca per parlare - Non ne voglio discutere.- lo bloccò sul nascere cominciando a sentire un certo fastidio verso se stessa, in fondo non era mica colpa sua se il suo cervello decideva arbitrariamente di tornare decenni indietro. E farle conseguentemente tremare il cuore.
Kami... tremare il cuore, che espressione idiota, pensò continuando cocciutamente a guardare le mattonelle come se fosse tutta colpa loro.
Invece è tutta colpa mia, si disse, il cuore è solo una povera vittima perchè tu ti infili nelle peggiori seghe mentali possibili, tu ti innamori e lui ti viene appresso. Mi trema il cuore... pronunciò quell'espressione nella sua testa più di una volta prima di fare una smorfia, anche quando hai paura ti trema il cuore, sei innamorata della paura?!
Incrociò irritata le braccia e sbuffò come una locomotiva, Shikamaru poteva vedere le rotelle del suo cervello girare impazzite ed era una cosa quasi divertende essere spettatore di una tale dimostrazione di masochismo.
Non ne voleva discutere?, ma per cortesia...
Tirò mollemente dalla sigaretta e reclinò la testa indietro - Rilassati seccatura, stai facendo bollire l'acqua.-
- Non te l'ho chiesto io di farti il bagno!- sbottò piccata e ancora più irritata di prima.
- Seh.-]






I pulled away to face the pain.
I close my eyes and drift away.
Over the fear that I will never find
a way to heal my soul.

And I will wander 'till the end of time
torn away from you.





Ricordava ogni minimo, minuscolo particolare della sua vita tranne il periodo precedente alla morte di sua madre. Era stata una donna moderatamente affettuosa, mai troppo severa, ma neanche troppo permissiva, sorrideva spesso prima che restasse incinta di Gaara e lei, Temari, aveva creduto fosse perchè in realtà non volesse partorire suo fratello. In seguito avrebbe scoperto il perchè di quel cambiamento, ma a quei tempi era tutto avvolto in una nuvola di fumo impenetrabile. Come gli occhi di suo padre.
Lui semplicemente non c'era mai e non c'era nient'altro da dire.
Ricordava il caldo soffocante opprimerle i polmoni, la sabbia bollente sotto gli scarponi, il sudore che evaporava ancor prima di trasformarsi in goccia. Le regole, gli ordini, le parole sussurrate nei corridoi del Palazzo, i vecchi pazzi del Consiglio che confabulavano tra di loro con quegli occhi quasi malati di potere. E la rabbia verso sua madre che era semplicemente morta, lasciandola sola, verso suo padre che non sembrava neanche toccato dalla cosa, verso Gaara che si limitava ad esistere.
Verso se stessa per non essere scappata.
La paura. Ricordava di avere avuto paura di dormire perchè quando le ombre della sua camera si allungavano verso il suo letto era come essere inseguita da mani invisibili e quando i passi leggeri di Gaara risuonavano nel corridoio era come sentire le punte dei kunai sulla gola. Ricordava...
... di sentirsi persa, immobilizzata nel suo stesso letto, la testa pressata sul cuscino da una forza invisibile che le faceva tremare ogni muscolo e scricchiolare ogni osso come per avvertirla di un pericolo, per metterla in guardia da che cosa poi? Da un bambino?, da un demone?
O da se stessa?
La paura di essere convocata da suo padre per sentirsi ordinare di uccidere suo fratello. E ovviamente morire nel tentativo di eseguire quel compito. Paura del giudizio, del silenzio deluso, delle aspettative non soddisfatte.
Sabaku no Temari ricordava ogni cosa, non lo voleva, ma accadeva comunque; certo svegliarsi in un bagno di sudore non era il modo migliore di cominciare la giornata e neanche restare a fissare il soffitto lo era per quello che la riguardava.
Shikamaru doveva essere tornato a casa sua perchè non sentiva il suo respiro sul collo, il che era una splendida notizia visto il modo in cui si era svegliata. Si passò la lingua tra i denti cercando di trovare una scusa valida per non alzarsi, non voleva neanche lavarsi i denti, diamine non voleva neanche pensare.
La sua mano sinistra andò automaticamente a cercare i capelli che le ricadevano scomposti sulla fronte, vi artigliò le dita e chiuse gli occhi; ovviamente non migliorò le cose perchè dietro le palpebre aveva miliardi di immagini nitide e fottutamente sue che non facevano niente per migliorare le situazione. Sembravano persino divertirsi nel darle il tormento.
Si grattò inconsciamente la guancia, poi l'altra mano si artigliò sul collo e lei sentì le unghie forzare la carne e fare un male del diavolo. Non successe niente.
Non succedeva mai niente.
Quando era piccola capitava che si facesse male di proposito sia per attirare l'attenzione che per sentire cosa si provava. Il dolore è un sentimento a prima vista facile da identificare, Temari lo sapeva benissimo, eppure c'erano state volte in cui non si era neanche resa conto di provarlo -- perchè c'è il dolore fisico e c'è un altro dolore che ti nasce dentro e cresce, cresce, cresce. Tu non lo sai neanche che esiste, magari qualcuno a scuola ti ha preso in giro o i tuoi genitori litigavano molto quando eri piccola, oppure qualcuno ti ha tradito, ferito, usato e tu mentre crescevi te lo sei scordato, ma scordare le cose non significa cancellarle, le hai solo coperte e loro nel frattempo hanno messo radici, infettato altri ricordi, fatto nascere frutti fino a quando non ti ritrovi ad un punto che non deve per forza coincidere con la morte di qualcuno a te caro. Il punto può palesarsi mentre corri, mentre lavori o quando studi. Basta un attimo, una frase che hai sentito, uno sguardo. Ed è come se tutti i cassetti della tua mente si svuotassero da soli, sparpagliando il loro contenuto ovunque e tu ti rendi conto che qualcosa non va. Improvvisamente tuo padre diventa un problema perchè non c'è mai stato e se fosse un cadavere a te non fregherebbe un fico secco, il tuo fratellino squilibrato diventa un problema perchè non ha il diritto di trattarti come se non fossi altro che un ammasso di carne putrida. La tua vita diventa un problema, la tua stanza, i tuoi vestiti, persino le porte ti schifano.
E ti schifa ancora di più il pensiero che prima o poi dovrai pur uscire per mangiare!, e vedrai loro e li odi per questo. Perchè esistono mentre tu vorresti soltanto stare da sola, tu e basta perchè non hai bisogno di niente e il pensiero di dover respirare la loro stessa aria ti disgusta.
Allo stesso modo in cui odi loro, detesti te stessa e l'immagine che vedi allo specchio.
Lei non aveva specchi in casa, non le servivano come non le necessitava usare lo specchio del bagno per localizzare la sua bocca quando si lavava i denti. Erano oggetti inutili gli specchi.
Inghiottì il saporaccio che aveva in bocca e non fece una piega, poi si rese conto che, bè, ovviamente c'era un problema.
Ammettere di avere un problema è forse la cosa più difficile che ti possano chiedere di fare, neanche gli psicologi cominciano una seduta chiedendoti espilicitamente 'che problema hai', ti bloccheresti e non sapresti cosa diavolo rispondere, perciò la cosa migliore da fare e parlare.
Per parlare bisogna avere qualcuno dato che con i soliloqui si risolve poco. Parlare con qualcuno dei tuoi problemi è un'agonia anche perchè l'unico modo di risolvere il casino è parlare con la persona/cosa/animale che l'ha provocato. Per lei era suo fratello Gaara.
Parlare con Gaara... non era esattamente una cosa da fare a cuor leggero, non che adesso ci fosse il pericolo di morire, per carità, ma il suo fratellino aveva conservato una certa placida personalità che non faceva presagire nulla. Bisogna guardarsi dai calmi, le diceva sempre Baki-sensei, perchè loro mordono.
Il ricordo di quei morsi era ancora lì, sotto tutti gli espedienti che aveva usato per coprirli, per nasconderli. Si chiedeva se Gaara se ne ricordasse, se conservava le memorie di quei morsi che aveva inflitto, se lo chiedeva perchè era impossibile capire cosa si celasse dentro la sua testa ora che incombenze e impegni lo tenevano lontano dalla sua stessa camera da letto. Non che dormisse poi così tanto, al massimo quattro ore al giorno.
Quando lui era nato e sua madre era morta lei si era nascosta dietro una tenda perchè era curiosa di vedere il nuovo arrivato, era stata contenta di avere un altro fratello, poi aveva visto tutte quelle persone intorno a lui, tutti quei sigilli e la sabbia che vorticava ai loro piedi produceva un fruscio che non era un fruscio, erano kunai che strisciavano su altro metallo, quel suono faceva sanguinare le orecchie. Si era chiesta cosa mai gli stessero facendo, lui piangeva così forte ed era così piccolo e sua madre era morta.
Per lei era stato un incubo dopo. Il silenzio in quel Palazzo era quasi materiale. E di notte era come se lo stesso edificio si ribellasse producendo suoni di vario genere, lo scricchiolio delle travi era diventata una ninna nanna; così aveva cominciato ad immaginarsi grande perchè gli adulti sembravano sopportare stoicamente l'esistenza di suo fratello senza fare una piega.
E aveva desiderato combattere per difendere. Lei non si fidava di Gaara e fin troppe volte aveva assistito ai suoi atti di violenza nei confronti di altri bambini, addirittura di altri shinobi. Aveva voluto imparare a difendere se stessa e gli altri. Improvvisamente salutare suo padre non era più un piacere, ma un obbligo, stare a sentire i pettegolezzi non era più un passatempo, ma lavoro. Allenarsi non era più un gioco, se mai lo era stato.
Si era rotta le braccia ben tre volte prima di riuscire ad utilizzare il ventaglio.
Ricordava con precisione chirurgica il giorno in cui avevano informato lei e i suoi fratelli della missione che avrebbero dovuto compiere a Konoha durante il loro esame chunin. Lei aveva già quindici anni.
Suo padre era morto, lei non aveva versato una lacrima, Kankuro più di una, Gaara non si era neanche presentato al funerale.
Decise di fare i bagagli quando rivide suo fratello, il bambino che non era mai stato, seduto tutto storto e solo in una delle sedie nell'enorme sala da pranzo del loro Palazzo. Risentì il click-click-click che tanto l'aveva aiutata. Le fece salire il vomito.





I can't go on living this way
And I can't go back the way I came
Chained to this fear that I will never find
A way to heal my soul
And I will wander 'till the end of time
Half alive without you






[ Il Villaggio di Suna non era per niente statico, era sempre pieno di gente, mercanti, imprenditori, per un periodo avevano pure ospitato un circo, inoltre il territorio era bagnato dal mare a sud-est, dovevi camminare parecchio per arrivarci ma certe volte il vento era così potente da trasportare l'odore dell'acqua salata fin lì. C'era l'illusione della libertà.
L'Accademia era grande tanto quanto quella di Konoha, ma la maggior parte degli abitanti non erano shinobi, più che altro commerciavano, coloro che sceglievano la carriera militare facevano parte di una classe sociale non molto fortunata in affari, i benestanti che sceglievano quel tipo di vita si contavano sulle dita di una mano. In percentuale avevano un esercito di shinobi abbastanza numeroso, non quanto quello di Konoha, ma ben addestrato.
Lei non aveva avuto problemi a diplomarsi prima degli altri, il suo quoziente intellettivo non era certo quello di un genio ma aveva così tanto voluto uscirsene che si era ammazzata la vita per diventare genin; aveva dovuto aspettare che anche Kankuro e Gaara si diplomassero per avere una squadra dato che il Consiglio e suo padre in primis non sembravano avere l'intenzione di inserirla da qualche altra parte. Anche lavorare in solitaria le era sembrata una prospettiva migliore, oggettivamente sarebbe anche stata una scelta intelligente, ma quando si è sottomessi e soprattutto non si hanno ancora le facoltà per opporsi non c'era molto da fare.
A quei tempi girava per il Villaggio come un automa, in vero avrebbe fatto di tutto pur di restare fuori dal Palazzo quindi non si era mai fatta troppe domande riguardo il suo comportamento -- perchè non era salutare, non era saggio e soprattutto aveva il timore che qualcuno si sarebbe accorto dei suoi pensieri, il che non era qualcosa che la faceva dormire bene la notte, oltretutto Gaara stava sviluppando una certa capacità empatica ed ogni volta che le puntava i suoi occhi chiari addosso lei si sentiva come collegata ad un'infinità di fili che a loro volta erano attaccati ad una di quelle macchine della verità, lui sapeva sempre dove trovarla, era come se sentisse il suo odore o forse era semplicemente lei che non riusciva a vederlo come un ragazzino normale che faceva cose normali in un normale Villaggio di shinobi.
Non che desse molta importanza alla normalità, sia ben chiaro, quella aveva lasciato Suna nel momento stesso in cui sua madre era morta e il demone era stato infilato a forza nel corpicino di Gaara. Ricordava il suo pianto disperato, gli occhi socchiusi di sua madre che non respirava più, lo sguardo ghiacciato di suo padre, le parole concitate del Consiglio, la sabbia che vorticava ai loro piedi e l'odore stantio di qualcosa che non sarebbe dovuto esistere. L'odore del rame.
Il sangue ha un odore che non si scorda, così come tutte le cose che avevano importanza. Lei, ad esempio, ricordava l'odore di legno che impregnava suo fratello Kankuro, il leggero sentore muschiato di suo padre, il sudore su Baki-sensei unito ad un leggerissimo profumo di pino.
Gaara puzzava di rame, di sangue e sale.
Si era sempre sentita in colpa nei suoi confronti perchè in fondo era come se lo stesse giudicando senza conoscerlo. Cosa ne poteva sapere lei?, il demone non dimorava nel suo corpo, lei non doveva stare sempre in guardia, lei non doveva ignorare stoicamente gli sguardi e i discorsi sdegnati della gente che ovviamente parlava per fare male.
Cosa ne sapeva lei dopotutto?
Certo non poteva semplicemente andare da lui e scusarsi. Di cosa poi?, sapeva che di qualcosa si sarebbe dovuta scusare, lo sapeva che c'era qualcosa di tremendamente sbagliato nel modo in cui si vedeva costretta a trattare Gaara.
Non era permesso nessun contatto con lui, suo padre l'avrebbe severamente punita se l'avesse anche solo immaginata parlare con Gaara. Lui doveva stare solo perchè doveva espiare i propri peccati avevano detto, lei non aveva capito.
Cose come le divinità, i peccati, i miracoli e le punizioni per non essere stati buoni non le capiva. In realtà li considerava solo trip mentali, perchè la gente è fin troppo impressionabile e lei credeva solo in quel che vedeva da quando aveva capito che la sua vita aveva preso una curva a gomito per non tornare mai più dritta come prima.
Generalmente cercava di non pensarci, qualche volta ci riusciva anche considerate tutte le persone che le stavano attorno. Era pur sempre la figlia maggiore del Kazekage, veniva seguita a vista da non si ricordava quante guardie del corpo, e di conseguenza erano molte le voci che sentiva durante il giorno. Non di notte.
Lei odiava il silenzio. Sapeva di tristezza mista a sangue, sudore e sabbia; la bloccava nel suo letto come se una mano invisibile le spingesse forte la testa sul cuscino, impedendole di voltare il capo, di muoversi. Poi i passi di Gaara si allontanavano e quella mano si staccava da lei, ma il silenzio rimaneva. Non poteva neanche mettersi ad urlare perchè avrebbe svegliato tutti e Gaara sarebbe potuto tornare indietro, aprire la porta ed entrare nella sua stanza per zittirla con un pugno di sabbia in mezzo alla gola.
Il più delle volte non era consapevole dei suoi pensieri, molti li aveva scoperti crescendo quando si era resa conto che non aveva dimenticato niente -- a tal proposito avrebbe voluto aprirsi il cranio per buttare via tutti quei pezzi di cervello che secondo lei facevano solo male, avrebbe voluto strapparseli via a mani nude, anche morire mentre lo faceva, tutto per dimenticare.
Avrebbe voluto... avrebbe voluto prendere ago e filo per cucirsi le palpebre. Cucirsi gli occhi. Aveva odiato ogni momento del suo sviluppo, dal seno che cresceva ai fianchi che si arrotondavano, dalla tranquilla ignoranza della fanciullezza all'acuta consapevolezza di non essere più una bambina.
Ricordava di aver odiato il proprio letto dopo essere ritornata da Konoha, ricordava di aver osservato Gaara con cura, preoccupata per lui, dispiaciuta per lui. Soffriva per lui e per i sensi di colpa che non la facevano dormire.
Aveva compreso la portata del male che gli era stato fatto, aveva visto quanto suo fratello fosse fragile e non solo perchè un demone gli occupava il corpo, no. Lui aveva avuto bisogno di un supporto, di qualcuno che gli dicesse 'andrà tutto bene, te lo prometto' come ne avevano bisogno tutti, aveva avuto bisogno di loro madre, del suo odore -- perchè sua madre profumava di mare, di libertà, di rose e sorrisi -- e della sua costante sicurezza, Gaara aveva avuto bisogno di sua sorella, di lei, ma aveva trovato solo una ragazzina terrorizzata, non aveva trovato nessun appiglio ed era quasi impazzito.
In quei giorni lei aveva cercato di parlargli il più possibile, aveva parlato fino a graffiarsi la gola. Gli aveva detto cose che non aveva mai raccontato a nessuno e lui era rimasto impassibile, seduto su una delle sedie della loro sala da pranzo. Seduto con la schiena dritta, la testa fasciata, le braccia incrociate al petto e gli occhi socchiusi. L'aveva guardata come se la vedesse per la prima volta e più lei parlava più le gote di Gaara prendevano colore. Fu come vedergli serpeggiare la vita sotto la pelle, non era arrossito, semplicemente non era più trasparente.




My heart is broken...
Sweet sleep, my dark angel
deliver us from sorrow's hold
(over my hard... heart).




Lui era diventato Kazekage.
Kankuro gli si era avvicinato perchè sapeva che non sarebbe riuscito a gestire tutto il Villaggio da solo, erano diventati quasi amici, il che era un progresso che lei non si sarebbe mai aspettata, non da Kankuro comunque.
Lei... era diventata Ambasciatrice di Suna a Konoha. Aveva diciotto anni, era forse la persona più adatta a quel tipo di lavoro, ma si era sentita buttata fuori da casa propria. Ricordava di avere sperato in un'opportunità come quella per scappare da lì, ora non avrebbe mai voluto andarsene, ma Gaara era stato irremovibile.
In un certo qual modo ne era anche lusingata perchè si era sentita fidata. Da suo fratello, il suo Kazekage, il suo unico rimpiato.
Gaara era così tante cose per lei. Era quasi malsano pensare al proprio fratello come ad un rimpiato, ma era la verità dura e cruda. Lei avrebbe potuto salvarlo, ma aveva preferito nascondere la testa sotto la sabbia piuttosto che affrontarlo di petto come qualsiasi altra persona con le palle avrebbe fatto. Desiderava ancora potersi cucire gli occhi e strapparsi via pezzi di cervello, i ricordi non sono impalpabili, non sono astratti, hanno quasi materia, sono quasi fisici nel modo in cui ti colpiscono, lo senti che ti colpiscono. Lei aveva persino difficoltà a concentrarsi su qualsiasi altra cosa quando veniva colpita da una reminescenza, la testa cominciava a farle male, la schiena scricchiolava come se volesse piegarsi all'indietro e spezzarsi. Voleva disperatamente dimenticare.
Non riusciva a cancellare niente. Era un problema.
Prese l'incarico a Konoha per puro amor proprio, ma a scappare dai problemi si ottiene solo altro rimpianto, altri acciacchi, altri ricordi. Non aveva tempo per l'amore, lei non ci credeva neanche all'amore. Diamine nella sua vita l'unico atto di amore che aveva visto era stato il sorriso di sua madre in punto di morte, dopo un po' aveva cominciato a credere che l'essere umano fosse geneticamente fatto per ricordarsi di amare proprio quando non aveva più tempo per farlo, o fingeva di amare per tutta la vita, spacciandosi da santone, per poi finire morto ammazzato in un vicolo dalle mani di qualcuno che aveva visto oltre la menzogna e aveva deciso che una bugia del genere non meritava neanche di respirare. Lei non mentiva, non di proposito e mai per se stessa. Essere sincere era una vera rottura di scatole, insomma la gente non ascoltava nemmeno quello che lei aveva da dire e il più delle volte si offendeva mortalmente quando si sentiva dire da qualcun altro la verità che lei già sapeva ma non voleva assolutamente accettare. Come quando sai che il ragazzo della tua migliore amica è un traditore infingardo e, dicendo questa verità alla tua suddetta migliore amica, ricevi in cambio insulti e sguardi sdegnati, per poi ritrovartela davanti qualche mese dopo in lacrime perchè ovviamente tu avevi una ragione fottuta.
Per questo lei non aveva molte amiche femmine... in realtà non ne aveva nessuna sempre a causa di quella sua tendenza a dire le cose come stavano, niente favole, niente fronzoli, solo la cruda verità. Credeva che la chiamassero 'cruda' perchè era difficile da mandare giu, come un pezzo di carne ancora sanguinante. Faceva letteralmente schifo sentirsi dire il vero, eppure la gente continuava a ripetersi di volerlo anche se non sapeva accettarlo.
Che senso aveva? Se non sei pronto per la verità non rompere le palle e sopporta tutte le bugie che ti vengono dette, non ti lamentare della tua vita schifosamente ordinaria, non osare dare la colpa agli altri. Lei la pensava così, l'aveva sempre fatto.
Lei si era mentita fin troppe volte. Non ho paura del buio, non ho paura di mio fratello nè di nessun altro, non ho bisogno di nessuno perchè mi basto.
Poi lui era morto. Ed era ritornato. Però era tecnicamente morto sapete? All'esterno si era mostrata sicura, cos'altro poteva fare?, non poteva certo mettersi ad urlare con il rischio di creare ancora più panico, il che era stato svilente perchè, davvero, era stata una sensazione orribile. Oltretutto anche Kankuro non stava affatto bene, era stata una fortuna avere Sakura in quella determinata circostanza, ma per Gaara era stata una cosa diversa. Si, era ritornato vivo all'incirca, ma a che prezzo?
Non doveva essere stato piacevole sentirsi tirare fuori il demone, Gaara per l'appunto aveva osteggiato un colorito grigiastro per mesi e non aveva guardato nessuno per settimane. Lei credeva che stesse cercando di superare quel trauma -- perchè aveva subito un trauma -- senza far capire a nessuno cosa esattamente stesse facendo. La tipica reazione da teenager, il problema era che Gaara era il Kazekage e tutti pendevano dalle sue labbra dopo aver visto cos'era stato in grado di fare per salvare la vita a tutti. Tipica reazione umana: prima sputano addosso ad una persona insulti, odio, scherni, la dipingono come il peggior essere umano vivente, poi quando si ammala o peggio muore diventa l'eroe/eroina di tutti, tutti lo/la amano, tutti lo/la ascoltano.
Lei non aveva un'opinione molto alta dell'essere umano in generale, ma i leccaculo non li aveva mai potuti soffrire. Si era accollata il lavoro di Gaara per tre mesi buoni prima che suo fratello riuscisse anche solo a scrivere senza fermarsi ogni cinque minuti per strizzare gli occhi ancora molto arrossati.
Non gli aveva chiesto come si sentisse, semplicemente l'aveva visto lì seduto ed era ritornata per un attimo la bamboccia tremante di un tempo, non era riuscita a chiedergli esplicitamente 'come stai, posso fare qualcosa?', accidenti non avrebbe mai potuto farlo senza sentirsi tremendamente in colpa per non avergli posto quella stessa domanda anni prima; lui non le avrebbe risposto nè decenni prima nè in quel preciso istante, infatti Gaara non dava particolare importanza a certe sciocchezze quali il suo stato mentale sotto stress o la sua salute in generale, non si era mai preso un colpo di sole nè un raffreddore, al massimo starnutiva quando della sabbia gli si infilava nel naso il che era una reazione del tutto normale per la maggior parte della gente che non tirava nessun tipo di polverina dal naso, anche se lei credeva che avrebbero starnutito comunque.
Kankuro era cambiato molto in quel periodo, aveva cominciato ad occuparsi delle faccende burocratiche che Gaara non aveva intenzione di considerare, si allenavano spesso insieme e lei si era limitata ad imparare a cucinare quando aveva capito che Gaara preferiva mangiare cose fresce che non avessero il sapore della plastica da supermercato scadente. Non che facesse solo quello, andava ancora a Konoha, si occupava ancora della gestione economica e cercava ancora di dimenticare. Baki-sensi era diventato una costante della sua vita, praticamente era il suo psicanalista personale, non che concludesse molto a parlare con lui di peperoni alla griglia e patate al forno, ma almeno riusciva ad incanalare la tensione da un'altra parte.
Desiderava ancora cucirsi gli occhi, se lo sognava persino. Ad un certo punto aveva fatto sparire dal Palazzo qualsiasi cosa le ricordasse ago e filo visto che non voleva aggiungere preoccupazioni inutili alla sua famiglia di per sè incasinata.
Era andata a trovare la tomba di sua madre parecchie volte. Aveva smesso di farlo quando a undici anni aveva capito che i morti non riemergono miracolosamente dalla sabbia, a diciotto anni si era resa conto di doverle almeno quel piccolo gesto di rispetto, non che significasse davvero qualcosa. I morti non hanno occhi per guardare chi li va a trovare e chi no, non sanno neanche dove sono stati sepolti, neanche in che tipo di legno sono stati rinchiusi men che meno possono leggere le frasi scritte sulla loro lapide. Lei non credeva a certe cose quali la redenzione post-decesso, credeva nei fatti e i fatti dicevano che sua madre aveva smesso di respirare quindi aveva smesso di esistere. Era un pensiero triste, si, ma rendeva tutta la situazione tangibile. Giustificava il suo modo di interagire con la gente. Lei non aveva pietà per nessuno, neanche per se stessa, cosa ancora più triste ovviamente perchè in fondo se non abbiamo pietà noi per noi stessi la speranza va letteralmente fuori dalla finestra senza che tu le dia una bella spinta.
La verità era che aveva disperatamente bisogno di chiedergli perdono. Non ci riusciva mai.
Kankuro che la conosceva bene cercava in ogni modo di risolverle i problemi, lo faceva in un modo disastroso e il più delle volte finiva per farla incazzare di brutto. Tra di loro avevano avuto parecchie discussioni quasi filosofiche che non andavano da nessuna parte.
"Dovresti pensare a quello che puoi fare ora", le diceva sempre "Pensa a quello che puoi fare ora Tem, di questo passo finirai per farti spuntare un enorme brufolo in fronte".
Era difficile.
- Sai,- le aveva detto un pomeriggio dopo un estenuante allenamento nel bel mezzo del deserto - credo che stia migliorando.- lei non aveva capito cosa diavolo volesse dire - Insomma parla di più,- aveva continuato - Kami non parla sempre, ma quando lo fa è come se dicesse le cose giuste.- in un certo qual modo si era sentita peggio perchè dire le cose giuste non significava stare meglio, uno può dire le cose più sensate di questo mondo mentre sopportava una crisi di nervi di proporzioni immani, non significava niente - E non credo ce l'abbia con noi Tem, non lo credo proprio. Cioè... hai presente quando una persona ti odia no? Non perde tempo per farti capire cosa pensa, piuttosto cerca di renderti la vita uno schifo, lui non lo fa.-
Lei sapeva che Gaara non la odiava. Era lei che odiava se stessa perchè non era neanche capace di farsi odiare da lui che da sua sorella non aveva mai avuto altro che indifferenza. Era un pensiero contorto, ma se Gaara l'avesse odiata allora lei avrebbe avuto un qualche tipo di giustificazione per chiedergli perdono. Sentirsi chiedere scusa di punto in bianco da qualcuno per il quale non si nutre nessun tipo di risentimento non è certo la cosa più normale che ti possa accadere.
Visitando la tomba di sua madre si era chiesta cosa avrebbe fatto se suo fratello fosse morto sul serio. Avrebbe dimenticato? Si sarebbe sentita meglio come si era sentita meglio quando suo padre era morto? Sarebbe stata libera?



Change - open your eyes to the light
I denied it all so long, oh so long
Say goodbye, goodbye...
Evanescence - My heart is broken




Lei e quel Nara avevano cominciato ad uscire insieme due anni dopo. Lei voleva ancora dimenticare e cucirsi gli occhi con qualsiasi cosa le ricordasse ago e filo, lui si limitava a circondarle le spalle quando si accorgeva di qualcosa che lei aveva disperatamente cercato di nascondere. Era l'unico ragazzo con il quale si era sentita appropriata, nel senso che lui era abbastanza per camminarle accanto. Era un ragazzino, non parlava molto, ma osservava ogni sua mossa.
Era come se volesse imprimersi ogni suo gesto nel cervello, lei credeva lo facesse per puro orgoglio maschile, alla fine, chiedendogli il motivo per il quale continuava a fissarla come se non fosse neanche vera, aveva appreso che temeva la sua prossima fuga. Era una motivazione molto fondata, chi si fiderebbe di qualcuno che vuole trapuntarsi le palpebre?
Ricordava di aver provocato le sue lacrime. Quella era una cosa che la pungeva ogni volta che ci ripensava, non che non avesse avuto ragione, ma stranamente quando ti metti insieme ad una persona alla quale hai fatto qualcosa di male cominci a sentirti uno schifo. Lei non lo dava a vedere, in fondo non credeva neanche che sarebbero durati quindi perchè sfarinarsi il cervello?
Ironicamente lei era sicura di essersi innamorata per prima, stava ancora combattendo contro se stessa e cosa faceva? Si innamorava di un tizio che portava i capelli ad ananas, che viveva ancora con i genitori e che non sapeva assolutamente niente della sua vita prima dell'esame chunin di tanti anni prima.
E voleva ancora chiedere perdono a suo fratello, ma non sapeva come. Bere litri di caffè, fatto anche male, le era sembrata un'ottima soluzione dato che non poteva diventare un'alcolizzata così dal niente, ci voleva prima una buona dose di caffeina per debilitare il fegato così che, una volta passata ai litri di alcol, sarebbe morta prima. Era un piano di azione campato per aria e non era neanche sicura che il caffè potesse far marcire il suo fegato, ma almeno sapeva come occupare il tempo quando non pensava ad ago e filo o al ghiaccio.
Perchè era tornato anche il ghiaccio sapete? Scricchiolava nella sua testa, cercava di sciogliersi perchè in effetti abitare dentro il suo cervello non doveva essere per niente divertente. Pensava spesso a cosa sarebbe successo se avesse infilato la testa nel fiume, tipo... il ghiaccio le sarebbe uscito fuori dalle orecchie o dal naso? Cavoli si sarebbe anche infilata un fiammifero acceso in un orecchio per vedere se quel fantomatico ghiaccio esistesse davvero o fosse solo un insulso frutto della sua mente. Era sicura che lo fosse, attenzione, non era completamente esaurita, ma farsi certe domande riesce a farti capire che non stai impazzendo, perchè se hai ancora il coraggio di pensare certe mostruosità non puoi non essere sana. Se ti metti in dubbio non sei pazza, lei si metteva in dubbio spesso da quando stava con Shikamaru.
Aveva cominciato a rivalutare le cose due anni dopo, stava ancora con Shikamaru e, si, credeva ancora di volersi cucire gli occhi, ma il ghiaccio era sparito.
Per l'ultima volta aveva visitato la tomba di sua madre, le aveva chiesto scusa per non essere stata in grado di prendere il suo posto. Chiedere scusa ai morti è molto facile perchè in realtà non stai parlando con nessuno. Speri che ti stiano ascoltando e che in qualunque altra dimensione si trovino riescano persino a sorridere, lei sperava che sua madre sorridesse.
Era andata da Kankuro e gli aveva chiesto scusa per un sacco di cose, non sapeva neanche perchè lo stesse facendo, sembrava soltanto molto giusto farlo. Baki-sensei era venuto dopo, si era scusata per tutti gli anni in cui l'aveva torturato psicologicamente con peperoni alla griglia e patate al forno, lui aveva semplicemente riso.
Non aveva chiesto perdono a Gaara, per quello non era ancora pronta. ]






Non si avverte la propria catena quando si segue spontaneamente colui che trascina; ma quando si comincia a resistere e a camminare allontanandosi, si soffre molto.
André Gide - La Porta Stretta






Sapete la sensazione che si ha quando si sta per fare una cosa per la quale si è lavorato per tutta la vita fino a quel punto? Non si può descrivere ovviamente, Temari non ne sarebbe stata in grado neanche ne fosse valso della sua vita, il che la metteva in una posizione di completa confusione mentale anche se sapeva benissimo cosa stava per fare.
Anni. Aveva lavorato su se stessa per anni e si era volutamente torturata perchè il perdono lo si deve chiedere prima a se stessi e poi, quando si è veramente capito, agli altri.
Gaara era adulto ormai, era diventato l'uomo che loro padre non era mai stato. Lei era pronta per lui anche se molto probabilmente Gaara non era consapevole di ciò che lei aveva pensato per tutti quegli anni.
Alla fine sono le piccole cose che ti fanno capire cosa sei.
Certo ricordava ancora ogni cosa con vividità indicibile e certe volte avrebbe preferito cucirsi quei fottuti occhi pur di non farlo, ma in un certo qual modo era più consapevole e meno arrabbiata, quello sicuramente.
Non era lì per restare, Suna aveva da tempo lasciato il posto a Konoha, la sua vita era da un'altra parte, eppure ritornare faceva sempre uno strano effetto.
In quel momento sentiva la sabbia sibilare, il suo naturale calore trapassava con facilità gli stivali, la sentiva appiccicarsi sulla pelle. Era una bella sensazione.
Gaara la guardò per un attimo quando lei entrò rumorosamente nel suo ufficio, di certo non l'aspettava e sicuramente a Temari non importava un fico secco.
- Ciao fratellino.-
Lui sollevò leggermente un angolo della bocca - Temari.- socchiuse appena le labbra per pronunciare il suo nome.
L'accento di Suna era una cosa a parte, aveva dimenticato il suono delle vocali del suo nome pronunciato in quel modo.
Si sedette appoggiando il suo ventaglio accanto alla sedia - Non disturbo vero?-
- No. Dovresti riposarti.- non era realmente preoccupato per lei, semplicemente non sapeva cosa aspettarsi, in fondo non era stato avvertito del suo arrivo e le sorprese non gli piacevano poi così tanto.
- Tranquillo, sono sana come un pesce e... diciamo che ripartirò il prima possibile.-
- Oh?-
Cominciò a pensare forsennatamente a come iniziare il discorso, continuava ad essere convinta del fatto che sentirsi chiedere scusa da qualcuno che non ti aveva veramente fatto nulla fosse un tantino anormale anche perchè Gaara era una persona abbastanza quadrata e non gli piaceva perder tempo, in un certo senso sperava che lui sapesse già cos'aveva provato in tutti quegli anni. Era da Gaara sapere certe cose, aveva passato così tanto tempo ad osservare le persone che probabilmente era diventato empatico per osmosi, ma non poteva crogiolarsi nel fatto che lui sapesse perchè in quel modo non avrebbe risolto niente. E poi era del parere che le parole, se dette bene, avevano un potere immenso.
- Probabilmente...- prese un respiro tranquillo e ricominciò - Ti ricordi di quando eravamo piccoli?-
Gaara si reclinò sulla poltrona ed incrociò le dita sotto il mento, la guardò attentamente prima di risponderle - Si.-
Lei piegò il capo sulla spalla - Allora vorrei chiederti perdono per un paio di cosette.-
- Non devi...-
- Oh si, devo.- tossicchiò per schiarirsi la voce - Ho avuto paura di te, non credo di avertelo mai detto, però si, mi facevi paura. Cercavano sempre di ucciderti e credevo che prima o poi avrebbero chiesto a me di farlo.- si fermò per riflettere un attimo, il cuore le batteva forte - Avrei dovuto aiutarti Gaara ed essere qualcosa di più per te, non dico di non esserlo stato poi, ma quello non ha realmente provocato danni, giusto? Voglio dire che... mi dispiace, per tante cose. Sei mio fratello e ti ho lasciato a te stesso e...-
- Non avresti potuto fare niente.- la bloccò chiudendo per un attimo gli occhi - Non te l'avrei permesso.-
- Resta il fatto che mi dispiace non averci provato. Mi manda ai pazzi pensare che probabilmente io avrei potuto fare la differenza, avresti dovuto sapere che non tutti ti desideravano sotto terra. Tutte le bugie che ti hanno detto... ne faccio parte anch'io anche se non direttamente, in fondo non ti ho mai detto come mi sentissi. E sono anni che cerco di fare questo discorso ma sta uscendo più patetico di quanto mi aspettassi.- corrugò la fronte quando lo vide sollevare di nuovo l'angolo della bocca - Voglio chiederti veramente perdono per non essere stata la sorella migliore che potessi desiderare, la mamma mi picchierebbw se fosse ancora viva.- bofonchiò quasi roteando gli occhi al cielo.
Gaara osservò fuori dalla finestra - Io mi ricordo che cucinavi dei peperoni molto... gustosi.-
- Ma quello è stato dopo...-
- E che mi guardavi sempre anche prima.- la bloccò roteando gli occhi su di lei - Ma i peperoni erano molto buoni.- annuì leggermente - E cambiavi sempre il mio futon anche se non lo usavo. Non eri invisibile Temari, ti vedevo.- sembrava molto, molto imbarazzato - E voglio i peperoni per cena stasera.-
Lei dimenticò il discorso che si era preparata - Rossi o gialli?-
- Tutti e due.-
Alla fine sono le piccole cose che danno importanza a tutto. Anche se il percorso non è proprio dritto come uno spaghetto. E fa tremendamente male.
Però si cresce comunque, prima o poi.
















N/A

... Ora io dovrei scrivere qualcosa di intelligente per spiegare da dove cavolo è uscita fuori questa cosa gigantesca che non mi ha dato tregua.
E' colpa di qualcun altro ovviamente, qualcuno che mi ha fatto incazzare (pardon) da morire, questa è la conseguenza dato che non avevo la possibilità di prendere a pugni qualcuno (non mi abbasso a picchiare i muri, io).
Cominciamo a spiegare: personalmente mi sono sempre chiesta come fosse organizzata la vita di Temari prima dell'esame chunin, ho sempre desiderato scrivere una one-shot su questo tema, ma per un motivo o per un altro le idee che avevo non mi sembravano per niente plausibili. Questa one-shot oltre per la ragione primaria (ovvero il mio umore) è nata perchè avevo bisogno di introspezione. Cioè di scriverla, ma bando ai cenci, la shot è una Temari-centric come avrete sicuramente capito, è lei che lotta con se stessa, è lei che cerca di liberarsi dalle fantomatiche catene che l'ultima frase nomina, è lei che si fa i problemi.
Vi sembrerà sconclusionata oltre che assurdamente lunga, ma è uscita così dopo un sacco di tempo.
Spero mi perdonerete l'OOC, perchè c'è e non ci posso fare niente. Ero e sono molto indecisa sul raiting da usare, perchè effettivamente non è una one-shot leggera a mio parere, ma ovviamente potete benissimo dirmi di andare a quel paese e di abbassarlo.
Spero che vi sia piaciuta e perdonatemi gli errori. E la lunghezza. E l'OOC. Si capisce che non sono affatto sicira del risultato o.o?
Angela.




  
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