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Autore: _Rowen_    20/02/2012    2 recensioni
Onde.
Voleva portarla al mare, sulle scogliere greche, nel sole mediterraneo con l'odore dei pini che si scioglieva nell'aria come miele, ricorpirla di regali, fotografie e ricordi che avrebbe collezionato in eterno. Le avrebbe mostrato il mondo con gli occhi di chi l'ha visto crollare e poi rialzarsi migliaia di volte. Digrignò i denti, non si sarebbe mai aspettato uno schiaffo in pieno viso da un angelo.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Elena Gilbert, Elijah, Klaus
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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I used to rule the world, seas would rise when I gave the word.

 

Bonnie riagganciò.

Caroline non rispondeva al telefono da giorni, chissà dove diavolo era finita? Abby era in ospedale: la dottoressa Fell le aveva assicurato che sarebbe stata dimessa entro due giorni al massimo, eppure Bonnie non riusciva ad addormentarsi: l'ansia le avvolgeva il cuore come un lenzuolo gelato. Cercò di attribuire la preoccupazione al ricovero di sua madre ma nel profondo sapeva che l'insonnia era causata da ben altre questioni. Incubi.

Da giorni non sognava altro. Una grotta buia, la stessa dove era stata nascosta l'ultima bara: la luce delle candele che tremolava sulle pareti umide, svelando impronte di sangue, nitide, fresche. Una risata disumana, sguaiata, un lampo di luce: le fiamme si alzavano riempiendo la grotta di fumo e calore. Odore di zolfo e un paio di occhi neri, pozzi profondi, crateri sconfinati di un vulcano pronto ad esplodere, incorniciati da ciglia di pizzo nero che obreggiavano gli zigomi perfetti. La paura le attanagliò lo stomaco, anche lì, nel suo letto, non si sentiva al sicuro. Era passata una settimana ma i flaschback la tormentavano. I ricordi si ripetevano cambiando piccoli dettagli ma, a consumarla, erano sempre quegli occhi. Nella grotta, in casa sua, nello specchietto retrovisore dell'auto. Temeva di incontrare di nuovo quello sguardo più di quanto temesse la morte. Qualsiasi cosa fosse uscito da quella bara, lei non avrebbe indagato oltre.

Sorseggiò la camomilla e chiamò casa Forbes sperando di sentire la voce di Caroline ma nessuno rispose.

Nulla di sorprendente: lo sceriffo era impegnato nel nuovo caso dei cadaveri trovati nel bosco e Care probabilmente stava già dormendo.

Diede un'occhiata all' orologio a cucù appeso alla parete, segnava le dieci e mezza.

Scrollò le spalle e appoggiò la testa sul cuscino. Poco male, avrebbe riprovato l'indomani.

Spense l'abat-jour e si strinse nelle coperte cercando di pensare a quacosa di buono.

 

Now in the morning I sleep alone, sweep the streets I used to own.

 

Il mondo vorticava e il pavimento sembrava ondeggiare.

Caroline si aggrappò allo stipite della cella reprimendo un conato di vomito; gettò il calice sul pavimento. Nella foga del primo pasto dopo una lunga astinenza, il sangue le era colato lungo il collo, inzuppandole i vestiti, le mani, i capelli. Sbattè le palpebre più volte mettendo a fuoco la cella.

Iniziò a ricordare, immagini sfocate. Un dolore alla schiena, il sapore della verbena misto al poco sangue usato per tenerla in vita, una voce, quella di Klaus, buio, incubi, poi un volto, forse Elijah, un calice: vero sangue e la porta della cella aperta. Appoggiò la testa allo stipite e aspettò che la testa smettesse di girare. Non appena fu abbastanza lucida chiuse la porta della cella alle sue spalle e salì le scale in punta di piedi. Si guardò intorno: nessun rumore, nessun odore. La casa era vuota.

Se era stato Elijah a nutrirla, doveva essere stato lui a liberarla, ma perchè?

Lasciò perdere gli interrogativi e portò una mano alla tasca, cercando il cellulare.

-Ah, fantastico! - imprecò. Come aveva anche solo potuto pensare che Klaus le avesse lasciato il telefono?

Doveva chiamare Elena, sapere se stava bene.

Aprì porte senza pensare: una camera da letto, una salottino, uno studio.

Lo studio.

Entrò dirigendosi verso la scrivania in legno chiaro. Afferrò una pila di fogli e li scaraventò a terra. Disegni, lettere, schizzi a carboncino, acquerelli, ricoprirono il tappeto.

Dove diavolo era il suo telefono? Aprì un cassetto ma vi trovò solo boccette di inchiostro, ceralacca e carta da lettere. Passò al secondo cassetto ma era chiuso a chiave.

Afferrò più saldamente la maniglia, la forza non le mancava di certo. Tirò, ma il cassetto non si mosse di un millimetro.

Tirò più forte, una, due volte, ma quello rimaneva chiuso.

-Ma certo, un incantesimo...-.

Gridò esasperata sbattendo un pungo contro la libreria, poi le venne in mente che Klaus non si sarebbe certo preoccupato di blindare il suo cellulare in un cassetto a prova di vampiro. Qualunque cosa ci fosse lì dentro non le importava, sapere cosa era successo mentre lei era in quella cella era più importante. Già, ma quanto tempo era passato da quando quel bastardo l'aveva sedata e rinchiusa come un animale?

Sulla scrivania c'era un piccolo calendario, lo afferrò al volo e controllò la data. Erano passati sei giorni! Poteva essere successo di tutto! Gettò il calendario sulla srivania e un biglietto colorato cadde per terra tra gli schizzi a carboncino. Caroline l' avrebbe ignorato, calpestato e sarebbe uscita dalla stanza se quel biglietto non avesse portato il nome del suo spettacolo preferito.

Lo raccolse e lesse aggrottando le sopracciglia “Teatro Baudelaire. Spettacolo delle ore 02.00. Elettra”.

 

I used to roll the dice, feel the fear in my enemy’s eyes, listen as the crowd would sing:“Now the old king is dead! Long live the king!”.

 

Mancavano quattro ore, aveva tutto il tempo per scappare, tuttavia sentiva di doverlo fare subito, di uscire e andarsene il prima possibile. Se Klaus fosse rientrato non avrebbe saputo cosa fare. Non voleva vederlo, non voleva ascoltarlo. I suoi occhi, la sua voce, il suo odore, doveva dimenticarli ad ogni costo, o non sarebbe più riuscita a scappare.

Riordinò i fogli, rimettendo a posto il biglietto e uscì di corsa dallo studio. Non trovando la giacca, prese una coperta color borgogna dal divano, la gettò sulle spalle e corse fuori di casa. Oltre il cancello, la sua auto era sparita. Imprecò, si strinse nella coperta a iniziò a correre attraverso il bosco, come fosse Cappuccetto Rosso in fuga dal Lupo Cattivo.

 

One minute I held the key, next the walls were closed on me, and I discovered that my castles stand upon pillars of salt, pillars of sand.

 

-Ricordami perchè ho lasciato che mi trascinassi qui – borbottò Stefan.

-Quando la smetterai di fare i capricci e chiuderai definitivamente quella bocca? - replicò il fratello – Dobbiamo sapere cosa c'era nella bara aperta da Abby e Bonnie ed Elijah ci sta aspettando per aprire quelle rimanenti -.

Stefan rise – Sembra uno di quegli show televisivi dove tutti piangono e le famiglie si riuniscono...-

-Già – disse Damon aprendo la portiera – ma non credo che saranno lacrime ad versate stanotte -.

Scesero dall'auto e raggiunsero la vecchia casa abbandonata, Elijah li attendeva sulla soglia.

-Buonasera -

-Elijah...- salutò Damon.

Stefan squadrò entrambi – Allora? Che aspettiamo? -.

Damon si fece largo tra i due e aprì la porta di legno che cigolò – Prego, prima i parenti...- rise, invitando Elijah ad entrare.

 

Be my mirror my sword and shield, my missionaries in a foreign field.

 

Elena corse ad aprire la porta. Chiunque fosse, bussando in quel modo alle undici di sera avrebbe rischiato di svegliare l'intero vicinato.

Fece girare la chiave nella serratura e aprì la porta – Chi diavolo...-

-Ciao Elena...-

-Caroline? Oh cavolo...entra... è tutto ok? -.

-No, per niente. Devo parlarti, è una cosa importante. Prima però, ti prego, prestami il telefono, devo chiamare mia madre....sarà andata fuori di testa, è quasi una settimana che...oddio! - disse con affanno.

-Calmati, ok? Ti porto dell'acqua. Usa pure il telefono ma riprendi fiato! -.

Caroline annuì, telefonò in Distretto. Le dissero che sua madre non c'era. Provò a chiamarla sul cellulare ma non rispondeva, alla fine le lasciò un messaggio sulla segreteria telefonica dicendole di non preoccuparsi, che stava bene e che le avrebbe spiegato tutto quando si fossero viste.

Elena aspettava seduta in cucina, davanti ad un bicchiere di acqua fresca che Caroline bevve in un sol sorso.

-Ora puoi dirmi cos'è successo? - domandò.

Caroline inspirò. Improvvisamente aveva bisogno di un altro biccher d'acqua.

Per un istante considerò la possibilità di mentire ma, oltre che a farla sentire ulteriormente in colpa, non avrebbe risolto il problema.

Tradire o non tradire?

Una parte della sua mente bruciava ricordando come era stata trattata; in fondo non meritava una piccola vendetta?

Vendetta? Nulla più che una sporca vendetta?

No, c'era qualcosa di più, qualcosa che la perseguitava dalla sera della festa, che s'insinuava sottile nella sua mente ogni volta che si guardava allo specchio: il dubbio. Perchè ogni cosa, in quell'istante, era svanita, lontana migliaia di chilometri dalle loro labbra, lasciandoli soli, al limitare del bosco, mentre il ritmo della musica segnava i secondi di un tempo che per entrambi non contava più. Perchè il suo profumo continuava a farla rabbrividire, perchè i diamanti che le aveva regalato piangevano in una stupida vetrina, invidiando la luce dei suoi occhi. Perchè per pochi attimi era stata felice per davvero, pur sapendo che quella era un gioia che non poteva permettersi di provare mai più. Era stato un errore, una macchia nera su una pagina scritta con cura. Non c'era nulla da fare, non poteva cancellarla. L'unica via di scampo era strappare la pagina e riscrivere tutto da capo.

Klaus aveva ragione, quel bacio non aveva significato nulla. Una debolezza, niente di più. Il suo posto non era con lui: aveva già una parte con la quale lottare, persone da difendere, ideali in cui credere. Non bastava un bacio per cancellarli tutti.

Chiuse gli occhi, sapeva che l'avrebbe delusa ma Elena doveva sapere.

-Elena...- disse, lavoce rotta dalla preoccupazione.

L'amica aggrottò un sopracciglio.

-Ricordi quella festa... - e iniziò a raccontare.

Elena rimase in silenzio per tutto il tempo, lo sguardo fisso negli occhi di Caroline.

Quando Caroline ebbe finito, bevve un sorso d'acqua e incrociò le braccia al petto.

-Quando pensavi di dirmelo, se ci hai mai pensato, Care? Quando ti avrebbe chiuso in una bara esattamente come i suoi fratelli? I suoi fratelli, Care, la sua famiglia! Li ha murati vivi per novecento anni in una bara! Pensi si sarebbe fatto scrupoli? - esclamò visibilmente preoccupata.

-Io non volevo deluderti, Elena, non volevo lo sapessi...insomma, non è stato niente d'accordo? Ho imparato la lezione...-

-No Care, questa non è una predica. Non c'è nessuna lezione da imparare, hai dato un bacio che non dovevi dare e, credimi, so cosa significa, ma non è questo il punto. Hai rischiato la vita Care, Klaus ti ha usata, e avrebbe potuto ucciderti -.

-Mi dispiace, davvero, io non so cosa mi sia preso, io non...-

-E' tutto ok – disse Elena, l'abbracciò e le asciugò una lacrima. Quello di Klaus era stato l'ennesimo affronto. Se non poteva avere le bare avrebbe avuto tutto il resto, proprio come Jeremy, Tyler, ed ora Caroline.

Non avrebbe permesso che le accadesse nulla, teneva troppo a lei per rischiare di vedersela strappare via come Jenna. Afferrò il cellulare.

-Cosa fai? - domandò Caroline.

Elena non rispose, digitò un numero e portò il telefono all'orecchio.

-Elena, che stai facendo? -

-Chiamo Damon e gli dico del teatro. Questa storia deve finire un volta per tutte – si alzò di scatto e le diede le spalle.

-No! - pensò Caroline e allungò una mano verso Elena, per poi ritirarla prontamente, stupita dal suo stesso gesto. Esitare non era nei piani, cosa stava facendo?

Bevve un altro sorso d'acqua ma portando il bicchiere alle labbra si accorse che le tremavano le mani.

-Pronto? Damon? - disse Elena attivando il vivavoce.

-No, Elijah -

-Dov'è Damon? -

-Impegnato ad aprire un bara...-

-Devo parlargli -

-Dimmi pure, gli riferirò parola per parola -

-D'accordo, Caroline è qui con me. Sono successe cose...-

-Arriva al punto per favore -

-Klaus stasera andrà a teatro, allo spettacolo delle due. Se avete intenzione di fare qualcosa, fatelo stanotte -.

-E' un ottimo consiglio Elena, ci penseremo non appena avremo finito con le bare -.

-Perfetto, a dopo – disse, e riagganciò.

Caroline notò che nelle ultime settimane Elena era diventata più forte, più risoluta. Qualcosa nei gesti, nel tono della voce la faceva apparire più salda.

-Beh – pensò – dev'essere l'effetto che fa prendere a pugni un sacco di sabbia dalla mattina alla sera – rise amaramente. Invidiava la forza che era riuscita a tirare fuori, la tenacia con cui aveva affrontato tutto quanto, piegandosi più volte ma mai, mai spezzandosi.

Caroline si strinse nella coperta – Scusami Elena ma sono davvero distrutta, penso andrò a casa...-

Elena sorrise le accarezzò i capelli – Non essere stupida, puoi dormire qui se ti va. Domattina sarà tutto finito, ne sono sicura -.

Caroline ingoiò una lacrima – Grazie Elena, davvero, tu non puoi nemmeno immaginare quanto ti sia grata...-.

Elena rise – D'accordo, i mielosismi rimandiamoli a domani. Buonanotte -.

Caroline sbadigliò trascinandosi verso la stanza di Elena. Si accovacciò sul letto e chiuse gli occhi. Gli occhi le bruciavano e qualcosa premeva doloroso proprio in corrispondenza del cuore. Si avvolse nella coperta, in un caldo abbraccio, accorgendosi solo dopo che era pregna del profumo dell'uomo che aveva condannato a morte. -Allora è un tormento! - pensò – Perchè mai dovrei sentirmi in colpa? Dopo tutto il sangue che si è lasciato alle spalle, dovrei dare spazio ai sensi di colpa? Non scherziamo...- Arrotolò malamente la coperta e la gettò dall'altro lato della stanza.

Chiuse gli occhi e appoggiò la testa sul cuscino. Avrebbe avuto gli incubi.

 

For some reason I can't explain, once you go there was never, never an honest word, and that was when I ruled the world.

 

-Quindi nessuno di voi ha la più pallida idea di cosa contenesse quella dannata bara? - domandò Damon.

-No – la risposta fu simile ad uno sbadiglio e proveniva da una delle bare.

-Chi non muore si rivede eh, Rebekah? - disse, vedendo la vampira sollevarsi sinuosamente.

-Chiudi la bocca Damon, sei l'ultima persona che avrei voluto vedere appena sveglia -.

Elijah prese per mano la sorella aiutandola ad uscire dalla bara – Quello è Kol – disse indicando un ragazzo intento a proscigare una sacca di sangue.

Damon allungò una mano – Devi essere il fratellino di Klaus, piacere -.

-Il piacere è tutto tuo – replicò stirandosi come un gatto – Come va Finn? - domandò guardando il fratello saltare agilmente fuori dalla bara.

-Ho fame – rispose l'altro, e il fratello gli allungò un'altra sacca.

Stefan rise – Per festeggiare il momento...che ne dite di andare a teatro? -.

Rebekah lo squadrò – Spero tu stia scherzando, ho altre priorità in questo momento -.

-Tipo? -

-Piantare un paletto nel cuore della tua sgualdrina Elena e fare due chiacchiere con Nikalus. Per chi ancora non lo sapesse ha ucciso nostra madre– disse, con la stessa noncuranza con cui si diffonde un pettegolezzo.

-Arrabbiata appena sveglia, Reb? Non crucciarti, ti vengono le rughe! - rise Kol. La ragazza o zittì con un solo sguardo tagliente.

-Rebekah ha ragione, Kol. Nikalus deve pagare per nostra madre e per

questo – disse, e con un cenno della mano indicò le bare.

-Dimmi Finn, preferivi gli interni in seta anziché in taffetà? -.

-Ancora una parola Kol, e ti faccio saltare i denti -.

-Scusate signori – si intromise Damon – avrete un sacco di cose da dirvi per recuperare gli ultimi novecento anni, ma Kalus deve morire stanotte -.

-D'accordo – sbuffò Rebekah - Elijah, sii breve e conciso -.

 

 

It was the wicked and wild wind blew down the doors to let me in.

 

Una foglia, un'altra, volteggiavano in una daza funebre, cadendo morte tra altre mille. Klaus ne afferrò una prima che toccasse il suolo: era dorata, sottile, liscia, sfoggiava la sua grazia ondeggiando drammatica sotto la brezza e scivolando via, sfiorando lieve le compagne come se quelle non esistessero, troppo scure, troppo secche, come se lei fosse l'unica e il suo risalto fosse un diritto.

Caroline.

Proseguì verso il teatro assaporando il silenzio e il vento notturno, linfa fresca, pulita, scorrere nelle sue vene. Aveva biogno di lei, della sua risata, delle sue parole che ascoltava come brani di un concerto proibito. Continuò a camminare, ignorando il dolore che provava nel petto. Una sensazione per niente nuova, il dolore era un compagno crudele e costante. Nuova era la causa. Un millennio prima l'avrebbe chiamata infatuazione, ora sapeva di poterlo chiamare amore.

Non era certo se credere in quel sentimento, se riporvi speranza, desiderio, oppure lasciare che svanisse, che appassisse sotto i suoi occhi lasciandolo inerme davanti ad un'eternità di solitudine.

Credervi avrebbe significato soffrire ancora di più, trovarsi a combattere contro ogni logica, loro due contro il mondo. Credervi avrebbe significato convincersi di essere cambiato, cambiare, poter essere ciò che non era mai stato.

Rinunciarvi l'avrebbe ucciso, abbandonandolo da solo di fronte all'oscurità.

Ricordò Caroline, inerme sul giaciglio improvvisato nelle segrete: la sua luce brillava anche nel sonno. Tornando a casa, quella sera, era sceso nelle segrete senza nemmeno il coraggio di aprire la cella e farle visita; aveva appoggiato le mani bianche contro il legno ruvido della porta domandando perdono infinte volte. Non sopportava l'idea che Caroline lo vedesse sporcarsi del sangue di Stefan: continuava a ripetersi che non c'era altro modo che compiere l'ultima mostruosa azione per poter difendere la sua famiglia, poi lei, la dolce Care, sarebbe stata sua.

Si sorprese a pensare a Caroline come alla Venere del Botticelli, una Beatrice santificata da un Dante folle d'amore.

Avrebbe avuto il coraggio di aggrapparsi ad una angelo e farsi strappare di dosso la pece del peccato?

Diede uno sguardo rapido all'orologio, lo spettacolo stava per cominciare. Affrettò il passo sorridendo impercettibilmente.

 

 

Shattered windows and the sound of drums, people couldn't  believe what I’d become. Revolutionaries wait for my head on a silver plate.
 

Oh, erano stati tutti così prevedibili...

Mille anni di esperienza sulla Terra gli erano valsi un vantaggio non indifferente. Un gioco a carte scoperte, quello die Salvatore. Perchè risvegliare Elijah altrimenti? Era evidente, quasi patetico: avrebbe ceduto, avrebbe acconsentito ad aprire le bare pur di vederlo morto e avere la sua vendetta. Ma Klaus aveva previsto tutto. Rebekah, sapendolo l'omicida di sua madre, l'avrebbe odiato a sufficienza per tradirlo e scherarsi con Elijah; Kol, spinto dalla solita frenetica impulsività, avrebbe iniziato a meditare il suo omicidio e Finn, lui si sarebbe schierato dalla parte del più forte, credendo erroneamente che fosse quella di Elijah. Questione di settimane, giorni forse, poi, tutti quanti, si sarebbero resi conto di quel che lui aveva fatto per loro. Li aveva riportati alla vita, riuniti, come una vera famiglia: una città ai loro piedi ed un esercito di ibridi per servirli. Solo allora sarebbero tornati, beandosi della potenza offerta loro come ambrosia, una libertà basata su un potere sconfinato che avrebbe spianato loro le strade dell'eternità.

Sentiva che sarebe successo di lì a poco: il piccolo esercito di Elijah e i fratelli Salvatore, coalizzati contro di lui, avrebbero attaccato quella notte stessa, pensando di coglierlo alla sprovvista. Ma Klaus sapeva...

I biglietti del teatro pinzati al calendario sulla scrivania dello studio, una trappola perfetta per Elijah che, come previsto, l'aveva tradito.

Finchè l'ultima bara fosse rimasta chiusa non avrebbe avuto nulla da temere. Corse verso l'entrata allungando il biglietto alla maschera – Buonasera signore, palco numero 5, secondo piano a sinistra -.

Klaus annuì e salì le scale, domandandosi quanto tempo avrebbero impiegato a meditare un piano e metterlo in atto: non gli era mai piaciuto dover interrompere uno spettacolo.

 

Just a puppet on a lonely string, oh who would ever want to be king?

For some reason I can't explain, I know Saint Peter won't call my name.

 

Elena aprì piano la porta della sua stanza, Caroline dormiva in un sonno agitato: rivoltandosi nelle coperte, le lenzuola erano cadute sul pavimento, il cuscino per terra. Richiuse piano la porta, non voleva svegliarla. Guardò l'orologio, le due e dieci. Un'altra notte in bianco.

Si preparò un caffè sperando che, col sorgere del sole, tutto sarebbe finito, Klaus sarebbe morto, concedendo a Mystic Falls un autunno noioso, banale, come non ne trascorreva da...

Già, quand'era stata l'ultima volta che aveva affrontato una situazione normale come fare i conti a fine mese, pensare a quale colore usare per ritinteggiare la cucina, cercare un posto di lavoro? La verità era che non lo ricordava, o meglio, non voleva ricordarlo, certa che solo l'idea di tutto quel tempo sprecato in follie l'avrebe abbattuta, rammentandole che l'unica vita che possedeva le stava scivolando tra le dita. Quando la caffettiera iniziò a gorgogliare prese una tazza e vi svuotò dentro l'intero caffè, macchiandolo appena con un po'di latte. Se doveva stare sveglia, almeno lo sarebbe stata fino in fondo. Aprì la credenza prendendo la zuccheriera e si voltò posandola sul tavolo. Un tintinnio proveniente dall'altra stanza la fece sobbalzare. Rimase in silenzio qualche istante, poi, non sentendo più

nulla, sorrise -Suggestione Elena, nient'altro che suggestione -.

Prese un cuchiaino dal cassetto e sentì di nuovo quel rumore argentino, come di gioielli tintinnanti e campanelle. Una risata squillante, riecheggiò limpida contro le pareti della casa. Elena lasciò perdere il cucchiaino e afferrò il coltello più grande che potesse trovare, spingendosi a piccoli, silenziosi passi, verso il salotto.

Un fruscìo di vesti l'attirò verso il bagno, un'altra risata.

-Chi diavolo c'è? - gridò.

Fece scorrere la mano lungo la parete, cercando l'interruttore ma, non appena lo trovò, qualcosa alle sue spalle la inchiodò alla parete, sollevandole un braccio per aria e piegandole la mano, costringendola a lasciar cadere il coltello.

Elena gridò per il dolore, ancora una piccola pressione a le avrebbe spezzato il braccio in tre punti.

Chiuse gli occhi, odore di arance e incenso.

Nel buio brillarono due occhi, buchi neri illuminati dal potere del tempo, poi, dall'oscurità emerse un volto. Le linee perfette, gli zigomi pallidi ombreggiati da ciglia sottili, le labbra incurvate in un sorriso crudele, unica differenza a spezzare l'illusione che si trovasse davanti al suo stesso riflesso.

-Katherine? - gemette.

La pressione intorno al polso aumentò e una risata cristallina s'insinuò velenosa nelle sue orecchie – Katherine? Chi è Katherine? -.

 

Never an honest word, but that was when I ruled the world.

  
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